giovedì 31 marzo 2011

Eccezionale documento:
il video dell'ordinazione sacerdotale
di don Joseph Ratzinger


Quest'anno, il 29 giugno, Papa Benedetto XVI festeggerà il 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. In anticipo sulla data è uscito e circola in internet in questi giorni un video, piuttosto lungo e di ottima qualità, che mostra il filmato originale della celebrazione svoltasi il giorno dei Santi Pietro e Paolo del 1951 nella cattedrale di Freising. Il cardinale arcivescovo di allora, Michael von Faulhaber, ordina una quarantina di ministri sacri, tra cui i giovani fratelli Joseph e George Ratzinger. Un grazie al Blog Te igitur che segnala questo video di GloriaTv.
Godetevi questa chicca, e pregate per le vocazioni al sacerdozio. Ce n'è sempre tanto bisogno.

segnala questo video di GloriaTv.




Se vi interessa anche qualche immagine della Prima Messa (8 luglio 1951) celebrata dal futuro Papa Nostro Benedetto, potete guardare le foto a suo tempo offerte da NLM in questo post. Notate l'altare "sobriamente" adornato....!!!


Testo preso da: Cantuale Antonianum: Eccezionale documento: il video dell'ordinazione sacerdotale di padre Joseph Ratzinger http://www.cantualeantonianum.com/2011/03/eccezionale-documento-il-video.html#ixzz1IBMCA1H2

mercoledì 30 marzo 2011

LA SECOLARIZZAZIONE LITURGICA COME NEGAZIONE DEL CULTO



Ringraziamo don Matteo per averci inviato il suo contributo letto nell'ambito del convegno organizzato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari il 25 marzo scorso in occasione della visita di S.E. il Cardinal Raymond Burke. Dopo esserci disgustati con i video di ieri non possiamo non respirare un po' di aria pura. Non posso però non trattenere il dolore che nasce dalla consapevolezza che ormai la diagnosi della crisi della Chiesa in termini di secolarizzazione è più che chiara: quando e chi opererà per curare al più presto queste piaghe del Corpo Mistico di Cristo? Alcuni medici sono già al lavoro, ma più che isolati e silenziosi palliativi qui servirebbe una cura drastica e radicale! - Francesco
 
di don Matteo De Meo
 
Sicuramente la genesi di gran parte del crollo della Liturgia, a cui da decenni stiamo assistendo nella Chiesa, è da rintracciarsi in ciò che Sua Eminenza il Cardinal Raymond Leo Burke ha acutamente evidenziato all’inizio della sua Lectio magistralis: “...un’esasperata attenzione rivolta all’aspetto umano della liturgia...” ovvero la sua secolarizzazione.
 
Essa si dettaglia in tutti quegli infiniti e variegati tentativi di “adeguamento” tra la fede e il suo linguaggio da una parte e il mondo dall'altra, tra liturgia e mondo. Un mondo, però, che viene sempre più concepito etsi Deus non daretur. E proprio Benedetto XVI ha affermato che “la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal culto della liturgia che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur”.

Negli ultimi anni la secolarizzazione è stata analizzata, descritta e definita in molti modi, ma, per quanto ne sappia, nessuna di queste descrizioni ha sottolineato un punto che ritengo sia essenziale e che rivela in effetti meglio di ogni altra cosa la vera natura della secolarizzazione. La secolarizzazione, a mio avviso, è innanzitutto una negazione del culto. Sottolineo: non una negazione dell’esistenza di Dio, o di un qualche tipo di trascendenza e quindi di ogni sorta di religione. Se il secolarismo in termini teologici è un’eresia, si tratta innanzitutto di un’eresia sull’uomo. È la negazione dell’uomo in quanto essere che adora, in quanto homo adorans: colui per il quale l’adorazione è l’atto fondamentale, che allo stesso tempo “colloca” la sua umanità e la compie. È il rifiuto “decisivo” ontologicamente ed epistemologicamente, delle parole, che “sempre, dovunque e per tutti” sono state la vera “epifania” del rapporto dell’uomo con Dio, con il mondo e con sé stesso.
 

Questa definizione di secolarizzazione ha certamente bisogno di una precisazione. E ovviamente non può essere accettata da coloro che, assai numerosi, oggi, consapevolmente o inconsapevolmente, riducono il cristianesimo in categorie intellettuali (“credenza futura”) o in categorie etico-sociologiche (“servizio cristiano al mondo”), e che quindi pensano debba essere possibile trovare non solo un qualche tipo di adeguamento, ma anche un’armonia profonda tra la nostra “età secolare”, da un lato e il culto, dall’altro. Se i fautori di ciò che fondamentalmente non è altro che l’accettazione cristiana della secolarizzazione sono nel giusto, allora naturalmente tutto il nostro problema è solo quello di trovare o inventare un culto più accettabile, più “rilevante” per la moderna visione del mondo dell’uomo secolarizzato. E tale è, infatti, la direzione presa oggi dalla stragrande maggioranza dei riformatori liturgici. Quello che cercano è un culto le cui forme e contenuti “riflettano” i bisogni e le aspirazioni dell’uomo secolarizzato, o ancor meglio della secolarizzazione stessa. Un aspetto che ha la sua ricaduta in un vasto raggio dalla ritualità, all’arte e alla architettura sacra.
 

Basti pensare che la “stessa incapacità dell’uomo di oggi di rapportarsi con il mistero” diventa un criterio per realizzare nuovi spazi liturgici (vedi Chiesa di Piano s. Giovanni Rotondo); o si traduce nel tentativo di entrare in dialogo con una certa cultura definita oggi proteiforme: “...l’architettura contemporanea è fluida, cangiante, proteiforme; così come un liquido si adatta al suo contenitore, essa si conforma alla sensibilità dell’artefice. Tutte le modalità di espressione artistica sono strettamente connesse alla soggettività...”- in questi termini si esprime D. Bagliani, docente al politecnico di Torino (opinione riportata in un articolo “Nuove Chiese, progetti da premio” di L. Servadio, in merito ai tre progetti pilota di nuove chiese vincenti alla quinta edizione del concorso Cei, 2009).
 
Un edificio può mettere in evidenza il silenzio, un altro un certo connubio fra natura e architettura (bioarchitettura), un altro un certo collegamento tra passato e futuro; oppure può adottare semplicemente forme stravaganti: una gemma di roccia poggiata al suolo, con un ingresso che invita ad un senso di protezione, simbologie ricercate e analogie, ecc.

Allo stesso modo questa "incapacità di rapportarsi col mistero" può tradursi nell'adozione nell’ambito dell’arte sacra di un astrattismo proprio dell’arte contemporanea: l’arte nella sua astrattezza e fluidità tenderebbe pertanto ad esprimere “l’inesprimibilità” del sacro e del mistero: “...anche le parole più astratte del Signore quale, via verità e vita, potrebbero essere rivestite di forma e colore...” (vedi T. Verdon in un suo articolo comparso sull’Osservatore Romano del 12 gennaio 2008).

Sono solo alcuni esempi che ci rivelano un assoggettamento della liturgia, e quindi della stessa arte sacra e religiosa in genere, alla capacità di comprensione attuale. Il risultato è un vago spiritualismo, un simbolismo figurativo confuso e astratto, una liturgia intellettualizzata. A chiunque abbia avuto, sia pure una sola volta, la vera esperienza del culto, tutto questo si rivela subito come un semplice surrogato. Egli sa che il culto secolarista è semplicemente incompatibile con il vero culto. Ed è qui, in questo miserabile fallimento liturgico, i cui risultati terribili stiamo solo cominciando a vedere, che il secolarismo rivela il suo ultimo vuoto religioso e, non esiterò a dirlo, la sua essenza del tutto anti-cristiana.
 
La società è ormai pervasa da questa mentalità secolarizzata che sembra non risparmiare nemmeno la Chiesa, aggredendo particolarmente l’integrità della Liturgia. Quelli che dovrebbero essere chiaramente definiti e condannati come abusi liturgici diventano sempre più la norma. Si celebra in ogni luogo, in ogni modo, e in ogni forma. É difficile ormai trovare una celebrazione “cattolica”, nel vero senso della parola, “unica e universale”. Non entriamo poi in merito degli edifici e degli spazi liturgici, dove convivono tranquillamente, banalità sciatteria e bruttezza. É difficile definirli “casa” ancor meno “casa di Dio”. Luoghi che consacrati per il culto a Dio possono tranquillamente essere usati per qualsiasi “celebrazione”, o spettacolo, o teatro, o conferenza col risultato di far perdere definitivamente la loro identità di luogo sacro.
 
Ma non vorrei scadere nella mera polemica fine a se stessa!
 
Per cui, ripetiamo ancora una volta, la secolarizzazione non è affatto identica all’ateismo, e per quanto paradossale possa sembrare, può essere dimostrato che essa ha sempre avuto un desiderio particolare per l’espressione “liturgica”. Se, tuttavia, la mia definizione è corretta, allora tutta questa ricerca di “adeguamento” perviene ad uno scopo irrimediabilmente morto, se non addirittura senza senso. Quindi la formulazione stessa del nostro tema – “liturgie secolarizzate” – vuol mettere in evidenza, a mio avviso, innanzitutto una contraddizione interna, in termini; una contraddizione che esprime l’impossibilità stessa di una “liturgia secolarizzata”.
 
Rendere culto è, per definizione una azione, una realtà di dimensione cosmica, storica ed escatologica; è espressione, in tal modo, non solo di “pietà”, ma di una totalizzante “visione del mondo”. E quei pochi che si sono presi la pena di studiare il culto in generale e il culto cristiano, in particolare, (J. Ries, M. Eliade, per citare solo i più rappresentativi, che furono fra i primi nell’immediato post concilio a suonare il campanello d’allarme di una pericolosa ideologia di desacralizzazione all’interno della Chiesa stessa, e non vennero ascoltati) sarebbero certamente d’accordo che su un livello storico e fenomenologico questa nozione di culto è oggettivamente verificabile.
Il secolarismo, ho detto, è soprattutto una negazione del culto. E, in effetti, se quello che abbiamo detto circa il culto è vero, non è altrettanto vero che il secolarismo consiste nel rifiuto, esplicito o implicito, precisamente di quella concezione dell'uomo e del mondo che proprio il culto ha lo scopo di esprimere e comunicare?
 
Pubblicato da Francesco Colafemmina

Credo in unum Deum …






Oggi sono pochi i Paesi in cui proclamare il Credo potrebbe mettere a repentaglio la propria vita, come nei primi secoli delle persecuzioni. Eppure … che imbarazzo se lo dovessimo fare alla presenza di amici e colleghi che non condividono la nostra fede! Perché siamo timidi quando dobbiamo venire allo scoperto come credenti? Una volta un mio amico ha osservato un giovane musulmano che, srotolato il suo tappeto nello spiazzo di una stazione di servizio, pregava in direzione della Mecca e ha giurato che non avrebbe più esitato a fare il segno della croce e dire la preghiera di ringraziamento prima di mangiare.

Nella nostra società recitare il Credo incontra oggi tre tipi di resistenze. Ci identifica come credenti in un’epoca secolarizzata – ci fa proclamare la fede sotto forma di dogmi – e ce lo fa fare con parole formulate secoli fa dalla Chiesa. Mai in Occidente, almeno a partire dalla Rivoluzione francese, c’è stato un rifiuto tanto feroce della religione. Il libro L’illusione di Dio di Richard Dawkins è uno dei libri che ha venduto di più in tutto il mondo. La religione è generalmente ritenuta irrazionale e fonte di conflitti violenti in tutto il mondo. Quindi, persino confessare di credere fa correre il rischio di esporsi al ridicolo e al disprezzo. Quel che è peggio, il Credo è una dichiarazione di fede sotto forma di dogmi. Il semplice atto del credere è considerato da alcuni segno di immaturità – tollerabile, forse, se si aderisce a una vaga spiritualità, ma la nostra società presuppone che i dogmi siano ‘dogmatici’, che chiudano la mente. Accettarli significa rifiutarsi di pensare con la propria testa.

I padri della Chiesa che hanno definito questi dogmi hanno litigato su ogni parola. Si preoccupavano con tanto ardore della giusta formulazione della loro fede che Sant’Atanasio era pronto a sopportare morte ed esilio per una sola parola del Credo.  Ario, contro il quale è stato scritto in gran parte il Credo niceno, ha insegnato canzoni agli scaricatori del porto di Alessandria per sostenere la sua teologia. Vi immaginate gli addetti ai bagagli dell’aeroporto di Fiumicino che si scaldano sulla questione della divinità di Gesù? Certamente non quelli cristiani!

Ovviamente, la nostra società è altrettanto dogmatica, ma in modo inconsapevole.  Chesterton diceva che ‘ci sono solo due tipi di persone: quelli che accettano i dogmi e lo sanno, e quelli che accettano i dogmi e non lo sanno’ (The Mercy of Mr. Arnold Bennett). Abbiamo perso la consapevolezza che le parole giuste contino, nella fede come in tutto il testo. Una volta mi hanno fermato due giovani che conducevano un’inchiesta. Mi hanno chiesto se credessi che Gesù fosse letteralmente il Figlio di Dio. Ho risposto che dipendeva da quello che volevano dire. Se intendevano che Gesù era il figlio del Padre esattamente nel senso in cui io ero la figlia di mio padre, allora ‘no’. Se invece mi chiedevano se era davvero il Figlio del Padre, ed era ‘generato e non creato’, allora ‘si’. Si sono guardati, confusi, e poi uno ha detto: ‘Mettilo sotto Non so’. Lo scopo dei dogmi della Chiesa non è mettere a tacere ogni discussione. E’ proprio il contrario: si sono evoluti in opposizione alle eresie che facevano proprio così, ossia avvolgere le verità della fede in posizioni teologiche ristrette che tradivano il mistero. I dogmi se ben compresi essi sono icone che ci invitano a proseguire il nostro pellegrinaggio verso il mistero, spingendoci oltre risposte troppo facili.

Quando proclamiamo il Credo, non soltanto approviamo i dogmi, ma lo facciamo con parole composte dalla Chiesa secoli fa. Per molte persone l’accettazione delle formule della Chiesa, una fede definita da un’istituzione, sembra infantile e intellettualmente disonesta, una rinuncia all’integrità intellettuale. Thomas Merton era così disgustato dall’aver scoperto che il libro di teologia cattolica che stava leggendo conteneva il nihil obstat, il permesso ecclesiastico ufficiale per la pubblicazione, che per poco non lo ha gettato fuori dal finestrino del treno. E’ stato un bene che non lo abbia fatto, dal momento che il libro gli ha cambiato la vita.
Quindi, recitare il Credo è da coraggiosi. Ci esponiamo alle accuse di essere ingenui, bigotti, arroganti e creduloni.

Che cosa significa, quindi, per me, confessare di credere in Dio? Sembrerebbe che stia affermando l’esistenza di una persona potente e invisibile, qualcuno che gestisce l’Universo, l’amministratore delegato del mondo. Come per il mostro di Loch Ness o lo Yeti, alcune persone credono che esseri esistano e altri, come Dawkins, no. Si soppesano le prove e si decide. Se la pensate così, allora potreste simpatizzare per Bertrand Russell che disse che se, una volta morto, avesse scoperto che dopo tutto Dio esisteva, avrebbe detto: ‘Toh! Dio, avresti dovuto dare prove più consistenti della tua esistenza’.

Ma tutti i grandi teologi cristiani hanno sempre rifiutato questo tipo di fede in Dio. Dio non è una o tre persone potenti e invisibili. Non stiamo dicendo che, accanto a tutte le persone importanti visibili la cui esistenza è evidente, come il Presidente degli Stati Uniti o il Segretario Generale dell’Onu, ce ne siano altre tre che non possiamo vedere e che sono ancora più importanti. Se faceste una lista di tutte le cose che esistono, Dio non ci sarebbe. Dio è la ragione per cui c’è qualcosa invece che niente, la fonte di tutto ciò che esiste, ma non un’altra cosa esistente.

Che cosa significa, quindi, credere nel Padre, Figlio e Spirito Santo? Per San Tommaso d’Aquino la fede fondamentalmente non è credere a cose su Dio. Dio è un mistero fuori della portata della nostra comprensione. In questa vita siamo uniti a Dio come all’Inconoscibile. Credere è l’inizio di un’amicizia con Dio. Ciò ha inizio con l’essere chiamati da Dio.  Dio si è rivolto ai nostri antenati nella fede ed essi hanno risposto ‘eccomi’! Sono stati invitati a scoprire di far parte della lunga storia dell’amicizia di Dio con il suo popolo.

Credendo nel Padre, creatore del cielo e della terra, guardo tutto con gratitudine. Credendo nel Figlio, gioisco della sua intelligibilità e cerco di capire. Credendo nello Spririto Santo, mi proietto oltre me stesso nell’amore. I dogmi sono importanti. L’ortodossia libera dal pregiudizio e dalla meschinità e schiude i cuori e le menti. Come diceva il grande Chesterton, l’ortodossia è un’avventura.


VIA CRUCIS  2011
SETTIMA  STAZIONE




SECONDA CADUTA

Scuola di compassione
e magistero di umiltà
è la vita

Eccellenza Reverendissima,
ho scritto tante volte questa lettera in mente mia che potrei recitarla a memoria come i bambini le poesie di Natale, l'ho scritta e l'ho riscritta infinite volte e poi accartocciata nel cestino. Mi dicevo: "Sarà un momento, anche questo passerà..., non è il caso importunare il Vescovo che ha già tante gatte da pelare!". Non so se non sono venuto a bussare alla Sua porta per amore filiale o per quel dannato orgoglio che ci impedisce di palesarci poveri dinnanzi a un altro, fosse anche il padre. Sa, Eccellenza, appartengo alla generazione nata nel dopoguerra, cresciuta a volte negli stenti, venuta su senza giocattoli con nella mente il valore del sacrificio e il culto del pane che bisogna meritare.

Non si agiti, lo so che non ama le lettere perché sanno di distacco e di ufficialità, ma Le assicuro che questo non è l'incipit di testi letti in passato in cui un Suo prete veniva a comunicare la volontà di lasciare l'esercizio del ministero perché in crisi ("Vengono quando hanno già deciso tutto!". Ho sentito che diceva amareggiato nel plenum dello scorso anno). No, Eccellenza, il prete che Le scrive è ancora fedele all'impegno di celibato che assunse tanti anni fa: mi creda non lo dico per vantarmi, sono abbastanza vecchio per ritenere la mia fedeltà (almeno fino a stasera) un dono, quasi un miracolo, non certo opera mia.

Ci sono crisi più profonde di quelle nate intorno al morso della solitudine o provocate da un gesto di ribellione per un trasferimento non accettato, ci sono giorni in cui tutto sembra andare bene poi a un tratto metti un piede in fallo e si apre una voragine dentro di te come un mobile che hai visto sempre solido e a un tratto ti si sgretola sotto lo sguardo perché lentamente i tarli lo hanno divorato e svuotato per anni. "Ma benedetto figlio - ora starà dicendo ad alta voce spazientito - quanti preamboli..., perché non viene al dunque".

E accaduto questa mattina, Eccellenza, ancora una volta, nel momento terribile che anche Lei conosce in cui la gente si siede dopo il Vangelo e aspetta che tu parli. Non so se lo aspetti o lo subisca, lo invochi o lo tema, è certo che quei secondi intercorsi tra l'ambone e la sede, tra il "Lode a te, o Cristo"e il "Cari fratelli... " mi sono sempre pesati sul cuore come un macigno. In modo tutto speciale, in maniera esponenziale, ciò accade nelle celebrazioni esequiali dove in quel momento si crea nella mia chiesa un silenzio irreale, pare che tutti siano statue, che nessuno respiri e tutti abbiano gli occhi fissi su di te come quel giorno nella sinagoga quando Gesù sedette dopo aver consegnato il rotolo del libro. Si crea una tensione terribile in cui esamini, in un attimo, mille modi diversi di cominciare il discorso, mille tracciati; a volte senti anche una sorta di sfida lanciata con gli sguardi e vorresti scappare, nasconderti, non essere diverso da quelli che hanno la libertà di piangere seduti al primo banco.

Quando mi sono girato per parlare e avevo già deciso l'incipit, la chiesa era vuota, non conoscevo più gli angeli di marmo coi quali ho amicizia decennale, non le colonne, l'abside... Ho sentito un'angoscia profonda, vuoto allo stomaco, nausea e vertigini, mi sono aggrappato all'asta del microfono ed ho cominciato a piangere, non a dirotto, ma sottovoce come facevamo da bambini per non incorrere in ulteriori pene.

"Benedetto figliolo, quante volte ti ho messo in guardia dall'eccessiva mole di lavoro..., basterà una vacanza!"starà dicendo sollevato mentre la suora suona per la cena. Vede, Eccellenza non è un caso isolato l'incidente di stamattina, altre volte mi accade per strada, al volante, nell'ombra del confessionale o in casa. È l'improvviso chiudersi dell'orizzonte e tu non sai chi sei e quanto valga continuare a vivere. Si chiama "depressione" e come un cancro corrode un organo, ti polverizza l'anima, ti fa sentire inutile, inetto, inane...

Lei, forse, Eccellenza non l'ha mai provato, ma le assicuro che ti senti il cielo addosso, le preghiere rimbalzano come monete false e non c'è Dio che sembra ascoltare i pianti, tutto sembra svuotato, nessun ricordo è dolce, e non c'è affetto che ti attenui il gelo. Forse, Eccellenza, anche Gesù è passato per questa valle oscura, nell'agonia dell'orto, la sera dell'addio, salendo il suo Calvario?


                                                                                               + A.A.
30 MARZO
San Giovanni Climaco
abate (VII sec.)



Il trattato La scala del paradiso ebbe una grandissima influenza, specialmente nella Chiesa orientale, ottenendo per il suo autore, Giovanni lo Scolastico, l'appellativo Climaco, con il quale è generalmente conosciuto.
Le sue origini sono oscure: è noto che a sedici anni si unì ai monaci che vivevano sul monte Sinai conducendo inizialmente una vita ritirata con Abba Martirio, che dopo tre anni gli diede la tonsura. Verso i trentacinque anni, alla morte della sua guida spirituale, Giovanni si ritirò in solitudine completa a Thole, rimanendovi per quarant'anni. A un certo momento fece visita a un monastero in Egitto, rimanendo colpito dalla vita spirituale intensa dei monaci e del loro abbà. Egli stesso era molto richiesto come guida spirituale, tanto che gli altri monaci lo avevano etichettato come chiacchierone. Giovanni interpretò questo fatto come un segno e prudentemente rifiutò di accogliere visitatori per un anno intero, quando coloro che lo avevano criticato gli proposero di riprendere la sua attività per non privare gli altri del suo dono di discernimento spirituale. Giovanni venne eletto igumeno della comunità di cenobiti del monte Sinai a circa settantacinque anni, guidandoli per quattro anni. Si ritirò in seguito nuovamente nel suo eremitaggio, dove morì nella seconda metà del VII secolo.
Giovanni sperimentò tre esperienze diverse di vita monastica, così che quando nei suoi ultimi anni abba Giovanni di Raithu gli chiese di scrivere un trattato sulla vita spirituale, egli potè fare affidamento su una vasta esperienza, su una comprensione piena e matura delle esigenze di tale vita, su una penetrazione profonda della natura umana e su qualità di compassione, umorismo e sapienza inusuali per un eremita. Aveva letto le opere di Evagrio Pontico e, pur dipendendo da lui, non sempre si trovava d'accordo con le sue opinioni; conosceva gli scritti di Origene, che disapprovava, ed era aggiornato sulle controversie teologiche dell'epoca, schierandosi apertamente dalla parte dell'ortodossia. Dotato di una forte volontà e di un pensiero saldo e indipendente, era tuttavia un uomo facile da avvicinare e ricco di fascino, come suggeriscono i suoi successi e la facilità con la quale entrò in contatto con i monaci egiziani. La Scala, che viene letta durante la Quaresima nei monasteri ortodossi, è frutto di studi accurati. Una prima lettura può provocare un senso di scoraggiamento perché buona parte del testo è dedicata all'analisi dei vizi, ma Giovanni aveva ben presente che, quando uno consacra la sua esistenza all'unione con Dio, la natura umana peccatrice costituisce un ostacolo continuo. A tutti dice: «Liberatevi dal peccato e le lacrime diventeranno superflue. Adamo non versava lacrime prima della caduta e dopo la resurrezione non saranno più necessarie». La descrizione che offre delle celle monastiche da lui visitate in Egitto potrebbe oggi sembrare la parte più sconvolgente del trattato. Egli non dà nessun giudizio, ma senza dubbio ammira la fede invincibile di quei monaci penitenti che sopportavano anni di tremende penitenze per espiare le loro colpe. Nell'altra sua opera, il Libro per il pastore, rivolta al padre di un monastero, Giovanni suggerisce di insegnare non con i libri ma attraverso l'esperienza personale. Egli non è interessato alle forme esteriori della vita monastica ma alla sua sostanza: l'importante nello schema monastico non sono le pratiche ascetiche ma la ricerca dell'umiltà e della purezza del cuore. In un passaggio molto intenso Giovanni analizza nel profondo la via del controllo delle passioni che allontana una persona sempre più dalla vita ordinaria: «Vivere in esilio significa condurre una vita disciplinata; nessuno proclamerà la nostra sapienza e nessuno potrà sospettare il tesoro della nostra conoscenza. È una vita nascosta e i suoi ideali sono celati. Nessuno saprà nemmeno che preghiamo. È per umiltà che combattiamo in quest'esilio, la povertà ciò che desideriamo e la vita divina ciò a cui agogniamo. È un'esistenza di amore versato, e perciò di rigetto dell'orgoglio, che pone la nostra dimora nelle profondità del silenzio». Giovanni non esita a chiamare il monastero "il paradiso sulla terra" e per questo motivo un monaco deve legare il suo cuore alla regola e, come gli angeli, servire Dio. Ci potranno essere delle proteste ma «Dio non si aspetta da parte nostra delle lamentele a motivo della sofferenza» ma piuttosto «che siamo felici di amarlo, con l'anima che ride». Nei primi secoli della cristianità, dominati dal neoplatonismo, l'idea di dover liberare l'anima da una serie di ostacoli fisici per raggiungere la vita spirituale era largamente diffusa, tuttavia questi maestri avevano una discreta conoscenza della psicosomatica: l'anima e il corpo potevano così unire le loro esigenze che, lasciate senza controllo, distoglievano invece la persona dalla via della virtù. Il corpo non è un nemico, ma semplicemente noi siamo dei fragili esseri mortali: «Come posso odiare [il mio corpo] quando la mia natura mi impone di amarlo? Come posso fuggire da esso quando mi accompagnerà nella resurrezione? È il mio aiuto e il mio nemico, amico e oppositore, protettore e traditore». L'intenzione dei monaci non è quella di distruggere questo ambiguo compagno ma di arrivare a "un corpo santificato" attraverso l'ascetismo e l'obbedienza, due strumenti indispensabili, sebbene inutili senza fede, speranza e carità, che «tengono insieme e assicurano l'unità del tutto». L'amore «non viene mai meno, non indugia mai, non permette mai a chi viene colpito dalla sua santa ebbrezza di esitare».
Il trattato inizia ponendo il problema di quanto sia possibile per un essere umano l'imitazione di Cristo e finisce con la gioiosa certezza che uno può realmente arrivare a una somiglianza con Dio: «L'amore di sua natura è una somiglianza con Dio, per quanto sia possibile all'uomo raggiungerla». L'idea della scala come segno dell'ascesa spirituale verso Dio era già stato usato da Origene, S. Gregorio Nazianzeno, S. Giovanni Crisostomo e Teodoreto di Ciro, ma l'opera di Climaco, riportando la sua esperienza personale, presenta anche la sintesi di tre secoli di esperienza monastica. Il trattato fu scritto per divulgare il metodo esicastico, incentrato sull'uso della "preghiera di Gesù": l'invocazione del nome di Gesù risale a Macario l'Egiziano ed era conosciuta da Diadoco di Fotica, da Barsanufio e da Giovanni il Profeta. Climaco è la prima persona, per quanto è risaputo, a collegare l'invocazione con il ritmo del respiro. Egli scrive: «Fate sì che il ricordo di Gesù sia presente in ogni vostro respiro, perché possiate comprendere il significato del silenzio (hesychia)», enfatizzando in questo modo la necessità della preghiera continua. Le Centurie di Esichio, attribuite a Esichio di Gerusalemme, ma probabilmente redatte nel monastero di Batos sul monte Sinai, portano avanti questo discorso, come anche molti altri autori, ma fu solo con il XIV secolo che la "memoria di Gesù" fu perfezionata dai monaci del monte Athos (con quella tecnica che possiamo vedere descritta nel novecentesco I racconti del pellegrino russo). La Scala fu tradotta in siriaco nel VII secolo, in arabo, greco, armeno e slavo nel X secolo e in rumeno nel XVII secolo, mentre la rinascita monastica nella Russia del XV secolo vi prese molta parte dell'ispirazione. Una prima traduzione in latino fu opera di un monaco francescano nel XIV secolo, e si crede che questo testo sia stato fondamentale per la conversione di Angelica Arnaud nel XVII secolo.
 
L'inno Apolytikion* in greco per la memoria di san Giovanni Climaco
(* canto tipico di una memoria o festa, corrispondente alla colletta occidentale per il fatto che sintetizza il mistero o la vita del santo celebrato.)


Ἀπολυτίκιον
Ἦχος γ’. Θείας πίστεως.
Θεῖον κλίμακα, ὑποστηρίξας, τὴν τῶν λόγων σου, μέθοδον πάσι, Μοναστῶν ὑφηγητὴς ἀναδέδειξαι, ἐκ πρακτικῆς Ἰωάννη καθάρσεως, πρὸς θεωρίας ἀνάγων τὴν ἔλαμψιν. Πάτερ Ὅσιε, Χριστὸν τὸν Θεὸν ἱκέτευε, δωρήσασθαι ἠμὶν τὸ μέγα ἔλεος

Apolytikion 
Dopo aver elevato una scala sacra per mezzo delle tue parole, sei stato rivelato a tutti come un maestro di monaci; e tu ci porti, o Giovanni, dalla purificazione che viene attraverso la disciplina verso la luce della visione divina. Padre giusto, ti supplico, fa che Cristo Dio ci conceda grande misericordia.

Testo preso da: Cantuale Antonianum: Il santo della scala: Giovanni Climaco http://www.cantualeantonianum.com/2011/03/il-santo-della-scala-giovanni-climaco.html#ixzz1I4kfM7d4 http://www.cantualeantonianum.com

Il breve trattato Libro per il pastore fu anch'esso scritto su richiesta di Giovanni di Raithu. In esso Climaco espone la sua concezione della paternità spirituale: un abba, responsabile della salute spirituale dei suoi fratelli, è un insegnante: «Ciò di cui abbiamo bisogno più di qualsiasi altra cosa è il potere dall'alto, così che quelli che abbiamo iniziato a introdurre nel Santo dei Santi, quelli a cui ci sforziamo di rivelare Cristo nascosto nel banchetto mistico e che come bambini conduciamo lontano dalla massa [...] possano arrivare a dimorare nella casa del Signore». L’abba è inoltre un medico pronto a prendere su di sé tutte le malattie e tutte le tentazioni, le angosce e le debolezze dei suoi discepoli, uno che «mette la sua vita a disposizione degli altri». Egli è il capitano della nave che, se prevede una tempesta e non mette in guardia la ciurma e accade un incidente, sarà ritenuto responsabile del naufragio. Egli è un pastore che prega per le pecore che vede in difficoltà. E, poiché un leone non è adatto per sorvegliare un gregge, egli sarà mite e umile di cuore. Infatti «ciò che distingue un pastore è quel medesimo amore che ha messo il Pastore sulla croce». Infine, l’abbà ha il compito più bello di tutto il mondo: «Dio non avrebbe potuto darci una benedizione maggiore di quella di poter offrirgli le anime pentite. Il mondo intero non vale più di una sola anima; esso passerà, mentre l'anima è eterna e immortale». Nei dipinti Giovanni viene sempre rappresentato con una scala.

lunedì 28 marzo 2011

Il Papa ha fatto riscrivere l'Istruzione sul Motu proprio!

Mons. Ennio Appignanesi celebra EF

Dopo che questo sito ebbe anticipato il contenuto (peraltro poi confermato da tutte le fonti) dell'imminente Istruzione sul motu proprio, descrivendone la genesi e le modifiche in senso restrittivo e promuovendo un movimento di opinione e di lobbying affinché il motu proprio non fosse annacquato, ricevemmo piccate critiche da taluni (cui ben si attaglierebbe l'intraducibile aggettivo inglese di 'sanctimonious'), per avere sollevato allarmismo, per aver dubitato della benevolenza vaticana, per aver addirittura osato tentare di incidere sul contenuto di un documento della Santa Sede. Di quel genere di critiche ci facciamo allegramente un baffo; ma a quei soloni dedichiamo la traduzione del seguente articolo di Golias: una fonte ideologicamente ostile alle posizioni di questo sito, e quindi non sospettabile di compiacenza. E solitamente bene informata. Essa ci dice alcune cose estremamente interessanti, che per punti riassumiamo:

1. Che tutte le informazioni da noi anticipate erano esattissime (sul divieto di ordinazione in vetus ordo, sull'intervento restrittivo di Scicluna e Canizares, sulle varie fasi di redazione del documento).

2. Che in particolare la versione del testo fino al mese scorso era in senso chiaramente restrittivo.

3. Che - e questa è la novità - recentissimamente il Papa in persona è intervenuto, riaprendo i giochi e parando il tentativo di annacquare il motu proprio. Noi sappiamo che, a seguito della sensibilizzazione effettuata tramite la blogosfera, importanti persone amiche della Tradizione si sono mosse per intercedere col Papa. A quanto riferisce l'articolista, e speriamo che abbia ragione (non è certo frequente che ci auguriamo una cosa del genere per Golias!), lo scopo è stato raggiunto, anche se resteranno quelle improvvide restrizioni per il rito ambrosiano e per le ordinazioni.
da messainlatino                                                                              Enrico


Messa nel Duomo di Desenzano del Garda

Golias: Il Papa ha fatto riscrivere l'Istruzione sul Motu proprio!di Romano Libero


Contrariamente a quello che le indiscrezioni romane lasciavano intendere ancora un paio di settimane fa, e che riferivano di intrighi in Vaticano per limitare la benevolenza del motu proprio nel 2007 per i tradizionalisti, l'ultima versione del decreto dovrebbe in definitiva abbondare nel senso voluto dai difensori della messa "old style".

Se alcuni cardinali come William Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede o Antonio Maria Canizarès Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, hanno cercato di limitare la generosità dell'attuazione del motu proprio, il punto di vista ratzingheriano di una larghissima concessione avrebbe prevalso. Il Papa vuole facilitare la celebrazione secondo i libri liturgici antichi e pertanto non ha appoggiato la visione restrittiva. Visione che resta comunque quella della larghissima maggioranza dei vescovi di tutto il mondo.

Il Papa sarebbe vieppiù convinto del sincero successo di questo provvedimento "liberale". Senza dubbio, qua e là, qualche riserva rimane, per esempio sulla Messa di ordinazione di sacerdoti diocesani che non potrebbe essere celebrata col rito antico. Tuttavia, l'intenzione di questa precisazione romana è piuttosto quella di disconoscere la lettura minimalista del motu proprio, per cui la decisione di celebrare una messa pubblica secondo il rito antico (o "forma straordinaria" come è detta oggi) richiederebbe il consenso del vescovo del luogo: ogni sacerdote è invece libero di organizzare una tale celebrazione nella sua parrocchia, purché vi sia una richiesta. Evidentemente, Benedetto XVI non ignora nulla della riluttanza molto forte dei vescovi, che talvolta vietano ai sacerdoti ben disposti di accogliere gruppi collegati alla liturgia antica e di celebrare pubblicamente la messa per loro. Di qui questo nuovo richiamo all’ordine indirizzato non ai tradizionalisti ma ai vescovi poco cooperativi. E tra loro, molti alti prelati, peraltro poco sospetti di progressismo, come gli arcivescovi di Madrid (Rouco Varela) o di Washington (Wuerl), due cardinali di prestigio e di peso.

Noi sappiamo, da fonte romana diretta, che questo decreto ha in effetti subito una doppia correzione. Originariamente, era stata preparata da mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", incaricato della questione. Successivamente, il cardinale Levada e il suo fedele consigliere, Monsignor Charles J. Scicluna, un maltese, avevano fortemente emendato il testo in senso restrittivo. Con l'accordo del cardinale Canizarès Llovera, prefetto della Congregazione del culto divino! Le nostre informazioni recenti erano dunque esatte.

Una volta modificato da Levada, il documento è arrivato nell'ufficio del Papa. E quest'ultimo non sarebbe stato soddisfatto del revirement operato. Egli sarebbe quindi ritornato più o meno al documento come l’aveva redatto inizialmente Guido Pozzo. In un senso più favorevole per i tradizionalisti.

Nonostante il suo approccio per molti aspetti moderato, Benedetto XVI è troppo legato alla sacralità della liturgia, nella forma tradizionale, per rinnegarsi sotto questo aspetto. Egli accetta lo spirito di Assisi. Compie un passo nella direzione degli ebrei, che esonera da qualsiasi colpa per il giudizio di morte [di Gesù]. Ma, sulla liturgia, non è cambiato.

 

domenica 27 marzo 2011


Distribuzione del grano
da far germogliare nel segreto
per il Giovedi Santo

Ferrandina 27 3 2011

La liturgia ferita


Mons. Marc Aillet, nuovo vescovo di Bayonne, ha tenuto questa allocuzione nel corso di un recente convegno teologico all'Università Lateranense, l' 11 marzo 2010. E' un piacere già leggere un titolo esplicito, diretto all'obbiettivo (La liturgia ferita), in luogo delle vaghezze devozionalistiche nullasignificanti che solitamente abbondano nei convegni ecclesiali (tipo: "la liturgia come dono e cammino", o simili).

All’origine del Movimento liturgico, vi era la volontà del Papa san Pio X, in particolare nel motu proprio Tra le sollecitudini (1903), di restaurare la liturgia e renderne maggiormente accessibili i tesori affinché ridiventasse la fonte di una vita autenticamente cristiana, proprio per rilevare la sfida di una crescente secolarizzazione e incoraggiare i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui, la definizione conciliare della liturgia come “culmine e fonte della vita e della missione della Chiesa”. Contro ogni aspettativa, come hanno spesso rilevato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, l’attuazione della Riforma liturgica, a volte, ha portato ad una sorta di desacralizzazione sistematica, mentre la liturgia si è lasciata progressivamente pervadere dalla cultura secolarizzata del mondo circostante perdendo così la sua natura e la sua identità: “Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo”: (CCC n. 1068).

Senza negare i frutti autentici della riforma liturgica, si può dire tuttavia che la liturgia è stata ferita da ciò che Giovanni Paolo II ha definito “pratiche non accettabili” (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come “deformazioni al limite del sopportabile” (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum). Così è stata ferita anche l’identità della Chiesa e del sacerdote.
Negli anni postconciliari si assisteva ad una sorta di opposizione dialettica fra i difensori del culto liturgico e i promotori dell’apertura al mondo. Siccome questi ultimi arrivavano a ridurre la vita cristiana al solo impegno sociale, in base a un’interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al “rubricismo”, col rischio di incoraggiare i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo. Nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI pone fine a questa polemica e ricompone questa opposizione. L’azione liturgica deve riconciliare la fede e la vita. Proprio in quanto celebrazione del Mistero pasquale di Cristo, reso realmente presente in mezzo al suo popolo, la liturgia dà una forma eucaristica a tutta la vita cristiana per farne un “culto spirituale gradito a Dio”. Così, l’impegno del cristiano nel mondo e il mondo stesso, grazie alla liturgia, sono chiamati ad essere consacrati a Dio. L’impegno del cristiano nella missione della Chiesa e nella società trova, infatti, la sua sorgente e il suo impulso nella liturgia, fino ad essere attirato nel dinamismo dell’offerta d’amore di Cristo che vi è attualizzata.

Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella vita della Chiesa – “Il culto liturgico è l’espressione più alta della vita sacerdotale ed episcopale”, ha detto ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes il 14 settembre 2008 in assemblea plenaria straordinaria – vuole mettere di nuovo l’adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del “cristianesimo secolare” che ha spesso accompagnato l’attuazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un “cristianesimo teologale”, il solo in grado di servire quella che ha definito la priorità che predomina in questa fase della storia, ossia “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio” (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove, infatti, meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, così ben definita dall’autore della Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (Eb 5, 1)?

L’apertura al mondo auspicata dal Concilio Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni postconciliari, come una sorta di “conversione alla secolarizzazione”: questo atteggiamento non mancava di generosità, ma portava a trascurare l’importanza della liturgia e a minimizzare la necessità di osservare i riti, ritenuti troppo lontani dalla vita del mondo che bisognava amare e con il quale bisognava essere pienamente solidali, fino a lasciarsi affascinare da esso. Ne è risultata una grave crisi di identità del sacerdote che non riusciva più a percepire l’importanza della salvezza delle anime e la necessità di annunciare al mondo la novità del Vangelo della Salvezza. La liturgia è, senza dubbio, il luogo privilegiato dell’approfondimento dell’identità del sacerdote, chiamato a “combattere la secolarizzazione”; poiché, come dice Gesù, nella sua preghiera sacerdotale: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv 17, 15-17).

Questo certamente sarà possibile attraverso una più rigorosa osservazione delle prescrizioni liturgiche che preservano il sacerdote dalla pretesa, pur inconsapevole, di attirare l’attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa permette, infatti, ai fedeli di giungere più facilmente alla presenza di Cristo Signore del quale la celebrazione liturgica deve essere il segno eloquente e che deve avere sempre il primo posto. La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all’arbitrio del celebrante, alle sue manie, alle sue idee o opinioni personali, alle sue stesse ferite. Ne consegue anche l’importanza di non banalizzare dei riti che, strappandoci al mondo profano e dunque alla tentazione dell’immanentismo, hanno il dono di immergerci di colpo nel Mistero e di aprirci alla Trascendenza. In questo senso, non si sottolineerà mai abbastan-za l’importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, nartece interiore dove ci si libera delle preoccupazioni, pur legittime, del mondo profano, per entrare nel tempo e nello spazio sacri, dove Dio rivelerà il suo Mistero; del silenzio nella liturgia per aprirsi più sicuramente all’azione di Dio; e la pertinenza di un tempo di azione di grazia, integrato o non nella celebrazione, per prendere la misura interiore della missione che ci attende, una volta ritornati nel mondo. L’obbedienza del sacerdote alle rubriche è anch’essa segno silenzioso ed eloquente del suo amore per la Chiesa di cui non è che il ministro, cioè il servitore.

Ne deriva l’importanza anche della formazione dei futuri sacerdoti alla liturgia e specialmente alla partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore preconizzata dalla riforma sarebbe senz’anima e favorirebbe una concezione parziale della liturgia che si esprimerebbe in termini di teatralizzazione eccessiva dei ruoli, cerebralizzazione riduttiva dei riti e autocelebrazione abusiva dell’assemblea. Se la partecipazione attiva, che è il principio operativo della riforma liturgica, non è l’esercizio del “senso soprannaturale della fede”, la liturgia non è più opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull’importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II fa della liturgia una delle discipline principali degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla ad una formazione puramente intellettuale: infatti, prima di essere un oggetto di studio, la liturgia è una vita, o meglio, è “passare la propria vita a passare nella vita di Cristo”. È l’immergersi per eccellenza di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell’adorazione, come nella missione.

Siamo dunque chiamati ad un autentico “sursum corda”. La frase del prefazio “in alto i nostri cuori” introduce i fedeli al cuore del cuore della liturgia: la Pasqua di Cristo, cioè il suo passaggio da questo mondo al Padre. L’incontro di Gesù Risorto con Maria Maddalena, la mattina della Risurrezione, è in questo senso molto significativo: con il suo “noli me tangere” Gesù invita Maria Maddalena a “guardare alle realtà dell’alto”, facendole notare di non essere ancora salito al Padre nel suo cuore e invitandola appunto ad andare a dire ai discepoli che egli deve salire al suo Dio e nostro Dio, a suo Padre e nostro Padre. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, di questa tensione verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con questo, il suo orientamento decisivo. A patto di non considerarla come materiale disponibile alle nostre manipolazioni troppo umane, ma di osservare, con un’obbedienza filiale, le prescrizioni della Santa Chiesa.

Come affermava Papa Benedetto XVI nella conclusione della sua omelia nella solennità dei Santi Pietro e Paolo del 2008: “Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo”.

sabato 26 marzo 2011


PREGHIERA
IN PREPARAZIONE
ALLA COMUNIONE EUCARISTICA
dalla liturgia bizantina:

Credo, o Signore, e confesso che tu sei veramente il Cristo, Figlio del Dio vivente, che sei venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io.

Credo ancora che questo è veramente il tuo Corpo immacolato e questo è proprio il tuo Sangue prezioso.

Ti prego dunque: abbi pietà di me e perdonami tutti i miei peccati, volontari e involontari, commessi con parole, con opere, con conoscenza o per ignoranza.

E fammi degno di partecipare, senza mia condanna, ai tuoi immacolati misteri, per la remissione dei peccati e la vita eterna.

Del tuo mistico convito, o Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe, poiché non svelerò il mistero ai tuoi nemici, né ti darò il bacio di Giuda, ma come il buon ladrone ti prego: ricordati di me, o Signore nel tuo regno.

venerdì 25 marzo 2011

O Vos Omnes

Inviato da Jeffrey A. Tucker
a The Chant cafe

Si tratta di un pezzo fantastico, che ci aiuta a prepararci a celebrare la Passione del Signore.





Testo latino:

Antifona:
O vos omnes qui transitis per viam:
attendite et videte si est dolor sicut dolor meus.

Responsorio:
O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte:
Si est dolor similis sicut dolor meus.

V. Attendite, universi populi, et videte dolorem meum.
Si est dolor similis sicut dolor meus.

Testo Italiano:

O voi tutti, che passate per strada,
fermatevi e vedete se esista un dolore
simile al mio dolore.


Fermatevi, o popoli tutti,
e vedete il mio dolore;
se esista un dolore simile al mio dolore.
L'angelus Domini:                              
per ricordare quotidianamente l'Incarnazione del Signore,
come nella solennità dell'Annunciazione

In questo giorno di festa solenne ricordiamo la risposta generosa e totale del Verbo di Dio alla vocazione del Padre che desiderava la salvezza del genere umano. E insieme, mentre celebriamo l'iniziativa, mirabile nell'umiltà, dell'Incarnazione del Signore, festeggiamo anche la vocazione della Vergine Maria, la quale, accogliendo l'annuncio dell'Angelo, ha permesso il compiersi della volontà salvifica nell'opera della Redenzione.
Il video di oggi è, appropriatamente, il canto dell'Angelus Domini in gregoriano, eseguito dalle suore americane della congregazione semi-contemplativa delle Figlie di Maria, madre del Salvatore, una giovane comunità fondata nel 1984. Per sentire altri canti di queste sorelle, potete andare all'apposita pagina nel loro sito web.
A seguire trovate il testo latino (con gli accenti per la corretta pronuncia) e il testo italiano ufficiale della preghiera.

all'apposita pagina nel loro sito web.
A seguire trovate il testo latino (con gli accenti per la corretta pronuncia) e il testo italiano ufficiale della preghiera.
 




V/. Angelus Dómini nuntiávit Maríæ,
R/. Et concépit de Spíritu Sancto.

Ave María, grátia plena, Dóminus tecum. Benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui, Jesus.
Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.


V/. "Ecce Ancílla Dómini."
R/. "Fiat mihi secúndum Verbum tuum."

Ave María, grátia plena...


V/. Et Verbum caro factum est.
R/. Et habitávit in nobis.

Ave María, grátia plena...


V/. Ora pro nobis, Sancta Dei Génetrix.
R/. Ut digni efficiámur promissiónibus Christi.


Oremus
Grátiam tuam quǽsumus, Dómine, méntibus nostris infúnde; ut qui, angelo nuntiánte, Christi Filii tui Incarnatiónem cognóvimus, per passiónem eius et crucem, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
Per eundem Christum Dóminum nostrum. Amen.


Gloria patri.. (ter); Requiem æternam...

traduzione --------------

V/. L'angelo del Signore portò l'annuncio a Maria,
R/. Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo.
Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.

V/. "Ecco sono la serva del Signore."
R/. "Si compia in me la tua parola."

Ave Maria, piena di grazia...

V/. E il verbo si fece carne.
R/. E venne ad abitare in mezzo a noi.

Ave Maria, piena di grazia...

V/. Prega per noi santa Madre di Dio.
R/. Perché siamo fatti degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo.
Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre, tu, che nell'annuncio dell'Angelo, ci hai rivelato l'Incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Al termine dell'Angelus si recita il Gloria per tre volte ed l'Eterno riposo una volta

Testo preso da: Cantuale Antonianum http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz1HaniGuFl
http://www.cantualeantonianum.com

giovedì 24 marzo 2011

25 MARZO
B. JAMES BIRD
martire in odio alla liturgia cattolica

Martirologio Romano: A Winchester sempre in Inghilterra, il Beato Giacomo Bird, martire: sotto la Regina a diciannove anni, recentemente diventato cattolico, si è rifiutato di partecipare a una liturgia cui si sentiva estraneo e quindi ha meritato di raggiungere la celebrazione della liturgia del cielo.


Giacomo Bird nacque nel 1574, in Inghilterra, da famiglia aristocratica, il cui padre era stato magistrato della città. Il piccolo fu educato nel Protestantesimo, che, all’età di 15 anni abbandonò per entrare nella Chiesa Cattolica. Durante la perquisizione nella casa di un certo Hathe, dove si era recato per cercare il sacerdote Norton, venne arrestato come persona sospetta e condotto davanti al giudice. Venne interrogato e gli fu chiesto da quanto tempo fosse cattolico, egli rispose che lo era da quattro anni e per tale ragione venne condannato a morte come traditore. Tuttavia gli fu data un’opportunità: se rinunciava alla Chiesa cattolica sarebbe stato graziato; ma il giovane rifiutò categoricamente, così come si rifiutò di partecipare ad una liturgia anglicana, meritando così di «pervenire alla celebrazione della liturgia celeste», come recita il martirologio romano.

Il santo Padre Benedetto XVI il 18 settembre 2010, nell’omelia tenuta in Westminster, ha spiegato l’importanza della Santa Messa come Santo Sacrificio e per la quale molti hanno scelto di morire, piuttosto che di vederla profanata e oltraggiata: «La realtà del sacrificio Eucaristico è sempre stata al cuore della fede cattolica; messa in discussione nel sedicesimo secolo, essa venne solennemente riaffermata al Concilio di Trento, nel contesto della nostra giustificazione in Cristo. Qui in Inghilterra, come sappiamo, molti difesero strenuamente la Messa, sovente a caro prezzo, dando vita a quella devozione alla Santissima Eucaristia che è stata una caratteristica del cattolicesimo in queste terre.

Il sacrificio Eucaristico del Corpo e Sangue di Cristo comprende a sua volta il mistero della passione di nostro Signore che continua nei membri del suo Corpo mistico, la Chiesa in ogni epoca. Il grande crocifisso che qui ci sovrasta, ci ricorda che Cristo, nostro eterno sommo sacerdote, unisce quotidianamente i nostri sacrifici, le nostre sofferenze, i nostri bisogni, speranze e aspirazioni agli infiniti meriti del suo sacrificio».

Suo padre insistette, ma egli rispose:
«Ti ho sempre ubbidito volentieri e ubbidirei volentieri anche adesso se potessi farlo senza offendere Dio». Si trovava sul patibolo e Giacomo volle sapere la ragione vera della sua condanna, gli fu detto: «Prometti piuttosto di frequentare la chiesa [anglicana] e allora avrai la grazia della regina». Il diciannovenne rispose: «Vi sono riconoscente: se posso salvarmi la vita entrando in una chiesa protestante, è segno che sono ucciso unicamente per la causa della religione e della fede».

Il martire venne così impiccato e squartato il 25 marzo 1593, 58 anni dopo il martirio di san Tommaso Moro, e fu beatificato da Pio XI il 15 dicembre 1929.

25 MARZO
ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE
(s)
UFFICIO DELLE LETTURE



Coloro che secondo la tradizione, hanno il lodevole desiderio di prolungare la liturgia vigiliare (dell' Ufficio delle Letture) delle domeniche, delle solennità o delle feste, prima celebrano l' Ufficio delle Letture; dopo le due Letture e prima del Te Deum, aggiungano i Cantici biblici e il Vangelo della Festa con l' Omelia o una lettura patristica appropriata, dopo si canta il Te Deum e l'Oremus.

VANGELO
Dal vangelo secondo Luca (1.26-38)
In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

TERZA LETTURA

Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo , (14)
In altri c'è la grazia, in te verrà tutta la pienezza della grazia
«L'angelo Gabriele fu mandato in una città della Galilea chiamata Nazaret, a una Vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe» (Lc 1,26-27).
L'evangelista precisa il luogo, il tempo, la persona, affinché la verità di ciò che riferisce sia confermata dai chiari indizi degli stessi avvenimenti. Dice: «L'angelo fu mandato a una vergine sposa». Alla Vergine Dio manda un angelo: infatti colui che porta la grazia dà la garanzia, riceve la dote; riferisce la fede, consegna i doni di virtù, e riporta la risposta del consenso della Vergine. L'interprete veloce giunge alla Vergine per allontanare e trattenere la sposa di Dio dall'affetto delle nozze umane; non per separare la Vergine da Giuseppe, ma per renderla a Cristo al quale era destinala fin dal seno materno. Cristo, quando riceve la sua sposa, non la sottrae ad altri, né porta separazione quando unisce a sé tutta la sua creatura in un solo corpo. Ascoltiamo dunque ciò che ha compiuto l'angelo: «Entrando da lei, disse: Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1, 28). In queste parole c'è già l'offerta del dono, non un semplice saluto. «Ave», cioè ricevi la grazia: non temere, non preoccuparti della natura. «Piena di grazia»: perché in altri c'è la grazia, in te verrà tutta la pienezza della grazia. «Il Signore è con te». In che modo è con te il Signore? Non viene a te solo per visitarti, ma viene in te nel nuovo mistero della sua nascita. Opportunamente si aggiunge; “Benedetta tu fra le donne” (Lc 1, 42). In Eva è stata punita tutta la generazione umana; ora invece, tra tutte le donne, Maria gode, è onorata, è esaltata nella benedizione. E la donna, che per natura era madre dei morienti, è divenuta per grazia la Madre dei viventi. «A queste parole ella rimase turbata» (Lc 1,29). Perché si turba per le parole e non nel vedere una persona? Perché le era apparso un angelo, bello nell'aspetto ma forte in battaglia, mite nell'apparenza ma imponente nell’ esprimersi: pronuncia parole umane, ma porta promesse divine. Perciò la Vergine si turbò lievemente per la visione, ma molto nell'ascoltare quelle parole; e se la presenza poco l'aveva commossa, l'autorità di chi lo mandava la scosse con tutta la sua potenza. Che più? Subito sentì che aveva accolto in sé il giudice supremo, mentre prima aveva visto e contemplato il celeste messaggero. Infatti, sebbene Dio avesse trasformato la Vergine in Madre, e la serva in Genitrice del Signore con dolce maniera e con affetto, tutto il suo intimo ne fu turbato, la sua anima intimorita, e la condizione stessa la impaurì: Dio, che non può essere compreso dalla creatura umana, discendeva totalmente nel suo seno e condivideva la natura umana! «E si domandava che senso avesse un tale saluto» (Lc 1,29). Riflettete, cari fratelli, che la Vergine aveva acconsentito non solo al saluto, non solo alle parole, ma anche alla realtà; il saluto non significava il consueto ossequio, ma era segno di tutta la potenza della suprema virtù. Quindi la Vergine riflette prima di rispondere, perché il rispondere presto indica una superficialità umana, ma il riflettere è somma ponderazione e maturo giudizio. Non conosce l'infinita grandezza di Dio chi non ammira questo pensiero della Vergine e non ne esalta il coraggio. Teme il cielo, tremano gli angeli, la creatura non resiste, non basta la natura: eppure una fanciulla contiene nelle sue viscere Dio, lo riceve e, con l'ospitalità che gli offre, lo diletta, per riscattare l'umanità e ottenere con l'offerta del suo seno la pace alla terra, la gloria ai cieli, la salvezza ai disperati, la vita ai morti, la fraternità tra cielo e terra per l'unione dello stesso Dio con la natura umana. Così si adempie quanto il profeta aveva preannunziato: «Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo» (Sal 126 ).

RESPONSORIO
Rallegratevi con me, voi tutti che amate il Signore, poiché nella mia pochezza son piaciuta all'Altissimo, * e dal mio grembo ho generato l'Uomo-Dio (T.P. Alleluia).
Tutte le generazioni mi chiameranno beata,
perché Dio ha guardato l'umiltà della sua serva,
e dal mio grembo ho generato l'Uomo-Dio (T.P. Alleluia).

oppure: LETTURA

Dai «Discorsi» di sant'Odilone di Cluny, abate (2°)
Ecco la stella, Maria, da cui ci è sorta quella luce, quello splendore il Verbo fatto carne
«L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamata Maria» (Lc 1,26- 27). Abbiamo sentito, fratelli, che l'angelo fu mandato da Dio Padre alla Vergine, abbiamo sentito che la Vergine fu salutata con un nuovo genere di saluto e, come dice il vangelo, restò a causa di quel saluto turbata. Abbiamo sentito che l'arcangelo Gabriele la esortò con parole consolanti a non temere, perché aveva trovato grazia presso il Signore e le assicurò che avrebbe concepito e dato alla luce un figlio a cui doveva dare nome Gesù. Le predisse che egli sarebbe stato grande e figlio dell'Altissimo e nella sua umanità avrebbe ricevuto il trono di Davide, la casa di Giacobbe e il regno sempiterno; regno che nella sua divinità aveva con Dio Padre e lo Spirito Santo, e governava da sempre e per sempre, prima ancora che il mondo fosse, nella sua eterna prescienza. Dopo le premurose e gioiose parole consolatrici, la santissima Vergine, piuttosto esitante, incominciò a domandare come potesse avvenire ciò che l'angelo osava annunziare con tanta autorità, essendo una cosa così insolita e inaudita. L'angelo le spiegò che questa cosa superiore alla natura e fuori di ogni esempio poteva realizzarsi per opera dello Spirito Santo che sarebbe sceso su di lei e della potenza dell'Altissimo che l'avrebbe coperta con la sua ombra. O inaudito e ammirabile esempio di singolare umiltà! Colei che godeva di concepire il suo Signore e Creatore e non dubitava che sarebbe nato da lei, pur potendosi riconoscere senza venir meno all'umiltà come signora di tutti i fedeli, non esitò a dichiararsi la serva del suo Signore, dicendo: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Vedete, fratelli, l'umiltà della Vergine che concepisce il Verbo di Dio. Vedete l'obbedienza del Signore che viene a noi per mezzo della Vergine. Vedete la gloria per il genere umano e l'amore da parte di Dio Padre, che manda l'angelo a una vergine chiamata Maria, Giustamente vien chiamata Signora, perché oggi ha meritato, pur restando sempre vergine, di concepire il Signore di tutte le creature e di dare a suo tempo alla luce colui il cui Padre è Dio; così attesta nel salmo il patriarca Davide dicendo; «Del Signore è la terra e quanto contiene» (Sal 23,1). E affinché credessimo nella sua forza e potenza, toccò all'arcangelo Gabriele, che significa forza di Dio, evangelizzare che sarebbe nato da una vergine, a cui l'onnipotente Padre affidava suo Figlio per combattere il principe della perdizione e distruggere l'impero della morte. Per conseguenza la Madre di Dio, la sempre vergine Maria, viene chiamata stella del mare; infatti, come quelli che si affaticano navigando in mezzo al mare agitato si servono, sotto la guida di Dio, delle stelle, per giungere alla quiete del porto, cosi chiunque è in pericolo di vita sia dell'anima che del corpo, rischiando di naufragare in questo mondo sotto la violenza dei flutti contrari, deve dirigere la mente alla contemplazione di questa stella, sicuro che per merito e grazia sua può salvarsi da ogni pericolo. Questa stella fulgida e mattutina, mentre noi ancora eravamo nelle tenebre dell'ignoranza e quasi ormai disperavamo dell'aiuto di Dio, veniva preparata affinchè per essa spuntasse il sole di giustizia, Cristo nostro Dio. O quale grande e mattutina stella è la Madre di Dio la sempre vergine Maria! Da lei ci è venuto quel sole, quella luce, quello splendore, il Verbo fatto carne.

RESPONSORIO (Lc 1, 42.78; Cfr. Mt 3,20)
Felice sei, santa Vergine Maria, e degna di ogni lode,
* poiché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo nostro Dio (TP Alleluia).
Benedetta tu fra le donne e benedetto il Frutto del tuo grembo,
poiché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo nostro Dio (TP Alleluia.).

oppure: LETTURA

Dai «Discorsi» di Ivo di Kermartin, sacerdote (15°)
In questo concepimento si nasconde un grande e meraviglioso mistero
Rallegriamoci nel Signore, carissimi, e ringraziamo il Creatore, anche se non quanto dobbiamo, almeno quanto possiamo per dono suo, affinché la sua sovrabbondante grazia non ci trovi ingrati. Infatti, l'eccezionale concepimento della Vergine viene commemorato nella festa di oggi, in cui si celebra l'inizio della nostra restaurazione e ci si presenta il piano divino, deliberato con misericordia e potenza. Se infatti il Signore del mondo, in cerca dei servi fuggitivi, fosse venuto per fare giustizia e non per offrire misericordia, non si sarebbe mai rivestito della fragilità del vaso di creta in cui poteva patire con noi e per noi. Secondo le parole di Paolo, ciò sembra stoltezza e debolezza per le genti che si basano sulla ragione della vana filosofia e giudicano il Creatore secondo le leggi della creatura; invece, quale azione più potente poteva esserci che far concepire la Vergine contro le leggi della natura e, mediante la morte della carne assunta, riportare i mortali alla gloria dell'immortalità? Onde dice l'Apostolo: «Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,25).
Oggi il grembo della Vergine diventa la porta del cielo per la quale Dio discende verso gli uomini, onde farli ascendere al cielo. La beatissima Vergine ascolta con meraviglia che avrebbe dato alla luce un figlio, lei che sapeva di ignorare l'unione coniugale. Ma viene confortata e informata dall'angelo per quale potenza e in che modo si sarebbe potuto compiere in lei quel che la natura non permette che avvenga alle altre donne. «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc I, 30). Come se dicesse: quel che ti annuncio non è nell'ordine della natura, ma è dono incomparabile della grazia. "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’ AItissimo » (Lc 7,35). Sola, meritò di essere scelta per formare dal suo corpo immacolato l'immacolato corpo di colui che, prima del tempo, fu predestinato nella potenza a essere Figlio di Dio. Per cui vien detto alla Beatissima Vergine: «Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 35). Doveva essere certamente santo colui che si doveva offrire per la santificazione dei peccatori.
In questo concepimento si nasconde, fratelli carissimi, un grande e mirabile mistero, in cui, distrutta la scritta della nostra prevaricazione, si uniscono il divino e l'umano e dei due si fa una carne sola, cioè Cristo e la Chiesa. Talamo di questa unione fu il grembo verginale, da cui dopo nove mesi, secondo la legge naturale, Cristo uscì come lo sposo dal talamo unito alla sua sposa, cioè la nostra carne; e pose nel sole la tenda, cioè la carne assunta, perché rese visibile a tutti la sua carne con cui avrebbe vinto il nemico.
Meditiamo assiduamente, fratelli carissimi, queste cose; e avidamente con tutto il cuore gustiamo l'inestimabile soavità di Dio, considerando quali e quante cose ci sono promesse in cielo, affinché nella nostra corsa non siamo impediti dal conseguire il premio della superna vocazione da ciò che sulla terra sembra desiderabile ai cuori avidi e ciechi. Conformiamoci a colui che ci ha proposto come regola della condotta cristiana la sua vita: colui che con la sua prima venuta ha voluto riformare il nostro intimo a sua immagine, e con la seconda venuta «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21), Gesù Cristo, il Signore nostro che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RESPONSORIO (Gal 4,4-5; Gv 3,17)
Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, * perché ricevessimo l'adozione a figli (TP Alleluia).
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo,
ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui,
perché ricevessimo l'adozione a figli (TP Alleluia).

Inno TE DEUM

Orazione    O Dio, tu hai voluto che il tuo Verbo si facesse uomo nel grembo della Vergine Maria: concedi a noi, che adoriamo il mistero del nostro Redentore, vero Dio e vero uomo, di essere partecipi della sua vita immortale. Per il nostro Signore.