Luci e ombre del concilio. La lacuna che Giovanni Paolo II volle colmare
(di Sandro Magister) ROMA, 9 novembre 2012 – Nel sinodo dello scorso ottobre sulla nuova evangelizzazione ha fatto impressione la critica rivolta dal cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo a quegli ordini religiosi che agiscono “come multinazionali per rispondere ai bisogni materiali dell’umanità, dimenticando tuttavia che il fine principale della loro fondazione è quello di portare il ‘kerygma’, il Vangelo, a un mondo perduto”.
La critica non è nuova. Ed è stata rivolta dagli ultimi papi, più volte, alla generalità della Chiesa cattolica, sollecitata a ravvivare il suo raffreddato spirito missionario.
Lo spartiacque è stato il concilio Vaticano II.
“Fino al concilio la Chiesa viveva una stagione di fervore missionario oggi inimmaginabile”, ricorda padre Piero Gheddo del Pontificio Istituto Missioni Estere, che fu uno degli esperti chiamati al concilio da Giovanni XXIII per lavorare alla stesura del documento sulle missioni.
Ma poi vi fu un crollo repentino. Tant’è vero che nel 1990, venticinque anni dopo l’approvazione del decreto conciliare “Ad gentes”, Giovanni Paolo II sentì la necessità di dedicare alle missioni un’enciclica, la “Redemptoris missio”, proprio per scuotere la Chiesa dal suo torpore.
Padre Gheddo fu chiamato a lavorare alla stesura anche di questa enciclica. E dice:
“Giovanni Paolo II, con la ‘Redemptoris missio’, voleva certamente confermare il decreto conciliare ‘Ad gentes’, ma intendeva anche colmare una lacuna di quel testo molto bello ma affrettato e incompleto. Cioè voleva trattare temi che nel Vaticano II erano stati esaminati affrettatamente o addirittura ignorati. E posso ben dirlo avendo incontrato parecchie volte il papa mentre preparavo le tre stesure del documento, tra l’ottobre del 1989 e il luglio del 1990″.
In queste settimane padre Gheddo – che ha 83 anni, ha compiuto innumerevoli viaggi in tutti i continenti, ha scritto più di ottanta libri tradotti in più lingue ed è stato fino al 2010 direttore dell’ufficio storico del Pontificio Istituto Missioni Estere – sta rimettendo ordine alle sue memorie riguardanti il concilio e il dopo. Alcuni suoi appunti sono stati ripresi da Zenit e Asia News.
DURANTE IL CONCILIO
Sulla vicenda del decreto conciliare “Ad gentes” che egli ha aiutato a scrivere padre Gheddo dice:
“Il decreto ha avuto un cammino quanto mai laborioso e contrastato. Anzitutto, le esigenze e le soluzioni proposte dai padri conciliari erano molto diverse a seconda dei continenti. Per fare solo un esempio che ricordo bene: dalle Chiese asiatiche, ricche di vocazioni e con un’antica tradizione celibataria nelle religioni locali, si insisteva nella richiesta di mantenere il celibato sacerdotale; dall’America Latina e dall’Africa, invece, alcuni episcopati ne chiedevano l’abolizione, o l’ammissione di clero sposato a certe condizioni”.
Il documento rischiò persino di essere cancellato. Prosegue il racconto di padre Gheddo:
“Le difficoltà aumentano quando il 23 aprile 1964, fra la II e la III sessione conciliare, la segreteria del concilio manda una lettera alla nostra commissione: lo schema sulle missioni deve essere ridotto a poche proposte. Non più un testo lungo e ragionato, ma un semplice elenco di proposte. Il tentativo era di semplificare i lavori del concilio e farlo terminare con la III sessione. Alcuni testi basilari potevano essere abbastanza ampi; altri, ritenuti meno importanti, dovevano limitarsi a poche pagine di proposte. Era voce comune che le spese per i padri conciliari, circa 2.400 in tutto, e la macchina del concilio fossero del tutto insostenibili per la Santa Sede.
“La commissione delle missioni lavora a spron battuto, anche di notte, per obbedire a questa richiesta, concentrando il testo in 13 proposte. Ma appena la notizia si diffonde fra i vescovi arrivano le proteste, alcune veementi come quella del cardinale Frings di Colonia, che manda lettere ai vescovi tedeschi e ad altri, sollecitandoli a protestare: Ma come! Si afferma che lo sforzo missionario è essenziale per la Chiesa e poi si vuol ridurlo a poche pagine? Incomprensibile, impossibile, inaccettabile!”.
“Un gruppo di vescovi chiede di abolire il documento sulle missioni, integrando il materiale nella costituzione “Lumen gentium” sulla Chiesa. Altri invece, più numerosi e agguerriti (c’erano tra loro missionari ‘di foresta’ che solo al vederli non si poteva dire loro di no), procedono a contatti personali, uno per uno, con tutti i padri conciliari, conquistando seguaci. La battaglia in aula si conclude con successo: solo 311 padri conciliari si pronunziano a favore del documento sulle missioni ridotto a 13 proposte, mentre 1601 chiedono che il decreto missionario sia salvato nella sua interezza. La sua sorte è rimandata alla IV sessione del concilio, la più lunga di tutte, dal 14 settembre all’8 dicembre del 1965″.
Uno dei punti controversi riguarda il ruolo della congregazione vaticana “de Propaganda Fide”:
“Da un lato si chiedeva addirittura l’abolizione della congregazione per l’evangelizzazione dei non cristiani. Al contrario, molti padri conciliari chiedevano il suo potenziamento, affinchè ricuperasse un ruolo guida, superando la funzione solo giuridica e di finanziamento delle diocesi missionarie che era venuta assumendo.
“Infatti, dalla nascita nel 1622 fino all’inizio del XX secolo ‘Propaganda Fide’ aveva avuto un ruolo forte, vigoroso, nella strategia e nella guida concreta del lavoro missionario, così come nella vita degli istituti e dei missionari stessi. Ma poi il suo ruolo si riduce, mentre acquista forza la segreteria di Stato, con le relative nunziature apostoliche. Non pochi vescovi missionari volevano quindi rafforzare la congregazione delle missioni, della cui libertà d’azione sentivano grande necessità, a garanzia della loro stessa libertà”.
La richiesta di questi vescovi missionari non è andata in porto – dice padre Gheddo – “anche perchè la tendenza alla centralizzazione e unificazione del governo della Chiesa era forse inevitabile”.
Viceversa, su un altro punto controverso, a un gruppo di vescovi delle regioni amazzoniche arrise il successo:
“È una vicenda che ho seguito di persona”, ricorda padre Gheddo. “Mons. Arcangelo Cerqua del PIME, prelato di Parintins nell’Amazzonia brasiliana, e mons. Aristide Pirovano anche lui del PIME, prelato di Macapà in Amazzonia, si fecero promotori di un’azione ‘lobbistica’ che portò a inserire nel decreto ‘Ad gentes’, all’ultimo momento, la nota 37 del capitolo 6, che equipara le prelature dell’Amazzonia brasiliana (all’epoca 35) ma anche molte altre dell’America latina ai territori missionari dipendenti da ‘Propaganda Fide’. Senza questa equiparazione l’America latina sarebbe rimasta esclusa dagli aiuti delle pontificie opere missionarie, dei quali oggi beneficia.
“Nella votazione decisiva, nel novembre del 1965, 117 padri dell’America latina bocciano il testo messo ai voti, che non fa parola delle prelature. Troppo pochi, su 2.153 votanti. Contemporaneamente, però, altri 712 padri votano a favore ma “iuxta modum”, obbligando quindi a riscrivere il testo, perché non pienamente approvato dai due terzi dei votanti. E così si è riusciti a far inserire le prelature dell’America Latina fra i territori aiutati delle pontificie opere missionarie”.
Commenta padre Gheddo:
“Fatti come questi, ma anche parecchi altri, ad esempio l’approvazione della collegialità del papa con l’episcopato, confermano l’evidente intervento dello Spirito Santo nel guidare l’assemblea del Vaticano II”.
Ciò non toglie – prosegue padre Gheddo – che nell’intervallo tra la III e la IV sessione del Vaticano II “c’era in commissione un senso di ansia, in qualcuno anche di quasi disperazione”.
“Il testo inviato ai vescovi nell’estate del 1965 era cinque volte più esteso delle precedenti 13 proposte a cui si era tentato di ridurlo. Pareva un successo incredibile. Ma l’impegno più pesante per la commissione di stesura veniva dopo. I mesi decisivi sono ottobre e novembre. Si arricchisce il testo con molte delle osservazioni suggerite dai vescovi. In novembre ci sono venti votazioni che lo approvano a grande maggioranza, ma con altre 500 pagine di ‘modi’, di suggerimenti, di proposte in aula che chiedono ancora aggiunte, correzioni, diverse formulazioni. Mancava meno di un mese al termine del concilio e ancora sembrava quasi di dover ricominciare da capo!
“Poi, misteriosamente, alla fine tutto andò a posto. L’insieme del decreto è approvato nell’ultima seduta pubblica con 2.394 voti favorevoli e solo 5 contrari, il più alto livello di unanimità nelle votazioni dell’intero concilio. ‘Lo Spirito Santo c’è davvero!’, esclamò il cardinale Agagianian, prefetto di ‘Propaganda Fide’ e uno dei quattro moderatori dell’assise”.
DOPO IL CONCILIO
Già nell’immediato postconcilio, tuttavia, il sogno di una nuova Pentecoste missionaria cedette il passo a una opposta realtà. Ricorda padre Gheddo:
“Si riduceva l’obbligo religioso di evangelizzare a impegno sociale: l’importante è amare il prossimo, fare del bene, dare testimonianza di servizio, come se la Chiesa fosse un’agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare alle ingiustizie e alle piaghe della società. Si esaltavano l’analisi ‘scientifica’ del marxismo e il terzomondismo. Si proclamavano come verità tesi del tutto false, ad esempio che non è importante che i popoli si convertano a Cristo, purché accolgano il messaggio di amore e di pace del Vangelo”.
Queste tendenze si manifestano anche tra i vescovi che prendono parte nel 1974 al sinodo sull’evangelizzazione. È Paolo VI, con l’esortazione apostolica postsinodale “Evangelii nuntiandi” del 1975 a riaffermare con forza che “anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente se il nome, l’insegnamento, la vita e le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, non sono proclamati”.
“Ma Paolo VI non fu ascoltato”, commenta padre Gheddo. E anche il suo successore Giovanni Paolo II, con l’enciclica “Redemptoris missio” del 1990, si scontrò con un muro di incomprensione.
Ricorda padre Gheddo che collaborò col papa alla sua stesura:
“Non pochi, nella curia vaticana, contestarono quell’enciclica prima ancora che uscisse. Dicevano: ‘Un’enciclica è troppo, può bastare una lettera apostolica, come si fa per l’anniversario di un testo conciliare’. Ma anche dopo la sua uscita la ‘Redemptoris missio’ fu sottovalutata nella Chiesa, da teologi, missiologi, riviste missionarie. Dicevano: ‘Non dice niente di nuovo’. Quando invece introduceva temi nuovi e assolutamente rivoluzionari, nemmeno sfiorati dal decreto conciliare ‘Ad gentes’, come ad esempio nel capitolo intitolato ‘Promuovere lo sviluppo educando le coscienze’. Aveva ragione Giovanni Paolo II a constatare che nella storia della Chiesa la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione segno di una crisi di fede”.
Prosegue padre Gheddo:
“Osservando oggi le riviste e i libri, i congressi, le campagne di enti e organismi missionari, viene da chiedersi se la ‘Redemptoris missio’ sia conosciuta e vissuta. Diciamo la verità. La gravissima diminuzione delle vocazioni missionarie dipende anche da come la figura del missionario e della missione alle genti è presentata.
“Mezzo secolo fa si facevano le veglie e le marce missionarie facendo parlare i missionari sul campo, chiedendo a Dio più vocazioni per la missione alle genti e incoraggiando i giovani a offrire la loro vita per le missioni. Oggi prevale la mobilitazione su temi quali la vendita delle armi, la raccolta di firme contro il debito estero dei paesi africani, l’acqua bene pubblico, la deforestazione, eccetera. Quando temi come questi acquistano il maggior peso nell’animazione missionaria, è inevitabile che il missionario si riduca a un operatore sociale e politico.
“Chiedo: è mai pensabile che un giovane o una ragazza si sentano attirati a diventare missionari, se vengono educati a fare denunce e proteste, a raccogliere firme contro le armi o il debito estero? Per avere più vocazioni missionarie occorre affascinare i giovani al Vangelo e alla vita in missione, fare in modo che si innamorino di Gesù Cristo, l’unica ricchezza che abbiamo. Tutto il resto viene di conseguenza”.
UNA NOTA DI FIDUCIA
Con Benedetto XVI, in primo piano è venuta la lotta contro il relativismo, contro l’idea che tutte le religioni si equivalgano e siano vie di salvezza. Tra i molti testi di questo pontificato sul tema c’è la nota dottrinale della congregazione per la dottrina della fede su alcuni aspetti dell’evangelizzazione.
Commenta padre Gheddo:
“La nota è stata voluta e approvata dal papa; è stata pubblicata il 3 dicembre 2007, festa del missionario per eccellenza san Francesco Saverio; eppure è stata quasi ignorata dalla stampa cattolica e missionaria, quando invece è un testo che gli istituti missionari diocesani, la stampa, i gruppi e le associazioni missionarie dovrebbero conoscere e discutere per avere un preciso punto di riferimento nella temperie di secolarizzazione e relativismo, che rischia di farci perdere la bussola della retta via”.
Ma nonostante tutto questo, padre Gheddo continua ad avere fiducia e snocciola a conferma alcune cifre:
“C’è oggi troppo pessimismo sull’efficacia della missione fra i non cristiani. La realtà è diversa. Nella storia millenaria della Chiesa non c’è nessun continente che si sia convertito a Cristo così rapidamente come l’Africa. Nel 1960 i cattolici africani erano circa 35 milioni con 25 vescovi locali, oggi sono 172 milioni con circa 400 vescovi africani. Secondo il Pew Research Center di Washington, nel 2010 in tutta l’Africa cristiani e musulmani hanno ambedue poco meno di 500 milioni di fedeli, ma nella sola Africa nera a sud del Sahara i cristiani sono 470 milioni e i musulmani 234.
“Nel 1960 in Asia c’erano 68 vescovi asiatici e in nessun paese si notava una crescita sostenuta dei battezzati. Solo in India c’era un buon tasso di conversioni e qui oggi i cattolici sono almeno 30 milioni, il doppio della cifra dichiarata. Lo stesso vale per l’Indonesia, lo Sri Lanka, la Birmania, il Vietnam, dove i cattolici sono già il 10 per cento degli 85 milioni di vietnamiti, con numerose conversioni e vocazioni. Nel 1949, quando Mao salì al potere, la Cina aveva 3,7 milioni di cattolici; oggi, nonostante la persecuzione, se ne stimano 12-15 e i cristiani nel loro insieme sono 45-50 milioni. Nella Corea del Sud, dove la religione è libera e le statistiche credibili, i cattolici sono più di 5 milioni, il 10,3 per cento dei sud-coreani, e i cristiani, tutti assieme, il 30 per cento.
“L’effetto positivo del concilio e dei papi è evidente nella promozione delle giovani Chiese, che oggi sono missionarie fuori dei propri paesi e verso l’Occidente. Gli stereotipi che la missione alle genti sia finita e che non abbia più efficacia vanno azzerati perché non corrispondono alla realtà dei fatti.
“Ha scritto Giovanni Paolo II nella ‘Redemptoris missio’: ‘La missione alle genti è appena agli inizi’. Non conosciamo i piani di Dio, ma probabilmente anche questo periodo di stasi della missione alle genti ha il suo significato positivo. Lo capiremo forse fra mezzo secolo”.
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Il decreto del concilio Vaticano II sulle missioni, del 1965:
> “Ad gentes”
> “Ad gentes”
L’esortazione apostolica di Paolo VI del 1975:
L’enciclica di Giovanni Paolo II del 1990:
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