PREGHIERA DI UN CANDIDATO
LA SERA PRECEDENTE
L'ORDINAZIONE PRESBITERALE K. Rahner s. j.
LA SERA PRECEDENTE
L'ORDINAZIONE PRESBITERALE K. Rahner s. j.
1. Domani, mio Dio, si dirà: «La santa Madre Chiesa chiede che questi nostri fratelli siano ordinati presbiteri ». Dunque è la tua Chiesa che lo vuole. Tu, nella tua Chiesa. Non io ho scelto te, ma tu hai scelto me. Scelta felice perché è la tua scelta, la scelta delle tue vie imperscrutabili, che sono amore e misericordia.
Scelta tremenda perché è la tua scelta, quella che tu operi nella libertà e nella sicurezza sovrana dei tuoi pieni poteri, quella per la quale fai del piccolo l'essere più grande, del debole un superuomo, affinchè nessuno si esalti ma la sola forza di Dio si riveli nella nostra debolezza. Aiutami a comprendere che anche per l'«onus presbyterii » vale quella tua parola: « Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero »; a capire che il peso della croce del tuo sacerdozio si cambierà per me nel dolce peso di Dio, nel sovrappeso di tutte le grazie.
E poi sentirò il vescovo domandare: «Sei certo che ne sono degni? ». Dio mio, e chi è degno di te? Chi mai è degno davanti a te? Può esserlo la nullità davanti alla tua super-realtà, la peccaminosità davanti alla tua onnidivorante santità? Vedi, sono costretto a pregare come Isaia, quando, chiamato a diventare profeta, udì il triplice « santo » del serafino adorante: « Ahimè, sono perduto, poiché sono un uomo e ho le labbra immonde e abito in mezzo a un popolo dalle labbra immonde ». Ma sei tu a rendermi degno, perché la tua chiamata, la tua grazia e la tua forza sono la mia dignità. Nonostante il mio: « Domine, non sum dignus », anch'io posso dire fiduciosamente con Isaia: Eccomi, manda me.
2. E poi il vescovo mi imporrà le mani sul capo senza dire neppure una parola. In questo silenzio, simile a quello di una notte di Natale o di Pasqua - « dum silentium tenet omnia » - la tua parola onnipotente e l'ardore del tuo Spirito mi trasformeranno in un prete del tuo Figlio, mio Signore. Scenderà sopra di me il tuo Spirito, il dono di Dio, che non è uno Spirito di timidezza, ma uno Spirito di forza, di amore, di saggezza (2 Tm 1,6-7), lo Spirito che fa diventare preti, ministri del tuo sacrificio e testimoni della tua parola, lo Spirito che ci strappa da noi stessi e rende la nostra vita parte viva del sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo.
Il vescovo mi imporrà le mani, come nell'Antica Alleanza si imponevano le mani sulla vittima del sacrificio per l'espiazione dei peccati. Infatti io debbo seguire colui che, pur non avendo conosciuto peccato, tu hai reso peccato in nostro favore, affinché per mezzo di lui potessimo diventare giustizia di Dio (2 Cor 5,21); debbo seguire l'Agnello di Dio, che prese sopra di sé il peccato del mondo (Gv 1,29), sul quale hai caricato le colpe e i peccati di tutti (Is 53,6). Il vescovo imporrà le mani su di me così come Mosè aveva costituito Giosuè condottiero del popolo eletto mediante l'imposizione delle mani e quello « fu ripieno dello spirito della sapienza perché Mosè aveva posto le mani sopra il suo capo» (Dt 34,9); cosi come i leviti venivano costituiti tali con l'imposizione delle mani (Nm 8,10); come Gesù imponeva le mani sopra i bambini e sopra gli ammalati; come gli apostoli imponevano le mani sui loro discepoli affinché ricevessero Io Spirito, quando li sceglievano per l'opera alla quale Io Spirito li aveva chiamati (At 13,2). Il vescovo mi imporrà le sue mani ed io entrerò a far parte della serie dei tuoi servi, che da duemila anni, in tutti i tempi e in tutti i paesi, vanno a portare il tuo nome davanti a re e a popoli; entrerò a far parte di quell'ininterrotta serie di tuoi servi che ebbe inizio quando il tuo Figlio, nostro Signore, disse: «Andate in tutto il mondo, ... ecco, io sono con voi»; entrerò nella catena ininterrotta della missione, del compito per un destino universale, di una forza e potenza nuove; entrerò a far parte dell'unica santa stirpe dei tuoi preti che viene perennemente generata non da sangue e da volere di carne, ma mediante la nascita dal tuo Spirito e in forza del tuo incarico; entrerò nella ininterrotta catena della tua stirpe sacerdotale che mai si estinguerà, in attesa del giorno in cui tu verrai a giudicare i vivi e i morti. Il vescovo imporrà sopra di me le sue mani. Poi, ancora in silenzio, le ritirerà dal mio capo. Ma la tua mano, Signore, si fermerà e riposerà sopra di me.
Le tue mani rimarranno sopra di me.
Le mani dell'Onnipotente, più dolci delle mani di una madre.
Le mani che tutto hanno creato e tutto mantengono in vita.
Le mani che possono gravare pesantemente sull'uomo
e spesso graveranno pesantemente sopra di me nella mia vita di prete.
La mano che colpisce e che risana.
Le mani del Dio vivente, nelle quali è terribile cadere.
Le mani nelle quali in morte consegnerò il mio spirito.
Se la tua mano, per il tramite della mano del vescovo, si poserà su di me e sopra di me si poserà il tuo Spirito, anch'io potrò dire quel che profetizzò Isaia: « Lo Spirito dell'Onnipotente riposa sopra di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore» (Is 61). Allora potrò dire con Gesù: «Oggi si è compiuta la parola delle Scritture» (Lc 4,21). Come avvenne un giorno per Timoteo, domani anche i miei confratelli, i miei compagni nell'esercito del Signore, mi imporranno fraternamente le mani, affinchè un unico Spirito e un'unica forza e un'unica missione viva e operi in tutti noi, affinchè lo Spirito presbiterale della Chiesa di Gesù continui ad essere generato. Allora entreremo a far parte del presbiterio, saremo cresciuti, saremo annoverati fra gli anziani. Su di noi allora graverà questa responsabilità: che lo Spirito degli apostoli e dei martiri, lo Spirito della fedeltà, della forza, dell'altruismo, della fede, del sacrificio, lo Spirito del coraggio e dell'eroismo, che noi abbiamo ricevuto, non si estingua mai.
3. Poi il vescovo mi imporrà la stola e la incrocerà sul mio petto, sul mio cuore, e mi rivestirà della veste presbiterale, la casula. Oltre alla veste battesimale, mio Dio, mi dai anche la veste presbiterale. Possa io riconsegnarle entrambe senza macchia davanti al tuo trono di giudice! Al tuo cospetto io sono povero e nudo, giacché, agli occhi della tua inesorabile giustizia, l'uomo è soltanto nullità e peccato. Ma tu rivestimi dell'abito della giustizia e della santa disciplina, ricoprimi, figlio perduto qual sono, con le vesti della tua grazia, della tua luce, della tua eterna chiarità. Donami inoltre le armi della luce (Rm 13,12), affinchè sia cinto ai fianchi con la verità, rivestito con la corazza della giustizia, abbia come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace, tenga in mano lo scudo della fede ed abbia l'elmo della salvezza e la spada della parola di Dio (cfr. Ef 6,10-17).
4. Poi il vescovo ungerà in forma di croce le mie mani. Le mani che dovranno benedire, le mani che dovranno dispensare la pace di Dio ai peccatori, le mani che si apriranno nella preghiera per il popolo santo di Dio, le mani che dovranno stringere il corpo e il sangue del Signore.
«Riempire le mani» già nell'Antica Alleanza era espressione di consacrazione sacerdotale.
Riempi le mie mani della tua benedizione! Non siano mai vuote! Siano sempre sante! Siano sempre pronte al tuo servizio e legate ai tuoi voleri! Non si rivolgano mai verso il male! La tua croce, segno del tuo amore, bruci sopra di esse come una stimmata, affinchè io pure porti sempre sul mio corpo le ferite di Cristo. Che io sia unto dell'unzione con cui ungesti Aronne, i re e i profeti come tuoi sacerdoti regali e tuoi profeti. Che io sia unto come il tuo Unto, il Messia, Signore nostro, « con l'olio della letizia davanti a tutti i miei compagni », con l'olio della forza e della santità, con l'olio dello Spirito Santo, l'olio della divinità; con l'unzione che rimane in noi e ci insegna ogni cosa (1 Gv 2,27).
6. Allora tu Signore, Cristo Gesù, sacerdote in eterno, starai davanti a me e mi guarderai, come guardasti i tuoi apostoli con uno sguardo di onniscienza e di inesauribile amore, e anche a me dirai: « Jam non dicam vos servos, sed amicos meos ». Vi ho chiamati amici perché a voi ho rivelato tutto quel che ho udito dal Padre (Gv 15,15). Signore, io sono il tuo servo e il figlio della tua ancella, ma sono anche tuo amico, perché tu lo hai detto e la tua parola è efficace e onnipotente. Sono tuo amico perché mi hai dato tutto quello che hai: il Padre tuo, la tua vita, la tua grazia, la tua missione, la tua potenza, il tuo ministero, la tua chiamata, il tuo destino, la tua croce, la tua morte e la tua vittoria eterna. E tu sussurri di nuovo dentro il mio santo entusiasmo: «Vos amici mei estis, si feceriris quae ego praecipio vobis ». Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.
7. E poi ripeterò ancora una volta il «Credo», la « bella confessione di fede davanti a molti testimoni» già pronunciata da Timoteo (1 Tm 6,13); il Credo degli apostoli, dei miei antenati e dei miei genitori; il Credo della mia fede semplice di quand'ero bambino; il Credo che ha allietato la mia giovinezza; il Credo cui sono rimasto fedele da adulto; il Credo che è più sapiente di tutta la sapienza del mondo, il Credo che è parola di Dio, la quale rimane in eterno; il Credo al quale ora appartiene ogni mia parola, ogni mia fatica, tutto il mio sangue; il Credo che dovrò professare e vivere.
8. E ancora una volta il vescovo mi imporrà le mani e mi dirà che sono mandato per legare e per sciogliere, per giudicare e perdonare nel tuo nome. Fa' che io ami sempre questo mio ministero nascosto, serio e umile, della remissione dei peccati; questo ministero dell'amara serietà della vita umana, il peccato; questo ministero della tua inesauribile misericordia e longanimità; questo ministero nel quale la tua giustizia e la tua grazia diventano una cosa sola, come diventano una cosa sola l'umanità più umana e la divinità più divina; questo ministero del silenzio e della pazienza, questo ministero della vita eterna.
9. E finalmente il vescovo prenderà le mie nelle sue mani e farò promessa di obbedienza e fedeltà alla Chiesa, obbedienza tenace anche se difficile, obbedienza senza pensare a me stesso, obbedienza nella quale l'uomo riversa e dimentica tutta la propria vita in una missione che è più grande di lui, obbedienza nella quale l'uomo si perde per ritrovarsi nella fedeltà e nella bontà infinita. Ecco, metto le mie nelle tue mani, Dio. Prendi la mia mano e conducimi: attraverso la gioia e il dolore, l'onore e il disprezzo, nel lavoro e nella sofferenza, nel grigiore quotidiano e nelle grandi ore, nel santo silenzio della tua casa ma anche sulle strade interminabili e polverose del mondo. Conducimi oggi e sempre, conducimi nel regno della tua vita eterna.
10. Dopo che mi avrai così chiamato, elevato, unto con la tua forza, inviato, io mi alzerò e me ne andrò diventato tuo prete, tuo unto, tuo messaggero, tuo testimone, tuo prete in eterno.
L'ordinazione presbiterale è davvero la tua ultima grande parola pronunciata sulla mia vita, la tua ultima, decisiva, definitiva e irrefutabile chiamata, che lascia un'impronta indelebile nella mia vita. Quello che avverrà poi nella mia vita potrà essere soltanto l'effetto, lo sviluppo di questa tua chiamata definitiva, l'esecuzione di questo tuo definitivo comando che dovrà dominare per sempre su tutta la mia esistenza. Donami perciò di essere fedele. Tu hai chiamato, tu darai anche il compimento (1 Ts 5,24). Poiché i tuoi doni non conoscono pentimento. Nel giorno della mia ordinazione la mia preghiera mattutina sia la parola di sant’Ignazio: «Signore, insegnami la vera grandezza d'animo. A servirti come meriti. A dare senza contare, a combattere senza temere le ferite, a lavorare senza cercare riposo, a sacrificarmi senza attendere altra ricompensa che sapere di compiere la tua volontà. Amen! ».
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