giovedì 17 novembre 2016

che bel peccato



Salvifico peccato

 

di Massimo Micaletti

Fermi tutti: c’è un peccato che redime. C’è un peccato che, avvolto nella coscienza, la giustifica e mette in comunione con Dio. Questo peccato è il concubinato.

Da sempre la Chiesa si rivolge ai pubblici concubini, ché da sempre essi esistono e sempre esisteranno. Solo che fino a qualche tempo fa la loro condizione era ritenuta peccaminosa, sulla scorta di trascurabili evidenze quali le Scritture, l’insegnamento di Papi e Santi o di esperienze forse troppo radicali tipo quella di Tommaso Moro.

Poi si è iniziato a parlare di “situazioni irregolari[1], introducendo così nel magistero la singolare categoria della irregolarità, qualcosa che non è che vada poi bene ma che evidentemente non è peccato, ché altrimenti sarebbe stata chiamata, appunto, peccato.

In seguito, si è ipotizzato che anche questi irregolari, pur non potendo ricevere l’Eucaristia, potessero accedere alla comunione spirituale senza pentirsi affatto delle loro azioni [2]. Qui c’è già tutta la potenza redentrice del concubinato, che consente a chi lo pratica di entrare in comunione con Dio facendo a meno dei Sacramenti, che evidentemente sono riservati a quei peccatori che hanno pensato di sposarsi.

Nel frattempo, ci si è adoperati in ogni modo per liberare i concubini dal fardello della precedente erronea unione, casualmente suggellato dal Sacramento del matrimonio. Certo, abbiamo già visto che la potenza salvifica del concubinato è tale da dispensare chi lo pratica dall’accostarsi ai Sacramenti, però è brutto per un sacerdote sapere che il concubino e la concubina sono magari ancora sposati – per errore, per carità – con qualcun altro; si è provveduto quindi alla demolizione di quelle gessature proprie del procedimento per nullità matrimoniale, così povere di misericordia. Già Giovanni Paolo II aveva contribuito alla liberazione degli innamorati prigionieri mediante la riduzione da tre a due delle sentenze di nullità; ora l’ha si è portata ad una soltanto e con l’introduzione del processus brevior e del giudizio in foro interno ha finalmente fatto sì che di quel doloroso peso i promessi ri-sposi possano disfarsi agevolmente. Quindi, per i concubini il Sacramento dell’Eucaristia non serve per essere in comunione con Dio e quello del matrimonio si può agevolmente spezzare dopo averlo pubblicamente calpestato colla convivenza more uxorio: la forza salvifica del concubinato è tale che nulla può reggere dinanzi ad esso.

Qualcuno potrebbe obiettare che prima di riaccompagnarsi i promessi ri-sposi potrebbero accedere alla Rota per verificare la validità della precedente unione, anche considerata la misericordiosa snellezza che ora gli consente di emanciparsi dai gravi miserandi errori del passato, ma perché farlo, a questo punto? Se possono essere in comunione con Dio e sono dispensati dallo stato di Grazia per avere l’Eucaristia, perché cimentarsi nelle noie di un processo che, per quanto brevior, è sempre tedioso?

Ma pure questa fissa dell’Eucaristia, a che pro se sono già in comunione con Dio pur non essendo in stato di Grazia?
Non solo: il manto di misericordia che consacra il concubinato fa sì che tanti aspetti propri del peccato siano, quanto ad esso, non motivo di più severa condanna (che brutta parola!) quanto piuttosto segni di genuino affidamento al Signore ed ai Suoi precetti letti alla luce della coscienza di ciascuno. Perciò la stabilità e la pubblicità del concubinato non lo aggravano ma anzi lo redimono, perché lo accostano al matrimonio: e per carità non si obietti che il segno del maligno è proprio questo, lo scimmiottare ogni cosa che è del Padre, Sacramenti in primis. Dunque questo è l’unico peccato che più volte e più palesemente viene reiterato, più è santo.

C’è di più: il concubinato è l’unico peccato la cui pubblica professione e prassi non genera scandalo, ma anzi rende i concubini pienamente capaci di dare educazione cristiana sia come padrini che come genitori. A che pro domandarsi come si possa educare cristianamente un figlio dandogli quotidianamente esempio di ribellione a Dio ed ai suoi precetti, magari mentre si lasciano in un’altra casa (ma non in un’altra vita) i figli precedentemente avuti dal matrimonio? La vis redentrice che emana dal concubinato è tale che i concubini sono dispensati anche dalla testimonianza nell’annuncio: possono educare un figlio alla indissolubilità del matrimonio pur vivendo in palese contrasto con essa.

Quale potenza promana dal vincolo del concubinato! Magari gli sposi cattolici potessero beneficiarne: ma loro no, loro si sono sposati e lo sono anche dopo trent’anni, quindi devono essere in stato di Grazia per essere in comunione con Dio e prendere l’Eucaristia, hanno bisogno dei Sacramenti per essere vicini a Dio, devono pentirsi dei propri peccati quando vogliono accedere alla comunione spirituale, devono dare ai figli l’esempio dell’educazione che predicano. Insomma, hanno scelto la retta dottrina e che la vivano: per i concubini c’è la salvezza attraverso il peccato, o meglio l’irregolarità, o forse l’imperfezione, o chissà che.
Messa così parrebbe un po’ inquietante. Che brutto metterla così.

Mettiamola allora in un modo conciliante: alla chiesa da qualche tempo non sta più molto a cuore il matrimonio, quanto piuttosto la famiglia; non stanno più molto a cuore i cattolici, quanto piuttosto i cristiani. Allora è chiaro che in questo misericordioso abbraccio alle coscienze, in questo etero dissolversi nell’aura cristiana assieme a protestanti, anglicani, ortodossi, battisti, valdesi, evangelici e compagnia, i Sacramenti sono un tremendo ostacolo alla pietà, alla misericordia, all’accoglienza.

Perché i Sacramenti nel loro reggersi sulla stato di Grazia impongono di riconoscere il peccato e di mondarsene, e soprattutto impongono di riconoscere il peccato alla luce della Legge e dell’Amore di Dio, non in un percorso di approfondimento nella propria coscienza guidato da un sacerdote (e il sacerdote chi lo guida?): impongono un confronto non elusivo colla Verità e da questo confronto bisogna fuggire, se si vuol continuare a “pregare” lo stesso “dio” dei luterani, se si vuol continuare a benedire i conviventi, se si vuol continuare a dispensare Ostie come fossero gadget premio in vista di un redditizio contratto.

Quindi, via gli intralci: che il concubinato redima i concubini, la famiglia, la Chiesa tutta.

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[1] https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/january/documents/hf_ben-xvi_spe_20100129_rota-romana.html
[2] http://www.radiospada.org/2013/10/mons-muller-sulleucaristia-ai-divorziati-risposati-la-forza-della-grazia-ed-il-peccato-persistente/

1 commento:

  1. Anche in questo ambito hanno funzionato le finestre di Overton, avendo la Santa Chiesa spalancato le porte ed anche tutte le finestre al mondo. I meccanismi tipici del mondo adesso ben si conformano alla Chiesa. Il linguaggio e l'assetto ideologico è lo stesso, gli ingranaggi dunque combaciano!

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