B. ELISABETTA CANORI MORA
Madre di famiglia
"Una simile madre non si trova al mondo, e io sono indegno di esserle consorte". ( il marito Cristoforo alle figlie).
Nacque a Roma nel 1774. A 22 anni, con scelta attentamente maturata, si sposò ed ebbe quattro bambine. Sebbene umiliata e maltrattata in mille modi dal marito infedele, tutto sopportò con ammirabile pazienza e dolcezza; alle violenze fisiche e psicologiche rispose con totale fedeltà, rifiutando assolutamente la separazione. Si dedicò alla preghiera e alle opere di misericordia, particolarmente tra i poveri e gli ammalati; accoglieva chiunque si rivolgeva a lei per necessità spirituali e temporali, prestando particolare attenzione alle famiglie in difficoltà. Donò se stessa per la conversione del marito, per il Papa, la Chiesa e la sua città di Roma, dove morì nel 1825. Le sue spoglie riposano nella Chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane.
Seconda lettura Dal diario della b. Elisabetta Canori Mora: La mia vita nel cuore della Trinità
Vidi Dio con le braccia aperte qual Padre amante
L'anima, così accesa di santo amore, famelica andava in traccia dell'amato suo Bene, desiderando di possederlo e possederlo per sempre. Quali e quante fossero le brame di questo cuore ferito, io non so al certo dirlo, né ho termini di dimostrarlo, ma posso dire per verità che neppure io potei comprendere la viva fiamma che mi bruciava il cuore. Il forte incendio del divino amore fa dolce strazio del mio povero cuore. Altra grazia non cercavo dal mio buon Dio che di morire, per così sciogliermi dai vincoli di questo fragil corpo, così volare liberamente nel castissimo seno del mio Dio. Questo ardentissimo desiderio martirizza l'anima mia giorno e notte, in guisa tale che io non lo posso più contenere e sono persuasa mi darà presto la morte. In questi termini, con questi spasmi al cuore, andava l'anima facendo il suo viaggio per l'erto monte; portando con sé l'affanno, la pena, il dolore. Mossosi a compassione, il mio Dio improvvisamente mi si fece vedere alla sommità del monte vidi il mio Dio che stava con le braccia aperte qual padre amante, significandomi l'ardente brama che in sé conserva di abbrac-ciare la povera anima mia. Questa vista riempì il mio cuore di somma consolazione e di tanta dolcezza e gaudio fu ripieno il mio spirito, che per godere di quella sola vista tenni per bene impiegato tutto quello che avevo patito e faticato nel decorso di tutta la mia vita. Ardisco dire di più, a gloria del medesimo Dio: che mi contenterei di godere di quel bene che godetti in quei felici momenti, di godere questo solo bene per tutta l'eternità, sì, quella sola vista mi basterebbe per farmi eternamente beata. Vorrei, per rispetto e riverenza dovuta all'infinita maestà di Dio, tacere e non parlare di quanto vidi alla sommità di quel vastissimo monte, ma la santa obbedienza mi obbliga contro mia voglia il manifestarlo: ma io cosa dirò mai, se la mia bassa mente non potè neppure comprenderlo? Qual vasto oceano di eterna immensità mi si presentò Dio alla vista della mia bassa mente. Oh felicissimi momenti degni solo dell'infinita bontà di un Dio, che tutto si dona per amore alle sue creature! La sola vista, e non il possesso di questo grande bene, mi bastò di farmi beata sopra la terra per quei felici momenti. Mi fu mostrato il simbolo della Triade sacrosanta sotto la forma di una splendidissima e vastissima nube; questa aveva tre rappresentanze benché una sola fosse la nube. Tre immensi raggi di eterna luce in essa nube risplendevano, uno distinte dall'altro; benché una sola fosse la luce, conservava, conteneva in se stessa tre qualità di splendori, une distinto dall'altro. Cosa così meravigliosa e bella che non si può spiegare, vista che rapisce lo spirito e lo tiene assorto in Dio, vista che dona all'anima tutta la sua felicità, vista che dona all'anima tutte sorte di beni sovrabbondanti, inenarrabili e incomprensibili. Non so spiegarmi altrimenti, mentre mi avvedo che lo scrivere su di ciò altro non è che un oscurare l'alta gloria di un Dio di eterna maestà; spero però che l'infinita bontà di Dio mi abbia per scusata, mentre la santa obbedienza me lo comandò.
Responsorio Cf. Ap 4,2 e ss; cf. Is 6,1-3
Fui rapito in estasi, * un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono di gloria del Signore.
I serafini proclamavano l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo.
Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono di gloria del Signore.
Orazione O Dio, che hai donato alla beata Elisabetta di vivere la sua vita di sposa e madre ad imitazione di Cristo Redentore, per sua intercessione e sul suo esempio concedi alle nostre famiglie il dono della fedeltà e dell'amore sincero, perché risplenda in esse la luce della comunione divina. Per il nostro Signore.
Nessun commento:
Posta un commento