sabato 3 dicembre 2016

in avvento: come il cervo


SUL SALMO 41


ESPOSIZIONE

Discorso al popolo
L'unità di tutti i cristiani nel Corpo Mistico.
1. [v 2.] Ordinariamente l'anima nostra desidera godere con voi nella parola di Dio e salutarvi in lui, che è il nostro aiuto e la nostra salvezza. Ciò dunque che il Signore dona, ascoltatelo per mezzo nostro, e in lui esultate con noi nelle sue parole, e nella sua carità e verità. Parleremo di un salmo, ben confacente al vostro anelito. Questo salmo inizia con un santo desiderio, e colui che canta dice: Come il cervo anela alle fonti dell'acqua, così l'anima mia anela a te, Dio. Chi dice queste cose? Se lo vogliamo, siamo noi. E che cosa cerchi al di fuori di quello che sei, quando è in tuo potere essere ciò che cerchi? Tuttavia non è un uomo solo che parla, ma un solo corpo: il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Non in tutti coloro che entrano nella Chiesa si trova tale desiderio; tuttavia coloro che hanno gustato la dolcezza del Signore e avvertono nel cantico un sapore particolare non pensino di essere soli; siano convinti che tali semi sono sparsi nel campo del Signore, cioè in tutto il mondo, e che questa voce è la voce dell'unità cristiana: Come il cervo anela alle fonti dell'acqua così anela l'anima mia a te, Dio. È esatto pensare che si tratta della voce dei catecumeni, che si affrettano alla grazia del santo lavacro. Perciò si canta solennemente questo salmo, affinché essi desiderino la fonte della remissione dei peccati, come il cervo anela alle fonti dell'acqua. Che sia così e che questo sentimento occupi veramente nella Chiesa un posto preminente! Purtuttavia, fratelli, mi sembra che anche nel battesimo dei fedeli tale desiderio non sia ancora saziato; ma forse, se sanno dove è rivolto il loro pellegrinare e verso quale meta s'incamminano, più ardentemente si infiammeranno.
Dio sorgente inesauribile di vita e luce perpetua.
2. [v 1.] Il titolo del salmo è il seguente: Per la fine, salmo per l'intelligenza dei figli di Core. Troviamo i figli di Core anche in altri titoli di salmi, e ci ricordiamo di averne già trattato e di aver detto che cosa significhi questo nome; tuttavia siccome ora dobbiamo spiegare anche questo titolo, il fatto di averne già parlato non ci vieta di parlarne di nuovo; non ovunque infatti ne abbiamo parlato, e non tutti erano presenti. Core fu un uomo, e come tale avrà avuto certamente dei figli che erano chiamati figli di Core; noi tuttavia scrutiamo l'arcano del sacramento, affinché il nome partorisca questo mistero del quale è pregno. È una cosa molto misteriosa che i cristiani siano chiamati figli di Core. Perché figli di Core? Figli dello sposo, figli di Cristo. I cristiani infatti sono detti figli dello sposo. Perché, dunque, Core è Cristo? Perché Core significa Calvario. Andiamo ancora più lontano. Cercavo perché Core è Cristo: più attentamente debbo cercare perché Cristo sembra aver relazione con il Calvario. Ma forse non abbiamo trovato che è stato crocifisso appunto sul luogo del Calvario? Certamente. Dunque i figli dello sposo, i figli della sua Passione, i figli redenti dal sangue suo, i figli della sua croce, che portano in fronte il segno che i nemici posero nel luogo del Calvario, si chiamano figli di Core; per costoro si canta questo salmo, perché comprendano. Sforziamo la nostra intelligenza in modo da comprendere ciò che viene cantato per noi. E che cosa comprenderemo? In che senso questo salmo si canta? Oso dire: le perfezioni invisibili di Lui appariscono chiare fin dalla creazione del mondo dalle opere sue. Orsù, fratelli, fate vostra la mia avidità, partecipate con me a questo desiderio; amiamo insieme, insieme bruciamo per questa sete, insieme corriamo alla fonte di ogni conoscenza. Aneliamo perciò come il cervo alla fonte, non a quella fonte cui anelano per la remissione dei peccati coloro che debbono essere battezzati, ma, come già battezzati, aneliamo a quella fonte della quale la Scrittura altrove dice: Perché presso di te è la fonte della vita. Egli stesso è la fonte e la luce; perché nella tua luce vedremo la luce. Se è fonte, è anche luce, e giustamente è anche intelligenza che sazia l'anima avida di sapere; e chiunque capisce è illuminato da una certa luce non corporale, non carnale, non esteriore, ma interiore. C'è dunque, fratelli, una certa luce interiore che non hanno coloro che non capiscono. Per questo l'Apostolo dice supplicando a coloro che anelano a questa fonte di vita e da essa qualcosa prendono: Non camminate più come camminano anche i Gentili nella vanità della loro mente, oscurati nell'intelligenza, estraniati dalla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro, a cagione della cecità dei loro cuori.Orbene se essi sono ottenebrati nell'intelligenza, cioè sono ottenebrati perché non capiscono, ne consegue che coloro che capiscono sono illuminati. Tu, corri alla fonte, desidera le fonti delle acque. Presso Dio c’è la fonte della vita, una fonte inesauribile, nella luce di lui c’è una luce che non si oscurerà mai. Desidera questa luce, questa fonte; una luce che i tuoi occhi non hanno mai conosciuto; vedendo questa luce l’occhio interiore si aguzza, bevendo a questa fonte la sete interiore diventa più ardente. Corri alla fonte, anela alla fonte; ma non correre a casaccio, non correre come corre un qualsiasi animale; corri come un cervo. Che significa "corri come il cervo"? Non essere lento nel correre, corri veloce, anela con prontezza alla fonte. Sappiamo infatti che il cervo è velocissimo.
L'ostacolo alla verità.
3. [v 2.] Ma la Scrittura non ha voluto che considerassimo solo questo nel cervo, ha voluto indicarci anche altro. Ascolta che cosa c'è d'altro nel cervo. Esso uccide i serpenti, e dopo la morte dei serpenti arde di una sete ancora più forte; uccisi i serpenti corre ancora più velocemente alla fonte. I serpenti sono i tuoi vizi; distruggi i serpenti dell'ingiustizia, e allora ancora di più desidererai la fonte della verità. Forse in te l'avarizia sibila qualcosa di tenebroso, e sibila contro la parola di Dio, sibila contro il comandamento di Dio; e poiché ti è detto: disprezza le cose terrene, non compiere l'ingiustizia; se tu preferisci compiere ingiustizia anziché disprezzare qualche bene temporale, preferisci essere morso dal serpente piuttosto che uccidere il serpente. Se dunque ancora tu favorisci il tuo vizio, cedi al tuo desiderio, alla tua avarizia, al tuo serpente, quando troverò in te il desiderio che ti spinge alla fonte delle acque? Quand'è che desideri la fonte della sapienza se ancora ti affatichi nel veleno della malvagità? Uccidi in te tutto quanto è contrario alla verità; e quando ti renderai conto di essere privo di desideri perversi, non restare fermo, quasi tu non avessi altro da desiderare. C'è infatti qualcosa verso cui devi sollevarti; sempre che in te non vi sia cosa alcuna che vi si opponga. Tu forse mi dirai, se sei cervo: Dio sa che io non sono più avaro, che io non desidero più le cose degli altri, che non ardo più nel desiderio dell'adulterio, che non mi consumo nell'odio, nell'invidia e in altre colpe di questo genere; dirai: non ho tutto questo, e cercherai di che rallegrarti. Ebbene desidera ciò che ti può dar gioia; anela alle fonti delle acque; Dio ha di che ristorarti, e ricolma chi viene a lui assetato dopo aver ucciso i serpenti, come il cervo veloce.
Il simbolismo del nome cervo.
4. C'è qualcos'altro da notare nel cervo. Dicono che i cervi (e da qualcuno sono anche stati visti, infatti non si potrebbero scrivere tali cose se prima qualcuno non le avesse viste), quando camminano nella loro mandria, oppure quando nuotando si dirigono verso altre regioni, appoggiano la testa gli uni sugli altri, di modo ché uno precede, e lo segue un altro che appoggia il capo su di lui, e il terzo lo appoggia sul secondo e così via fino alla fine del branco. Il primo che porta il peso del capo di quello che lo segue, quando è stanco va in coda, in modo che il secondo diventa il primo e lui appoggiando la testa sull'ultimo possa riposarsi dalla sua stanchezza; in questo modo, portando alternativamente il peso, portano a termine il viaggio senza allontanarsi gli uni dagli altri. Non parla forse di cervi di questo genere l'Apostolo, quando dice: portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo?
5. [v 3.] Tale cervo dunque, stabilito nella fede ma che ancora non vede ciò che crede, e desidera comprendere ciò che ama, soffre anche di contrasti provocati da coloro che non sono cervi, che hanno l'intelligenza oscurata, che vivono nelle tenebre interiori accecati dalla cupidigia dei vizi; e per di più insultano e dicono all'uomo che crede e che non manifesta ciò che crede: dove è il Dio tuo? Ascoltiamo come reagisce questo cervo di fronte a tali parole, per farlo anche noi, se possiamo. Prima di tutto ha manifestato la sua sete dicendo: Come il cervo anela alle fonti delle acque, così anela l'anima mia a te, Dio. E che diremo se il cervo anela alle fonti delle acque per lavarsi? Se motivo del suo desiderio è bere o lavarsi noi non sappiamo. Ascolta quanto segue e non cercare più oltre: L'anima mia ha sete del Dio vivente. Quando dico: come il cervo anela alle fonti delle acque così anela l'anima mia a te, Dio, questo dico: l'anima mia ha sete del Dio vivente. Di che ha sete? Quando verrò e comparirò alla presenza di Dio? È di questo che ho sete: di venire e di apparire. Ho sete nel cammino, ho sete nella corsa; sarò saziato quando arriverò. Ma quando arriverò? E ciò che è rapido per Dio, è lento per il desiderio. Quando verrò e comparirò alla presenza di Dio? Da quel desiderio deriva anche ciò che altrove grida: Una cosa sola ho chiesto al Signore, e questa desidero, di abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita. Perché? Per contemplare, aggiunge, la felicità del Signore. Quando verrò e apparirò dinanzi alla faccia del Signore?
Le lacrime dei buoni esprimono il desiderio di Dio. 7 L'universo è una rivelazione di Dio.
6. [v 4.] Frattanto, mentre medito, mentre corro, mentre sono in cammino, prima di venire, prima di apparire alla tua presenza le lacrime furono per me pane di giorno e di notte, mentre ad ogni istante mi si ripete: dov'è il Dio tuo? Dice: le lacrime furono per me non amarezza, ma pane. Queste stesse lacrime erano dolci per me; assetato di quella fonte, poiché bere non potevo ancora, avidamente mi nutrivo delle mie lacrime. Non ha detto infatti: le mie lacrime sono diventate per me bevanda, affinché non sembri desiderare tali lacrime come desidera le fonti delle acque; ma, perdurando quella sete nella quale brucio, dalla quale sono attratto alle fonti delle acque, le lacrime mie sono diventate per me pane, mentre la soddisfazione della sete è rimandata. E certamente, nutrendosi delle sue lacrime, non v'è dubbio che aumenta la sua sete per la fonte. Di giorno e di notte dunque le mie lacrime sono diventate il mio pane. Questo cibo che è chiamato pane, è mangiato di giorno dagli uomini i quali di notte dormono; ma il pane delle lacrime si mangia di giorno e di notte. Sia che tu intenda per giorno e notte la totalità del tempo, sia che intenda per giorno la prosperità di questo secolo e per la notte le avversità, sia, ripeto, nelle prosperità, sia nelle avversità, io verso le lacrime del mio desiderio, io non trascuro l'avidità del mio desiderio; e ciò che nel mondo è bene, per me è male, prima di apparire dinanzi alla faccia di Dio. Perché mi costringi quasi a render grazie del giorno, se mi ha arriso qualche prosperità di questo secolo? Non è forse ingannatrice? Non è forse effimera, caduca, mortale? Non è forse temporale, fuggente, transitoria? Non ha forse più d'inganno che non di piacere? Come possono dunque non diventare il mio pane le lacrime anche nel giorno? Anche se la felicità del secolo ci circonda, finché siamo nel corpo, siamo esuli dal Signore e mi si dice ogni giorno: dov'è il tuo Dio? E se il pagano mi rivolge questa domanda, non posso anch'io dirgli: dov'è il tuo Dio? Egli infatti mi mostra con il dito il suo Dio. Tende il dito verso una qualche pietra, e dice: Ecco il Dio mio. Dov'è il Dio tuo? E se avrò deriso la pietra e colui che me l'ha indicata ne avrà provato vergogna, ecco che leva l'occhio dalla pietra, guarda il cielo e forse, mostrando con il dito il sole, di nuovo mi dice: ecco il Dio mio. Dov'è il Dio tuo? Egli trova qualche cosa da mostrare agli occhi della carne; io invece è come se non avessi di che mostrargli, ma è lui che non ha occhi ai quali io possa mostrare il mio Dio. Egli può mostrare agli occhi del mio corpo il Dio suo, il sole, ma a quali occhi io mostrerò il Creatore del sole?
7. Purtuttavia udendo quotidianamente dire: dov'è il tuo Dio, e nutrendomi delle mie quotidiane lacrime, di giorno e di notte ho meditato. Poiché ho udito le parole: Dov'è il Dio tuo?, ho cercato anch'io il mio Dio, per potere, non solo credergli, ma anche un po' vederlo. Vedo infatti ciò che ha fatto il mio Dio, ma non vedo il mio Dio che ha fatto tutte queste cose. Ma poiché come il cervo anelo alle fonti delle acque ed è presso di lui la fonte della vita e per la nostra comprensione è stato scritto il salmo per i figli di Core e gli attributi invisibili di Dio si intravedono con l'intelligenza attraverso le cose create, che cosa farò, per trovare il mio Dio? Considererò la terra: la terra è stata creata. La terra è di una bellezza straordinaria; ma ha il suo artefice. Meravigliosi prodigi sono quelli del seme e delle piante che nascono, ma sono cose che hanno il loro creatore. Contemplo la grandezza del mare che mi sta intorno, mi stupisco, ammiro; cerco l'autore. Levo gli occhi al cielo e alla bellezza delle stelle; ammiro lo splendore del sole capace di illuminare il giorno, e la luna che dirada le tenebre notturne. Sono meravigliose queste cose, degne di lode, anzi degne di stupore; e neppure sono terrene, già celesti esse sono. Ma non sta qui la mia sete; tutto questo ammiro, tutto questo lodo, ma ho sete di colui che ne è l'autore. Ritorno in me stesso e vado indagando chi sia io che tali cose osservo: trovo che io ho il corpo e l'anima; questa che governa, l'altro che è governato; il corpo che serve e l'anima che comanda. Distinguo bene che l'anima è qualcosa di meglio del corpo, e vedo che è l'anima che ricerca tali cose, non il corpo; tuttavia, tutte queste cose che ho conosciuto, le ho conosciute per mezzo del corpo. Lodavo la terra che avevo conosciuto con gli occhi; lodavo il mare che avevo visto con gli occhi, il cielo, le stelle, la luna; lodavo tutte cose che avevo conosciuto con gli occhi. Gli occhi sono membra della carne, sono finestre dello spirito; nell'intimo è colui che vede per mezzo di queste finestre; quando lo spirito è assente occupato in altre cose, invano tali finestre sono aperte. Il mio Dio che ha fatto le cose, che io vedo con gli occhi, non possiamo cercarlo con questi stessi occhi della carne. Ma del resto l'animo stesso attraverso se medesimo vede qualche cosa d'altro; esaminerò ora se si tratta di qualcosa che non vedo per mezzo degli occhi come il colore o la luce; che non sento per mezzo degli orecchi come il canto e il suono; né per mezzo delle narici come la dolcezza degli odori; e neppure con il palato e la lingua come i sapori e nemmeno per mezzo di tutto il corpo come la durezza e la morbidezza, il freddo e il caldo, l'asperità e la levigatezza; vedrò nel mio intimo di che cosa si tratti. Che significa vedere nell'intimo? Significa vedere ciò che non è colore, che non è suono, che non è odore, che non è sapore, e neppure calore, o freddo, o morbidezza, o durezza. Mi si dica ad esempio quale colore ha la sapienza. Quando pensiamo alla giustizia, e ci rallegriamo di lei nell'intimo, nel pensiero stesso della sua bellezza, che cosa echeggia alle nostre orecchie? Che cosa raggiunge le nostre narici quasi fosse un olezzo? Che gusto ne prova la bocca? Che cosa palpiamo con le mani, sì da provarne piacere? Eppure nell'intimo c'è, ed è bella, si loda, e si vede; anche se gli occhi sono nelle tenebre, l'anima gode della sua luce. Che cos'è che vedeva Tobia quando dava consigli di vita, pur essendo cieco, al figlio che vedeva? C'è dunque qualcosa che l'anima stessa vede, l'anima che domina e abita nel corpo, e che non vede per mezzo degli occhi del corpo e non sente per mezzo degli orecchi, né delle nari, né del palato, né del tatto corporeo, ma da se stessa, e che certamente sente meglio da se stessa, che non attraverso i suoi servi. È così senza dubbio; perché vede se stessa per mezzo di se stessa, e l’anima, appena si conosce, si vede. Non accade infatti che per vedere se stessa, cerchi l’aiuto degli occhi del corpo; anzi, si astrae piuttosto da tutti i sensi del corpo, quasi fossero impedimenti e ostacoli, per vedere sé in se stessa, per conoscere sé presso di sé. Ma forse che il suo Dio è qualcosa di simile a ciò che è l’anima? Certamente Dio non si può vedere se non per mezzo dell’anima, ma non si può vedere come si vede l’anima. L’anima cerca di comprendere ciò che è Dio in modo da non essere insultata da coloro che dicono: Dov’è il Dio tuo? Cerca la verità immutabile, la sostanza che non viene mai meno. L’anima non è così, perché viene meno e progredisce; sa e ignora; si ricorda e dimentica; ora vuole e ora non vuole. Questa mutevolezza non si trova in Dio. Se dicessi: Dio è mutevole, mi insulterebbero coloro che dicono: Dove è il tuo Dio?
8. [v 5.] Cerco dunque il mio Dio nelle cose visibili e corporali e non lo trovo; cerco la sua sostanza in me stesso, quasi fosse simile a ciò che io sono, e neppure qui lo trovo. Mi accorgo quindi che il mio Dio è qualcosa di superiore all'anima. Dunque, per conoscerlo, Su queste cose ho meditato, ed effondo al di sopra di me la mia anima. Quand'è che l'anima mia può conoscere ciò che cerca al di sopra di se stessa, se non quando si proietta al di sopra di se medesima? Se infatti restasse in se stessa, non vedrebbe niente altro che se stessa; e vedendo sé non vedrebbe certamente il suo Dio. Dicano dunque coloro che mi insultano: Dov'è il tuo Dio? Dicano pure; io finché non lo vedo, finché ritardo, mangio giorno e notte le mie lacrime. Dicano essi ancora: Dov'è il tuo Dio? Io cerco il mio Dio in ogni essere corporeo, terreno e celeste, e non lo trovo; cerco la sua sostanza nella mia anima, e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio, e, desiderando intravvedere gli attributi invisibili del mio Dio con l'intelletto attraverso le cose create, effondo sopra di me l'anima mia; e più non mi resta altro da conoscere, se non Dio stesso. Perché ivi è la dimora del mio Dio, al di sopra dell'anima mia; ivi egli abita, di lì egli mi guarda, di lì mi ha creato, di lì mi governa, di lì mi consiglia, di lì mi sollecita, di lì mi chiama, di lì mi dirige, di lì mi spinge, di lì mi trascina.
La Chiesa ed i cristiani sono tempio di Dio.
9. Ma egli che ha una sublime e segreta dimora ha anche in terra la sua tenda. La sua tenda in terra è la Chiesa, ma ancora pellegrina. Nondimeno è qui che dobbiamo cercare; perché nella tenda si trova la via, grazie alla quale si giunge alla dimora. Infatti per quale scopo effondo al di sopra di me l'anima mia per conoscere il mio Dio?Perché entrerò nel luogo della tenda. Errerò infatti cercando il mio Dio al di fuori della tenda. Perché entrerò nel luogo della mirabile tenda fino alla dimora di Dio. Entrerò dunque nella tenda, nella mirabile tenda, fino alla dimora di Dio. Già molte cose infatti ammiro in questa tenda. Ecco quante cose ammiro nella tenda! Perché la tenda di Dio in terra sono gli uomini fedeli; in essi ammiro l'obbedienza di tutto il loro essere, in quanto in essi non regna il peccato che li costringe ad obbedire ai suoi desideri, né le loro membra offrono al peccato le armi dell'ingiustizia, ma si offrono al Dio vivente nelle buone opere; ammiro le membra del corpo perché militano al servizio dell'anima che serve a Dio. Vedo che l'anima stessa obbedisce a Dio, dispone ed ordina le proprie azioni, frena i desideri, scaccia l'ignoranza, si dispone a sopportare ogni asperità ed ogni difficoltà, manifesta, nei confronti degli altri, giustizia e carità. Ammiro tutte queste virtù nell'anima; ma ancora cammino nella tenda. Ma oltrepasso anche queste e sebbene sia mirabile la tenda, mi stupisco quando pervengo alla dimora di Dio. Di questa dimora parla in un altro salmo quando si pone quella difficile ed oscura questione, quando cioè si chiede perché in questa terra di solito il bene tocca ai malvagi, e il male ai buoni, e dice: mi detti a pensare per conoscere, ma divenne un tormento per me, finché non entrai nel santuario di Dio e non considerai le cose ultime. Perché ivi è la fonte dell'intelligenza, nel santuario di Dio, nella dimora di Dio. Ivi ha capito il salmista le cose ultime, e ha risolto la questione della felicità degli ingiusti e della sofferenza dei giusti. In qual modo l'ha risolta? Perché i malvagi, quando qui la loro condanna è rimandata. sono riserbati per pene senza fine; e i buoni, quando qui soffrono, sono messi alla prova, per ottenere nell'ultimo giorno l'eredità. E tutto questo egli ha conosciuto nel santuario di Dio, ha compreso sulle cose ultime. Salendo nella tenda, è giunto alla casa di Dio. Tuttavia, mentre contemplava le parti della tenda, è stato condotto alla dimora di Dio, seguendo una certa dolcezza, una non so quale nascosta e interiore delizia, come se dalla casa di Dio risuonasse soavemente un organo; e mentre egli camminava nella tenda, udito questo suono interiore, guidato dalla dolcezza, seguendo ciò che sentiva risuonare, astraendosi da ogni rumore della carne e del sangue, è giunto infine alla casa di Dio. Così infatti egli parla della sua via e del suo cammino, come se noi gli avessimo detto: Hai ammirato la tenda in questa terra; ebbene in qual modo sei giunto al segreto della casa di Dio? Risponde: Tra voci di giubilo e di lodi, in mezzo ad una moltitudine in festa. Quando qui gli uomini celebrano le loro feste anche se si tratta di feste lussuriose, sono soliti collocare alcuni strumenti musicali dinanzi alle loro case, oppure ingaggiare suonatori, insomma suonare qualche musica che lusinghi ed ecciti la sensualità. Udendola che dice chi passa? Chiede di che cosa si tratta. Risponderanno che si tratta di una festa. Ci diranno che è una festa natalizia, oppure che si tratta di nozze, affinché non sembrino fuori luogo quei canti, e la la lussuria sia scusata con la festa. Nella casa del Signore eterna è la festa. Non vi si celebra una festa che passa. Il festoso coro degli angeli è eterno; il volto di Dio presente dona una letizia che mai viene meno. Questo giorno di festa non ha né inizio né fine. Da quella eterna e perpetua festa risuona un non so che di canoro e di dolce alle orecchie del cuore; purché non sia disturbata dai rumori del mondo. Il suono di quella festa accarezza le orecchie di chi cammina nella tenda e osserva i miracoli di Dio nella redenzione dei fedeli, e rapisce il cervo alle fonti delle acque.
La speranza nelle tribolazioni.
10. [v 6.] Ma poiché, fratelli, finché siamo in questo corpo, siamo esuli dal Signore; e il corpo che si corrompe appesantisce l'anima e la terrena dimora deprime l'intelligenza di chi pensa molte cose; anche se, fugate in qualche modo le nebbie, camminando spinti dal desiderio, siamo giunti talvolta a questo suono e ci siamo sforzati di sentire qualcosa di ciò che proviene da quella casa di Dio, tuttavia, per il peso della nostra debolezza, ricadiamo nelle cose consuete e precipitiamo di nuovo nei pensieri quotidiani. E come là avevamo trovato di che gioire, qui non mancherà di che gemere. Questo cervo infatti, nutrendosi giorno e notte delle sue lacrime, rapito dal desiderio che lo spinge alle fonti delle acque, cioè alla interiore dolcezza di Dio, effondendo al di sopra di sé la sua anima per toccare ciò che sta al di sopra dell'anima sua, camminando nella mirabile tenda fino alla casa di Dio, e guidato dalla giocondità dell'intimo e intelligibile suono, fino a disprezzare le cose esteriori e sentirsi attirato da quelle interiori, tuttavia è ancora un uomo, ancora geme, ancora porta la carne fragile, ancora corre pericoli in mezzo agli scandali di questo mondo. Ha guardato dunque se stesso, considerando donde è venuto, e, quasi fosse inchiodato tra le tristezze della terra che paragona a quelle cose che per un solo momento è riuscito a vedere, dice a se stesso: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Ecco, già da una certa interiore dolcezza siamo allietati, ecco abbiamo potuto scorgere qualcosa di immutabile con l'occhio della mente, anche se per un momento solo e di sfuggita; perché ancora mi turbi, perché ancora sei triste? Non certo dubiti del tuo Dio e hai che cosa dire contro coloro che ti dicono: Dov'è il tuo Dio? Già qualcosa di immutabile ho percepito, perché dunque ancora mi turbi? Spera in Dio. E la sua anima, quasi rispondendogli in silenzio: perché ti turbo? perché non sono ancora là ove c'è quella dolcezza, dalla quale sono stata rapita di sfuggita. Forse che già bevo a quella fonte, senza più alcun timore? Forse che non temo più nessuno scandalo? Forse che sto sicura da ogni desiderio come se già li avessi tutti vinti e domati? Forse il diavolo mio nemico non veglia contro di me? Non mi tende forse ogni giorno i lacci dell'inganno? Non vuoi che ti turbi mentre sono ancora nel secolo, esule dalla casa del mio Dio? Ma: spera in Dio, risponderà alla sua anima colui che da essa è turbato, riconoscendo giusto il suo turbamento, a cagione dei mali dei quali questo mondo abbonda. Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l'aspettiamo.
Perseverare nella speranza.
11. [v 7.] Spera in Dio. Perché spera? Perché ancora potrò dar lode a Lui. Come lo loderai? Salvezza del mio volto, Dio mio. La salvezza non mi può venire da me stesso; questo dirò, questo confesserò; Salvezza del mio volto, Dio mio. Infatti, temendo quelle cose che in qualche modo ha conosciuto, le esamina di nuovo perché non si insinui il nemico, e ancora, dice, non sono salvo da ogni parte. Avendo infatti le primizie dello spirito, gemiamo in noi stessi aspettando l'adozione e la redenzione del nostro corpo. Perfezionata in noi quella salvezza, saremo nella casa di Dio, e vivremo senza fine e senza fine loderemo colui al quale è detto: Beati coloro che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno. Questo non è ancora accaduto, perché non è ancora venuta quella salvezza che è promessa; ma lodo il mio Dio nella speranza, e gli dico:Salvezza del mio volto, Dio mio. Perché nella speranza già siamo salvati; ma la speranza che si vede non è speranza. Persevera dunque per giungere alla salvezza; persevera finché la salvezza non verrà. Ascolta il tuo stesso Dio che ti parla dal tuo intimo: spera nel Signore, comportati da uomo, e si conforti il tuo cuore, e spera nel Signore; perché chi avrà perseverato fino alla fine, costui sarà salvo. Orbene perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? spera in Dio perché ancora potrò dar lode a Lui. Questa è la mia lode: Salvezza del mio volto, Dio mio.
La speranza in Dio è un dono del suo amore.
12. In me l'anima mia si è turbata. Forse che per Dio si è turbata? Per me si è turbata. Nell'immutabile si era ristorata, per il mutevole si è turbata. So che resta in eterno la giustizia del mio Dio; ma non so se anche la mia resta. Mi spaventa l'Apostolo che dice: colui che crede di stare in piedi, stia attento a non cadere. Dunque, poiché non c'è in me salvezza, neppure c'è in me speranza per me stesso: in me si è turbata l'anima mia. Vuoi non essere turbato? Non restare in te stesso, di': verso di te, o Signore, ho levato l'anima mia. Ascolta più chiaramente questo concetto. Non sperare in te, ma nel tuo Dio. Infatti, se speri in te, la tua anima si preoccupa per te; perché non è ancora sicura di te stesso. Ebbene poiché l'anima mia si è turbata per me, che mi resta se non l'umiltà, in modo che l'anima non presuma troppo di se stessa? Che le resta, se non che si faccia piccolissima, che si umili, se vuol meritare di essere esaltata? Non attribuisca nessun merito a se stessa, in modo che sia attribuito tutto a Colui dal quale è vantaggioso tutto attenderci. Perché dunque per me si è turbata l'anima mia, ed è la superbia a suscitare questo turbamento, dice: per questo mi sono ricordato di te, o Signore, dalla terra del Giordano e dall'Ermon, dal piccolo monte. Donde mi sono ricordato di te? Dal piccolo monte, e dalla terra del Giordano. Forse dal battesimo, dove è la remissione dei peccati. Infatti nessuno accorre alla remissione dei peccati, se non chi a sé è sgradito; nessuno corre alla remissione dei peccati se non colui che si confessa peccatore; e nessuno si confessa peccatore se non umiliando se stesso dinanzi a Dio. Dunque dalla terra del Giordano mi sono ricordato di te e dal piccolo monte; non dal monte grande, affinché tu faccia grande il monte piccolo, perché chi si esalta sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato. Ma se tu cerchi anche il significato dei nomi, Giordano significa "discesa di costoro". Discendi dunque se vuoi sollevarti; non innalzarti, se non vuoi essere abbattuto: e dall'Ermon, dal monte piccolo. Ermon significa condanna. Condanna dunque te stesso, sii a te stesso sgradito; sarai infatti sgradito a Dio, se piacerai a te. Ebbene poiché Dio ci dona tutti i beni, poiché egli è buono, non perché noi siamo degni, perché egli è misericordioso, non perché noi meritiamo alcunché, dalla terra del Giordano e dall'Ermon mi sono ricordato di Dio. E poiché umilmente se ne è ricordato, meriterà di fruire della glorificazione; perché non si gloria in sé chi si gloria nel Signore.
La sapienza e la verità si apprendono dalla predicazione.
13. [v 8.] L'abisso invoca l'abisso, nella voce delle tue cascate. Posso forse completare il salmo, aiutato dal vostro zelo e dal fervore che noto in voi. Non mi preoccupo troppo della vostra fatica, mentre ascoltate, quando voi vedete che anch'io, che parlo, sudo in queste fatiche. Vedendomi affaticato, certamente collaborerete; non mi affatico per me, ma per voi: ascoltate dunque, dato che vedo che lo desiderate. L'abisso invoca l'abisso, nella voce delle tue cascate: questo ha detto a Dio colui che si è ricordato di Dio dalla terra del Giordano e dall'Ermon; questo ha detto ammirando: l'abisso invoca l'abisso, nella voce delle tue cascate. Di quale abisso si tratta, e quale abisso invoca? L'abisso è appunto questa intelligenza. L'abisso infatti è una profondità impenetrabile, incomprensibile; e soprattutto così ci si suole esprimere a proposito della profondità delle acque. Perché in esse è l'altezza, la profondità che non si può penetrare fino in fondo. Altrove infatti è detto: I tuoi giudizi sono come l'abisso immenso, volendo la Scrittura sottolineare che i giudizi di Dio non possono essere compresi. Di quale abisso si tratta dunque, e quale abisso invoca? Se la profondità è l'abisso, riteniamo che il cuore dell'uomo non sia un abisso? Cosa c'è infatti di più profondo di quest'abisso? Gli uomini possono parlare, li possiamo vedere attraverso le azioni delle loro membra, li possiamo ascoltare nei loro discorsi; ma quale pensiero si penetra, in quale cuore si indaga? Chi mai potrà comprendere che cosa l'uomo reca nell'intimo, che cosa può, che cosa sa, di che cosa dispone, che cosa vuole, che cosa non vuole? Credo perciò che correttamente si possa intendere per abisso l'uomo del quale altrove è detto: affronterà l'uomo anche il cuore profondo, e Dio sarà esaltato. Se dunque l'uomo è l'abisso, in qual modo l'abisso invoca l'abisso? L'uomo forse invoca l'uomo? Lo invoca come è invocato Dio? No, certo. Ma invocare significa chiamare a sé. Si dice infatti di un tale che invoca la morte; cioè che vive in modo tale da chiamare la morte. Di fatto nessun uomo pregando invoca la morte; ma vivendo male gli uomini invocano la morte. L'abisso invoca l'abisso, l'uomo invoca l'uomo. Così si impara la sapienza, così si apprende la fede, quando l'abisso invoca l'abisso. Invocano l'abisso i santi che predicano la parola di Dio. Forse che anch'essi non sono abissi? Affinché tu sappia che anch'essi sono abissi, l'Apostolo dice: Non m'importa essere giudicato da voi, oppure da un tribunale umano. Ma per intendere quanto grande sia tale abisso ascoltate ancora: E neppure me stesso giudico. Credete dunque che vi sia nell'uomo una profondità talmente grande da rimanere nascosta a lui stesso? Quant'era grande la profondità della debolezza che si celava in Pietro, quando egli non sapeva che cosa avesse nel suo intimo, e temerariamente prometteva che sarebbe morto insieme col Signore, oppure per il Signore! Che immenso abisso! Questo abisso tuttavia, era manifesto agli occhi di Dio. Infatti Cristo gli preannunziava proprio quest'abisso, che egli ignorava di avere in sé. Dunque ogni uomo, anche santo, anche giusto, anche se in molte cose progredisce, è un abisso ed invoca l'abisso quando annunzia all'uomo la fede e la verità in vista della vita eterna. Ma l’invocazione dell’abisso da parte dell’abisso è utile, quando si compie "nella voce delle tue cascate". L’abisso invoca l’abisso, cioè l’uomo guadagna un altro uomo; ma non con la sua voce, bensì nella voce delle tue cascate.
Temiamo il giudizio di Dio.
14. Ascoltate un'altra interpretazione: l'abisso invoca l'abisso nella voce delle tue cascate. Io che tremo, quando l'anima mia si turba dentro di me ho avuto violento timore dei tuoi giudizi; perché i tuoi giudizi sono grandi abissi, e l'abisso chiama l'abisso. Infatti sotto questa carne mortale, affaticata, peccatrice piena di noie e di scandali, oppressa dalle concupiscenza, c'è una dannazione che deriva dal tuo giudizio; perché tu hai detto al peccatore: Di morte morirai e: nel sudore del tuo volto mangerai il tuo pane. Questo è il primo abisso del tuo giudizio. Ma se qui nel male saranno vissuti gli uomini, l'abisso invoca l'abisso; perché passano di pena in pena, di tenebre in tenebre, di profondità in profondità e di supplizio in supplizio, e infine dall'ardore della cupidigia nelle fiamme dell'inferno. Ecco che cosa ha forse temuto quest'uomo allorché dice: l'anima mia si turba in me; quando penso a te, Signore, dalla terra del Giordano e dall'Ermon. Debbo essere umile. Ho avuto orrore infatti dei tuoi giudizi, violentemente ho temuto i tuoi giudizi; per questo l'anima mia si turba in me: e quali tuoi giudizi ho temuto? Sono forse piccoli questi tuoi giudizi? Sono grandi, sono duri, sono pesanti; ma volesse il cielo che fossero i soli! L'abisso chiama l'abisso, nella voce delle tue cascate. Poiché tu minacci, tu dici che dopo queste fatiche ci resta un'altra condanna: nella voce delle tue cascate, l'abisso invoca l'abisso. Dove sfuggirò dunque dal tuo volto, dove scapperò dal tuo spirito, se l'abisso invoca l'abisso, se dopo queste fatiche debbo temerne di più pesanti?
15. Tutti i tuoi cavalloni e i tuoi flutti passano sopra di me. I flutti in ciò che subisco, i cavalloni in ciò che tu minacci. Ogni colpa che sento è una tua ondata; ogni tua minaccia, è un tuo rinvio. Nelle ondate questo abisso invoca, nei rinvii invoca l'altro abisso. In ciò che soffro, tutte le tue ondate, in ciò che tu minacci di più grave, tutti i tuoi rinvii si sono rovesciati su di me. Colui che minaccia non opprime, ma rinvia. Ma poiché tu liberi, questo ho detto all'anima mia: spera in Dio perché lui loderò; è la salvezza del mio volto, Dio mio. Quanto più frequenti sono le sciagure, più dolce sarà la tua misericordia.
Inevitabilità della sofferenza.
16. [v 9.] Continua pertanto: Di giorno il Signore concede la sua misericordia, e di notte l'annunzierà. Nessuno manchi di ascoltare quando è nella tribolazione. State attenti quando vivete nel bene, ascoltate quando siete nella prosperità; imparate, quando siete tranquilli, la disciplina della sapienza, e raccogliete come fosse un cibo la parola di Dio. Quando uno è nella tribolazione, gli giova ciò che ha ascoltato quando era tranquillo. Infatti nella prosperità Dio ti manda la sua misericordia, se fedelmente lo avrai servito, perché ti libera dalla tribolazione; ma soltanto per mezzo della notte ti annuncia la misericordia che ti manda per mezzo del giorno. Quando sarà venuta la tribolazione allora non ti mancherà l'aiuto; ti mostra che era vero ciò che ti ha mandato durante il giorno. Sta infatti scritto in un certo passo: bella è la misericordia del Signore nel tempo della tribolazione, come una nube di pioggia nel tempo della siccità. Di giorno il Signore ha mandato la sua misericordia e di notte la annunzierà. Non ti mostra che ti soccorre se non quando sarà venuta la tribolazione in modo che tu ne sia liberato da colui che, di giorno, te l'ha promessa. Per questo siamo esortati a imitare la formica. Come infatti la prosperità del secolo è rappresentata dal giorno, così le avversità del secolo sono rappresentate dalla notte; del pari, in altro modo, la prosperità del secolo è rappresentata dall'estate, mentre le avversità del secolo sono rappresentate dall'inverno. E che cosa fa la formica? Durante l'estate raccoglie ciò che le serve d'inverno. Dunque quando è estate, quando vivete nel bene, quando siete tranquilli, ascoltate la parola del Signore. Come è possibile che nella tempesta di questo secolo varchiate tutto questo mare senza alcuna tribolazione? Come può accadere? A quale uomo capita? Se a qualcuno capita, quella stessa tranquillità è ancor più da temere. Di giorno il Signore ha mandato la sua misericordia e di notte la annunzierà.
Esortazioni alla preghiera e alla perseveranza in Dio
17. [vv 9.10.] Che farai dunque in quest'esilio? Come ti comporterai? In me la preghiera a Dio, vita mia. Mi comporto come quel cervo, assetato e anelante alla fonte delle acque, al ricordo della dolcezza di quella voce grazie alla quale sono stato condotto attraverso la tenda sino alla casa di Dio, affinché questo corpo che si corrompe appesantisce l'anima, in me la preghiera a Dio vita mia. Non perché supplicando Dio io sarò riscattato dai luoghi d'oltre mare; neppure navigherò affinché Dio mi esaudisca portandogli da lontano incenso e aromi oppure offrendogli dal gregge un vitello o un ariete: in me la preghiera a Dio, vita mia. Dentro di me ho la vittima da immolare, dentro di me ho l'incenso da offrire, dentro di me ho il sacrificio con il quale piegare il mio Dio: sacrificio a Dio è lo spirito contrito. Quale sacrificio di spirito contrito abbia dentro di me, ascolta: Dirò a Dio: Sei il mio protettore, perché ti sei scordato di me? Soffro tanto in questo mondo che è come tu ti fossi scordato di me. Ma tu mi metti alla prova; e so che rimandi, non mi togli ciò che mi hai promesso; ma tuttavia perché ti sei scordato di me? Come con la nostra voce ha gridato anche il nostro Capo: Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Dirò a Dio: sei il mio protettore, perché ti sei scordato di me?

18. [v 11.] Perché mi hai scacciato? Dalla profondità della fonte dell'intelligenza della immutabile verità, perché mi hai scacciato? Perché per la gravezza ed il peso della mia iniquità, mentre già mi ero sollevato lassù, sono precipitato in queste cose? Dice altrove questa voce: Io ho detto nella mia estasi, quando ha visto un non so che di grande, nella esaltazione del suo spirito: io ho detto nella mia estasi: sono sottratto allo sguardo dei tuoi occhi. Ha paragonato infatti le cose nelle quali si trova a quelle alle quali si era elevato, ed ha visto di essere sottratto allo sguardo degli occhi di Dio. Così anche qui: perché mi hai scacciato? e perché rattristato devo camminare, mentre il nemico mi affligge, mentre spezza le mie ossa il diavolo tentatore, mentre ovunque si fanno più frequenti gli scandali, per l'abbondanza dei quali si raffredda la carità di molti? Quando vediamo i forti della Chiesa cedere spesso agli scandali, non dice forse allora il Corpo di Cristo: il nemico spezza le mie ossa? Le ossa infatti sono i forti, e talvolta gli stessi forti cedono alle tentazioni. Quando un membro del Corpo di Cristo osserva tutte queste cose, non grida forse con la voce del Corpo di Cristo: perché mi hai scacciato, e perché rattristato devo camminare, mentre il nemico mi affligge, mentre spezza le mie ossa? Non soltanto le mie carni, ma anche le mie ossa; perché tu vedi cedere alla tentazione anche coloro nei quali si riteneva vi fosse una certa forza, e gli altri deboli disperano quando vedono soccombere i forti. Come sono grandi questi pericoli, fratelli miei!

19. [vv 11.12.] Mi hanno vituperato coloro che mi fanno soffrire. Di nuovo si sente quella voce: Dicendomi ogni giorno: dov'è il tuo Dio? E soprattutto queste cose dicono nelle tribolazioni della Chiesa: dov'è il tuo Dio? Questo è ciò che udirono i martiri forti e pazienti nel nome di Cristo, quando fu detto loro: dov'è il vostro Dio? Vi liberi, se può. Gli uomini vedevano i loro supplizi esteriori, ma non vedevano le intime corone. Mi hanno vituperato coloro che mi fanno soffrire, dicendomi ogni giorno: dov'è il tuo Dio? Ed io per queste cose, perché in me si è turbata l'anima mia, che cosa gli dirò se non questo: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Ed essa sembra rispondermi: non vuoi che ti turbi mentre sono in mezzo a tante sciagure? mentre sospiro al bene, assetata e affaticata, non vuoi che ti turbi? Spera in Dio perché ancora potrò dar lode a lui. Ripete la stessa lode; ripete la conferma della speranza: salvezza del mio volto e Dio mio.

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