29-09-2013
Il 28 settembre - nel mezzo di un lungo weekend con i catechisti venuti a Roma da tutto il mondo per l'Anno della fede - Papa Francesco ha pronunciato un'impressionante omelia nella Messa per il Corpo della Gendarmeria Vaticana in occasione della festa del suo patrono, san Michele Arcangelo. Nell'omelia il Papa ha fatto allusione a episodi e scandali recenti e meno recenti per affermare che il diavolo sta creando una «guerra civile» in Vaticano, e che le chiacchiere e il pettegolezzo negli uffici della Santa Sede dovrebbero essere una «lingua vietata», perché si tratta di una lingua che genera il male.
«Nella rocca del Vaticano - ha detto Francesco - il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune». Con accenti che ricordano gli ultimi mesi del suo predecessore Benedetto XVI, Papa Francesco denuncia senza mezzi termini che il male e il suo veleno sono entrati anche in Vaticano. Anche il ruolo delle forze armate vaticane è cambiato: «Napoleone [1769-1821] se n'è andato e non torna più», ha detto il Papa, «non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno».
Sono affermazioni molto forti. Francesco, il Papa della pace, denuncia che nella rocca stessa del Vaticano è in corso una guerra: quella del buio e della notte, dove si ordiscono tante trame oscure, contro la luce e il giorno. Occorre certo difendere materialmente «le porte e le finestre del Vaticano» - un lavoro necessario, troppo spesso lì entra chi non deve ed escono informazioni che non dovrebbero uscire - ma più importante ancora è difendere i cuori, come san Michele, contro il diavolo.
Il Pontefice svela chi c'è davvero dietro alle trame oscure e notturne che scuotono la rocca di Pietro. È il diavolo. Chi ha gli occhi e gli strumenti culturali e spirituali per vedere, scorge oggi «una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale».
Questa «è una guerra che non si fa con le armi che noi conosciamo: si fa con la lingua». Se non si vuole fare il gioco del diavolo, occorre fermarsi dove l'azione del Maligno inizia, «difenderci mutuamente dalle chiacchiere», che continuando a girare diventato veleno. «Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra» - ha implorato Francesco - «mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!».
A ben guardare, questa omelia veramente accorata non è estranea al tema del weekend con i catechisti iniziato venerdì sera, 27 settembre, con l'intervento di Francesco al Congresso internazionale della catechesi. Dopo avere ricordato l'affermazione di Benedetto XVI secondo cui «la Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione», il Papa - lo fa spesso - ha affermato, «come i vecchi gesuiti» - ha tracciato l'itinerario che la catechesi oggi dovrebbe seguire distinguendo tre tappe: «uno, due, tre».
La prima tappa è stare con Gesù e lasciarsi guardare da lui, nella preghiera frequente e nel momento indispensabile dell'adorazione eucaristica. Questo è il punto di partenza della catechesi, non il titolo di catechista conseguito in qualche corso più o meno utile. «”Ho il titolo di catechista!”. Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! È uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! È un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista». Ogni catechista nell'Anno della fede dovrebbe porsi questa domanda: «Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!».
La prima tappa è stare con Gesù e lasciarsi guardare da lui, nella preghiera frequente e nel momento indispensabile dell'adorazione eucaristica. Questo è il punto di partenza della catechesi, non il titolo di catechista conseguito in qualche corso più o meno utile. «”Ho il titolo di catechista!”. Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! È uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! È un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista». Ogni catechista nell'Anno della fede dovrebbe porsi questa domanda: «Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!».
Secondo passaggio, consueto nel Magistero di Francesco: chi è unito a Gesù «esce» e annuncia il Vangelo agli altri, anche a quelli che non si presentano al catechismo e non vanno mai in chiesa. «Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole - diastole”: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti il cuore non batte più, non può vivere».
Terzo, ed è un altro tema su cui Papa Francesco torna spesso: «ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie». L'esempio del profeta Giona, che non voleva andare a Ninive come il Signore gli chiedeva perché lì gli abitanti erano ricchi e corrotti - non poveri materialmente, ma poveri di fede e di senso morale - offre al Papa l'occasione di spiegare per l'ennesima volta che «periferie» non va inteso solo in senso materiale. Ninive era una città ricca, ma rispetto alla fede era «periferia». E Giona scappa, perché pensa che lì non lo staranno a sentire e lo tratteranno male. Noi spesso facciamo come Giona: preferiamo parlare solo ai «nostri», perché è più facile e comodo, e non seguiamo il Signore che ci chiama ad andare anche nelle «periferie» dove temiamo che nessuno ci ascolti.
Ma, seguendo la paura, si rischia. «Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile». E Francesco ripete parole che ha già detto tante volte: «Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata!». «Ma attenzione! - ha aggiunto il Papa - Gesù non dice: andate, arrangiatevi», raccontate quello che volete. «Uscire» sì ma per annunciare il messaggio di Cristo, il messaggio della Chiesa, non il nostro.
Due discorsi forti, quello ai catechisti e quello alla Gendarmeria Pontificia, che si richiamano e si completano. Perché se non «usciamo», se non evangelizziamo, se rimaniamo a parlarci tra noi, prima o poi il nostro girare intorno a noi stessi si trasforma in chiacchiera e pettegolezzo. E qui entra il diavolo, per scatenare la sua «guerra civile». Anche in Vaticano.
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