venerdì 31 ottobre 2014

31 ottobre: Martin Lutero


Martin Lutero brucia la Summa theologiae
di s. Tommaso d'Aquino

L' ERESIARCA
«Martin Lutero venne fuori dalla sua cella nel giorno della rovina e della tempesta, e gridò con voce nuova e forte in favore di una religione elementare ed emotiva, e per la distruzione di tutte le filosofie. Aveva particolare orrore e ripugnanza per le grandi filosofie greche, e per la Scolastica che su quelle filosofie era stata fondata. Aveva una sola teoria: la distruzione di tutte le teorie. Aveva una sua teologia: la morte della teologia.
L'uomo non poteva chiedere nulla a Dio, nulla avere da Dio, nulla dire su Dio, eccetto un inarticolato grido di pietà e la richiesta dell'aiuto soprannaturale di Cristo, in un mondo dove tutte le cose naturali erano inutili. Inutile la ragione, inutile la volontà. L'uomo non poteva muoversi di un pollice, non più di una pietra. L'uomo non poteva fidarsi di ciò che aveva nella testa, non più di una rapa. Nulla rimaneva in cielo o sulla terra, eccetto il nome di Cristo sollevato in una solitaria imprecazione, orribile come il grido di una bestia in pena.
Tuttavia, non sarebbe inesatto dire che Lutero aprì un'epoca, e cominciò il mondo moderno».

Justorum animae



CARD. DOMENICO BARTOLUCCI - Orlando di Lasso: Justorum animae (Offertorio a 5 voci)


Justorum animae in manu Dei sunt,
et non tanget illos tormentum mortis.
Visi sunt oculis insipientium mori,
illi autem sunt in pace.

giovedì 30 ottobre 2014

sabato si toglierà la vita

L’addio di Brittany, sabato si toglierà la vita: “Finalmente il Grand Canyon, è stato bellissimo”

La ragazza, di soli 29 anni, ha scoperto di avere un tumore incurabile al cervello poco dopo essersi sposata. L’ultimo appello: “Lottate per il diritto a una morte dignitosa”



Brittany Maynard al Canyon: sul ciglio vertiginoso di una delle grandi meraviglie del mondo comincia davvero il conto alla rovescia verso la «dolce morte». La ragazza di 29 a cui in gennaio è stato diagnosticato un cancro al cervello ha scelto le monumentali gole del Colorado come ultima tappa della sua «bucket list», le cose belle da fare prima di morire. 

Si dice che una gita al Grand Canyon sia una di quelle esperienze che cambiano la vita. Camicia gialla, maglioncino rosa, un sorriso pacato sulle labbra, Brittany si è fatta fotografare con la famiglia e il marito sull’orlo della gola. Dopo una prima operazione e un ciclo di cure, in aprile alla ragazza erano stati diagnosticati sei mesi di vita ed è stato allora che lei ha deciso di andarsene alle sue condizioni. Succederà il primo novembre, all’indomani del compleanno del marito Dan, in una casa di Portland nell’Oregon, quando, accompagnata alla famiglia, Brittany assumerà i farmaci prescritti dal suo medico. L’Oregon è uno dei cinque stati - gli altri sono Vermont, Montana, New Mexico e Washington State - che offrono protezione legale ai malati terminali che decidano di por fine alle loro sofferenze: Brittany ci si è trasferita da San Francisco proprio a questo scopo.  
La ragazza può cambiare idea in qualsiasi momento ma non pensa che lo farà, perché il suo non è un istinto suicida: «Io non voglio morire, ma la realtà è che sto morendo: voglio farlo alle mie condizioni e con dignità». Sul suo blog Brittany ha raccontato l’ultima esperienza da turista qualsiasi, come milioni di americani e di stranieri che si affacciano sul precipizio del Canyon: «Era bellissimo: sono stata felice di mettere assieme le cose che amo di più, la mia famiglia e la natura. Purtroppo però il cancro non si è voluto far dimenticare», ha postato la ragazza sul suo blog il 24 ottobre. All’indomani della gita al Canyon la ragazza è stata ricoverata in ospedale con il più grave attacco epilettico nella breve storia della sua malattia che l’ha lasciata per ore incapace di parlare. 

«L’attacco mi ha ricordato che i sintomi continuano a peggiorare e il tumore sta facendo il suo corso», ha scritto Brittany che sta usando i suoi ultimi giorni per sostenere l’approvazione in America di altre leggi a difesa del diritto a morire con «dignità» del malati senza speranza: «Il mio sogno è che ogni americano nelle mie condizioni possa scegliere di farlo se lo desidera». 

http://www.lastampa.it/2014/10/29/esteri/laddio-di-brittany-sabato-si-toglier-la-vita-finalmente-il-grand-canyon-stato-bellissimo-ofQOXLzjShFleAQpk4A0TJ/pagina.html?wtrk=cpc.social.Facebook

Anch'io sto morendo, Brittany, ma suicidarsi non è la risposta

Madre di quattro figli con un tumore in fase terminale chiede a Brittany Maynard di riconsiderare la sua decisione



di Kara Tippetts

Il mio oncologo ed io ci siamo seduti per un bel po' con il cuore addolorato per la tua storia. Abbiamo parlato del difficile cammino che ti è stato chiesto di percorrere.

Sono arrivata a casa e io e il mio amico ci siamo seduti sul letto di mia figlia di cinque anni e abbiamo pregato per te. Abbiamo semplicemente pregato che potessi ascoltare le mie parole, che nascono nel luogo più sensibile e spezzato del mio cuore.

Abbiamo pregato che potessi ascoltare le mie parole messe per iscritto che provengono da un luogo d'amore sensibile e saggio. Sapendo cosa vuol dire conoscere l'orizzonte dei tuoi giorni che un giorno sembravano illimitati e ora sembrano oscurarsi.

Ascolta queste parole di un cuore pieno d'amore per te. Brittany, la tua vita importa, la tua storia importa e la tua sofferenza importa. Grazie per essere uscita dalla privacy della tua storia e per averla condivisa apertamente.

Ti vediamo, vediamo la tua vita, ed esistono innumerevoli persone che amano il tuo cuore e stanno pregando perché tu cambi idea.

Brittany, ti voglio bene e mi dispiace molto che tu stia morendo. Mi dispiace molto che ad entrambe sia stato chiesto di prendere una strada che sembra semplicemente impossibile da percorrere.

Credo che raccontare la tua storia sia importante. Credo che sia positivo per la nostra cultura sapere cosa sta succedendo in Oregon.

È una discussione che deve essere tirata fuori dagli angoli tranquilli e portata alla luce. Condividendo la tua storia è accaduto questo.Importa, ed è incredibilmente importante. Grazie.

Semplicemente, non siamo d'accordo. La sofferenza non è l'assenza di bontà, non è l'assenza di bellezza, ma forse può essere il luogo in cui si può conoscere la vera bellezza.

Scegliendo la tua morte, stai rubando a coloro che ti amano con tanta tenerezza l'opportunità di stare con te nei tuoi ultimi momenti e di poterti offrire amore nell'ultimo respiro.

Mentre ero seduta sul letto della mia bambina pregando per te, mi sono interrogata sull'impossibilità di capire che un giorno la storia della mia piccola sarà bella perché ha presenziato alla mia morte.

Quell'ultimo bacio, quell'ultima carezza, quell'ultimo respiro contano, ma non è mai stato pensato per noi decidere quando avremmo esalato l'ultimo respiro.

Conoscere Gesù, sapere che Egli capisce il mio difficile congedo, che Egli cammina con me nella mia agonia... Il mio cuore desidera che tu lo conosca nella tua morte. Perché nella sua morte ha protetto la mia vita. La mia vita al di là di questo mondo.

Brittany, quando confidiamo nel fatto che Gesù prende su di sé, protegge e redime il nostro cuore, la morte non è più un'agonia. Il mio cuore desidera che tu conosca questa verità, questo amore, questa vita eterna.

Ti hanno detto una bugia. Una terribile bugia. Che la tua morte non sarà bella. Che la sofferenza sarà troppa.

Il mio oncologo ed io abbiamo parlato oggi della tua agonia, della mia e della bella collaborazione che ho con i miei medici, che mi accompagnano in questi ultimi momenti con cure amorevoli. Per duemila anni i medici sono stati dalla parte della difesa della vita curando con amore i pazienti che muoiono in grazia.

Il medico che ti ha prescritto la pillola che porti con te e che affretterà la tua morte si è discostato dal Giuramento di Ippocrate, che dice per prima cosa di non fare danno. Lui o lei si è discostato dal giuramento che difende la vita e il morire bene che ci è concesso.

C'è anche gente che sta parlando in toni sgradevoli che fa sì che noi che crediamo in Gesù ci sentiamo insicuri, indesiderabili e non amati.

Ma nel mio sussurro, nella mia supplica, mia cara, ascolterai il mio cuore che ti chiede, ti prega, ti supplica di non prendere quella pillola. Sì, la tua morte sarà difficile, ma non sarà priva di bellezza.

Confiderai per favore in me con questa verità? E, cosa ancor più importante, ascolterai dal mio cuore che Gesù ti ama? Ti ama. Ha subito una morte orribile su una croce perché tu lo conoscessi oggi, perché noi non dovessimo vivere separati da Lui nella nostra morte. È morto, e la sua morte è avvenuta; non è semplicemente una storia.

È morto e ha vinto la morte tre giorni dopo, e vincendo la morte ha vinto la morte che tu e io stiamo affrontando con il nostro cancro. Vuole conoscerti, guidarti nella tua agonia e darti vita e dartela in abbondanza: la vita eterna.

Per ogni essere vivente la morte è imminente – tutti la affronteremo un giorno –, e la domanda più importante è: “Chi è questo Gesù, e cosa ha a che vedere con la mia agonia?” Per favore, non prendere quella pillola prima di esserti posta questa domanda.

È una domanda che ci dobbiamo porre, visto che tutti moriremo.

Di recente ho scritto un libro, The Hardest Peace (La pace più difficile), e ho scritto anche sul mio blog sul mio percorso di vita e sul mio viaggio verso il mio ultimo respiro. Non è semplicemente una storia sul fatto di morire di cancro, ma di vivere quel respiro. È un libro su ciascuno di noi che ha ancora la possibilità di respirare, di abbracciare la vita e di guardare alla morte con grazia. Vivere nel Grande Amore e trovare la mia fine nell'amore. Sorprendente, importante, l'amore.

Salirei su un aereo domani stesso per vederti e condividere la mia storia e incontrarti nella tua, se desideri ricevermi.

Prego affinché queste parole ti arrivino. Prego che arrivino a moltitudini che stanno guardando la tua storia e credendo alla bugia per cui la sofferenza è un errore, che morire non è essere coraggiosi, che scegliere la nostra morte è coraggioso.

No, affrettare la morte non è mai stata l'intenzione di Dio.

Ma nella nostra agonia, Egli ci trova nella sua grazia.

Il Giuramento di Ippocrate importa, e quelli che scelgono di discostarsene devono essere sfidati. Mi fa male il cuore sapere che hanno deciso di allontanarsi dalla sponda della grazia che protegge la nostra vita e la nostra morte.

Ho deciso di cooperare con il mio medico nella mia agonia, e sarà un viaggio bello e doloroso per tutti noi. Ma ascoltami: non è un errore. La bellezza ci troverà nel nostro ultimo respiro.

Kara Tippetts è moglie di un pastore e madre di quattro figli. È autrice di “The Hardest Peace” e ha il suo blog su www.mundanefaithfulness.com.

CONTRO IL SINODO DEI MEDIATICO

STIAMO LAVORANDO PER VOI …

CONTRO IL SINODO DEI MEDIA:

ORIENTAMENTI VERAMENTE PASTORALI

SULLA BASE DI VALUTAZIONI

AUTENTICAMENTE TEOLOGICHE


Si deve ricordare a tutti la verità, ossia il vero senso teologico di ciò che sta avvenendo nella Chiesa: il Sinodo dei vescovi, questo come gli altri che lo hanno preceduto e che seguiranno, non è un’assemblea politica né un convegno scientifico; è uno strumento di cui serve il Romano Pontefice, Vescovo di Roma e Pastore di tutta la Chiesa, per consultare periodicamente i vescovi di ogni parte del mondo ed elaborare, di volta in volta, dei documenti pastorali riguardanti la Chiesa universale. I due sinodi che si stanno svolgendo: uno straordinario, svoltosi quest’anno, e un altro ordinario, da svolgersi nel 2015, non hanno ancora sottoposto alcuna bozza di documento finale al Papa, al quale spetta in ogni caso la decisione su come utilizzare le proposte dei vescovi. Insomma, non c’è ancora alcun atto del magistero su cui costruire teorie circa presunte riforme o rivoluzioni in atto nella Chiesa.

Autore  Antonio Livi
cardinale erdo
Il Cardinale Peter Erdö
I diversi e non sempre prudenti interventi dei padri sinodali prima, durante e dopo lo svolgimento del Sinodo straordinario sulla famiglia, unitamente ai commenti spesso sensazionalistici dei teologi e dei giornalisti, hanno avuto l’effetto di presentato all’opinione pubblica cattolica un’immagine drammatica della Chiesa. L’episcopato mondiale sarebbe profondamente diviso; a cinquant’anni dal Vaticano II si sarebbero acuite le tensioni tra due grandi partiti ideologici, i progressisti e i conservatori, i quali si combattono frontalmente, con la prevalenza del partito delle riforme che starebbe per ottenere, con il consenso del Papa stesso, la rinuncia del magistero alla dottrina tradizionale sulla sessualità e sui sacramenti, in particolare Matrimonio ed Eucaristia.

Bruno Forte
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto
Questa immagine della Chiesa cattolica di oggi è inaccettabile: non solo perché ha sconcertato e disorientato i fedeli  — e questo dispiace a chi ha a cuore i veri interessi della pastorale — ma anche e soprattutto perché è falsa. Essa infatti è stata costruita sulla base su rilevamenti sociologici (sociologia religiosa) del tutto superficiali e parziali, espressi poi con un linguaggio che ignora le categorie propriamente teologiche e che si serve solo delle categorie tipiche della polemica politica, riducendo la normale dialettica delle opinioni sulle scelte pastorali da operare in questo momento storico a una scandalosa lotta tra opposte ideologie che mirano all’egemonia del potere temporale e non alla comprensione delle vicende riguardanti lo sviluppo omogeneo del dogma.

Si deve ricordare a tutti la verità, ossia il vero senso teologico di ciò che sta avvenendo nella Chiesa: il Sinodo dei vescovi, questo come gli altri che lo hanno preceduto e che seguiranno, non è un’assemblea politica né un convegno scientifico; è uno strumento di cui serve il Romano Pontefice, Vescovo di Roma e Pastore di tutta la Chiesa, per consultare periodicamente i vescovi di ogni parte del mondo ed elaborare, di volta in volta, dei documenti pastorali riguardanti la Chiesa universale. I due sinodi che si stanno svolgendo: uno straordinario, svoltosi quest’anno, e un altro ordinario, da svolgersi nel 2015, non hanno ancora sottoposto alcuna bozza di documento finale al Papa, al quale spetta in ogni caso la decisione su come utilizzare le proposte dei vescovi. Insomma, non c’è ancora alcun atto del magistero su cui costruire teorie circa presunte riforme o rivoluzioni in atto nella Chiesa.

predicazione del battista
Predicazione di Giovanni Battista, opera fiamminga del XVI secolo
Chi si rivolge all’opinione pubblica cattolica con senso di autentica responsabilità pastorale, come noi dell’Isola di Patmos, vuole riportare sempre i discorso al significato e al senso teologico degli eventi che caratterizzano la vita ecclesiale. Ma la vera teologia ha come unico punto di riferimento il dogma: non solo per interpretarlo con ipotesi di vario tipo — storiografico, logico, metafisico — ma innanzitutto per precisare razionalmente qual è e dov’è effettivamente il dogma – la verità da credere da parte di tutti senza distinzione di cultura e di orientamenti pastorali — che in ogni momento viene enunciato formalmente dal magistero ecclesiastico. Anche questa funzione di rilevamento dei contenuti e dei limiti del dogma è un lavoro che richiede un livello propriamente scientifico. Quando non ci si colloca a questo livello, le affermazioni dei teologi e anche di singoli vescovi circa i pretesi mutamenti della dottrina della fede sono prive di serietà e sono facilmente infettate da ideologismi di varia natura, con grave danno per il mantenimento e l’incremento della fede nel popolo cristiano.

Proprio perché consapevole della gravità di questa problematica ecclesiale ho aderito volentieri all’iniziativa di padre Ariel S.fides et ratio Levi di Gualdo  di dar vita all’Isola di Patmos, portando “in dote” la idee e le realizzazioni della mia Unione Fides et ratio per la difesa scientifica della verità cattolica. L’Unione opera infatti per promuovere una migliore conoscenza della fede cattolica e una più fedele adesione al magistero della Chiesa, che della fede è interprete infallibile in ogni momento storico e in ogni congiuntura pastorale. L’aggettivo “apostolica” intende poi qualificare l’Unione come lavoro svolto da cattolici che avvertono la responsabilità — propria di ogni battezzato — di partecipare, ciascuno secondo le sue competenze e la sua personale vocazione, all’unica missione della Chiesa, che Cristo ha voluto «una, santa, cattolica e apostolica». Per volere di Cristo, infatti, spetta ai vescovi ― insigniti del carisma della successione apostolica, nell’unità del collegio episcopale presieduto dal Papa ― il dovere di custodire, trasmettere, interpretare e annunciare infallibilmente la rivelazione di Cristo, il Figlio di Dio che il Padre ha inviato nel mondo perché «tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità»; ai presbiteri spetta poi il compito di lavorare nel campo del Signore come «generosi coadiutori dell’ordine episcopale» (cfr Conc. ecum. Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis, 2, 7; costituzione dogmatica Lumen Gentium, 28; decreto Christus Dominus, 15; Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodalePastores Gregis, 47); infine, a tutti i fedeli, compresi i laici, il cui ruolo ecclesiale specifico è di «santificare dal di dentro le strutture temporali» (cfr costituzione dogmatica Lumen Gentium, 31; Costituzione pastorale Gaudium et spes, 53; decreto Apostolicam actuositatem, 31), spetta la testimonianza della fede della Chiesa e la sua propagazione in ogni ambito della società umana, avvalendosi di una adeguata formazione teologica, unita alla loro specifica competenza professionale.

Layout 1
Dagli atti dell’ultimo convegno
Quanto alle specifiche finalità apostoliche dell’Unione, che opera per la difesa scientifica della verità cattolica, la dizione “verità cattolica” serve a chiarire che la fede della Chiesa: fides quae ab Ecclesia creditur, è per ciascun credente la verità in senso assoluto, in quanto “parola di Dio”, rivelazione soprannaturale, comunicazione a noi uomini dei misteri della salvezza da parte di Chi «né si inganna né può ingannare altri», essendo Colui che ci ha creati per amore, e poi, dopo il peccato dei progenitori, nella sua misericordia ci ha redenti con la vita, morte e resurrezione del Figlio. L’aggettivo “cattolica” , in particolare, vuole sottolineare due aspetti importanti: il primo è che l’Unione ha come unico fine di servire sul piano scientifico la verità rivelata da Dio in Gesù Cristo e proposta dalla Chiesa cattolica con il carisma dell’infallibilità; il secondo è che l’apostolato promosso dall’Unione parte dal presupposto che la missione della Chiesa è rivolta al mondo intero (katà holon), proprio perché la verità rivelata è destinata a tutti gli uomini ed è riconoscibile come tale da ogni uomo cui venga adeguatamente annunciata, indipendentemente dalle sue circostanze personali di età, cultura ed esperienze: la verità rivelata trascende infatti ogni particolarismo e non muta con il mutare delle contingenze storiche.

Chiarisco infine che cosa intendo per “difesa scientifica”. Nessuno può ignorare che la fede cattolica è oggi sotto attacco: non solo ad opera delle tradizionali forze ideologiche che dall’esterno contestano la sua pretesa di essere la completa e definitiva rivelazione della verità che salva — alludo all’ebraismo, al paganesimo come religione di Stato nell’Impero romano, alla filosofia ellenistica anticristiana di Celso, all’Islam, al deismo illuministico, alla Massoneria, al comunismo ateo, allo scientismo neopositivistico, all’irrazionalismo vitalistico, al razionalismo critico —, ma anche ad opera di quelle nuove forze ideologiche che agiscono all’interno, interpretando la fede cristiana con schemi concettuali erronei o inadeguati i quali finiscono per annullarla proprio come verità; e qui mi riferisco al modernismo teologico e alle varie forme del relativismo dogmatico.

Livi Benedetto XVI
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI incontra i membri del Senato Accademico della Pontificia Università Lateranense, a sinistra Antonio Livi all’epoca decano di filosofia, al centro il Vescovo Rino Fisichella, all’epoca magnifico rettore.
Discutere le false ragioni degli uni e degli altri― una discussione che deve essere pacate e serena, priva di passione ideologica ma non priva di sincero e ardente amore per la verità rivelata ― è un diritto e ancor più un dovere per il cristiano che abbia competenza filosofica, come io ritengo di avere. La difesa (apologia) della fede cristiana è peraltro una pratica nata con il cristianesimo stesso; e i primi apologisti che la storia del cristianesimo annovera tra i “padri della Chiesa”, sia di Oriente che di Occidente, furono dei filosofi (si pensi a Giustino martire), i quali si sentirono obbligati, in virtù della loro ferma convinzione razionale che il cristianesimo fosse la «verità definitiva», a smentire le false ragioni addotte da quanti allora pretendevano di negare che la dottrina cristiana fosse la rivelazione divina dei misteri della nostra salvezza. Oggi, come forse mai in passato, è compito irrinunciabile dei filosofi cristiani smentire ― con argomenti razionali, che in definitiva vanno ricondotti alla logica aletica ― le false ragioni da sempre ossessivamente riproposte da chi nega l’origine divina della dottrina cristiana o addirittura pretende di dimostrare che “dottrina” propriamente non è (anche se conoscono la Scrittura, nella quale si legge che Cristo ha detto: «La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha inviato» [cfr Gv 7, 16]).

senso comune
La filosofia del senso comune
Inoltre parlo di una “difesa scientifica” nel senso di una difesa basata su argomenti razionali rigorosi, argomenti che in definitiva ― come ho detto prima ― vanno ricondotti alla logica aletica (che è la logica filosofica in quanto capace di accertare le condizioni di possibilità della verità in ogni situazione conoscitiva), che, essendo il campo filosofico di mia specifica competenza, mi dà la fondata speranza di poter contribuire agli scopi apostolici cui accennavo. E non si pensi che sia arbitrario riferirsi alla filosofia quando si parla di “scienza”; infatti, nel linguaggio epistemologico classico, e anche in quello moderno da me adottato, il sostantivo “scienza” non è da intendersi in senso riduttivo, come riferito unicamente alla teorie fisico-matematiche o biologiche (questo è l’errore epistemologico dello scientismo), ma come sinonimo della conoscenza per inferenza in generale, ivi comprese (e al vertice) la metafisica e la logica. Infatti il mio testo fondamentale su questi argomenti (Filosofia del senso comune) ha come sottotitolo Logica della scienza e della fede. Lavoriamo allora per promuove allora studi e ricerche storico-critiche e filosofico-teologiche utili al perseguimento di alcuni obiettivi concreti:

la divulgazione in ogni ambito della società della retta interpretazione della verità rivelata, quale si trova nei documenti della sacra Tradizione e nella sacra Scrittura, alla luce del magistero ecclesiastico, necessariamente considerato nella sua logica continuità (dalla dottrina degli Apostoli agli insegnamenti conciliari e pontifici più recenti, ivi compresa l’eventuale esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco nel 2015).
Anselmo
Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa
La promozione di una maggiore unità dei cattolici nella fede comune,fornendo a tutti i giusti criteri per distinguere, in qualsiasi contesto storico-culturale, la dottrina autorevolmente proposta dalla Chiesa come rivelazione divina ― dottrina alla quale ogni cattolico deve sempre prestare un assenso sincero e convinto ― dalle diverse ipotesi di interpretazione del dogma che possano essere proposte dalle scuole teologiche o da singoli teologi, ipotesi che nulla possono aggiungere e nulla debbono togliere all’unica verità che salva;
La creazione di un nuovo clima culturale, nella Chiesa, che possa garantire ― una volta assicurata quella solida base di unità nella fede di cui sopra ― l’effettivo esercizio della libertà di opinione dottrinale e di scelte pastorali, nella consapevolezza che il pluralismo, sia teologico che pastorale, è non solo legittimo ma anche necessario ai fini dell’intellectus fidei, ossia come esigenza della fede stessa, la quale non cessa mai di ricercare nuovi e più efficaci modi di penetrare nelle profondità della verità rivelata («fides quaerens intellectum»), anche in vista di una sempre più feconda applicazione di essa alle diverse circostanze della vita personale e delle strutture sociali (inculturazione della fede).

Di conseguenza, una sorta di “demitizzazione” della teologia professionale allo scopo di sdrammatizzare le differenze di orientamento dottrinale tra diverse scuole e diversi protagonisti del dibattito pubblico, rendendo consapevoli i fedeli che non hanno senso le reciproche accuse di infedeltà allo Spirito e i reciproci sospetti di eterodossia, perché indubbiamente Dio vuole che tutti noi, nella Chiesa, combattiamo nel solo nome della verità, dell’unica verità della fede cattolica, la quale viene prima di ogni scelta di campo nell’ambito culturale e teologico. Infatti, solo ciò che è definito dogmatico dalla Chiesa può essere identificato con ciò che «sempre, ubique et ab omnibus» è stato creduto (Tradizione) e soprattutto con ciò che oggi e anche in futuro può essere creduto «semper, ubique et ab omnibus» proprio in quanto è la verità rivelata da Dio in Cristo: verità che nel suo nucleo nozionale è e deve restare accessibile a tutti (comprensibile sulla sola base del “senso comune”) e proprio per questo trascende la varietà infinita delle legittime interpretazioni, tanto dei tradizionalisti quanto dei progressisti.
elefante
il peso dell’equilibrio, non è facile, ma è possibile …
Sono consapevole che il perseguimento di siffatti obiettivi richiede un assai difficile equilibrio: tra il dovere dell’obbedienza agli orientamenti pastorali che i legittimi Pastori forniscono a tutto il corpo ecclesiale e la corrispondenza alla vocazione personale di ciascuno nella Chiesa; tra la fedeltà all’unica verità rivelata e la necessità di ricercare sempre nuove vie per l’evangelizzazione; tra la rispettosa accettazione dei diversi carismi e delle diverse opzioni pastorali degli altri fedeli e la passione per le proprie scelte, maturate sulla base della propria lettura dei «segni dei tempi» e sulla scorta della propria esperienza di vita. Ma sono convinto che tale equilibrio è assicurato proprio dalle regole di razionalità integrale suggerite dalla logica aletica e che da anni sono impegnato a illustrare sul piano, appunto, del rigore scientifico nel rilevamento dei dati e nell’argomentazione. Assieme a padre Giovanni Cavalcoli e Arie S. Levi di Gualdo sono certo di poter proseguire efficacemente su questa strada, al servizio della comunità ecclesiale.

http://isoladipatmos.com/stiamo-lavorando-per-voi-contro-il-sinodo-dei-media/

commemorazione dei defunti in domenica

Come celebrare la liturgia quando il 2 novembre, commemorazione dei defunti, cade di domenica





Matera, chiesa del Purgatorio
Quest'anno il giorno 2 novembre è domenica. Il problema liturgico che si pone è il seguente: la liturgia romana dal 1969 in qua prevede che nonostante sia il Giorno del Signore, per opportunità pastorale e devozionale del Popolo, anche se è domenica si celebri la Messa della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Certo non è la prima volta che capita: dal 1969, anno di entrata in vigore del nuovo messale, l'occorrenza si è ripetuta però solo 6 volte: nel 1975, 1980, 1986, 1997, 2003, 2008. Il 2014 segna la settima occasione. Questa coincidenza, come ben si sa, era assolutamente proibita nei tempi (bui) preconciliari, dove la domenica era sempre e comunque il giorno della Risurrezione. Vi si potevano sovrapporre altre feste, ma non la "ricorrenza dei morti" e nemmeno una normale messa funebre. La Missa pro defunctis, inoltre, con il suo carattere marcatamente penitenziale, non si addice proprio alla giornata domenicale. E così, per chi tuttora celebra nella forma straordinaria, il giorno della commemorazione dei defunti viene spostato al 3 novembre.

Comunque sia, le rubriche del Messale attuale sono inoppugnabili:
a) Il 2 novembre, la Commemorazione dei defunti prevale sulla domenica del Tempo Ordinario

Si deve perciò presumere che quest'anno la liturgia del giorno domenicale sia completamente sostituita da quella del santorale. E invece no. L'ufficio divino rimane quello della domenica XXXI del Tempo Ordinario, solo la Messa cambia (come precisa la rubrica apposta al 2 novembre nella Liturgia delle Ore). E già qui i preti iniziano a fare un po' di confusione, anche perché le norme liturgiche affermano che, nel caso si celebrino lodi o vespri col popolo, allora in quel caso si possono fare dall'Ufficio dei defunti. Da soli no, in compagnia sì.

Ma come se non bastasse ci sono altri dubbi: essendo Domenica, si deve dire il Gloria anche in una messa per i morti? La risposta logica dovrebbe essere no, infatti il formulario della Messa per i defunti non prevede il Gloria (come non è previsto nelle domeniche di Quaresima...).
E il Credo? La Messa dei defunti non lo prevede, perché di solito è celebrata in giorni feriali, ma in Domenica il Credo si dice sempre, anche nei tempi penitenziali, quindi ci andrà - suppongo io - ma il libretto "Ordo missae celebrandae" per la Chiesa universale, il vademecum di ogni prete che vuol sapere cosa celebrare e come ogni giorno dell'anno, indica che né il Gloria, né il Credo vanno eseguiti ... (di solito indica sempre se sono da dire sia l'uno che l'altro).


Quanto al colore: il nero è il colore che la tradizione - fino ad oggi - riserva per la celebrazione dei defunti. Ma usare il nero in giorno di domenica non può assolutamente essere fatto passare come qualcosa di tradizionale, mai fino al 1975 si era celebrata la ricorrenza dei morti nel giorno del Signore, dopotutto, e il nero di domenica era inammissibile. Adesso invece, l'Ordo, per domenica prossima dice "viola o nero". Dunque, almeno quest'anno, per il 2 novembre sarebbe meglio ricorrere all'opzione del Messale Romano che prevede di poter usare il violaceo nelle messe dei defunti. Colore che viene tradizionalmente assunto anche nella messa "tridentina" quando si celebrasse pro defunctis in una chiesa in cui c'è l'esposizione eucaristica.



Per il giorno commemorativo dei defunti, infine, sono previsti tre formulari diversi (con relative diverse letture) per i sacerdoti che vogliano (o debbano) celebrare fino a tre volte la Santa Messa (OGMR 204). Essendo domenica, i preti che dovessero binare o trinare una "missa cum populo", come si dovranno comportare? Secondo le norme tradizionali se celebravano in chiese differenti potevano sempre usare il primo formulario, se nella stessa chiesa, allora dovevano usare prima il primo, poi il secondo e infine il terzo formulario. Ma a quei tempi durante le messe per i defunti non c'era mai la predica. Oggi che deve esserci - perché è pure domenica - e dovrebbe essere anche agganciata alla liturgia della Parola, dovranno i cari parroci prepararsi non una ma ben tre diverse omelie? Anche questo non è specificato.

PS. Da un breve controllo, vi posso già comunicare che la prossima coincidenza tra Domenica e Commemorazione dei fedeli defunti avverrà solo nel 2025


Testo preso da: Come celebrare la liturgia quando il 2 novembre, commemorazione dei defunti, cade di domenica http://www.cantualeantonianum.com/2014/10/come-celebrare-la-liturgia-quando-il-2.html#ixzz3Hdv68TG0
http://www.cantualeantonianum.com 

mercoledì 29 ottobre 2014

Halloween

VESCOVO Camisasca: 

«La Festa dei Santi 

non può essere in nessun modo

sostituita da Halloween»


siti di alcuni quotidiani parlano di “scomunica”, calcando indebitamente la mano sulla decisione della Diocesi di Reggio Emilia Guastalla di non concedere il castello di Rossena, di sua proprietà, per lo svolgimento della festa in programma per la notte di Halloween. La festa era stata organizzata dal Ctg (Centro turistico giovanile), nato «in seno alla gioventù italiana di Azione Cattolica». Dopo le proteste di don Ennio Munari, parroco della Roncina e assistente spirituale della Ctg, che si è detto all’oscuro di tutto, è intervenuto il vescovo don Massimo Camisasca. La festa è stata annullata. Ecco il suo comunicato apparso sul sito della Diocesi e firmato da Camisasca.

Ci avviciniamo a due giorni importanti per i cristiani, ma più in generale per tutto il nostro popolo: la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti, 1 e 2 novembre. Sono due giorni a cui la nostra gente guarda da tutto l’anno. Nei santi, sia quelli che vivono in cielo, sia quelli che vivono sulla terra, vediamo persone vere, realizzate, perché interamente dedicate a Dio e al bene dei loro fratelli. Nei nostri defunti, per cui preghiamo e a cui ci lega una profondo vincolo di gratitudine e di affetto, riconosciamo coloro che ci hanno preceduto e che ci attendono.
La Festa dei Santi è una festa di gioia e di luce. Quella dei morti è una giornata di mestizia serena, consapevole che non tutto finisce, ma che c’è una vita oltre la vita. Le nostre comunità sono chiamate a celebrare questi giorni con particolare attenzione e profondità. In modo speciale la Festa dei Santi non può essere in nessun modo sostituita da Halloween. Come ricorda il recente documento dei vescovi dell’Emilia-Romagna su “Religiosità alternativa, sette e spiritualismo”, in quelle celebrazioni pagane si festeggiano “una zucca vuota illuminata al suo interno, fantasiosi fantasmi e folletti, immaginari mostri, streghe e vampiri”. Il diffondersi di Halloween mostra che le nostre comunità hanno spesso perduto il senso della festa e anche l’occasione di far festa intorno agli eventi della vita di Gesù e dei santi. Occorre riscoprire la gioia della fede. Perché questo possa accadere è necessario che la fede torni ad essere un’esperienza viva, consapevole, capace di dare forma alla vita. È ciò che la diocesi si propone di aiutare a vivere nell’anno pastorale che comincia, dedicato alla fede della Chiesa.


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martedì 28 ottobre 2014

L’arcidiocesi di Udine contro la linea Kasper

SINODO, LA DIOCESI DI UDINE SI SCHIERA 



L’arcidiocesi metropolitana di Udine – Chiesa patriarcale sub-apostolica in quanto continuazione sotto altro nome dell’antichissimo patriarcato di Aquileia (la fondazione risale all’evangelista Marco discepolo di san Pietro) di cui l’arcivescovo udinese è erede, ne porta, ad es., tuttora l’abito rosso patriarchino – ha preso posizione sul tema oggetto del Sinodo ribadendo la dottrina di sempre e così sconfessando la linea Kasper-Forte.

Intervistato da Francesco Dal Mas sul settimanale diocesano La Vita Cattolica monsignor Guido Genero, vicario generale dell’arcidiocesi udinese e illustre docente presso il locale Studio teologico, ha posizionato la diocesi friulana decisamente nel campo di quanti si oppongono alla linea Kasper.

Riportiamo il testo integrale dell’intervista significativamente intitolata Speciale Sinodo. Adulteri senza Comunione:

Mons. Genero, partiamo dal tema più dibattuto in questi giorni: la comunione dei separati e dei divorziati. Sono molti a chiederla?
In verità no. Tanti, infatti, sanno di essere in situazione di peccato e nelle condizioni, magari, di non porvi rimedio, per cui neppure avanzano la richiesta di poter accedere al banchetto eucaristico. È una sofferenza, in ogni caso, che va compresa.

La comprensione fino a che punto può arrivare? Ossia, si può chiudere un occhio sulla verità, sulla dottrina?
No, se vogliamo rispettare il Vangelo ed il magistero. Ogni sacramento presuppone la freschezza del battesimo e della cresima che si acquista con la santa confessione. Anche quello dell’eucarestia. Ciò che troppo spesso si dimentica. E non soltanto da parte di chi compie adulterio, ma anche di chi bestemmia. Il sabato sera, in bar, si oltraggia Dio, la domenica, alla Messa, ci si accosta all’altare. Si compie un doppio peccato.
 
Sono norme comportamentali perfino banali, che ogni cristiano dovrebbe rispettare. Invece, appunto, si chiude un occhio, talvolta anche due. Lei parla di adulterio. Questa situazione, evidentemente di peccato, è ormai una prassi. Immaginarsi se viene confessata e, quindi, se di essa ci si pente.
Un cristiano dovrebbe farlo. Ma per riprendere il tema della comunione ai separati e ai divorziati, che è ammessa, si pone il passaggio obbligato della purificazione, quindi della confessione.

La confessione, a sua volta, presuppone la richiesta di perdono. E il perdono lo si riceve se si volta pagina, se si rinuncia alla condizione di peccato. Quindi?
Quindi un separato o un divorziato per comunicarsi ha bisogno, come qualsiasi altro peccatore, di confessarsi e se lo fa vuol dire che è disposto a cambiare vita. Questo che cosa significa? Che deve rinunciare alla convivenza che, molto probabilmente, ha in atto. Lo fa? Bene. Ritorna, da pentito, al primo vincolo, il matrimonio sacramentale (se lo ha celebrato). O ad una situazione di non vincolo.

Ma di solito non capita.
Appunto. Si pretende la comunione, e magari l’eventuale assoluzione nell’eventuale confessione, continuando nella situazione di peccato.

Nel caso del vincolo sacramentale del matrimonio la situazione si complica perché non siamo in presenza di una colpa solo personale…
Appunto. Non è il caso del peccatore che confessa una colpa solo personale e viene assolto personalmente dopo aver chiesto perdono. Il sacramento del matrimonio è un vincolo che coinvolge due persone. Ed è per questo che fin dalle pagine del Vangelo si sostiene il presupposto dell’unicità, della fedeltà e dell’indissolubilità.

In situazione di peccato si trovano anche coloro che convivono?
A rigor di logica (evangelica) sì. Anche se non hanno contratto vincolo. Ma lo dovrebbero fare.

Si è molto sentito parlare nei giorni di pre Sinodo di creatività pastorale nell’approccio con le situazioni di sofferenza?
Si è fatto cenno anche autorevolmente alla creatività. Sinceramente non capisco che cosa si intenda affermare nello specifico. Nella testimonianza del Vangelo non è possibile essere molto creativi. Gesù, ad esempio, condanna per ben cinque volte l’adulterio. Quindi da un punto di vista sacramentale non sono possibili le mediazioni. Sul piano pastorale, invece, è doverosa la vicinanza con le donne e gli uomini che si trovano in condizioni di sofferenza.

pellegrino verso il cielo

Commemorazione dei fedeli Defunti



L’opera più efficace per il suffragio dei cari Defunti è la Santa Messa accompagnata poi, naturalmente dalle opere di carità, che sono gesti concreti, e ricevere l'Eucaristia in uno stato di grazia, cioè, dopo essersi pentiti dei propri peccati e ben confessati.
Il perchè è presto detto: "Dio ha mandato nel mondo il suo unico Figlio, perché noi abbiamo la vita per mezzo di lui". (1Gv 4, 9)
Per alleviare le pene delle Anime sante del Purgatorio, è sufficiente quindi che noi facciamo alcune opere che a noi costano poco, ma a loro apportano un vantaggio immenso. La Messa apporta grande refrigerio a quelle povere anime.
Si legge che San Gregorio con una sola Messa liberò una volta tutte le Anime del Purgatorio. Ed è certo che ad ogni Messa un gran numero di quelle anime se ne salgono al cielo, diventando nostri intercessori.
Un secondo mezzo per suffragare le Anime del Purgatorio è la recita del santo Rosario. Quando noi recitiamo la corona di Maria Santissima per qualche anima, quell'anima sente quasi smorzare le ardenti fiamme che la circondano, e prova invece un refrigerio di Paradiso. Spesso, quando si dice il Rosario durante la veglia ad un moribondo, è stato raccontato da molti Santi che molte Anime - non macchiate di gravi peccati - attraverso il Rosario ricevevano persino una immediata santificazione in punto di morte. Affrettiamoci, dunque, a suffragare queste anime, specialmente le più abbandonate, dimenticate. Affrettiamoci, poiché quell'anima abbandonata potrebbe essere l'anima anche di qualche nostro caro defunto dimenticato (così insegnava sant'Annibale M. di Francia).
Le Anime del Purgatorio non possono pregare per se stesse (vedi qui). Ma possiamo farlo noi in loro favore. Se a loro non è permesso aiutarsi, a noi è imposto di soccorrerle.
È un dovere, è un obbligo di carità. Le Anime del Purgatorio sono nostro prossimo non meno di quanto erano in questa terra; e come nostro prossimo dobbiamo interessarci del loro stato e sollevarle. Cresce poi quest'obbligo quando si riflette sulla facilità con cui possiamo giovare alle Anime del Purgatorio.
Dunque, è la Santa Messa il suffragio più diretto e immediato.
Il perchè è comprensibile: Gesù vivo e vero viene donato al Padre nel Suo immenso Sacrificio, per la loro e nostra salvezza. Ogni Anima alla quale suffraghiamo per mezzo dell'Eucaristia non solo è un Anima che si beatifica, ma della cui beatificazione noi usufruiamo delle immense grazie.
Tutta la catechesi  della Chiesa è piena di fatti, racconti e storie che ci danno prova di questa realtà.
Gesù Cristo ha detto: «Con la misura con la quale misurate gli altri, sarete misurati anche voi» (Mt 7, 2).
Se oggi noi chiudiamo il cuore alla pietà, se oggi lasciamo in abbandono tante anime che aspettano i nostri suffragi, Dio, che è giusto, permetterà che anche noi siamo dimenticati. Provvediamo, dunque, ai nostri spirituali interessi. Il tempo passa rapidamente, la morte si avvicina. Ricordiamoci dei nostri antenati, dei nostri parenti; solleviamoli con preghiere, Messe, elemosine e opere buone.
Oltre alla Messa Ordinaria che possiamo (e dobbiamo) offrire in Suffragio delle Anime dei Defunti, c'è una pratica poco conosciuta, sempre appoggiata dalla Chiesa che vogliamo condividervi e proporvi.
LE SS. MESSE GREGORIANE
Tutti ne hanno sentito parlare, pochi sanno a chi rivolgersi per farle celebrare.
Si tratta della celebrazione ininterrotta di trenta SS. Messe a suffragio di un'Anima del Purgatorio.
La pia pratica è nata così. Un monaco del Convento di S. Gregorio Magno aveva accettato, senza il consenso del superiore, tre scudi d'oro da un suo beneficato: mancanza gravissima contro il voto di povertà, professato dai monaci, per la quale era incorso nella pena di scomunica. 
Essendo il monaco deceduto poco tempo dopo, S. Gregorio, per dare una lezione esemplare a tutta la Comunità monastica, non solo continuò a lasciarlo nella scomunica, ma lo fece seppellire fuori del Cimitero comune, gettando nella sua fossa i tre scudi d'oro. Qualche tempo dopo, preso da compassione, il Santo chiamò l'economo del monastero e gli disse: «Il nostro confratello è tormentato dalle pene del Purgatorio: incomincia subito per lui la celebrazione di trenta SS. Messe, senza interromperla».
Il monaco ubbidì; ma, per le troppe occupazioni, non pensò a contare i giorni. Una notte, gli apparve il monaco defunto e gli disse che se ne andava al Cielo, libero dalle sue pene. Si contò allora il numero delle SS. Messe celebrate in suo suffragio e si trovò che erano precisamente trenta.
D'allora invalse l'uso di far celebrare trenta SS. Messe per i Defunti, dette appunto Gregoriane dal nome di S. Gregorio Magno: uso che è tuttora in vigore nei monasteri benedettini e trappisti e che Dio con molte rivelazioni ha fatto conoscere essergli molto gradito (Dialoghi, IV, 10). Si può qui rispondere ad una critica facile a sentirsi: «Vedi, si dice, basta avere del denaro e te la cavi anche nell'altra vita. Certa gente fa di qua ciò che vuole e poi, con la celebrazione di Messe, si compra anche il Paradiso».
Sentite ora cosa risponde un'Anima del Purgatorio: «Delle preghiere della terra, in Purgatorio si riceve solo quel tanto che Dio vuole che ciascun'anima riceva secondo le disposizioni meritate. E' un nuovo dolore aggiunto agli altri per queste povere Anime: il vedere cioè che le preghiere che si fanno per la loro liberazione, vengono applicate a chi ne è più degno. Il sollievo di ciascun'anima dalle pene è proporzionato al suo merito.
Le une ricevono di più, le altre di meno, ma la giustizia stessa del Signore provvede che proprio attraverso la Messa in Suffragio per le Anime del Purgatorio, i suoi benefici possano raggiungere anche le Anime più dimenticate. Ma è sempre bene sfruttare il dono delle trenta Messe nominative le quali, contro quei trenta denari del tradimento, il Signore volle compiacersi di dare conforto e beatitudine alle Anime prigioniere: il Sacrificio perfetto dell'Amore contro la corruzione e l'avidità» (Manoscritto del Purgatorio).
Per chiedere le Trenta SS. Messe gregoriane, in Suffragio per l'anima di un Defunto, contattate Padre Mauro Persici O.P. info@sulrosario.org  al sitowww.sulrosario.org (vi ricordiamo che le offerte di queste 30 Messe sono usate per le opere di carità in alcune terre di missione dei PP. Domenicani e delle quale vi viene dato conto)

Perché riproporre il Dies iræ?perché quest'inno è un simbolo potente della dimensione del giudizio di Dio.Ne risulta chiaro, a leggerlo con serietà, che è decisamente meglio evitare di giudicare, se non si vuole entrare a proprio grande rischio nella sfera terribile del giorno cum vix iustus sit securus (cfr. Matteo 7,1-2: «Non giudicate, per non essere giudicati. Infatti con il giudizio con il quale avrete giudicato sarete giudicati e con la misura onde avrete misurato si misurerà a voi»). 
Il giudizio è una cosa seria, è un atto che spetta solo a Dio mentre a noi è dato di fare discernimento di ciò che è male per evitarlo, e di ciò che è bene per praticarlo.
Noi siamo chiamati a giudicare gli atti sbagliati, il peccato, a cominciare da noi stessi, dai nostri difetti, dai nostri peccati, ma nessuno può giudicare le intenzioni degli uomini, il cuore dell'uomo il quale, come rammenta San Paolo: " Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio." (1Cor.4,5)
Il brano, infine, non è una invenzione della dottrina cattolica come alcuni pensano. E' tratto dalla Scrittura, inizia con i versi del Libro di Sofonia 1,15-16 per poi dispiegare non solo il senso vero della giustizia che spetta solo a Dio, ma anche l'invocazione sincera alla Sua divina misericordia, così come conclude appunto l'inno: "Non sondo i tuoi decreti ma auspico per tutti il perdono, perché so bene che né io stesso né altri possiamo meritarlo. Così infine prevalga la tua misericordia..."
E' un Inno alla giustizia di Dio che richiama anche la pagine dell'Apocalisse: " Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano, 
tu che sei santo e verace,
non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?». (Apoc. 6,9-10)
Purtroppo da dopo il Concilio, con la Riforma Liturgica, non si è capito perchè questo Inno non viene più cantato, nè insegnato, subendo così una rottura inaudita non semplicemente con la Tradizione viva della Chiesa nella Comunione dei Santi in cielo, in Purgatorio, ma soprattutto una rottura con il giusto rapporto con Dio che ogni persona dovrebbe maturare, una rottura con il sacro e reverenziale sacro timor di Dio che è uno dei Sette Doni dello Spirito Santo, eppure è il più dimenticato, il meno invocato, il meno vissuto.
Ma nessun Documento ufficiale della Chiesa, neppure la Sacrosanctum Concilium hanno mai inteso togliere questo Inno di verità, lode, supplica, amor di Dio, è anche per questo che lo riproponiamo con la speranza che venga riscoperto e se ne faccia uso ai funerali, nelle commemorazioni per i Defunti, nella preghiera dei Fedeli.
Qui ve lo proponiamo in formato karaoke per meglio imparare la melodia più conosciuta giunta a noi oggi da questa Tradizione viva.

A seguire la meravigliosa Catechesi dottrinale di Benedetto XVI sulla realtà della morte, davvero imperdibile!
- Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sybilla.


- Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.


- Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.


- Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.


- Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.


- Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.


- Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?


- Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.


- Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.


- Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.


- Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.


- Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.


- Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.


- Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.


- Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.


- Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.


- Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.


- Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.


- Huic ergo parce, Deus:
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.
***********************
- Giorno dell’ira sarà quel giorno
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da David e dalla Sibilla.
- Quanto terrore verrà
quando giungerà il giudice
a giudicare severamente ogni cosa.
- La tromba diffondendo un suono stupefacente
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al trono.
- La Morte si stupirà, e anche la Natura
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.
- Sarà portato il libro scritto
nel quale tutto è contenuto,
dal quale si giudicherà il mondo.
- E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.
- In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?
- Re di tremenda maestà,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.
- Ricorda, o Gesù pio,
che io sono la causa della tua venuta;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
- Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento patendo la Croce:
che tanta fatica non sia vana!
- Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.
- Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.
- Tu che perdonasti Maria di Magdala,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
- Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno.
- Assicurami un posto fra le pecore,
e tienimi lontano dai capri,
ponendomi alla tua destra.
- Smascherati i malvagi,
condannati alle aspre fiamme,
chiamami tra i benedetti.
- Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto in cenere,
prenditi cura del mio destino.
- Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.
- Perdonalo, o Dio:
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace.
Amen.



La Commemorazione di tutti i fedeli defunti - Udienza di Benedetto XVI 2.11.2011
Cari fratelli e sorelle!
Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli Defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno. Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.
Come già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.
Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo sco­priamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.
Perché è così? Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è igno­to. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.
Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.
Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente.
Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può an­che vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).
Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare sen­za alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.
Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie.

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