ECOLOGIA DEL SACRO E SACRALITA' DELLA DIMORA DI DIO: QUALCHE REGOLA E UNA SPERANZA FINALE
Cari amici, di seguito pubblico il testo del mio intervento su Ecologia e architettura sacra nell'ambito del convegno "Abitare la bellezza" tenutosi lo scorso 11 giugno presso il Santuario della Madonna del Sasso a Pontassieve. Qualcuno si chiederà il perché di queste immagini a corredo della mia relazione. Ebbene, leggetela fino in fondo e scoprirete le ragioni di queste immagini già di per sè evocative di un'altra via del sacro in totale armonia con il Vangelo, la tradizione e la bellezza.
Francesco Colafemmina
“Ecologia del sacro e sacralità della dimora di Dio: perché le chiese contemporanee sono antiecologiche e dissacranti?”
Pontassieve, 11 Giugno 2011
Il tema di cui intendo parlarvi non è dei più semplici, anzi è intrinsecamente complesso perché il solo concetto di “ecologia” ci parla di relazioni, dunque di complessità, d’intrecci, di trame e orditi in grado di dar vita ad un disegno elaborato e misterioso. Ancor più complesso sarà dunque il concetto di “ecologia del sacro”. Per affrontare un tale argomento proporrò un percorso a cerchi concentrici che, partendo dallo spazio estremo, si propone di raggiungere il cuore della dimora di Dio. Ad aiutarci saranno cinque “regole” dell’ecologia del sacro cui si oppongono altrettanti “dogmi” dell’antiecologia del sacro. Che a delle regole si oppongano dei dogmi non dovrebbe stupire. Oggi non esiste una vera e propria regolamentazione dello spazio sacro e a partire dagli inizi del XX secolo la deregulation estetica ed architettonica ha prevalso in ambito cattolico. La Chiesa ha rinunciato a fissare in norme aderenti alla sua tradizione l’essenza e i fondamenti del dar vita a nuove dimore del Signore e così ognuno sembra dire la sua, e le opinioni (dòxai) hanno scalzato la verità (alétheia).
Naturalmente vi sono opinioni più forti o più deboli e nel mondo dell’opinione tutto dipende dall’autorevolezza di chi se ne fa portatore: la verità si confonde ancor di più perché così diventa quasi possesso personale, individuale e non senso comune, condivisione ideale.
Tuttavia, uno dei fenomeni più curiosi degli ultimi cinquant’anni è rappresentato dal costante capovolgimento della verità in opinione e delle opinioni in verità. Quando ciò accade, ossia quando la verità sullo spazio sacro e sull’edificare la dimora di Dio, consolidata e riconosciuta dalla tradizione cattolica e dai presupposti liturgici, teologici ed ecclesiologici della fede, scolora in dòxa, le false opinioni che la soppiantano si ergono a verità. E guai a chi intenda scalfirne il diritto a sedere sul trono dell’alétheia! Questi sarà tacciato se va bene di ignoranza, altrimenti di passatismo, di misoneismo, di arretratezza, o sarà tutt’al più tollerato con bonaria commiserazione quale reperto di epoche ormai trascorse. Così le opinioni assurte a verità si trasformano in veri e propri dogmi. Dogmi “laici” o “clericali”, comunque dogmi “umani”: arroganti e omnipervasivi, corporativi ed interessati.
Per metterli in discussione è inutile innalzare altri dogmi concorrenziali, fondati sulla verità negletta. No. La verità d’altronde è adaequatio rei et intellectus, dunque emerge da sola, senza la necessità di imporsi. Pertanto nell’epoca buia in cui viviamo, pervasa da una dogmatica antropocentrica e strumentale, l’unica speranza di ridare splendore alla verità, ci giunge dall’umiltà di alcune regole. La regola indica, infatti, l’atto di misurare, e proprio l’uso della logica aristotelico-tomista, logica che è misurazione della ragione, ci aiuterà a ritrovare quelle proporzioni e quell’ordine che sono i segni inconfondibili della verità delle cose.
Vediamo però in primo luogo cosa dobbiamo intendere con l’espressione “ecologia del sacro”. Di ecologia del sacro si sente parlare raramente, e quando ciò accade ne fanno le spese o l’ecologia o il sacro, trattandosi di un’unione insolita e in un certo senso ossimorica. Ecologia è infatti un concetto ampiamente legato allo studio dell’ambiente, ove per oikos si intende la grande “dimora” umana, ossia il nostro pianeta. E il sacro? Il sacro è ciò che appartiene a Dio, ciò che è proprio di Dio. Dunque, possiamo comodamente affermare che per ecologia sacra si deve intendere lo studio della dimora di Dio. Dov’è quindi l’ossimoro? Non sta forse nella natura cosmica della dimora di Dio: l’oikos non è già sacro perché luogo di potenziale presenza divina e Sua creazione?
Aristotele ci insegnerebbe, tuttavia, che una scienza non può fondarsi su di un attributo potenziale, accidentale, di un oggetto, bensì su una sua attualità costante. Pertanto l’unico spazio sacro in atto è quella dimora di Dio che noi chiamiamo chiesa o tempio, anzi, per ricorrere alla dizione ancora attuale presso gli ortodossi, ieròs naòs, tempio sacro, consacrato.
E cosa rende per così dire “più” sacro, “costantemente” sacro, “autenticamente” sacro il tempio, la chiesa del Signore? Evidentemente la Sua presenza, una presenza duplice: nella messa e nel tabernacolo. Come si può vedere si tratta di una presenza che si rinnova nel caso del sacrificio della messa e di una presenza permanente nel caso della custodia eucaristica.
La chiesa assolve tuttavia ad una funzione ulteriore: non solo dimora di Dio, essa è anche luogo della riunione, dell’assemblea del popolo dei fedeli. Qui però incontriamo uno dei primi punti d’inciampo dell’ecologia del sacro. Il concetto di ekklésia, infatti, pur rammentando il carattere assembleare e comunitario del termine greco, ha in realtà un significato assai diverso allorché lo introduciamo nella dimora di Dio. Non si tratta di un’“assemblea”, intesa quale riunione autonoma di uomini e donne, bensì di un “raduno” di uomini e donne che intendono adorare Dio. Il fulcro è dunque sempre il divino e mai l’umano.
Pertanto non sbaglieremo se diremo che una delle prerogative dell’ecologia del sacro è il suo totale orientamento a Dio. Un orientamento che è sì spirituale, ma anche formale, giacchè sacro è, sia pur in misura minore rispetto al tempio, l’intero creato. Per questa ragione una chiesa deve anzitutto contestualizzarsi in una dimensione non solo spaziale e terrena, ma anche cosmica, deve quindi essere orientata astronomicamente. Siamo così alla prima regola dell’ecologia del sacro. Sappiamo che nel passato l’orientamento astronomico costituiva un elemento fondamentale dell’architettura sacra, sebbene spesso fosse superato da esigenze materiali; eppure la totale perdita da parte della committenza ecclesiastica contemporanea e degli architetti impegnati col sacro, di tale originaria premessa alla scelta dell’orientamento del tempio, denota quella che potremmo definire la prima dissacrazione ai danni del Cattolicesimo e dunque il primo dogma dell’antiecologia del sacro: l’immanenza dell’arte edificatoria.
Avendo chiara la dimensione cosmica del tempio sacro e il suo orientamento a Dio, una seconda regola dell’ecologia del sacro sta nella scelta dello spazio terreno su cui edificare la chiesa. Questo spazio deve rispondere a due esigenze primarie: essere centrale e innalzarsi sulle altre dimore circostanti. La centralità spaziale è specchio della centralità spirituale di Dio, così come l’elevazione dell’edificio è espressione dell’altezza del Signore, della Sua Potenza, della necessità che la Sua dimora sia visibile da lontano e si distingua dalle dimore dei mortali.
Una deroga a questa regola è tuttavia rappresentata dal caso dei santuari, sorti il più delle volte in prossimità di luoghi la cui sacralità è attestata dal martirio di un Santo, da una visione Mariana, etc. Al contrario la “confusione spaziale” e l’anarchia urbanistica costituiscono il secondo dogma dell’antiecologia del sacro. Nel tessuto urbano la chiesa spesso può confondersi con una comune dimora, ma il più delle volte finiamo per riconoscerla non per la solennità o l’armonia della sua facciata, bensì per la banalità, la sciatteria e l’estrosità di certa architettura chiesastica diffusasi in Italia a partire dagli anni settanta e ancora in voga. All’epoca dominava il minimalismo e questo strano tentativo di confondere quasi la chiesa fra le case, propagandando così una filosofia della prossimità fra sacro e profano tipica di certe ideologie socialistiche.
Oggi invece il minimalismo si è fatto ambizioso e le chiese pur restando insignificanti nell’aspetto e mortificate nell’armonia, tentano di appropriarsi dello spazio urbano con rinnovata protervia, e si trasformano conseguentemente in monumenti al nulla che troppo spesso circonda i nomi delle grandi archistar del sacro. Nella Roma barocca le chiese erano esaltate da maestose facciate allorquando erano intrappolate in una esuberante teoria di case o fra esili vie che non consentivano una adeguata preparazione al passaggio dal profano al sacro.
Ai nostri giorni non si può sperare di abbellire neppure una scabra facciata, giacchè il più delle volte le chiese contemporanee non hanno vere e proprie facciate ed è al contrario la bizzarria delle loro stesse forme a sancirne la gloria mondana secondo talune élites culturali e clericali.
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