giovedì 31 maggio 2012

SANT’ ANNIBALE M. DI FRANCIA

1 GIUGNO
SANT’ ANNIBALE M. DI FRANCIA

 

Nacque a Messina il 5 luglio 1851. Illuminato dalla Parola di Dio si adoperò con ogni mezzo nella diffusione del comando di Gesù di pregare il padrone della messe per il dono dei buoni operai. Ordinato sacerdote, svolse il suo apostolato dedicandosi alla redenzione morale e spirituale degli orfani e dei poveri di una delle zone più degradate della sua città. Fondò gli Orfanotrofi Antoniani e le Congregazioni religiose delle Figlie del Divino zelo e dei Rogazionisti del Cuore di Gesù. Morì a Messina il 1 giugno 1927.

Seconda lettura
Dagli «Scritti» di sant’Annibale Maria, sacerdote e fondatore
( Quaranta dichiarazioni e promesse, n. 21; vol. 44, pp. 129-130 )
Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe
Considererò che la Chiesa di Gesù Cristo è il grande campo coperto di messi, che sono tutti i popoli del mondo e le innumerevoli moltitudini di anime di tutte le classi sociali e di tutte le condizioni. Considererò sempre come la maggior parte di queste messi periscono per mancanza di coltivatori.
Sentirò il cuore trafitto da tanta rovina, specialmente per le messi che sono le nascenti generazioni. Mi immedesimerò delle pene intime del Cuore Sacratissimo di Gesù per tanta continua e secolare miseria, e ricordandomi della parola santissima di Gesù Cristo: «Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 38), riterrò che per la salvezza dei popoli, delle nazioni, della società, della Chiesa, e specialmente dei bambini e della gioventù, per l’evangelizzazione dei poveri e per ogni altro bene spirituale e temporale per l’umana famiglia, non vi può essere un rimedio più efficace e sovrano di questo comandatoci dal Signor nostro Gesù Cristo, quello cioè di scongiurare incessante-mente il Cuore Sacratissimo di Gesù, la sua Santissima Madre, gli Angeli e i Santi, perché il Santo e divino Spirito susciti vocazioni vigorose, anime elettissime, sacerdoti santi, uomini apostolici, novelli apostoli pieni di fede, di zelo e di carità per la salvezza di tutte le anime.
Dedicherò a questa preghiera incessante tutti i miei giorni e tutte le mie intenzioni, e avrò grande premura e zelo perché questo comando di Gesù Cristo Signor nostro, poco apprezzato finora, sia dovunque conosciuto ed eseguito; perché in tutto il mondo tutti i sacerdoti dei due cleri, tutti i prelati di santa Chiesa fino al Sommo Pontefice, tutte le vergini a Gesù consacrate, tutti i chierici nei seminari, tutte le anime pie, tutti i poveri e i bambini, tutti preghino il Sommo Dio, perché mandi senza più tardare operai numerosi e santi dell’uno e dell’altro sesso, nel sacerdozio e nel laicato, per la santificazione e la salvezza di tutte le anime. Sarò pronto, con l’aiuto del Signore, a qualunque sacrificio, anche a dare il sangue e la vita, perché questa «Rogazione» diventi universale.

Responsorio Lc 10, 2; Sal 61, 9
La messe è molta, ma gli operai sono pochi; pregate il Padrone della messe,
* perché mandi operai per la sua messe.
Confida sempre in lui, popolo: davanti a lui effondi il tuo cuore.
Perché mandi operai per la sua messe.

ORAZIONE     O Dio, speranza degli umili, rifugio dei poveri e padre degli orfani, che hai voluto scegliere sant’Annibale Maria, sacerdote, come insigne apostolo della preghiera per le vocazioni, per sua intercessione, manda nella tua messe degni operai del Vangelo, e fa che, mossi dal suo stesso spirito di carità, cresciamo nell’amore verso te e verso il prossimo. Per il nostro Signore.

mercoledì 30 maggio 2012

ermeneutica della discontinuità?

Come agisce la discontinuità? Con un discorso fluido e mai definitorio.
Parole nuove che velano l’antica Sapienza


Il compito di svelare le sorgenti non è solo del Poeta,
ma anche del Testimone.
E soprattutto del Maestro.

Dice il filologo: “La parola è come l'acqua di fonte, un'acqua che ha in sé i sapori della roccia dalla quale sgorga e dei terreni per i quali è passata”. Le parole hanno il loro peso e incidono nella comunicazione e quindi nella conoscenza nella misura in cui sono portatrici e veicolano tutto lo spessore della realtà che significano. Nella nostra epoca oscura e caratterizzata da confusione e disorientamento anche le parole hanno perso la loro pregnanza, non sono più feconde luminose e incandescenti del fuoco originario della Verità, ma diffondono il pallido chiarore lunare di un significato originario attenuato, diluito o spesso addirittura sovvertito. Molte di esse addirittura sono sparite dall'orizzonte della fede annunciata e trasmessa alle nuove generazioni. Basti pensare a termini come espiazione, vittima, sacrificio, redenzione.
    La studiata ma colpevole strategia modernista ha usato la dichiarata non-dogmaticità del Concilio Vaticano II come varco per introdurre nella Chiesa novità dottrinali attraverso la ‘pastorale’; con l'accortezza, quindi, di non intaccare de voce il Depositum fidei, ma operando de facto la sua mutazione attraverso un linguaggio affascinante e coinvolgente, sentimentale e soggettivista, centrato sull'uomo e sulla sua “nuova consapevolezza” della Chiesa, fondata sul personalismo e non più sulla Rivelazione. Un linguaggio non definitorio per scelta perché solo rimanendo in bilico sul dire e non dire si possono veicolare alcune interpretazioni piuttosto che altre.
    Ed è così che la Tradizione da viva perché evolutiva è diventata “vivente”, nel senso storicistico di cangiante a seconda delle contingenze che attraversa nel tempo. Il rischio, terribile, è che si usino le stesse parole per veicolare significati totalmente diversi: basti pensare al concetto di redenzione ad esempio... Se non si parla nemmeno più del peccato originale da che cosa da parte di Chi e in che modo avviene la nostra redenzione? Come possiamo conoscere e vivere che siamo stati riscattati a caro prezzo se persino dei vescovi possono affermare che "Cristo è morto solo per un grande atto di solidarietà" o che dobbiamo oltrepassare la concezione “doloristica” vista come eredità del Tridentino o della mistica medioevale; il che significa rinnegare la Croce e la sua dirompente forza, l'unica che scardina il Male dalle radici perché nasce da un "fiat" totalmente e liberamente orientato alla Volontà del Padre?

Riformare Roma con Roma
Il Concilio - fu proclamato e poi ripetuto - è stato indetto, non per condannare errori o formulare nuovi dogmi, ma per proporre, con linguaggio adatto ai tempi nuovi, il perenne insegnamento della Chiesa. La forma pastorale, cioè il rinnovamento del linguaggio dei metodi d’azione e di apostolato è diventata così la forma del Magistero per eccellenza. 
    Mentre nel corso dei secoli, la Chiesa “ha parlato al mondo con il linguaggio dei confessori senza macchia e senza paura, dei dottori inflessibili nelle loro controversie, dei martiri intransigenti nella testimonianza della verità, delle vergini immacolate nella loro fedeltà sponsale”, già nel periodo pre-conciliare negli ambienti accademici e anche in quelli mediatici si afferma il dominio della filosofia marx-hegeliana. Nel linguaggio comune appaiono termini mutuati da quelle idee immanentiste, quali “senso della storia”, “corso dei tempi”, “apertura e chiusura”, “liberazione e repressione”. Si afferma una visione dialettica che si esprime in nuove parole d’ordine: il “dialogo”, inteso come dissolvimento di ogni certezza e verità; la “coesistenza pacifica”, intesa come processo per disarmare psicologicamente l’avversario; lo “sviluppo” e l’“emancipazione” dei popoli, intesi come rifiuto di ogni autorità e tradizione del passato. La vera matrice ideologica del fenomeno è quella illuminista “del progresso inteso come marcia irreversibile e ascensionale dell’umanità per raggiungere una “felicità” sociale presentata come la trasposizione sulla terra del Paradiso celeste”.[1]
    È la cultura progressista degli anni Sessanta che ha esercitato il suo fascino anche su alcuni uomini di Chiesa, convinti della necessità di  cambiare atteggiamento nei confronti del mondo: rinunciare agli anatemi e alle condanne degli errori per cogliere il positivo della modernità. È la tesi di Yves Congar, che fu uno degli antesignani della distinzione tra i dogmi e la loro formulazione. Si attesta con lui la convinzione che la Chiesa, condannando gli errori, dalle eresie medievali fino al modernismo, aveva spento le istanze positive in essi presenti: le cosiddette istanze “esigenziali”. È da qui che nasce il proposito di cambiare la Chiesa dall’interno, mediante “una riforma senza scisma”. Si realizza il sogno modernista di Ernesto Buonaiuti: “Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero e difficile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic labor”.

Aprire la gabbia del linguaggio
Appare in tutta evidenza la prima immediata conseguenza: il cambiamento di linguaggio, e quindi di prospettiva, in cui la chiesa si pone. La chiesa si autocomprende al servizio della parola rivelata e come mediazione di essa nel mondo. La chiesa è pellegrina con l’uomo del suo tempo, per lui rappresenta la «compagnia della fede» nella ricerca della autentica volontà di Dio che spazia e agisce mediante il suo Spirito anche fuori i confini istituzionali della chiesa cattolica (LG 8: EV 1/304-307). GS 44. È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta. (EV 1/1461).
    Appare molto eloquente l'annotazione che fa Mons. Rino Fisichella, su L'Osservatore Romano del 21 gennaio 2011, a proposito della “Nuova evangelizzazione”, il cui dicastero egli aveva appena assunto:
« L'esigenza di un linguaggio nuovo, in grado di farsi comprendere dagli uomini di oggi, è un'esigenza da cui non si può prescindere, soprattutto per il linguaggio religioso così improntato a una specificità tale da risultare spesso incomprensibile. Aprire la "gabbia del linguaggio" per favorire una comunicazione più efficace e feconda è un impegno concreto perché l'evangelizzazione sia realmente nuova. »
In una successiva intervista al Corriere Fisichella pone come denominatore comune “tornare all'essenziale”, ma egli non pronuncia le parole chiare e forti di un Pastore che sa già quello che deve insegnare; ma piuttosto di uno che ‘democraticamente’ deve impararlo o scoprirlo insieme a movimenti et alii.
Del resto è questo il volto della Chiesa, oggi. Cosa potremmo aspettarci di diverso?

Tornare all'essenziale dovrebbe significare, invece, nella sostanza:
  1. tornare ad insegnare la retta dottrina della Chiesa (non più catechesi ridotte a incontri socializzanti o a cammini a tappe con contenuti giudeo-luterano gnostici, o manifestazioni di creatività sganciata da ogni regola);
  2. ritrovare la sacralità e soprattutto i ‘significati’ corretti della Liturgia, secondo le norme della Chiesa, perché è in essa che il Signore Opera e ci salva e ci trasforma; la Grazia del Sacramento della Penitenza dove ci attende l'inesauribile pazienza di Dio; l'insostituibile ricchezza dell'Adorazione.
  3. riscoprire il valore della testimonianza e della tensione etica... ma senza la Grazia che ci divinizza e che giunge a noi tramite i Sacramenti, non potremmo mai conoscere Cristo Signore e non potremmo vivere in maniera evangelica, perché è solo un cuore ‘redento’ dal Signore che compie le opere della fede, altrimenti si resta fermi a quelle della legge o, peggio, si vive senza punti di riferimento.
Le strategie e gli arcani del cammino neocatecumenale
Chissà come intendono “aprire la gabbia del linguaggio” dalle parti del Pontificio Consiglio per i Laici o della Congregazione per la dottrina della Fede a proposito del Direttorio Neocatecumenale appena approvato, coacervo di diversi volumi, del quale è legittimo affermare:  ...che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa, perché contiene l’Arcano e per questo non viene pubblicato! Può esistere una sorta di ‘catechismo’ cattolico non a disposizione di tutti i credenti che volessero conoscerlo o di chi aderisce al movimento che lo usa? Eppure molte diocesi hanno attuato la cosiddetta “conversione pastorale” a questo metodo chiavi in mano, nelle mani esclusive di iniziatori e catechisti, loro pedissequi ripetitori ed esecutori per quanto concerne le rigide ‘prassi’, persino quelle che violano il “foro interno” delle persone,  costrette a rivelare in pubblico i loro segreti più intimi.[2]
     Si usa il nuovo lessico per definire nuove prassi: la conversione  è ri-orientamento del cuore e della vita al Signore, mentre la CEI per conversione pastorale intende “cambiamento di rotta” in senso pastorale, cioè di prassi con la quale si vuole formare e condurre il popolo dei fedeli: significa che la Chiesa intende cambiare rotta e prassi? Ma, in questo caso, la “conversione” avviene nei confronti di un “metodo” – che fa di sé un assoluto e che purtroppo si identifica col Signore – non nei confronti del Signore.
    Riguardo alle sue catechesi e alle sue prassi, ad esempio, il Cammino neocatecumenale, continua a magnificare l'arcano, e conosciamo tutti la differenza tra “ascoltare” e “leggere”, che si continua a sottolineare, come se la “sorpresa” di ciò che accade ne giustificasse l'efficacia... ma non è lo Spirito che opera nell'annuncio? Che bisogno c'è di strategie, di metodi psicologici manipolatori o di arcani? Quello che conta è se nelle parole annunciate e nel cuore di chi le pronuncia c'è Verità che è una Presenza: quella del Signore... e allora le parole possono cambiare. Anzi, se sono parole autentiche non schemi rigidi, come accade in questa realtà ecclesiale, di fatto cambiano per ogni situazione a seconda del bisogno di chi ascolta, non del progetto di chi addottrina... E può esistere nella Chiesa cattolica una catechesi  ed una prassi che continua a rimanere ‘segreta’, ma è di fatto utilizzata per la “nuova evangelizzazione”? 
    L'insegnamento cristiano non è una dottrina né un fare gnostico e anche molto ebraico; è un incontro, un fatto, ma è soprattutto la narrazione e quindi la condivisione di un evento che le parole di Salvezza provocano per effetto dello Spirito e della buona volontà di accogliere e operano nella semplicità... non c'è bisogno di creare l'atmosfera, il clima, i canti, l'emozionalità esasperata, quei questionari, quella catechesi, quel percorso a tappe uguale per tutti, quei martellamenti... Se il cuore non assapora il Sacro Silenzio da cui le parole scaturiscono e nel quale prendono vita, gli ammaliati staranno tanto bene (momentaneamente, resta da vedere alla distanza), ma al cuore non succede nulla, rimane nella ‘morte’ anche se l'allegria lo frastorna, lo scuote e lo inganna.
 E neppure c'è bisogno di “Aprire la gabbia del linguaggio” per favorire una comunicazione più efficace e feconda e un impegno concreto perché l'evangelizzazione sia realmente nuova, come dicono i nuovi ‘guru’ dell'evangelizzazione che vanno per la maggiore.
   Si possono cambiare tutti i linguaggi del mondo, ma se nel comunicare dei parlanti manca la Parola Viva, che è il Signore (e che è quella che rende veri parlanti), allora c'è bisogno di trovare strategie comunicative e linguaggi nuovi... invece il linguaggio dell'Amore è uno solo ed è sempre quello. Servono solo veri parlanti portatori della Presenza del Verbo, che sappiano tirar fuori dal tesoro del loro cuore, per ogni situazione cose vecchie (la Rivelazione ricevuta) e cose nuove (l'attualizzazione necessaria per il momento che si sta vivendo), che il Signore ogni volta fa germogliare come “ruscelli d'acqua viva”, che portano la Sua Vita qualunque situazione e qualunque cuore ‘tocchino’.

Il problema dell'«ermeneutica»
Se la nostra fede cristiana - e cattolica - è rationabile obsequium ed è una fides quaerens intellectum, essa esige di essere pensata in termini teoretici, cioè in termini di verità essenziale. Invece il prassismo o il fenomenismo insiti nella pastorale conciliare non consentono – proprio perché tali – di pensarla in termini di verità.
    Per risolvere la dicotomia esistente nella Chiesa a questo riguardo molto dipende dal problema metodologico dell’approccio all'ermeneutica, così sentita e invocata da tutti, ma fortemente legata all'approccio ai testi conciliari e alle loro ricchezze e/o asperità secondo la forma mentis dell'interprete. Se non si acquisisce consapevolezza di questo, si rischia di protrarre i dibattiti all'infinito senza giungere a soluzioni condivisibili e finalmente condivise.
     In sostanza il problema su quali categorie di pensiero sono obiettivamente idonee ad argomentare per scoprire il vero empirico o essenziale o per pensare il vero accolto mediante la fede è già stato affrontato tanto dall’enciclica Pascendi, che pone a tema il nucleo filosofico del modernismo (individuato nell’agnosticismo fenomenistico), e successivamente dall'enciclica Humani generis, che sottolinea, contro la nuova teologia, l'inconciliabilità con il dogma cattolico dell'idealismo, dell'immanentismo, del materialismo e dlel'esistenzialismo. Inoltre l’enciclica Fides et ratio, al n. 83, afferma: « … Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione ».
       I dibattiti che si infittiranno in occasione del triennio di celebrazioni dei 50 anni del Vaticano II, a partire da ottobre 2012, al pari di quelli svoltisi finora, risulteranno prevedibilmente rigorosamente paralleli (apologeticamente acritici o criticamente propositivi) rischiando di protrarsi all'infinito e senza costrutto. L' asse principale intorno al quale girano tutte le discussioni è l'ermeneutica. Molti fedeli interpreti dello “spirito del concilio” insistono sulla impossibilità di dissociarsi e dunque opporre la lettera e lo spirito del concilio stesso perché, sostengono, ciò è coerente con l'opzione fondamentale che ha caratterizzato la sua forma di espressione “epidittica” cioè il suo “carattere pastorale”, che ha implicato l'uso di un linguaggio dialogico ed esortativo anziché “apodittico”, cioè dimostrativo. Si è privilegiata la ‘descrizione’ mettendo insieme una serie di elementi la cui coesione, alla fine, si rivela apoditticamente artificiale, estromettendo la ‘dimostrazione’ e quindi la ‘prescrizione’. Il risultato, paradossale, è che ora ci si trova di fronte ad un insieme che ha fatto della sua disinvolta ‘descrittività’ con intenti pastorali qualcosa di intoccabile e rigidamente prescrittivo. Un ingranaggio, che non esiterei a definire perverso e difficilmente smontabile finché ci saranno molti improvvidi custodi ad ungerne le ruote.
     Fermarsi ad una visione del genere porterebbe all'impossibilità di far chiarezza nella confusione, che ormai regna sovrana, anche perché chi ci è dentro mani e piedi neppure se ne accorge, anzi ci si avviluppa sempre di più.
     D’altra parte, se alcuni documenti e atti pongono problemi, perché vi sarebbe obbligo di ignorarli? Rilevare problemi significa incontrare domande che esigono risposte. Ogni opportunità per porre a tema fatti e questioni non può che essere considerata come pro-pizia per l’esigenza di intendere – e quindi di penetrare intellettualmente – andando al di là di ogni opinare. Cercare le risposte, in termini di verità – con sagacia ed con accuratezza, con generosità e con coraggio – costituisce, a ben vedere, l’unica strada autentica, ovvero razionale e teologale, per soddisfare l’esigenza di capire e quindi anche quella di rendere ragione, sotto il profilo storico filosofico e teologico, prima ancora che con le parole. [3]

Maria Guarini

1. Roberto de Mattei, Relazione al Convegno di Roma sul Vaticano II sotto il profilo storico - filosofico - teologico, 16-18 dicembre 2010
2. “Conversione pastorale” viene indicata dal Documento CEI per il primo decennio del nuovo millennio “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.  Un saggio significativo sul tema qui
3. Ibidem

vaticano - mondo

Chiesa cattolica: che cosa succede in Vaticano?

di Roberto de Mattei


Che cosa succede in Vaticano? I cattolici del mondo intero si domandano costernati qual è il senso delle notizie che esplodono sulla stampa e che sembrano rivelare l’esistenza di una guerra ecclesiastica interna alle Mura Leonine, la cui portata è artatamente ingigantita dai mass media. Però, se non è facile capire che cosa succede, si può tentare di capire perché tutto ciò oggi accade.

Non è privo di significato il fatto che l’autocombustione divampi proprio mentre ricorre il 50esimo anniversario del Concilio Vaticano II. Tra tutti i documenti di quel Concilio, il più emblematico, e forse il più discusso, è la costituzione Gaudium et Spes, che non piacque al teologo Josef Ratzinger. In quel documento si celebrava con irenico ottimismo l’abbraccio tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Era il mondo degli anni Sessanta, intriso di consumismo e di secolarismo; un mondo su cui si proiettava l’ombra dell’imperialismo comunista, di cui il Concilio non volle parlare.

Il Vaticano II vedeva i germi positivi della modernità, ma non ne scorgeva il pericolo, rinunciava a denunciarne gli errori e rifiutava di riconoscerne le radici anticristiane. Si poneva in ascolto del mondo e cercava di leggere i «segni dei tempi», nella convinzione che la storia portasse con sé un indefinito progresso. I Padri conciliari sembravano aver fretta di chiudere con il passato, nella convinzione che il futuro sarebbe stato propizio per la Chiesa e per l’umanità. Così purtroppo non fu. Negli anni del postconcilio, allo slancio verticale verso i princìpi trascendenti si sostituì l’inseguimento dei valori terrestri e mondani.

Il principio filosofico di immanenza si tradusse in una visione orizzontale e sociologica del Cristianesimo, simboleggiata, nella liturgia, dall’altare rivolto verso il popolo. La conversio ad populum, pagata a prezzo di inaudite devastazioni artistiche, trasformò l’immagine del Corpo Mistico di Cristo in quella di un corpo sociale svuotato della sua anima soprannaturale. Ma se la Chiesa volta le spalle al soprannaturale e al trascendente, per volgersi al naturale e all’immanente, capovolge l’insegnamento del Vangelo per cui bisogna essere «nel mondo, ma non del mondo»: cessa di cristianizzare il mondo ed è mondanizzata da esso.

Il Regno di Dio diviene una struttura di potere in cui dominano il calcolo e la ragion politica, le passioni umane e gli interessi contingenti. La “svolta antropocentrica” portò nella Chiesa molta presenza dell’uomo, ma poca presenza di Dio. Quando parliamo di Chiesa ci riferiamo naturalmente non alla Chiesa in sé, ma agli uomini che ne fanno parte. La Chiesa ha una natura divina che da nulla è offuscata e che la rende sempre pura e immacolata. Ma la sua dimensione umana può essere ricoperta da quella fuliggine che Benedetto XVI, nella Via Crucis precedente alla sua elezione, chiamò «sporcizia» e Paolo VI, di fronte alle crepe conciliari, definì, con parole inconsapevolmente profetiche, «fumo di Satana» penetrato nel tempio di Dio.

Fumo di Satana, prima delle debolezze e delle miserie degli uomini, sono i discorsi eretizzanti e le affermazioni equivoche che a partire dal Concilio Vaticano II si susseguono nella Chiesa, senza che ancora sia iniziata quell’opera che Giovanni Paolo II chiamò di «purificazione della memoria» e che noi, più semplicemente, chiamiamo «esame di coscienza», per capire dove abbiamo sbagliato, che cosa dobbiamo correggere, come dobbiamo corrispondere alla volontà di Gesù Cristo, che resta l’unico Salvatore, non solo del suo Corpo Mistico, ma di una società alla deriva. La Chiesa vive un’epoca di crisi, ma è ricca di risorse spirituali e di santità che continuano a brillare in tante anime. L’ora delle tenebre si accompagna sempre nella sua storia all’ora della luce che rifulge. 

Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-che-cosa-succede-in-vaticano/

PELLEGRINAGGIO A CHARTRES 2012

PELLEGRINAGGIO A CHARTRES 2012.

 
Notre Dame Cathedral, Paris.

 
Pilgrim priests
 and 
throngs of pilgrims.
 
 
Pilgrims of all ages
and especially
the young here kneeling.
 
 
Mass and Holy Communion
before they leave.
 
 
Pilgrims kneeling
before setting off.
 
 
The Standard of the Cross 
and Our Lady 
leading the thousands ever onwards.
 
 
Yes, we know these as they set out.

 
Procession to Mass in the fields.
 
 
A long procession.
 
 
Holy Mass.
 
 
and Communion
 
 
O Esca Viatorum ~ O Food of men wayfaring...
 
 
Through the fields
 
 
they pilgrimage onwards
an image of the Church pressing on through the ages
 
 
these fields saw pilgrims last century
 
 
and two hundred years ago pilgrims passed here ...
 
 
...five hundred years ago it was the same Church, doing the same thing ...
 
 
doing what their ancestors in the faith did 100 years before them
in 1400 A.D.... and 1300 A.D.
 
 
... in 1200 AD it was the same story of pilgrimage from Paris to Chartres;
the days of prayer and 75 miles on foot as penance for sins;
prayer and penance in action, 
a proclamation of the Kingship of Christ.
 
 
The Cathedral is packed with pilgrims.
 
 
Many are still quite young.

 
See how the Cathedral of Our Lady of Chartres is overflowing with them...
 
... e mostraci dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del Tuo seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. 


vaticano - mondo

Chiesa cattolica: che cosa succede in Vaticano?

di Roberto de Mattei


Che cosa succede in Vaticano? I cattolici del mondo intero si domandano costernati qual è il senso delle notizie che esplodono sulla stampa e che sembrano rivelare l’esistenza di una guerra ecclesiastica interna alle Mura Leonine, la cui portata è artatamente ingigantita dai mass media. Però, se non è facile capire che cosa succede, si può tentare di capire perché tutto ciò oggi accade.

Non è privo di significato il fatto che l’autocombustione divampi proprio mentre ricorre il 50esimo anniversario del Concilio Vaticano II. Tra tutti i documenti di quel Concilio, il più emblematico, e forse il più discusso, è la costituzione Gaudium et Spes, che non piacque al teologo Josef Ratzinger. In quel documento si celebrava con irenico ottimismo l’abbraccio tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Era il mondo degli anni Sessanta, intriso di consumismo e di secolarismo; un mondo su cui si proiettava l’ombra dell’imperialismo comunista, di cui il Concilio non volle parlare.

Il Vaticano II vedeva i germi positivi della modernità, ma non ne scorgeva il pericolo, rinunciava a denunciarne gli errori e rifiutava di riconoscerne le radici anticristiane. Si poneva in ascolto del mondo e cercava di leggere i «segni dei tempi», nella convinzione che la storia portasse con sé un indefinito progresso. I Padri conciliari sembravano aver fretta di chiudere con il passato, nella convinzione che il futuro sarebbe stato propizio per la Chiesa e per l’umanità. Così purtroppo non fu. Negli anni del postconcilio, allo slancio verticale verso i princìpi trascendenti si sostituì l’inseguimento dei valori terrestri e mondani.

Il principio filosofico di immanenza si tradusse in una visione orizzontale e sociologica del Cristianesimo, simboleggiata, nella liturgia, dall’altare rivolto verso il popolo. La conversio ad populum, pagata a prezzo di inaudite devastazioni artistiche, trasformò l’immagine del Corpo Mistico di Cristo in quella di un corpo sociale svuotato della sua anima soprannaturale. Ma se la Chiesa volta le spalle al soprannaturale e al trascendente, per volgersi al naturale e all’immanente, capovolge l’insegnamento del Vangelo per cui bisogna essere «nel mondo, ma non del mondo»: cessa di cristianizzare il mondo ed è mondanizzata da esso.

Il Regno di Dio diviene una struttura di potere in cui dominano il calcolo e la ragion politica, le passioni umane e gli interessi contingenti. La “svolta antropocentrica” portò nella Chiesa molta presenza dell’uomo, ma poca presenza di Dio. Quando parliamo di Chiesa ci riferiamo naturalmente non alla Chiesa in sé, ma agli uomini che ne fanno parte. La Chiesa ha una natura divina che da nulla è offuscata e che la rende sempre pura e immacolata. Ma la sua dimensione umana può essere ricoperta da quella fuliggine che Benedetto XVI, nella Via Crucis precedente alla sua elezione, chiamò «sporcizia» e Paolo VI, di fronte alle crepe conciliari, definì, con parole inconsapevolmente profetiche, «fumo di Satana» penetrato nel tempio di Dio.

Fumo di Satana, prima delle debolezze e delle miserie degli uomini, sono i discorsi eretizzanti e le affermazioni equivoche che a partire dal Concilio Vaticano II si susseguono nella Chiesa, senza che ancora sia iniziata quell’opera che Giovanni Paolo II chiamò di «purificazione della memoria» e che noi, più semplicemente, chiamiamo «esame di coscienza», per capire dove abbiamo sbagliato, che cosa dobbiamo correggere, come dobbiamo corrispondere alla volontà di Gesù Cristo, che resta l’unico Salvatore, non solo del suo Corpo Mistico, ma di una società alla deriva. La Chiesa vive un’epoca di crisi, ma è ricca di risorse spirituali e di santità che continuano a brillare in tante anime. L’ora delle tenebre si accompagna sempre nella sua storia all’ora della luce che rifulge. 

Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-che-cosa-succede-in-vaticano/

martedì 29 maggio 2012

PELLEGRINAGGIO París-Chartres 2012

PELLEGRINAGGIO París-Chartres 2012