sabato 25 ottobre 2014

“Qualunque cosa ti senti di fare che ti fa star bene è buona”

L'oblio dell'ascesi (Osservazioni a margine del sinodo sulla Famiglia).



Nessuno che sia schiavo di desideri e di passioni carnali è degno

di avvicinarsi o di presentarsi o di offrire sacrifici a te, 

Re della gloria”.

(Preghiera offertoriale tratta dalla Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo).
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Quanto ho esposto nei post passati (particolarmente quello sulla religiosità psicologica e sulla religiosità spirituale), presuppongono che:

l’uomo per quanto formato da aspetti carnali (sensibili) e intellettuali, ha una realtà profonda, detta cuore o spirito, con la quale entra in contatto con la trascendenza divina e s’accorge di essa. Tale realtà spesso è nascosta a lui stesso.

È a partire da questa sua realtà più profonda che avvengono i più elevati fenomeni religiosi: è stata definita la Rivelazione, è stata esperita la Pentecoste, è stata fondata la Chiesa e si sono formati i santi. La realtà spirituale nell’uomo non disprezza quella carnale (sensibile) e quella intellettuale a meno che queste non presumano sostituirla. Essa sta su tutto un altro piano rispetto alle prime due.
Perciò, leggendo i testi mistici, ci si trova dinnanzi ad espressioni che, per la ragione intellettuale, appaiono contraddittorie, incomprensibili e inafferrabili.

Le antiche liturgie cristiane si sono formate tenendo ben presente la cosiddetta “esperienza nello Spirito” ossia l’attivazione, nell’uomo, della sua realtà interiore per opera della Grazia con la quale “nella luce [della grazia] si può vedere la Luce [di Dio]” (Cfr. Salmo 35).

La conseguenza di questi presupposti determina una mentalità per cui nella Chiesa è posto come esempio e valore solamente l’uomo che vive lo Spirito. L’uomo mosso solo dalla ragione intellettuale o da principi puramente umani non è l’oggetto principale della considerazione della Chiesa a meno di non confonderla con i luoghi che coltivano questo tipo di uomini come le accademie o le realtà umanistiche (1).

Compito dell’università è formare dei geni dell’intelletto poiché è su esso che questa istituzione fa leva; compito della Chiesa dovrebbe essere quello di formare geni dello spirito dal momento che essa dovrebbe far leva sullo spirito. Ne discende che come l'università sforna dei laureati, la Chiesa dovrebbe sfornare dei santi e questi, se sono veramente tali, dovrebbero mostrare con piena evidenza d’essere a contatto con il Divino, non con semplici principi ideali. Lo stesso calendario tradizionale cristiano assegna ad ogni giorno dell’anno la commemorazione di uno o più santi.

Se, al contrario, si dovesse esaltare qualcuno solo perché lavoratore, umanista, riformatore, compositore musicale o letterato (come si deduce dal calendario della "Chiesa" anglicana), saremo dinnanzi ad un Cristianesimo che non ha più rapporto con l’antica mentalità cristiana; è un Cristianesimo deviato (2).

Per giungere a livello del santo, ossia dell’uomo spirituale simile a Cristo, la Chiesa ha sempre indicato la porta stretta e la via impervia dell’ascesi: la natura umana non è perfetta di suo, al punto che la volontà umana tende all’oblio di Dio, chiudendo l’uomo in se stesso e spingendolo a cercare piaceri e godimenti.

La “conoscenza secondo la carne”, di paolina memoria, si appoggia sulla logica (anche di profitto) e sul piacere umano. La “conoscenza secondo lo Spirito”, sta agli antipodi di questa conoscenza mondana.

Per questo nella Chiesa non si esalta (o non si dovrebbe esaltare) la persona per il suo intelletto o per delle caratteristiche semplicemente umane, ma per i suoi doni spirituali. Se la Chiesa dovesse esaltare le persone solamente per dei motivi umani, sarebbe esattamente come tutte le altre istituzioni secolari. A questo punto non servirebbe più.

Nella cristianità occidentale attuale sta avvenendo una “mutazione genetica”: quello che fino a ieri era considerato tradizionale è dimenticato e dileggiato a vantaggio di concezioni puramente secolarizzate. Abbiamo molti segnali di ciò.

In questi giorni sto leggendo qualche articolo sul sinodo vaticano dedicato alla famiglia. Vedendo il suo andamento, qualcuno in rete ha fatto un’osservazione molto interessante: “Un sinodo teoricamente cattolico che parla di famiglia e matrimonio ma non dice niente sulla castità: il non plus ultra del grottesco”.

Questa frase lapidaria coglie quanto sta alla base di tutto: in Occidente l’aspetto ascetico del Cristianesimo tende totalmente a scomparire. Al posto di ciò – il cui senso, lo ripetiamo, è solo in rapporto a Dio – sono poste argomentazioni puramente umane.

Una di esse l’ho tratta dallo stesso sinodo, per bocca del card. Péter Erdő: “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale […] ?” (3).

Non ricordo alcun esempio in cui, nel passato della Chiesa, si ha cercato di valutare una persona per eventuali “doti e qualità” provenienti dal suo orientamento sessuale (omosessuale o eterosessuale che sia) (4). Al contrario, la persona era ritenuta cristianamente matura - quindi un esempio - nella misura in cui incarnava Cristo, l’uomo spirituale per eccellenza, e rifiutava l’uomo secolare o “secondo la carne”. Questo perché era chiaro che, se un tal uomo aveva delle doti o qualità a prescindere da Cristo, non sarebbe servito a nulla secondo il noto detto evangelico: “Chi non raccoglie con me disperde” (Mt 12, 30).

Tale principio evangelico dovrebbe valere maggiormente dinnanzi alle cosiddette “doti o doni” attribuiti all’orientamento sessuale.

Ad essere precisi, l’orientamento sessuale, di suo, non è in grado d’esprimere “doti o doni” in senso proprio. È piuttosto qualcosa di neutro, essendo una forza nella natura umana che, in quanto tale, può operare positivamente o negativamente a seconda di mille altre variabili che il card. Péter Erdő non pare affatto aver considerato, almeno in questo passo. Se s’inizia a considerare il modo in cui si usa la sessualità si spiega perché l’uso smodato della stessa con l’unico fine di trarre piacere personale è sempre stato considerato un disordine nel Cristianesimo, poiché, oltre a non avere una vera finalità, svia l’individuo dal percorso trascendente.

Qui inizia un discorso delicato e complesso. Qualcuno dice che la Chiesa è avversa alla sessualità in quanto tale. A me pare, piuttosto, che la Chiesa, almeno anticamente, è sempre stata avversa a qualsiasi cosa potesse distrarre l’uomo dal suo cammino ascetico, da una positiva tensione verso Dio. Per la Chiesa al momento della morte l’uomo è colto ed eternizzato nell’attitudine spirituale avuta fino a quel momento. Se l’uomo è colto in tensione verso il Cielo entrerà tra i beati, se è colto intento e totalmente assorbito in questioni terrene (pur con tutto lo zelo, i doni intellettuali e le qualità possibili), troverà il Cielo chiuso semplicemente perché gli ha voltato le spalle. “La carne non serve a nulla”, ricorda a tal proposito san Paolo o, ancora: “Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Gal 6, 8).

La sessualità è sempre stata vista come qualcosa che, più d’ogni altro aspetto, potrebbe distrarre l’uomo dal Cielo, al punto che lo stesso san Paolo, pensando che Cristo dovesse ritornare da un momento all’altro, tendeva a proibire le nozze tra i cristiani delle prime comunità. Sempre lui, che paragona la dedizione degli sposi a quella di Cristo verso la Chiesa, ritiene preferibile non sposarsi!

Da allora, la tensione tra l’obbedienza alle leggi di natura (con il matrimonio) e l’obbedienza alle leggi dello Spirito (con la castità per il Regno dei Cieli) ha da sempre contraddistinto la Chiesa. Si è pure giunti a predicare una castità all’interno dello stesso matrimonio essendo le leggi dello Spirito superiori a quelle di natura.

D’altronde, la Chiesa tradizionalmente sapeva che i mezzi della castità e del digiuno affinano la sensibilità spirituale e preparano il cuore all’incontro con Dio. Da qui il suo insistere su di essi poiché proprio perciò i puri di cuore potranno vedere Dio, secondo la nota beatitudine evangelica.

L’oblio di questi valori ha determinato dapprima una pesante ricaduta sul piano naturale, sulle cosiddette leggi di natura per cui si seguono solo le esigenze naturali, non essendo più chiare quelle spirituali, alla fine rifiutate. L’esempio ci può venire dallo stile di un certo ateismo etico.

A seguito di ciò, è avvenuta un’ulteriore ricaduta e una chiusura umana nella natura stessa a prescindere da ogni altra considerazione e a dispetto dell’evidente debolezza e malattia alle quali è soggetta la natura umana. “Qualunque cosa ti senti di fare che ti fa star bene è buona”, è il motto attuale. L’esempio è quello dell’edonismo attuale ampiamente entrato all’interno della stessa Chiesa.

Effettivamente ciò è potuto avvenire perché buona parte del Cristianesimo si è di fatto staccata dal contatto trascendente ed è rimasta intrappolata in se stessa, nelle supposte buone ragioni intellettuali. Non avendo più sensazione ed esperienza soprannaturale è rimasta con la sola natura (l’intellettualità, la sensibilità) ed è a partire da qui che sono discese tutte le altre conseguenze.

La dottrina tradizionale, che prevedeva l’ascesi, è rimasta in piedi ancora alcun secoli in Occidente riducendosi spesso a qualcosa di molto legale, meccanico e moralistico e che si può riassumere nel detto: “Fai questo ed avrai il premio del Paradiso”.

Oggi, dal momento che i cristiani hanno perso pure la tensione verso i fini ultimi (tra cui il Paradiso), anche l’ascesi si è persa per strada. Al suo posto s’è sostituita l’esaltazione della natura umana com’è, spesso prescindendo da quella voluta e restaurata da Cristo (oramai considerata utopistica) (5).

Se, dunque, una persona omosessuale ha doti e qualità che provengono semplicemente dalla sua omosessualità, come si può legittimamente desumere dall’osservazione della relazione del card. Péter Erdő nel sinodo vaticano, siamo ad un passo dalla mentalità del Gay Pride, dell’orgoglio per il semplice fatto d’essere omosessuali, dal momento che l’omosessualità (o la sessualità in senso lato) è considerata un valore per se stessa. Il logion paolino “La mia gloria è Cristo e Cristo crocefisso” sembra oramai incomprensibile e chiuso in un passato lontano.

Una Chiesa o un ambiente ecclesiale che predica questo o che semplicemente lo ipotizza non ha forse  strappato le sue radici dal terreno neotestamentario e dalla tradizione da esso discendente divenendo de facto un’antichiesa?
È veramente molto arduo negarlo.
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NOTE

1.   Si noti come, purtroppo, attorno a noi avvenga sempre più questa confusione. Sfuggendo il senso e il valore dello spirituale, la Chiesa si concentra sull’intelletto e molti suoi aderenti si fanno trascinare nella dolce vita in cui si titillano i sensi.
2.   Fu questo uno dei motivi per cui, quando papa Giovanni XXIII proclamò la festività di san Giuseppe “lavoratore”, il 1° maggio, ci furono diverse perplessità e qualche resistenza nel mondo cattolico.
4.   In questo mio commento non entro di proposito a considerare l’omosessualità nella dottrina tradizionale della Chiesa, poiché si aprirebbe un discorso troppo ampio per questo contesto e totalmente fuori tema per questo blog. Qui mi limito a considerarla nel quadro generale della sessualità umana in rapporto all’istanza spirituale o religiosa.

5.   Questo è così vero che pure nella stessa Chiesa non pochi pensano a Cristo come ad un uomo come tutti gli altri, con moglie o amante e possibili figli. Un uomo che, come tutti, ha conosciuto le passioni umane. Questo Cristo gnostico e secolarizzato avrebbe fatto accapponare la pelle ai padri della Chiesa, ossia a quelle autorità sulle quali dovrebbe fondarsi la dottrina della Chiesa odierna.

http://traditioliturgica.blogspot.it/2014/10/che-succede-quando-in-una-chiesa-non.html

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