venerdì 3 giugno 2011

PRAEOCCUPEMUS FACIEM DOMINI
Donato Ogliari


Praeoccupemus faciem eius in confessione, et in psalmis iubilemus ei. Sal 95, 2 (94). 

Capiterà a tutti di imbattersi in una parola o un'espressione dalle quali si è intimamente folgorati. È come se il loro contenuto ci ponesse, d'improvviso, di fronte ad un nuovo orizzonte che si svela al nostro stupore e ehe, spesso, finisce con l'apportare una sfumatura nuova alla tavolozza del nosiro cammino spirituale.

Un'occasione del genere si è presentata di recente a chi scrive mentre ascoltava da un CD-audio la Liturgia delle Ore cantata nello stile in uso presso i monaci certosini. Non è stata la melodia, in se sobria ed essenziale, a provocare quella scintilla che in un baleno ha incendiato la mente e il cuore. Sono state piuttosto le parole dell'antifona salmica con cui i monaci, nel cuore della notte, danno inizio all'Ufficio divino, parole che qui riportiamo: «Praeoccupemus faciem Domini, et in psalmis iubilemus ei”.

A colpirmi è stata soprattutto la prima parte di questa antifona. Quelle tre parole: Praeoccupemus faciem Domini, alle quali - per prime - si dischiudono le labbra dei monaci, contengono infatti un'alta carica evocatrice che ha immediatamente rapito la mia immaginazione. E ciò, in particolare, a motivo del verbo praeoccupo. Se andiamo a controllarne il significato in un dizionario latino (ad es. l'accreditato Calonghi) ci renderemo subito conto che, accanto al senso letterale, vi è anche quello figurato. Le definizioni concrete di "impadronirsi prima (pre-occupare) / impegnare o guadagnare in precedenza / predisporre o disporre favorevolmente / prevenire o sorprendere", possono, infatti, essere impiegate anche in senso spirituale, a proposito cioè di impegni, sentimenti o disposizioni dell'animo. E allora, se così è, i monaci che, squarciando il silenzio della notte che li avvolge, fanno proprie le parole: Praeoccupemus faciem Domini, si trasformano in metafora vivente della ricerca incessante e amorosa di Dio. Diventano paradigma di chi anela a Lui con tutto se stesso; di chi è spinto dal desiderio di pré-occupare il volto di Dio, ossia "impadronirsi" di esso e gustare della Sua presenza.

Come si intuisce facilmente, il volto (o la faccia) costituisce l'aspetto esteriore di una cosa o di una persona, ne indica la presenza. Nel caso di una persona, poi, il volto rivela anche i pensieri e i sentimenti che vi si annidano dietro: un sorriso la gioia, il rossore la vergogna, i tratti distorti un moto d'ira o un accenno di paura, le lacrime il dolore, e così via. Ora, nel caso di Dio, il suo volto o - per analogia - i pensieri e i sentimenti che Egli nutre nei nostri confronti, sono stati resi manifesti e visibili nel Figlio suo Gesù Cristo: «Disse Filippo a Gesù: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,8-9). Dunque, "impadronirsi'" del volto di Dio significa soprattutto contemplare la persona del Figlio suo Gesù.

Spinti dalle ragioni del cuore e sorretti dall'impeto dell'amore - che ne è la molla intima e segreta - i Certosini vegliano nel silenzio della notte per poter assaporare l'ineffabile primizia del Signore che viene e che, in Cristo Gesù, rende presente il suo volto. È come se questi monaci - quali sentinelle sugli spalti più avanzati della città terrena - puntassero lo sguardo verso l'orizzonte per prevenire e in qualche modo sorprendere la venuta dello Sposo. È come se, nell'esuberanza dell'amore, volessero anticiparne le mosse per potersi beare della contemplazione dell'Amato fin dal primissimo istante del suo apparire. E quale altro motivo polrebbe fondare il giubilo del loro salmodiare se non l'anelito di chi attende di incontrare Colui che ama e dal quale è amato? E chi può dubitare che, insieme con loro, gioirà anche l'Amato, felicemente sorpreso dalla forza anelante e gioiosa con cui essi ricercano il Suo volto?

Se questo è ciò che ci suggerisce l'esperienza dei monaci Certosini, il discorso si fa un po' più complicato quando veniamo a noi stessi. È molto probabile, infatti, che nessuno di noi si levi nel cuore della notte per presentarsi all'appuntamento con il Signore. E ciò nondimeno, anche ognuno di noi, a modo suo e secondo le situazioni nelle quali la sua vita si dipana, è confrontato con quel medesimo volto di Dio che - lo si voglia o no - accompagna la vita di ciascun essere umano con la Sua misteriosa presenza, vegliando misteriosamente su di esso. Sì, il Signore della vita posa su tutti il suo sguardo misericordioso e tutti in esso custodisce, anche coloro che non sanno che farsene di Lui e rifiutano coscientemente la Sua provvida presenza o coloro che, rosi dal dubbio o resi facile preda dell'indifferenza e della pigrizia. vacillano nella fede e non osano rialzare lo sguardo. L'anelito umoroso del Certosino, benché lontano anni-luce dalla nostra mediocrità, rimane dunque una metafora attualissima della sollecitudine che ciascuno di noi, in virtù della fede in Cristo Gesù, è chiamato ad esercitare gioiosamente lungo le strade della vita. Come il monaco che anela ad incontrare il Signore e quasi a sorprenderlo con la "passione" della sua instancabile ricerca, così ognuno di noi è chiamato a desiderare con tutte le sue forze di vivere alla Sua presenza e di gustare la dolcezza del Suo sguardo.

E allora non avrà più importanza se questo anelito si consuma nel cuore di una notte silenziosa e orante o nel silenzio sofferto di una corsia d'ospedale, nella cella dell'eremita o nel clamore della piazza. La metafora del monaco che veglia per ''sorprendere" il volto del Signore e "impadronirsi" di esso, racchiude infinite possibilità di realizzazione. Ma, soprattutto, bisogna che giungiamo a comprendere che questa realizzazione e già in atto là dove c'è l'umile e puro affetto del cuore, là dove l'incontro con lo Sguardo ha già cominciato a consumarsi nell'intimo desiderio dell'anima assetata e nelle segrete stanze di una Comunione che, come il roveto ardente, brucia senza consumarsi e, bruciando, si nutre incessantemente.

«Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto»
(Sal 4,7)

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