Il
sacramento dell'ordine negli studi di Joseph Ratzinger
Oltre
la crisi verso il rinnovamento
di
Gerhard Ludwig Müller
Se
Cristo, per mezzo della sua risurrezione, ha superato la più grande crisi mai
esistita della fede -- la crisi pre-pasquale dei discepoli -- e, in
particolare, la crisi della missione e della potestà apostolica, e dunque anche
del sacerdozio cattolico, allora, è proprio e soltanto nel nostro sguardo
rivolto al Signore che è possibile superare anche tutte le crisi storiche del
sacerdozio.
Corrispondendo
al suo sguardo su di noi e sul nostro sacerdozio, con il nostro sguardo rivolto
a Lui, fissando i nostri occhi in quelli del Sommo sacerdote, crocifisso e
risorto, possiamo superare ogni ostacolo e difficoltà.
Penso
in particolare alla crisi della dottrina del sacerdozio, avvenuta durante la
Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è
stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una
eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello
comune di tutti i fedeli. E poi alla crisi esistenziale e spirituale, avvenuta
nella seconda metà del XX secolo ed esplosa dopo il concilio Vaticano II, delle
cui conseguenze noi oggi ancora soffriamo.
Joseph
Ratzinger, nell'ampio volume Annunciatori
della Parola e servitori della vostra gioia -- il dodicesimo
dell'opera omnia -- ha suggerito un superamento di queste crisi con una
proposta ad alto livello teologico, donandoci una guida per favorire un
rinnovamento del sacerdozio sacramentale istituito da Cristo.
Gli
studi scientifici, le meditazioni e le omelie sul servizio episcopale, presbiterale/sacerdotale
e diaconale, contenute in questo volume, abbracciano un lasso di tempo di quasi
cinquant'anni, a partire dagli anni immediatamente precedenti l'inizio del
Vaticano II.
A
questo avvenimento, che è stato quello che più ha segnato la storia recente
della Chiesa, molti associano, a seconda della rispettiva posizione, l'inizio
di una trasformazione conforme allo spirito del tempo, ovvero l'inizio di una
profonda crisi della Chiesa e in particolare del sacerdozio.
Il
concilio ha inquadrato la costituzione gerarchica della Chiesa -- la quale si
dispiega nei differenti compiti del vescovo, del sacerdote e del diacono -- in
un'ecclesiologia di ampio respiro, rinnovata a partire dalle fonti bibliche e
patristiche (cfr. Lumen gentium, 18-29). Le affermazioni sui gradi
dell'episcopato e del presbiterato vennero approfondite nei decreti Christus
Dominus e Presbyterorum ordinis.
In
tal modo, il concilio ha cercato di riaprire una nuova strada verso l'autentica
comprensione dell'identità del sacerdozio. Perché mai si giunse allora,
all'indomani del concilio, a una sua crisi d'identità, paragonabile
storicamente solo con le conseguenze della Riforma protestante del XVI secolo?
Nella
parte a) del libro, dal titolo «Teologia del sacramento dell'ordine», Joseph
Ratzinger intende rispondere anche a questa domanda e mostra, con afflato
positivo, sia il fondamento biblico che il conseguente sviluppo
storico-dogmatico del sacramento dell'ordine.
Nella
parte b), il lettore troverà, sotto il titolo «Servitori della vostra gioia»,
una raccolta di meditazioni sulla spiritualità sacerdotale. Tale titolo
riprende le parole che il novello sacerdote Joseph Ratzinger pose
sull'immaginetta-ricordo della sua prima messa.
Seguono,
nella parte c), le prediche tenute in occasione di diverse ordinazioni
sacerdotali e diaconali, di prime messe e di anniversari di sacerdozio o di
episcopato. Non si tratta di lirica devota, ma del tentativo riuscito di
portare alla luce le fonti spirituali alle quali ogni sacerdote giornalmente attinge,
per essere un servo buono del suo Signore e un servitore della lieta novella di
Cristo, capace di entusiasmare: un pastore che non pasce se stesso, ma che,
come Cristo, il Pastore supremo, dà la sua vita per le pecore del gregge di
Dio.
Ratzinger
evidenzia che laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio
cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente
abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione
che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio
per il regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12), che del celibato quale segno
escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello
Spirito Santo, in letizia e certezza.
Se
la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene
oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passato ostile alla
corporeità e viene additato e combattuto come l'unica causa della penuria di
sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l'evidenza, per il magistero e la
prassi della Chiesa, che il sacramento dell'ordine debba essere amministrato
solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si
espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato
e limitato in senso democratico.
La
crisi del sacerdozio nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, è anche il
risultato di un radicale disorientamento dell'identità cristiana di fronte a
una filosofia che trasferisce all'interno del mondo il senso più profondo e il
fine ultimo della storia e di ogni esistenza umana, privandolo così
dell'orizzonte trascendente e della prospettiva escatologica.
Attendere
tutto da Dio e fondare tutta la propria vita su Dio, che in Cristo ci ha donato
tutto: questa sola può essere la logica di una scelta di vita che, nella
completa donazione di sé, si pone in cammino alla sequela di Gesù, partecipando
alla sua missione di Salvatore del mondo, missione che egli compie nella
sofferenza e nella croce, e che Egli ha ineludibilmente rivelato attraverso la
sua risurrezione dai morti.
Ma,
alla radice di questa crisi del sacerdozio, bisogna rilevare anche dei fattori
infra-ecclesiali. Come mostra nei suoi primi interventi, Raztinger possiede fin
dall'inizio una viva sensibilità nel percepire da subito quelle scosse con cui
si annunciava il terremoto: e ciò soprattutto nell'apertura, da parte di tanti
ambiti cattolici, all'esegesi protestante in voga negli anni Cinquanta e
Sessanta del secolo scorso.
Spesso,
da parte cattolica, non ci si è resi conto delle visioni pregiudiziali che
soggiacevano all'esegesi scaturita dalla Riforma. E così sulla Chiesa cattolica
(e ortodossa) si è abbattuta la furia della critica al sacerdozio ministeriale,
nella presunzione che questo non avesse un fondamento biblico.
Il
sacerdozio sacramentale, tutto riferito al sacrificio eucaristico -- così come
era stato affermato al concilio di Trento -- a prima vista non sembrava essere
biblicamente fondato, sia dal punto di vista terminologico, sia per quel che
riguarda le particolari prerogative del sacerdote rispetto ai laici,
specialmente per ciò che attiene al potere di consacrare. La critica radicale
al culto -- e con essa il superamento, a cui si mirava, di un sacerdozio che
limitasse la pretesa funzione di mediazione -- sembrò far perdere terreno a una
mediazione sacerdotale nella Chiesa.
Alla
critica formulata dalla Riforma al sacerdozio sacramentale -- il quale avrebbe
messo in discussione l'unicità del sommo sacerdozio di Cristo (in base alla
Lettera agli Ebrei) e avrebbe emarginato il sacerdozio universale di tutti i
fedeli (secondo 1 Pietro, 2, 5) -- si è unita infine la moderna idea di
autonomia del soggetto, con la prassi individualista che ne deriva, la quale
guarda con sospetto a qualunque esercizio dell'autorità.
Da
una parte, osservando che Gesù, da un punto di vista sociologico-religioso, non
era un sacerdote con funzioni cultuali e dunque (per usare una formulazione
anacronistica) era un laico, e dall'altra parte, basandosi sul fatto che, nel
Nuovo Testamento, per i servizi e i ministeri, non viene addotta alcuna
terminologia sacrale, bensì denominazioni ritenute profane, è sembrato che si
potesse considerare dimostrata come inadeguata la trasformazione -- nella
Chiesa delle origini, a partire dal III secolo -- di coloro che svolgevano mere
“funzioni” all'interno della comunità, in impropri detentori di un nuovo
sacerdozio cultuale.
Joseph
Ratzinger sottopone, a sua volta, a un puntuale esame critico, la critica
storica improntata alla teologia protestante e lo fa distinguendo i pregiudizi
filosofici e teologici dall'uso del metodo storico. In tal modo, egli riesce a
mostrare che con le acquisizioni della moderna esegesi biblica e una precisa
analisi dello sviluppo storico-dogmatico si può giungere in modo assai fondato
alle affermazioni dogmatiche prodotte soprattutto nei concili di Firenze, di
Trento e del Vaticano II.
La
teologia cattolica potrebbe comprendere le obiezioni rivolte contro il suo
sacerdozio se questo venisse da lei inteso come una mediazione autosufficiente,
o anche solo integrativa, accanto o a esclusione di quella di Cristo. Perciò,
anche le obiezioni di Martin Lutero, in realtà non toccano il nucleo centrale
dell'insegnamento dogmatico vincolante sul sacerdozio sacramentale.
Il
concilio di Trento, nel suo decreto sul sacramento dell'ordine, si limitò a
respingere le obiezioni del primo riformatore, ma rinunciò a presentarne
un'ampia trattazione teologica. E tuttavia, i decreti tridentini di riforma,
per lo più a torto trascurati -- Ratzinger lo sottolinea con forza -- danno
importanza alla concezione biblica del sacerdote come servitore della Parola e
dei sacramenti, e anche come pastore sollecito della salute spirituale dei
fedeli.
Nel
dialogo ecumenico devono peraltro essere messi a tema, al di là delle
differenze di contenuto, anche i principi formali della teologia: la Scrittura,
la tradizione e il magistero, i quali, pur differendo fra essi, cooperano al
fine di preservare la totalità della rivelazione. Rivelazione che deve essere
protetta da un'esegesi soggettivistica e arbitraria, così da preservarne la
pienezza e la pretesa totale.
Qui
emerge anche quella dimensione del sacramento dell'ordine che va oltre le
funzioni del presbitero e del diacono. Si tratta della responsabilità propria
dei vescovi, come successori degli apostoli, nel loro ufficio magisteriale e
pastorale rispetto alla Chiesa universale.
Per
questo, secondo la concezione cattolica, anche il servizio del vescovo di Roma,
quale successore di Pietro, è di imprescindibile importanza. A tal proposito,
Ratzinger rimanda di continuo a Ireneo di Lione che, con il principio della
Scrittura apostolica, della tradizione apostolica e della successione
apostolica dei vescovi, ne ha stabilito il criterio normativo permanente.
In
fondo, già nell'opera di delimitazione della gnosi, compiuta da Ireneo con
l'Adversus haereses, sono contenuti anche i tratti essenziali circa la dottrina
del primato papale, tanto che il successivo sviluppo del magistero, nella sua
intenzione autentica, può essere chiarito proprio a partire da Ireneo.
Fa
parte della riconquista dell'identità sacerdotale la disponibilità a intendere
se stessi come servitori della Parola e testimoni di Dio nella sequela di Cristo,
e a vivere in comunione con Lui. Perché questo sia possibile, sono richieste al
sacerdote sia una buona formazione teologica che un costante rapporto con la
teologia scientifica.
(©L'Osservatore
Romano 31 ottobre 2013)
Pastore
e teologo
Anticipiamo
stralci della relazione che l'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della
Congregazione per la Dottrina della fede, tiene nel pomeriggio del 30 ottobre a
Palermo, nella Facoltà Teologica di Sicilia San Giovanni evangelista,
nell'incontro «Joseph Ratzinger pastore e teologo». Nell'occasione viene
presentato il volume
dodicesimo dell'opera omnia di Ratzinger Annunciatori della
Parola e servitori della vostra gioia. Teologia e spiritualità del Sacramento
dell'Ordine curato dallo stesso arcivescovo (Città del Vaticano, Libreria
Editrice Vaticana, 2013, pagine 990).
(©L'Osservatore
Romano 31 ottobre 2013)
Nessun commento:
Posta un commento