giovedì 31 gennaio 2013

persecuzioni

SOLDATI DI CRISTO 

 
«Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio. […]
 

Sarebbe questo sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è. Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo tanto diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose.
Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima – la propria anima battezzata, visitata tante volte dalla presenza eucaristica e abitata dallo Spirito Santo! – alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità.
Non è detto che ogni peccato sia direttamente dovuto ad azione diabolica; ma è pur vero che chi non vigila con certo rigore morale sopra se stesso si espone all’influsso del mysterium iniquitatis, a cui San Paolo si riferisce, e che rende problematica l’alternativa della nostra salvezza […].
 

Potremmo dire: tutto ciò che ci difende dal peccato ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La grazia è la difesa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza. E poi ciascuno ricorda quanto la pedagogia apostolica abbia simboleggiato nell’armatura d’un soldato le virtù che possono rendere invulnerabile il cristiano. Il cristiano dev’essere militante; dev’essere vigilante e forte; e deve talvolta ricorrere a qualche esercizio ascetico speciale per allontanare certe incursioni diaboliche; Gesù lo insegna indicando il rimedio “nella preghiera e nel digiuno”. E l’Apostolo suggerisce la linea maestra da tenere: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male”»

Paolo VI - Udienza Generale di Mercoledì 15 novembre 1972


mercoledì 30 gennaio 2013

povertà

Crisi, Redditi giù ecco chi ha fatto male i conti
 
di Ettore Gotti Tedeschi 28-01-2013
 
Abbiamo letto su tutti i giornali che, secondo il rapporto Istat (23 gennaio 2013), il reddito degli italiani è tornato indietro di ben 27 anni. Ma che significa un'affermazione del genere, come è possibile? Possiamo supporre che la crisi in atto ci ha reso più poveri per un 20% circa? Ma come si spiega? Potremmo magari supporre che in realtà l’economia, e conseguentemente i redditi, non siano mai cresciuti in questi 27anni? Cioè che per circa trent'anni la crescita del Pil , dei redditi, dei valori mobiliari e immobiliari è stata un bluff? Ma perché invece il reddito nominale e il valore delle Borse e il valore degli immobili crescevano?  E perché si parla solo di responsabilità della finanza (banchieri) e di necessità di riforme? Ma ora le riforme  che ci dicono essere necessarie, ci ridaranno i redditi persi e i valori del nostro risparmio? Diciamoci la verità, non abbiamo capito molto di quello che è successo. Proviamo perciò a tentare una spiegazione.

Circa quaranta anni fa l’Occidente ha smesso egoisticamente di fare figli. Interrompendo le nascite ha interrotto la domanda fatta dal biberon all'età adulta: dalla scuola al lavoro, poi il matrimonio, l'acquisto della casa, altri figli, e così via. Questa decisione ha significato interrompere un sistema di consumi-investimenti, reddito, tasse, distribuzione ricchezza e compensazione generazionale di contribuzioni equilibrate alla vecchiaia da parte dei giovani. Senza crescita della popolazione la domanda non cresce più.

Come può infatti crescere il PIL se la popolazione non cresce? Certo con la produttività, le esportazioni, ma è vero? E per quanto? In realtà questo è stato il modo per avviare la famosa politica nefasta di sviluppo del PIL attraverso la crescita dei consumi individuali. Invece di più gente che consuma “normalmente” (e non vive per consumare) si sceglie di aver meno gente che consuma individualmente sempre più. Per convincere a consumare come stile di vita nasce la cultura del cosiddetto “consumismo", della soddisfazione a breve (il tempo di una vita) con ogni cosa (tutto subito). La teorizzazione del consumismo è stata accompagnata e sostenuta dalla certezza filosofica che l’uomo, essendo un animale intelligente, andasse soddisfatto materialmente per renderlo felice. Cosicché si crea una generazione di “animali intelligenti” con la pancia piena, il gurdaroba ed il garage pieno, e l’intelletto vuoto e lo spirito assente.

Il problema è che per fare consumare individualmente sempre più si deve anche fare guadagnare sempre più. Contraddizione evidente: così si spinge anzitutto a non risparmiare più ed a indebitarsi pur di comperare tutto subito. Ma per far consumare di più tutti (abbienti e meno) si deve anche vender prodotti a basso prezzo e far crescere il potere di acquisto. A questo scopo si delocalizzano le produzioni in paesi emergenti a basso costo (Asia soprattutto), cosa che però significa esportare produzione e occupazione. 

In sintesi, interrompendo le nascite, deindustrializzando, delocalizzando, non risparmiando ed indebitandosi per consumare, si è  provocata  la crescita esponenziale dei costi fissi dovuta all’invecchiamento della popolazione senza crescita reale del PIL e senza un sistema economico equilibrato interno all’Occidente. Questi costi fissi sono stati pensioni e sanità dovuti allo squilibrio della popolazione che invecchiava soprattutto. Detti costi fissi vengono assorbiti da tasse, sempre in crescita. Nei fatidici ventisette anni  il peso delle tasse sul PIL viene raddoppiato. Che succede se le tasse crescono? Succede che diminuiscono i redditi reali, il potere di acquisto e si guadagna meno, si risparmia sempre meno, si investe meno, si ha più paura dell’avvenire, ci si sposa più tardi, entrambi i membri della coppia decidono di dover lavorare , non si fanno figli. La crescita delle tasse sulle imprese provoca meno investimenti, meno produttività, meno occupazione in prospettiva .

Oggi, grazie a tutto ciò, una coppia a parità di studi, di occupazione professionale, di età, guadagna circa la metà di quanto guadagnava trenta anni fa il “capofamiglia”. Lo abbiamo detto, in trenta anni il peso delle imposte sul PIL è raddoppiato, e ciò è avvenuto perché abbiamo pensato di ignorare leggi naturali che sono fondamento delle leggi economiche. Abbiamo ignorato leggi morali che provocano il cattivo uso del mezzo economico e finanziario. Tutto ciò Benedetto XVI lo ha scritto nell'enciclica Caritas in Veritate. E questo il Pontefice lo ha scritto circa quattro anni prima che l’Istat lo rilevasse con opportune statistiche. Se si contraddice la vita e si ignora che lo sviluppo economico deve esser integrale e non solo materiale, se si concepisce l’uomo quale animale intelligente da soddisfare solo materialmente, togliendogli la sua dignità originale, ebbene, se si fa tutto ciò, non si può altro che “impoverire” da ogni punto di vista.

Se non si fanno figli, confidando solo nel consumismo (importando beni a basso costo da altri paesi) per far crescere il PIL,  non si mantengono gli anziani, non si crea sviluppo sostenibile, non si creano posti di lavoro, non si permette la formazione di  famiglie  con il desiderio soddisfatto di  fare altri figli. Una specie di autoestinzione modello cataro (albigese) su basi economiche. Ecco perché lo strumento economico, senza un fine, può diventare dannoso. 

Conclusione: se la diagnosi delle ragioni di questa crisi è sbagliata, la terapia non produrrà conseguenze positive. E' un fatto che gli attuali candidati politici, che si sforzano di produrre idee forti di carattere economico, dovrebbero capire. Altrimenti l’Istat nel 2020 rileverà che il reddito degli italiani è ormai assimilabile a quello degli abitanti di qualche paese in via di sviluppo.

spirito del concilio

Pietro De Marco su Catholica. Sviluppo e declino dello spirito del Concilio in Italia



 
Sono lieta di poter pubblicare nell'originale italiano, per gentile concessione dell'Autore, questo articolo del Prof. Pietro De Marco, sociologo della religione che si distingue per la sua onestà intellettuale [vedi qui - qui - e qui], apparso in francese sul n.116/Settembre 2012 della Rivista di riflessione politica e religiosa Catholica. Ovviamente il taglio è storico-sociologico, ma rende ragione di molte implicazioni riverberatesi sulla teologia sull'ecclesiologia e dunque sulla corrispondente pastorale, sviluppatesi nel post-concilio, che più specificamente appartengono alle nostre riflessioni e analisi. Esse non possono che arricchirsi e acquistare maggior spessore  dall'approfondimento degli scenari, dei soggetti e dei metodi che hanno impresso alla Chiesa del nostro tempo le mutazioni che viviamo con sofferente attenzione e consapevolezza.

Il lavoro prende in esame e sviluppa un dato rimarchevole, a più riprese sottolineato da Bernard Dumont, lo studioso Direttore della Rivista: « la singolarità di un'Assemblea conciliare svoltasi nel momento in cui i mezzi di comunicazione di massa e della manipolazione dell'opinione pubblica hanno oltrepassato una soglia completamente nuova, punto di convergenza tra una propaganda montata ad arte e la comparsa di nuovi strumenti tecnologici. Lungi dal diffidarne, gli attori del concilio (curia romana, vescovi, assistenti teologi, e, primo fra tutti, Giovanni XXIII), per incomprensione o com­piacenza, sono entrati in questo ingranaggio, trasformando solo per questo le condizioni di una riflessione ecclesiale realmente autonoma ». Senza dimenticare che « senza dubbio in ragione dei legami mantenuti tra i diversi focolai ideologici e i centri di diffusione ex­tra-​ec­clesiali, l’im­pres­sione dominante è quella di una sorta di imprigionamento della vita ecclesiale in strutture complesse delle quali appare ancora difficilissimo liberarsi. Tutto ciò ha funzionato in simbiosi con il mondo profano, in un permanente intreccio tra l'espressione delle sue esigenze e gli inviti interni ad allinearsi su di esse ».
La mia osservazione di massima è che il cosiddetto spirito del concilio, visto come paradigma esterno - che pure esiste, ha operato e opera tuttora - ha le proprie sorgenti, in nuce o già evidenti, in alcuni punti già quasi tutti individuati dei documenti conciliari: e dunque all'interno del Concilio stesso, sia pure non nella sua totalità. Basta consultare i testi inseriti nella colonna in alto a destra del Blog, i documenti evidenziati e le relazioni del Convegno di Roma del 2010, anch'essi linkabili dalla colonna di destra del blog. Per non parlare degli studi e dei libri di Mons. Gherardini, alcuni stralci dei quali già presenti nel blog -che saranno presto incrementati-, rintracciabili digitando la parola-chiave Gherardini nella stringa della "ricerca".

Lo spirito del concilio è un « pa­ra­digma esterno » che si è costruito nei media e in certi ripetitori d’opi­nione come l’Istituto delle scienze religiose di Bo­logna. Esso si perpetua ma s'insabbia mentre nel popolo italiano sussiste un fondo religioso su cui esso non ha mai avuto presa reale.[Su quest'ultimo punto mi pare possano esprimersi perplessità]
[L'Autore si rivolge alle osservazioni del Prof. Dumont] Comincerei dalle premesse. Quello che Lei sottolinea, ovvero la presa dei media e dell’opinione pubblica sul Concilio nell’intero arco del suo svolgimento (e già prima), è anche a mio parere non solo un dato che nessuna ricostruzione storica (e socio-storica) può sottovalutare, ma anche una componente, una dimensione, della sua ermeneutica. In certo modo lo è già: il Concilio oltre il Concilio, fuori dell’aula e dei palazzi vaticani e romani dove hanno vissuto e operato i Padri conciliari, viene invocato dalla storiografia antiromana o ‘modernistica’ come la prova della sua immediata appartenenza/consentaneità positiva al mondo. Anche prodotti della ‘scuola bolognese’, come L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II 1959-1965 di Alberto Melloni, Il Mulino, Bologna, 2000, nel ricostruire l’attenzione delle ambasciate e delle cancellerie agli eventi romani, sottolineano l’appartenenza del Concilio ‘alla storia’. Nulla di nuovo in questo se non vi fosse implicito un paradosso: il rilievo del rapporto concilio-storia risiederebbe nell’influenza in sé positiva della storia, del mondo, sul Concilio (un Concilio ‘aperto’), non viceversa. Non va dimenticato che, per una serie di equivoci teoretici (nella stessa dottrina della consecratio mundi) e di fortunate formule (l’autonomia delle realtà terrene, anzitutto), il mondo come mondo storico anzitutto (ma il significato di ‘mondo’ nella pubblicistica teologica è altamente equivoco), negli anni Sessanta è diffusamente considerato portatore, in sé e per sé, di valore e di verità. Così il mondo penetra e co-opera in un Concilio aperto, nonostante le resistenze di ‘settori’ della Chiesa e partiti di Curia.

Ma, indipendentemente dalla interpretazione teologico-fondamentale ed ecclesiologica data dalla pubblicistica ‘modernista’, il fatto della osmosi tra Concilio e spazi pubblici europei e mondiali è decisivo per l’ermeneutica del Concilio perché costruisce e divulga all’esterno, spesso con anticipo e indipendentemente dalle risoluzioni conciliari, l’immagine del suo significato. Ho in mente quello che amo chiamare lo scalino che si definisce stabilmente dal 1962 al 1965 tra intentio e contenuto dei diversi documenti, da un lato, e recezione pubblica. Nella recezione interpretativa operano congiuntamente (si ‘compongono’ come due forze) la ordinaria selezione giornalistica della notizia, di ciò che negli accadimenti è ‘notizia’ per un giornalista, e il lavoro capillare di ciò che Lei chiama i ‘foyers ideologici e i centri di diffusione’ anzitutto intraecclesali (la costellazione dei ‘vaticanisti’ e giornalisti religiosi cattolici, speso prestigiosi) e, di concerto, extra-ecclesiali. Ciò che è giornalisticamente notizia dal Concilio si colora e si qualifica attraverso l’opera del giornalismo religioso, specializzato.  (Una ricerca ancora da condurre, con buon metodo sociologico, per campioni, data l’estensione del materiale.)
Ma ciò che conta, per noi, è che il paradigma esterno che si costruisce, si diffonde e si affina nella mediasfera, e si consolida e guadagna nuovamente livelli superiori di riflessione (dall’articolo e la conferenza al saggio di rivista specialistica al libro), già  nei lunghi intervalli tra i ‘periodi’. Il paradigma esterno, prodotto per il ‘mondo’ (per dire così) e per effetto del ‘mondo’, diviene un vero e proprio canone interpretativo del corpus conciliare, e ognuno dei foyers internazionali, spesso in concorrenza tra loro, tenderà a darne la propria versione. Dico in concorrenza, perché ad esempio tra il lavoro di I-doc Internazionale e l’allora ‘Centro di Documentazione’, o l’ambiente fiorentino della rivista ‘Testimonianze’, non vi sono rapporti se non superficiali o strumentali (occasionali alleanze). Ma l’ambiente di ‘Testimonianze’ è in sintonia col giornalismo e la pubblicistica conciliare (da Gozzini a La Valle a Citterich). Mentre il CdD vede Bologna in rapporto con molti centri di studio, istituzioni ecclesiastiche, con l’intelligencija di prestigiosi monasteri europei. I-doc ha prevalentemente cultura sociologica e una proiezione latinoamericana, sull’America di Medellin. Sottolineo en passant quanto potrà offrirci per la comprensione del post-concilio la ricostruzione storica della sociologia cattolica  prodotta ed insegnata da ecclesiastici – coerente sostituto o parametro ‘modernista’ della teologia, dato il primato del mondo -  entro e fuori le facoltà teologiche;  cosa sia stata e come abbia operato.
Ma, anche quando i foyers si saranno estinti o trasformati e arroccati in posizione difensiva,  il paradigma esterno, resosi autonomo, prosegue (o si afferma lentamente, magari moderandosi) nella letteratura teologica come nei periodici popolari, nella predicazione come nelle thèses di dottorato della Facoltà. Coincide sostanzialmente con ciò che viene invocato come “spirito del Concilio”; la coincidenza è rivelatrice poiché, come la nozione (o il lessico) dello ‘spirito’ evoca una distinzione-opposizione con la ‘lettera’ (lo ‘spirito’ precede la lettera, la ‘anima’, le sopravvive: così vogliono i luoghi comuni), così in effetti il paradigma esterno sceglie, subito, entro la ‘lettera’ del corpus conciliare ciò che serve alla propria formulazione e affermazione, è canone a se stesso, si perpetua (e si estenua) come una traditio chiusa. È nota la terminologia, tipicamente italiana, che giustificherà il consolidamento (in saggi, convegni, grandi opere) del paradigma generato sui bordi mediatici del Concilio: si trattava di discernere, separare dal resto, elaborare nelle loro conseguenze, le ‘parti traenti’ o ‘portanti’ del Concilio, sia depositate in enunciati (comunque da vagliare e purificare dal peso del compromessi prodotti nelle commissioni) sia postulate come intentio patrum.
Non voglio insistere su questo punto (che è un mio tema di studio e che richiede studio); ma una conseguenza mi pare evidente, e stringente per la Chiesa, oggi. Il paradigma esterno,
  1. costituito nel dettato conciliare a partire da una selezione pregiudiziale di testi e di significati (quest’ultima selezione – ‘ciò che il Concilio sarà e dovrà essere’ - precede gli stessi lavori del Concilio), e
  2. sviluppato in ambienti peri-conciliari, e forme mediatiche (quelle di allora), determina dopo cinquant’anni, indebolito e spesso banalizzato o, per dirla à la Bauman, allo stato liquido, la recezione diffusa, ‘modale’, del Vaticano II.
Nella sua geometria variabile assume la forma polemica dei gruppi di base, quella velata, nicodemitica, della maggior parte dei libri dotti, la cantilena, il cant, dei linguaggi ‘ecclesiali’. Il Centro, cioè Roma, alcuni episcopati, alcuni ambienti teologici ed ecclesiastici, ne sono sempre stati o se ne rendono, se ne vogliono, liberi. Non senza difficoltà e contraddizioni. Ma il lavoro, immane, di risalire lo scalino che separò il paradigma esterno e la sua ufficializzazione mondana,  dall’aula conciliare, per rientrare nella mens dei Padri e nel significato autentico dei testi, è in gran parte da compiere.

Nell’azzardare le cose dette ho di fatto risposto già alla prima domanda. Può interessare un lettore francese, ma anche un italiano ormai (in virtù dell’oblio che cala sugli eventi), qualche ricordo e valutazione sull’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, il suo lancement, il lavoro intellettuale e di studio che vi si svolgeva, tra il 1964 e i primi anni Settanta. Non sono un buon conoscitore della vicenda della diocesi di Bologna nell’età di Lercaro; non sembri un paradosso, dato che ho frequentato la città e la chiesa bolognese negli anni del prestigio e della fine dell’episcopato. Ma il Centro di Documentazione era un ambiente di studio molto assorbente e relativamente autosufficiente. La maggioranza dei borsisti non era bolognese; io tornavo a Firenze il sabato. Ma molto di più contava il genere di studio; allora prevalentemente storiografico (con asse sul Concilio di Trento, l’età tridentina, s.Carlo Borromeo e questioni contestuali, preriforma, riforma protestante, riforma cattolica). Il nume tutelare era Hubert Jedin, ma anche Delio. L’ambiente monastico di Monteveglio, attorno a Giuseppe Dossetti, contribuiva, e vi era osmosi col nostro lavoro, agli studi patristici e storico-liturgici). La costellazione italiana ed europea di amici e colleghi era costituita prevalentemente da storici (della teologia, della chiesa), dai patrologi ai contemporaneisti. In sé, e salvo eccezioni (l’impegno di singoli), il lavoro sistematico del Centro non era destinato alla chiesa bolognese, né commissionato da questa. Gli stretti rapporti erano personali e riservati ai bolognesi (Alberigo, Prodi). Inoltre, Giuseppe Alberigo aveva dell’Istituto una visione moderna e ambiziosa; non una supplenza alle ‘carenze’ (reali o presunte) italiane ma una ricerca di livello immediatamente internazionale, secondo le richieste che alle scienze religiose venivano (o si riteneva che venissero) dalla chiesa universale. Vi era come il disegno di opporre la formula del Centro a quella delle Facoltà ecclesiastiche, anzitutto delle teologiche romane ma non solo; una competizione in programmi di formazione, in dotazione di libri, in temi e metodi di ricerca, e la convinzione di non essere inferiori a nessuno dei centri europei (francesi, belgi, tedeschi) ove si faceva teologia. Per parafrasare il titolo di un libro famoso di Eugenio Garin (La filosofia come sapere storico) allora concepivamo la teologia come ‘sapere storico’ e, praticando il sapere storico, ci sentivamo più avanti delle Facoltà teologiche, con i loro insegnamenti manualistici e dottrinali. la formazione dei giovani studiosi si completava, comunque, presso un  maestro europeo.  Il cemento, per dire così, del gruppo era certamente quello della riforma della chiesa, ma con distacco rispetto alle forme del ‘dissenso’ cattolico degli anni postconciliari, in genere con le forme militanti. La ‘chiesa dei poveri’ (Lercaro) doveva edificarsi dalla sua riforma in capite et membris, non dalla effervescenza sociale e ideologica, allora accentuatamente a sinistra. Non va dimenticata la distanza che separava l’ideologia del Centro dalla tradizione del cattolicesimo politico, ‘popolare’ e, in genere, dalla cultura del cosiddetto ‘movimento cattolico’ e del laicato di azione cattolica (che allora erano, anche storiograficamente, ignorati). La frattura nella vita di Dossetti operava da paradigma storiografico.
Queste caratteristiche (che, ripeto, riguardano – quelle storiografiche in particolare – i secondi anni Sessanta, poco più) mi permettono di aggiungere qualcosa alla tipologia dei centri promotori del paradigma ‘dinamico’ del Concilio e del suo ‘spirito’. L’istituto, come altri in Europa, si presentava come portatore di una rinnovata ma rigorosa ortodossia. Se volessi individuare delle componenti ‘modernistiche’, ovvero delle espressioni di quella latenza modernistica cattolica che circola nel Novecento e si avvale dello ‘spirito’ del Concilio (in sé, il Concilio, estraneo al Modernismo storico) per riaffermarsi – penserei ad alcuni intellettuali e studiosi miei coetanei, che abbandonarono presto il Centro e nei quali la componente antiromana, antidogmatica, ‘critica’ e spiritualistica ha poi prevalso. E, azzardo, i componenti attuali dell’ISR sono  probabilmente più vicini al paradigma ‘critico’ e antiromano, antidogmatico e spiritualistico, di quanto non fosse la generazione dei maestri. Il lancement e il successo (si è parlato di ‘egemonia’) del Centro/Istituto dipesero, nella logica delle cose dette, nell’aver dato forma dotta a quello che chiamo il paradigma esterno, tentando di mostrare, con piena convinzione e conforto di altre intelligenze (è il senso della vasta e documentata Storia del Concilio Vaticano II), che esso era in realtà fondato nella storia interna e nei testi del Concilio stesso. Insomma il prestigio del Centro/Istituto è derivato da un lavoro da intellettuale ‘organico’ e ‘ortodosso’ rivolto ad un esteso ‘movimento’ (e sentimento, presente anche nelle gerarchie) ‘conciliare’ militante. Espressione dotta, tra le più agguerrite, del paradigma esterno l’Istituto è oggi eccentrico alla profonda discussione e revisione del paradigma ‘conciliare’ (e delle sue applicazioni) che si è aperta nella Chiesa di Benedetto XVI. Il paradigma ‘conciliare’ è in piena involuzione; palese il suo degrado polemico, la sua banalizzazione e impoverimento, e la incapacità dei suoi ‘custodi’ di opporsi a questo processo. Il lavoro (storiografico) del Centro è utile come - e nei limiti - di ogni lavoro accademico, ma nonostante la sua ‘politicità’  è più organico a niente. L’assenza di formazione teologica (non quella, pretesa, post-teologica), la persistenza di un ‘uso politico’ (ecclesiastico) della storia e la vis antiromana, non danno alle sue intelligenze la possibilità, né scientifica né pratica, di ritornare al centro della riflessione cattolica. Rebus sic stantibus.
Con la Sua terza domanda cambiamo scenario. Ovvero guardiamo a quel ‘contesto’ odierno di cui i foyers intellettuali protagonisti della stagione postconciliare non hanno più il polso. Il quadro ecclesiastico-ecclesiale, l’ecclesiosfera italiana, ha conosciuto un mutamento di rotta significativo con il papato di Giovanni Paolo II (considero molto appropriata la metafora di papa Wojtyla come timoniere). Il papa ha dato forza, con l’energia di combattente ma ancor più con la forza del suo carisma, alla opposizione romana e curiale contro l’affermarsi ideologico e prendere corpo istituzionale dello ‘spirito del Concilio’. Chi depreca (e consento sull’essenziale) l’involuzione della riforma liturgica nelle sue forme ordinarie dimentica, o non ha avuto esperienza, di ciò che la ‘realizzazione del Concilio nella vita della fede delle comunità cristiane’ stava preparando almeno nei progetti ‘riformatori’. Dal soggettivismo liturgico alla teologia in situazione alla democratizzazione di diocesi e parrocchie al sacerdozio indifferenziato, tutto mascherato e solo alluso sotto i paludamenti del verbiage post-conciliare. La fine degli anni Settanta (come clima diffuso, effervescenza, coinè ideologica) ha favorito l’opera di riparazione e ricostruzione di Roma. I cattolici italiani hanno appreso nuovamente a) la legittimità (anzi doverosità) della loro presenza pubblica ‘come cattolici’, non come imitatori altrui, e della forma positiva, istituita, della fede e della chiesa; b) il diretto ruolo di guida della gerarchia in materia di fede e di morale. Nell’arco degli anni Ottanta la mediazione (tra cattolici e gerarchia) esercitata dal cattolicesimo politico (la DC) e il ruolo guida dell’intelligencija conciliare sulle ‘comunità’ e sulle culture cattoliche si sono indebolite, per ragioni diverse ma con effetti complementari. Con la cd. fine della Prima repubblica (1993-94) il governo della CEI prende in mano il possibile disorientamento cattolico (i cattolici, dai variamente praticanti ai non praticanti, sono la maggioranza del paese), non si affianca alle minoranze ‘popolari’ (resti della classe politica DC) nell’opposizione radicale e moralistica alla nuova formazione guidata da Silvio Berlusconi. Gli spostamenti dell’elettorato già democristiano (e già socialista ‘riformista’) verso una nuova formazione di centrodestra chiede alla chiesa di seguire con attenzione la conversione politica del suo ‘popolo’. La costellazione conflittuale delle forme cattoliche pubbliche di esistenza e azione, religiosa e politica, dopo il 1993-94 non poteva che essere guidata dalla lucidità di sguardo di un uomo di chiesa. Non supplenza contingente, ma ritorno esplicito ad una funzione della gerarchia, necessaria e sempre praticata a partire dal consolidamento dello stato liberale (comunque ‘laico’ continentale). La maggioranza cattolica, che vive spesso ai margini delle parrocchie (anche per le responsabilità di una pastorale pensata per ristrette comunità ‘conciliari’), esige oggi una alimentazione cattolica di principi e valori dal centro della ecclesiosfera. 
Se questo è vero (la concomitanza di due timonieri, uno per la chiesa universale, l’altro per quella italiana) perché l’immagine statica che Lei, da conoscitore delle cose italiane, può farsi della nostra situazione? Cerco una approssimazione alla risposta. 
L’episcopato italiano è diviso, anche se non in termini conflittuali.  L’azione ‘politica’ del Cardinale (con scherzosa ammirazione Ruini venne chiamato qualche volta, ad esempio dopo la vittoria nel referendum sulla procreazione assistita, Mazarin) è stata più subìta che capita o approvata. Inoltre, se la condizione minoritaria della Chiesa attrae, quella maggioritaria, più realistica, pesa ma si impone. Un vescovo in Italia è ancora la guida religiosa di una popolazione, purché lo voglia. Operare e decidere pastoralmente rivolgendosi contemporaneamente a tipi di credenti diversissimi (per ceto, cultura, religiosità e intensità di pratica, posizione politica) è complicato, e anche il clero ha risposte, condotte e opinioni molto diverse; spesso lavora per proprio conto, con le proprie convinzioni, nell’isolamento della parrocchia, al massimo di un vicariato. 
Poco giunge, all’osservatore esterno, di questo lavoro dei cleri diocesani, lavoro non esibito e contradditorio: tra istanze di evangelizzazione, rispetto della laicità e del pluralismo, bioetica pubblica e emergenze sociali, elevata fiducia nella chiesa da parte della ‘gente’ e crescita degli indici di socializzazione, persistenze ‘progressiste’ e novità ‘tradizionalistiche’. In più, i vescovi si sanno sotto gli occhi di Roma. L’immobilité très majoritaire che Lei osserva è forse solo apparenza; i bisogni di una ‘chiesa di popolo’ divisa, le molte ‘emergenze’ collettive, i numerosi avversari pubblici (la sfida anticlericale è costante contro Roma e contro la CEI) inducono molta Chiesa italiana ad operare ‘coperta’ e nell’incertezza. Non escludo, naturalmente, anche delle sorde resistenze: la lezione dei due ultimi pontificati, in controtendenza rispetto al paradigma ‘conciliare’ divulgato dall’intelligencija, è difficile da assimilarsi e per qualche vescovo, e parte del clero e del laicato ‘qualificato’, indigeribile.
Da questa considerazione mi è comodo anticipare la risposta alla Sua quinta domanda. Lei troverebbe comunque una conferma, da quanto ho appena detto, alla Sua diagnosi di una chiesa come ‘società bloccata’, di una pesanteur che ostacola la ‘libertà interiore’ entro la chiesa. Un ‘modernista’ ma anche uno ‘spiritualista’ lévinasiano potrebbe consentire, salvo rendersi conto dopo un attimo di divergere su tutto (chi generi il blocco e di cosa; cosa e di chi sia libertà interiore di cui si parla ecc.). Credo di capire, e su questo consento fortemente, che la libertà interiore impedita sia oggi, anzitutto, quella dei simpliciores che allo ‘spirito del Concilio’ hanno preferito la secolare, seppur aggiornata, formazione cattolica, catechistica e spirituale, devozionale e morale; ma anche, e più esplicitamente, la libertà degli oppositori dòtti, sacerdoti e laici, teologi e spirituali, al dominio di quello ‘spirito’ e del suo paradigma.
Il caso italiano, con la sua chiesa di popolo, è un buon luogo di verifica. Persiste un ‘popolo cattolico’ valutabile, a seconda della estensività dei criteri socio-religiosi di cattolicità, tra il 60% e l’80% e oltre, della popolazione, dunque molto più esteso rispetto al mondo dei praticanti regolari, e differenziato per modelli di religiosità, per grado di appartenenza e di conformità etica all’insegnamento della Chiesa. Questo popolo non ‘virtuoso’ sembra sovente più respinto che attratto dalle remote come dalle recenti ‘applicazioni’ del Concilio (dall’architettura sacra alle liturgie allo stile religioso dei parroci); in più non è aiutato, non nel tessuto delle parrocchie, a seguire con libertà le sue propensioni rituali, devozionali, intellettuali. Ma per lui la possibilità di trovare ambienti ospitali è altrettanto ampia, specialmente negli ordini religiosi. Il mondo francescano non è solo Assisi, ma è anche Medjugorie. Si tratta della nota ‘offerta’ differenziata del cattolicesimo, della sua complexio oppositorum, che lo ‘spirito del concilio’ rigorista non è riuscito ad estinguere, fermato (delegittimato) in questo anzitutto dal pontificato di Giovanni Paolo II, dalla sua passione mariana, dai suoi nuovi santi, la cui numerosità e varietà costituisce il paradigma di tutto ciò che è cattolicamente possibile venerare e imitare.
Questo può non bastare alla Sua (e mia) preoccupazione: vi è qualcosa come un ius sactorum che possa proteggere il semplice credente dagli oltranzismi ‘conciliari’ di un parroco, di un giornalista, di un predicatore? No; per lo ‘spirito del Concilio’ i santi, espulsi dalle nuove chiese, non sono un paradigma, non vincolano più la chiesa.  La mia prognosi (fausta) guarda, però, al clima intellettuale e spirituale di una ‘nuova serietà’ cattolica in formazione, in grado di contrastare sul suo terreno quello che Lei vede come “une sorte d’establishment assurant la paralysie de l’institution ecclésiale italienne”. Recentemente le critiche di Antonio Livi a  Enzo Bianchi (priore della comunità di Bose) hanno prodotto o ospitato una violenta censura  a Antonio Livi, poi a Sandro Magister, da parte di Avvenire e di Iesus, rispettivamente. Reazioni nervose e offensive che, però, non dichiarano la forza di un establishment ma il suo declino.
 
Tratto da:

martedì 29 gennaio 2013

ideologia gender

Allarme per la diffusione dell’ideologia di genere nel rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa

Dall’Occidente
un nuovo colonialismo

Trieste, 28 gennaio.

«L’ideologia del gender» rappresenta «un nuovo colonialismo dell’Occidente sul resto del mondo». È questo il dato allarmante più significativo presente nel  quarto rapporto dell’Osservatorio internazionale cardinale Van  Thuân  sulla dottrina sociale della Chiesa, presentato sabato  26 nel capoluogo friulano  dal suo presidente, l’arcivescovo-vescovo  di Trieste Giampaolo Crepaldi. Infatti, nel corso di un solo anno, il 2011 — arco temporale a cui si riferisce lo studio —  «è emerso in tutta la sua forza sovversiva il fenomeno della “colonizzazione della natura umana”», ossia quell’insieme di enormi pressioni internazionali affinché i Governi cambino la loro tradizionale legislazione sulla procreazione, sulla famiglia e sulla vita. Sotto scacco sono soprattutto  i Paesi dell’America latina. In particolare, viene citato il caso emblematico dell’Argentina, dove come ha evidenziato  monsignor Crepaldi, nel breve giro di dodici mesi «quel grande Paese di tradizione cristiana ha avuto una legge sulla procreazione artificiale che ha denaturalizzato la procreazione, una legge sul riconoscimento sulla “identità di genere” che ha denaturalizzato la famiglia e una modifica del Codice civile per permettere l’”utero in affitto” che ha denaturalizzato la genitorialità». L’ideologia del genere, viene sottolineato, «si è diffusa, senza incontrare una vera opposizione, nei Paesi avanzati e ormai viene anche insegnata nei manuali scolastici delle scuole pubbliche senza che questo faccia sorgere grandi contestazioni». Il dato nuovo è che «viene ora esportata con sistematicità nei Paesi emergenti e poveri». Si tratta di  «una ideologia sottile e pervasiva, che si appella ai “diritti individuali”, di cui l’Occidente ha fatto il proprio dogma, e a una presunta uguaglianza tra individui asessuati, ossia astratti, per condurre una decostruzione dell’intero impianto sociale».
 
29 gennaio 2013

castità


Castità prematrimoniale: le convincenti ragioni in un video


Baby photography[Fonte: UCCR, 24.01.13]
Durante la sua visita pastorale negli USA del 15-21 aprile 2008, Benedetto XVI ha descritto come “evidente” l’indebolimento nella società americana dell’istituzione del matrimonio e il «diffuso rifiuto di una responsabile e matura etica sessuale, fondata sulla pratica della castità, che ha portato a gravi problemi sociali con immensi costi umani ed economici». Gli studi, infatti, mostrano chiaramente come chi convive prima del matrimonio percepisce una minore qualità del rapporto sentimentale e soprattutto presenta maggiori tassi di separazione coniugale e di divorzio, confutando la vulgata sulla convivenza come migliore preparazione al matrimonio (qui altri studi sul tema).
La posizione della Chiesa cattolica, come sempre lungimirante, chiede ai fidanzati di «vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità». Questa posizione, come spiegato bene dal sociologo Giuliano Guzzo, non è contraria alla sessualità in quanto essa è ben più ampia di quella che si può consumare tra le lenzuola. Il rapporto sessuale unitivo non è la sola manifestazione di sessualità.
Ma quali sono le ragioni per cui la Chiesa chiede la castità pre-matrimoniale? Lo spiegano in modo bellissimo e convincente i due fidanzati Jason & Crystalina Evert durante una delle loro tante conferenze nei licei americani. La castità, come spiegata da loro, diventa avvincente, sensata e alla portata da tutti perché basata su ragioni laiche, e non soltanto religiose. Ammiriamo questi ragazzi per il loro coraggio ad andare controcorrente, così come recentemente ha detto Benedetto XVI: «Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”».
Buona visione!

Qui sotto il video-testimonianza di Jason & Crystalina Evert



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lunedì 28 gennaio 2013

ecumenismo

La Chiesa sognata dai progressisti ...


... è senza dubbio quella episcopaliana, ossia gli anglicani americani (che, per ragioni di patriottismo, dopo la Rivoluzione americana abbandonarono l'odiato riferimento inglese e si rinominarono episcopaliani; essi fanno comunque parte a pieno titolo della Comunione anglicana, che fa capo all'Arcivescovo di Canterbury).

Perché? Giudicate voi alcune delle ultime performance di questa confessione religiosa:

- E' ben noto come tutta la comunione anglicana sia sul punto di implodere per la questione dell'ordinazione dei gay. Non di persone di tendenze omosessuali; parliamo proprio di gay "praticanti", come il vescovo del New Hampshire Gene Robinsons, che dopo aver abbandonato moglie e figli si è "sposato" con l'amante, col quale convive felicemente in vescovado (ha detto che è sempre stato il suo sogno diventare una june bride, che tradurremo come "una sposina"). Particolare importante: la (pseudo)ordinazione episcopale è avvenuta dopo che il Nostro aveva già reso pubblica la sua scelta di campo (se così si può dire);

- La reverenda Katherine Ragsdale (foto a destra), ha pronunziato un sermone, da lei scritto e pubblicato su internet, nel quale afferma che (citiamo) "l'aborto è una benedizione". E non solo nei soliti casi (violenza, anomalie fetali, povertà, "assenza di supporto sociale"), ma anche "quando una donna diventa incinta in una relazione d'amore, di sostegno e piena di rispetto, e ha ogni possibilità aperta avanti a sé, ma decide nondimeno di non volere un figlio; se ha accesso ad un aborto sicuro e poco costoso: non c'è tragedia in vista, solo benedizione". "Il nostro compito sarà compiuto", conclude la reverenda "solo quando una donna in ogni fase della gestazione, per qualunque ragione o anche senza alcuna ragione, potrà praticare l'aborto". (fonte: LSN).

- Ma anche per gli episcopaliani non sono solo rose e fiori, come nei felici casi sopra citati, e sono infiltrati pure loro da pestiferi integralisti, che vogliono soffocare l'afflato di apertura al mondo e alle minoranze, l'anelito ecumenico e lo spirito del Vaticano II (oops, scusate, l'ultimo non c'entra cogli anglicani, ci è scappato). Una di questi Torquemada dev'essere senz'altro la sciura nella foto a sinistra, con un improbabile pastorale-reliquiario in mano (ma mica venerano le reliquie, loro), ossia la vescovessa Geralyn Wolf, che vuole rimuovere una pretessa della sua diocesi che si dice "al 100% episcopaliana e mussulmana". Come questo connubio sia possibile, è comprensibile solo a chi ha approfonditamente studiato e assimilato il latitudinarismo anglicano (l'attitudine, tipica di questa religione, di imbarcare ogni cosa e il suo contrario). La presbitera in questione, che si chiama Ann Holmes Redding, dice che Gesù è divino, così come ogni uomo è divino. Dio è uno, come dicono sia cristiani sia musulmani, e questo Dio è lo stesso per entrambe le fedi. Logico quindi appartenere a tutte e due queste religioni che dicono in sostanza la stessa cosa. Il sillogismo non fa una grinza, no? [fonte: Coo-ees from the cloister]

Aggiornamento. Gentilmente Alan, lettore anglo-cattolico, ci invia queste precisazioni:

I have just read your article about the American Episcopal Church. Ouch! It's painful to have our private grief exposed in a Roman Catholic blog! ;-) There is, however, one small mistake. The name "Episcopal" was not chosen in patriotic rejection of "Anglican" (= English). The concept of an "Anglican Communion" is a later invention. Members of the Church of England in the eighteenth century would not have called themselves "Anglican". Although not completely unknown previously, the word Anglican came into widespread use in the nineteenth century, and at first it often meant "Anglo-Catholic", so that Church of England priests of low-church or evangelical beliefs would deny that they were "Anglican". In using the word "Episcopal", the Americans were following the Scots, who ordained their first bishops. (At that time, while the Church of England was the official religion of the state in England, the Scottish Episcopalians, who had supported the Stuart claim to the throne, were actually persecuted.)
 

finanza internazionale

Pio XI contro l’internazionalismo bancario

La chiarezza esemplare di queste parole è straordinaria.
Questa sì è modernità, nel senso migliore del termine!
 
Contro la finanza, le parole di Pio XI 

«In primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.

Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare.

Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.

A sua volta poi la concentrazione stessa di ricchezze e di potenza genera tre specie di lotta per il predominio: dapprima si combatte per la prevalenza economica; di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche; infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni.

Funeste conseguenze

Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi, venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate; la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele.

A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell’autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizione umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia.

Nell’ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene». 

Pio XI, Quadragesimo Anno, 105-109, enciclica emanata il 14 maggio 1931, in piena Grande Depressione

domenica 27 gennaio 2013

Same Sex Couples

Londra, presentata la legge sui matrimoni gay. Ora i cristiani temono per la propria libertà


gennaio 26, 2013


È cominciato ieri l’iter dell’approvazione del “Marriage (Same Sex Couples) Bill”. Anche i cattolici e gli anglicani saranno obbligati a celebrare nozze gay? C’è chi teme di sì


Si chiama “Marriage (Same Sex Couples) Bill” la legge britannica sui matrimoni gay che ha cominciato ieri il suo iter parlamentare. Il governo conservatore guidato da David Cameron ha infatti pubblicato il testo della controversa norma che nei prossimi mesi dovrà essere votata dai rappresentanti del popolo di Sua Maestà.

PRETI OBIETTORI A RISCHIO. Sia la Chiesa anglicana che quella cattolica si oppongono decisamente alla ridefinizione del matrimonio. Non a caso Maria Miller, il ministro della Cultura che ha presentato il testo, si è sentita in dovere di rassicurare tutte le confessioni che saranno «tutelate e non costrette a celebrare le nozze tra persone dello stesso sesso». In passato la stessa Miller aveva specificato che nella legge sarebbe stata resa esplicita l’«illegalità» dell’obbligo di celebrare matrimoni gay. E ieri ha ribadito: «La Chiesa d’Inghilterra, essendo la Chiesa di Stato, è un caso a parte. Attualmente ha l’obbligo di sposare chiunque lo richieda nella sua congregazione. La nuova legislazione farà in modo di prevenire che quest’obbligo venga applicato anche alle coppie gay». Anche se in futuro «il Sinodo, con l’approvazione del Parlamento, può sempre decidere di emendare la legisilazione».
Alla Chiesa cattolica e alle altre fedi il ministro della Cultura ha garantito «libera scelta». Ma – obietta Avvenire – «sarà molto difficile per la legge britannica “proteggere” gli ecclesiatici che si rifiutano di celebrare matrimoi gay se questi, come è altamente probabile, verranno accusati di discriminazione e portati a rispondere davanti alla Corte di Strasburgo».

LE PROSSIME TAPPE. L’iter della norma più attesa dalle lobby gay inglesi potrebbe durare dai 2 ai 9 mesi. La Camera dei Comuni esprimerà il primo voto sul “Marriage (Same Sex Couples) Bill” già il prossimo 5 febbraio e sarà poi esaminata in commissione dai deputati prima di ritornare a Westminster per il voto definitivo. Quasi scontato il favore della Camera bassa, dove solo un centinaio di conservatori si oppongono, mentre i laburisti e i liberaldemocratici sono schierati per il sì. Più imprevedibile l’esito della votazione alla Camera dei Lord, dove la maggioranza dei membri ritiene l’introduzione del matrimonio gay «prematuro e inutile». Anche perché dal 2005 le coppie omosessuali del Regno Unito possono già unirsi ufficialmente in “cilvil partnership” che garantiscono loro gli stessi diritti legali delle coppie sposate.

BRUTTI PRECEDENTI. In una intervista a firma di Silvia Guzzetti pubblicata nell’edizione odierna di Avvenire, il Lord cattolico David Patrick Paul Alton, attacca frontalmente Cameron: «Questa legge, che non si trovava in alcun manifesto elettorale, serve a distrarre i cittadini da questioni molto più importanti come gli effetti terribili dei tagli ai sussidi per i portatori di handicap, dei quali un milione diventeranno più poveri. Mentre il numero di persone che si servono delle food banks è raddoppiato 8.000 milionari hanno 2.000 sterline in più alla settimana grazie all’ultima legge finanziaria». Lord Alton alza il livello di guardia sulla «libertà religiosa», rimessa in discussione da questa norma, nonostante le rassicurazioni del ministro Miller. «C’è vera preoccupazione che le garanzie legali non siano sufficientemente forti». Del resto i precedenti non promettono nulla di buono: «Tony Blair promise che le agenzie di adozione cattoliche avrebbero continuato a funzionare senza essere costrette a considerare coppie omosessuali ma questo non è successo. Tutte le agenzie cattoliche hanno dovuto chiudere».

sabato 26 gennaio 2013

unità dei cristiani

QUALE CHIESA?

Mentre si discetta sulla valenza dogmatica del Concilio, i nemici della Chiesa moltiplicano i propri assalti: matrimoni e adozioni per gli omosessuali, scuole di ogni ordine scristianizzate, contraccezione e aborto come normale prassi ospedaliera, predazione degli organi, eutanasia, usura, paganizzazione della società, pansessualizzazione del tempo libero, ignoranza imposta per legge. E poi arriverà anche il momento in cui si dovranno riconoscere diritti sessuali ai minori (quello che oggi è un crimine domani sarà legale, se lo stabilisce una minoranza con l'appoggio dei burocrati che legiferano), la poligamia, il sacrificio rituale e perché no il culto pubblico dell'idolo rivoluzionario e massonico. Ricordiamoci però che i progressisti, i novatori, i fautori del dialogo ..... sono già proni alla mentalità del secolo e non vorranno scontri frontali, anzi saranno disposti a farsi evangelizzatori ed apostoli della tolleranza, della libertà, della fraternità universale, dell'accoglienza della diversità. 
Il nostro timore è che si giunga ad ammettere, in seno alla medesima Chiesa, tesi opposte e inconciliabili, cercando di annullare le occasioni di scontro: si darà spazio ai tradizionalisti e ai modernisti, si arriverà forse ad avere degli Atenei cattolici a fianco ad Università eretiche, a dar la Comunione in ginocchio e a tollerare che vi sia chi la profana amministrandola in mano. Una Chiesa in cui si veda il Papa pontificare in rito antico un giorno, presiedere un incontro di preghiera con gli idolatri il giorno dopo, abbracciare gli Ebrei come padri nella fede quello dopo ancora. Un grande, enorme supermercato della Religione, in cui ognuno può sceglier ciò che più gli aggrada, a patto che non bestemmi l'idolo .... : tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai. Gli uni citeranno la Gaudium et Spes, gli altri la Sacrosanctum Concilium, ciascuno nei passi che ritiene accettabili per il proprio modo di credere. Alcuni chierici useranno la talare e il cappello romano, altri gireranno in borghese; i conservatori citeranno le omelie del Card. Ranjit o Canizares, i moderati quelle del Card. Cafarra, i progressisti quelle del Card. Ravasi e di mons. Muller. Si potrà scegliere se sentire la Messa antica in una Basilica barocca, la Messa riformata in una chiesa di cemento armato o la Messa neocatecumenale in uno stadio. L'Anglicano e il Luterano che si sentiranno uniti a Roma ancorché eretici potranno contare su un Ordinariato né più né meno che la Fraternità San Pio X, e a ciascuno sarà riconosciuto il diritto di conservare i propri riti, le proprie idee. Tutti contenti, tutti sotto il grande manto della nuova chiesa conciliare, che sarà unita e divisa ad un tempo, santa e dannata, cattolica ed eretica, apostolica ed ecumenica. Una terrificante visione orizzontale che ricorda la torre di Babele più che la Gerusalemme celeste di cui è figura la Santa Chiesa. 

ecumenismo

INTERVISTA A MONS. A DI NOIA
 
In che misura ciò che viene avvertito come un indebolimento del dogma extra Ecclesiam nulla salus (nessuna salvezza al di fuori della Chiesa) costituisce un elemento rilevante del problema, come asseriscono alcuni tradizionalisti? La comprensione attuale del dogma contraddice le sue precedenti definizioni?

Non so se il Concilio possa essere biasimato per questo o se piuttosto non si debba puntare il dito contro l’emergere di una corrente teologica che ha enfatizzato la possibilità di salvezza dei non Cristiani. Ma la Chiesa l’ha sempre affermata e l’ha sempre negata… [Karl] Rahner, col suo “Cristianesimo anonimo”, ha avuto un effetto disastroso su questa questione. Ma il Concilio non altera l’insegnamento della Chiesa.

Eppure essi dicono che lo alteri?

Questo è un esempio molto pertinente di due delle cose che abbiamo menzionato: il pericolo di interpretarlo come è stato interpretato da Rahner invece che alla luce dell’intera Tradizione.

I tradizionalisti lamentano il fatto che non si proclama quasi più la salvezza.

Ralph Martin è d’accordo con questa affermazione. Ci troviamo all’interno di una crisi, poiché la Chiesa è stata contaminata dall’idea secondo la quale non ci dovremmo preoccupare né entrare in ansia se non prendiamo troppo sul serio il mandato di proclamare Cristo scrupolosamente. Ma la colpa non è del Vaticano II, bensì della cattiva teologia. La Dominus Iesus è stata una risposta parziale a quel ramo della teologia della religione. Indubbiamente la storia della necessità dell’extra Ecclesiam nulla salus è lunga. Ma si parlava di eretici, non di non credenti. Questa formula si riferisce alla piaga delle eresie. Ha una sua storia.
 
(....)
 
Fin quando Benedetto XVI ha pronunciato il suo famoso discorso alla curia a dicembre del 2005 parlando dell’ermeneutica della continuità, tale argomento era quasi un tabù. Pertanto Papa Benedetto ci ha liberati per la prima volta.
Oggi si può criticare [il teologo Cardinal Henri-Marie] De Lubac, [il Cardinal Yves] Congar, [Padre Marie-Dominique] Chenu. E molti giovani stanno scrivendo tesi e libri che prima erano in un certo senso impensabili. Direi pertanto che la lettura dominante progressista del Concilio è in ritirata, e prima non lo era mai stata. Ma la fraternità deve anche abbracciare l’insistenza sulla continuità.
I tradizionalisti devono smettere di vedere il Concilio come rottura e discontinuità.
[Lo storico Roberto] De Mattei opera una distinzione. Il Concilio è stato avvertito come una rottura, ma dottrinalmente e teologicamente deve essere letto nella continuità – altrimenti non si può far altro che gettare la spugna.
 
Tratto da:

omelia nella III domenica del tempo ordinario

iii domenica per annum c

OMELIA III DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO  C - (Lc 1,1-4; 4,14-21)
 
Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato
 
 
di p. Mariano Pellegrini
Le letture di oggi ci danno degli insegnamenti molto importanti per la nostra vita cristiana. Fin dalla prima lettura si parla del dovere dell'evangelizzazione. Il popolo di Israele era appena tornato dall'esilio di Babilonia ed era giunto il tempo di restaurare la Nazione dalle fondamenta. Più urgente della restaurazione materiale era quella spirituale. Quindi il sacerdote Esdra portò la Legge davanti all'assemblea e, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno, fu proclamata e spiegata la Parola di Dio.
Il brano del Vangelo presenta Gesù che nella sinagoga di Nazareth illustra la sua Missione di salvezza. Egli si alzò a leggere e gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Egli lo aprì e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Terminata la lettura del passo, Egli proclamò: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Gesù è venuto su questa terra per proclamare a tutti il lieto annunzio della salvezza e questa Missione è continuata dalla Chiesa che deve diffonderlo fino agli estremi confini della terra.
Oggi come allora c'è questa necessità dell'evangelizzazione. Il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II parlava di nuova evangelizzazione, il che vuol dire che siamo tornati indietro, da una società cristiana a un mondo ormai pagano nel cuore e nella mente. Gli stessi cristiani tante volte sono paurosamente ignoranti per quanto riguarda le verità eterne.
All'interno della Chiesa vi sono quei cristiani chiamati in un modo particolare a quest'opera evangelizzatrice. San Paolo, nella seconda lettura di oggi, scrivendo ai Corinzi, ci ricorda che tutti noi siamo membra del Corpo Mistico di Cristo, ciascuno secondo la propria missione. Per cui alcuni sono apostoli, altri sono profeti, altri ancora maestri, altri hanno il compito di governare la Chiesa, di assistere i bisognosi, e così via (cf 1Cor 12,27-30).
Chi è chiamato all'evangelizzazione deve svolgere questa missione pienamente consapevole che essa è un compito di cui dovrà rendere conto a Dio. Per questo motivo, san Giovanni Maria Vianney si preparava le prediche con notti intere di preghiera e di studio. Il suo intento era quello di essere semplice, così che tutti potessero comprendere. Un giorno una donna chiese al Santo: «Perché quando pregate parlate tanto piano, mentre invece predicate tanto forte?». E il Santo rispose bonariamente: «È perché quando predico, parlo a gente sorda o addormentata, mentre quando prego parlo al Signore, che non è sordo».
Uno dei più grandi predicatori che abbia percorso gran parte dell'Italia fu certamente san Bernardino da Siena, il quale dal 1419 portò di paese in paese, come predicatore itinerante, la Parola del Vangelo. L'Italia, a quell'epoca, come pure oggi, offriva un quadro ben poco consolante. La fede del popolo era particolarmente scossa per la presenza di molti nemici della Chiesa. Conseguenze ne furono l'indifferenza religiosa e la depravazione dei costumi. Era l'epoca dell'umanesimo e del rinascimento, durante i quali ci fu un ritorno al paganesimo, a un lusso sfrenato e a una vita gaudente e, se ciò non bastasse, vi erano molte discordie nella società. L'unico rimedio a questi mali san Bernardino lo vide in un ritorno al Vangelo e allora per venticinque anni attraversò l'Italia in tutti i sensi, portando, in una predicazione sostanziosa e ardente, viva di fresca naturalezza e di nobile popolarità, il lieto messaggio di Cristo. Nelle sue prediche flagellava con coraggio i vizi dominanti dell'epoca e alla fine ordinava al popolo di inginocchiarsi e di domandar perdono al Salvatore promettendogli conversione e fedeltà. San Bernardino era e rimarrà il grande Santo missionario popolare che ridiede un volto cristiano all'Italia immersa in un nuovo paganesimo.
Altro grande predicatore fu san Giacomo della Marca, il quale percorse l'Europa intera predicando il Vangelo. Egli paragonava la predicazione alla semina di un contadino. I cuori dei fedeli sono il terreno che deve accogliere questa semente. Tante volte purtroppo questo terreno è sassoso e spinoso, per cui non ci sono frutti di conversione. E così diceva: «O preziosa e santissima Parola di Dio! Tu illumini i cuori dei fedeli, tu strappi le anime dalla bocca del diavolo, giustifichi gli empi e da terreni li trasformi in celesti. O santa predicazione, più preziosa di ogni tesoro! Beati coloro che volentieri ti ascoltano, perché tu sei la grande luce che illumina il mondo».
Oggi come allora c'è bisogno di questa nuova evangelizzazione e, se da una parte dobbiamo pregare il Padrone della messe perché mandi santi predicatori per ridare un volto cristiano ai nostri paesi, dall'altra parte abbiamo il dovere di istruirci nella fede, meditando assiduamente il Vangelo e studiando seriamente il Catechismo.
 
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 27/01/2013)

venerdì 25 gennaio 2013

eresia

LA QUESTIONE DELL’OBBEDIENZA E IL POTERE DEI MODERNISTI 

di P. Giovanni Cavalcoli, OP


epIl ritorno di modernismo che caratterizza questi cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II si può dividere in due periodi che manifestano la tenacia, la potenza e il potere di persuasione che ha questo complotto contro la Chiesa che agisce nel suo stesso interno facendo sì, come ebbe a dire Paolo VI, che la Chiesa stia compiendo un’“opera di autodemolizione”.
Il primo periodo è caratterizzato dal famoso ’68: la contestazione chiassosa e sbracata e nel contempo il divulgarsi selvaggio e incontrollato tra seminaristi, giovani, preti, religiosi e teologi, di dottrine ereticali in campo dogmatico e morale. I vescovi, presi di sprovvista e per non fare la figura di quei “profeti di sventura” o dei conservatori preconciliari, hanno per lo più lasciato fare, a volta con la formula ad experimentum, (“vediamo come va”), come se la verità di una dottrina dipendesse dal successo che incontra.
Siccome in molti casi il successo c’è stato, quello che prima era un “provar se funziona”, si è stabilizzato, è diventato un dato scontato e indiscusso. Coloro che han tentato di farlo, quale che fosse la loro autorità o autorevolezza, magari in nome del Magistero precedente o della Tradizione, sono stati additati al pubblico dileggio come “anticonciliari”.
La disobbedienza al Magistero e al Papa stesso, apertamente o nascostamente manifestata, in nome di un non meglio precisato “spirito del Concilio”, ha cominciato a diventare un costume diffuso tra i fedeli, intellettuali e popolo, tra il clero, i teologi e i moralisti. E’ nato il cosiddetto “dissenso cattolico”, e Paolo VI parlò del “Magistero parallelo”.
Le idee ereticali e moderniste, soprattutto filoprotestanti, cominciarono ad essere liberamente, tranquillamente ed impunemente insegnate nelle scuole della Chiesa e nelle pubblicazioni a stampa di molte cosiddette case editrici “cattoliche”. Lo scandalo e il turbamento dei fedeli pii e ortodossi era considerato con irrisione e compatimento  dai modernisti - cosiddetti “progressisti” - sempre più sicuri di sé e certi di essere la nuova Chiesa del futuro e della modernità, “nel cuore del mondo”, la “Chiesa de poveri”, la “Chiesa dal basso”, la “Chiesa del dialogo”, direttamente guidata dallo Spirito, veramente evangelica e attenta alla “Parola di Dio” e ai “segni dei tempi”.
In questo primo periodo, c’è stata la possibilità da parte di modernisti, sempre più dominanti nei mezzi della comunicazione sociale, penetrati nelle famiglie, nella scuola, nella cultura, nelle università, negli ambienti di lavoro, nelle parrocchie, nei movimenti, negli ambienti accademici e dell’educazione cattolica, nei seminari e negli istituti religiosi, di formare tutta una generazione di novi preti, nuovi religiosi, nuovi capi, nuovi vescovi fino a nuovi cardinali e tutto ciò davanti ad una resistenza debolissima da parte di buoni pastori e della S.Sede, essa stessa indebolita ed inquinata da infiltrati ultraraccomandati da  prelati ambiziosi e di dubbia ortodossia.
Quale è stato il risultato catastrofico? Lo abbiamo oggi sotto gli occhi in misura crescente e lo si poteva immaginare ed è stato di fatto immaginato e previsto dai più chiaroveggenti - i “profeti di sventura”; dovremmo dire meglio: le “sentinelle” inascoltate - o, diciamo più semplicemente, fu previsto da quelli dotati di buon senso: che gradatamente dai modernisti, dai falsi maestri lasciati liberi di spargere i loro errori, sarebbe sorta come di fatto è sorta tutta una categoria o generazione di detentori del potere ecclesiastico a vari livelli, più o meno accaniti o convinti, molti oscillanti e doppiogiochisti, imbevuti delle loro idee e quindi in grado non solo di diffondere idee moderniste, ma di farle applicare, pena sanzioni disciplinari in nome dell’“obbedienza” o addirittura la persecuzione contro coloro che hanno voluto o vogliono o rimanere fedeli al Magistero della Chiesa; pene ancor più severe contro coloro che non solo restano fedeli alla sana dottrina, ma rivelano e denunciano, soprattutto se studiosi o teologi, con nomi e fatti, nonché prove e precise accuse, gli errori e le malfatte dei modernisti, i quali sono molto abili nel nascondere l’insidia sotto le apparenze del vero, per cui si irritano moltissimo verso coloro che avvertono i fedeli del pericolo nascosto e usano toni di richiamo ai diffusori ed inventori dell’errore.
Finchè possono, si sforzano di ignorarli, soprattutto se non hanno sèguito, ma quando si accorgono che i fedeli aprono gli occhi, passano  alle minacce  e alla violenza. Sta sorgendo così una specie di inquisizione alla rovescia: gli eretici non solo oggi sono ben visti, ma addirittura hanno l’audacia, come già accadde nel sec. XVI nei paesi cattolici invasi dai protestanti, grazie al nefando potere ottenuto, di ostacolare o bloccare coloro che difendono la sana dottrina e vogliono difendere il popolo di Dio dall’epidemia della menzogna e della falsità, origine di ogni disordine morale. Spesso i pastori, a causa di un’insufficiente formazione teologica, anche se sono buoni e zelanti, si limitano alla condanna degli errori morali, senza rendersi conto anzi addirittura a volte osteggiando in buona fede o per paura quei teologi che mettono in luce la radice teoretica dell’errore.
Ma la cosa ridicola o tragicomica, che rivela la raffinata ipocrisia di questi farisei che sono i modernisti, è lo “scandalo” - pretto scandalo farisaico - dal quale le loro candide anime sono turbate nel vedere o sapere di cattolici coraggiosi che osano resistere od opporsi a prelati, insegnanti, formatori, superiori o vescovi che vorrebbero farli tacere o convincere di errori, dando quindi ordini o impartendo proibizioni invalidi e quindi inapplicabili, e dimenticando il perentorio ordine della Scrittura: “non mettere la museruola al bue che trebbia”, simili a criminali dirigenti sanitari che vorrebbero impedire ai medici di curare i malati.
Sono i primi loro a disobbedire alla verità e alle direttive del Vangelo e al Sommo Pontefice ed osano dar ordini in contrasto con la sana dottrina o i princìpi morali e giuridici della Chiesa. Sono quelli stessi che nel ’68 o sulla scia del ’68 sbraitavano contro i “baroni “ e contro l’“autoritarismo”, si sentivano autorizzati a contestare Papa e vescovi, perché a dir loro espressione del rigorismo dogmatico, della “Chiesa dei ricchi”, del dispotismo e della teocrazia medioevali, dell’“era costantiniana”, del “trionfalismo barocco”, del legalismo farisaico, dell’inquisizione, della sessuofobia, e via discorrendo. Adesso invece chiedono obbedienza assoluta e chi li contraddice è paragonato ad uno che disobbedisce ad un precetto divino, ammesso che essi continuino a credere al vero Dio e non facciano dio di se stessi, secondo la sublime intuizione di un certo gnosticismo panteista.
Siamo così entrati nel secondo periodo, nel quale assistiamo sempre più di frequente a fatti sconcertanti e scandalosi, dove soprattutto sono coinvolti vescovi e superiori: alcuni proibiscono la celebrazione della Messa tridentina, altri gestiscono seminari nei quali a S.Tommaso si è sostituito Rahner, alcuni fermano l’ingresso in seminario ai giovani benintenzionati o li obbligano ad adattarsi se vogliono avanzare nella carriera, mentre aprono la strada agli aspiranti modernisti incentivandoli nella loro ambizione, alcuni sono aperti sostenitori di eresie e promuovono chi le condivide, altri perseguitano in vari modi cattolici che non vogliono altro che essere cattolici, alcuni proteggono docenti modernisti e reprimono quelli ortodossi. Si è giunti al punto di favorire cause di beatificazione dalle prospettive assolutamente improbabili, come quella di Mons. Tonino Bello, solo perché rispecchia un modello di modernista, e di ostacolare vergognosamente altre cause solo perchè danno fastidio ai modernisti.
Che ne è dell’obbedienza in queste situazioni? Non se ne è forse pervertito il significato? Che vale obbedire a superiori che a loro volta disobbediscono alla Chiesa e al Papa? Possibile che a disobbedire al Papa non capiti nulla, mentre il disobbedire a un superiore modernista sia cosa temibile? Si dà inoltre che essendo diffuso e prestigioso il modernismo, il seminarista, il sacerdote, il teologo che resistono agli abusi del superiore modernista faccia la figura del disobbediente.
Il potere dei modernisti è oggi così forte e la seduzione che esercitano così insidiosa che occorre una gran dose di coraggio per resistere alla loro prepotenza e un discernimento molto fine per riconoscere i pericoli.
Ad ogni modo, prima di decidere se continuare o no di compiere il proprio dovere in fedeltà alla Chiesa contro il volere o il sopruso di qualche superiore, occorre innanzitutto valutare con prudenza e sicurezza l’entità e la qualità di detto sopruso e calcolare in anticipo, con un margine di probabilità, se la resistenza all’ingiusto provvedimento gli procuri danni maggiori o minori rispetto a  quelli dei quali possono soffrire i fedeli.
La resistenza al tiranno è giustificata dalla prospettiva di proteggere o salvaguardare il bene comune anche con forte scapito personale. Un S.Tommaso Moro o un S.Tommaso Beckett hanno accettato la morte quando si sono accorti che la loro obbedienza al re avrebbe arrecato alla Chiesa inglese un danno superiore a quello che sarebbe loro incorso col rinunciare alla loro stessa vita.
La salvezza delle anime, soprattutto se molte, è un bene superiore ai propri interessi personali, ci fosse in gioco anche la vita stessa. Non si può comunque stabilire una regola per ogni caso. In linea di principio, per esempio, uno stimato e noto teologo vittima di un sopruso da parte dei superiori può dar buon esempio sia adattandosi che rifiutando di sottomettersi; dipende dalle circostanze, che vanno ben calcolate.
Abbiamo esempi nei santi sia nell’uno che nell’altro caso. Alcuni sopportano pazientemente, accettano tutte le umiliazioni o vanno fino al martirio; altri, valendosi del loro buon diritto, consci della loro innocenza e fieri di essere al servizio della Chiesa, respingono decisamente l’ingiusto trattamento. Abbiamo qui per esempio il caso di S. Giovanni della Croce, il quale fuggì dal carcere voluto dai superiori, ribelli al Papa.
Se poi si tratta solo di pene minori, come l’esilio o la diffamazione o la perdita dei propri beni, l’isolamento o il carcere o cose del genere, potrà esser conveniente accettare queste cose nella speranza, che a volte si avvera, di poter esser riabilitati e riprendere liberamente la propria missione. Abbiamo di ciò tanti esempi nella vita di santi e di eroici pastori e testimoni di Cristo.
Possono infatti darsi situazioni non così drammatiche o perchè l’obbedire non reca un gran danno ai fedeli o perché non reca gran danno al testimone della fede. In certi casi è prudente e non da vili rassegnarsi alla violenza, se ciò non reca troppo scandalo ai buoni e non troppo pregiudizio al perseguitato.
Infatti, potrebbe verificarsi, nel caso di resistenza, che il perseguitato venga a trovarsi per quanto riguarda un efficace esercizio del suo apostolato, in condizioni peggiori rispetto a quelle che potrebbe conservare obbedendo al superiore. Per questo noi vediamo come nella storia santi teologi o vescovi o predicatori si sono adattati senza ribellarsi a diverse misure ingiuste, non in nome dell’obbedienza, ma per motivi di convenienza al fine di non subire vessazioni maggiori.
Avviene così che il vero obbediente, ossia chi obbedisce innanzitutto a Dio e alla Chiesa, faccia oggi, come ho detto, la figura del disobbediente in questo clima di tale confusione che non distingue più chi appartiene e chi non appartiene alla Chiesa, perché i modernisti hanno diffuso un falso concetto di Chiesa in base al quale sono riusciti o con l’inganno o con l’astuzia o con la forza ad imporre il loro potere facendo la figura dei rinnovatori del cristianesimo e delle avanguardie della Chiesa.
La loro attuale spavalderia e l’empia audacia che li guida nello spregio della vera obbedienza alla Chiesa e nell’illusione di essere i vincitori saranno invece i fattori dell’indebolimento del loro potere, perché la Provvidenza divina sopporta sì i malvagi ma non oltre un certo limite. Essa li tollera perché generano i santi: “se non ci fossero i persecutori, dice S.Tommaso, non ci sarebbero i martiri”.
Ma siccome Dio vuol salvare tutti, mentre i modernisti mettono molti nel rischio di dannarsi, certamente Dio non permetterà più a lungo questo stato di cose e col suo potere di giustizia e di misericordia farà in modo che le sorti della Chiesa possano rasserenarsi, sì che essa, senza per questo esser esente dalla croce, possa però camminare meno afflitta sul sentiero della storia.