martedì 27 dicembre 2016

Natale: gioia della vita semplice

Fabrice Hadjadj:  
«Natale dovrebbe essere sinonimo di vita semplice»
 
 
 
 
Figura in ascesa di un cattolicesimo francese senza complessi, il filosofo Fabrice Hadjadj è un critico pungente delle nostre società iperconnesse. Il suo modello alternativo? Gesù, certamente, ma anche gli Hobbit e la Piccola casa nella prateria. Incontro con un pensatore spiazzante.
(Le Temps, 25 dicembre 2016) 
 
Nella penombra della capella di Bourguillon, a Friburgo, Fabrice Hadjadj s'inginocchia per salutare le Vergine. Il filosofo francese insegna da alcuni anni all'Istituto Philantropos, una sortra di collegio cristiano con convitto per ragazze, ubicato vicino a questa capella venerata dai friburghesi.
 
Prolisso e riflessivo, Fabrice Hadjadj non è un intellettuale parigino come gli altri: è la figura di punta di un nuovo movimento cattolico, allo stesso tempo ben introdotto nelle élites francesi e portatore di un messaggio decisamente politico. «Un approccio consapevole di essere minoritario nella società, ma senza complessi», commenta lo specialista delle religioni Jean-François Mayer. Nel caso di Fabrice Hadjadj questo pensiero prende una piega corrosiva, molto critica verso la civiltà globalizzata.
 
Le Temps: Talvolta lei viene presentato come il "guru" di un attivismo cattolico di cui François Fillon sarebbe il campione. È così?
 
Fabrice Hadjadj: Non ho contatti diretti con François Fillon, anche se abbiamo qualche conoscenza in comune. In Francia nel momento in cui si cerca di pensare la famiglia, il rapporto alla nascita e alla terra, si viene etichettati come «reazionari». Nel momento dell'ascesa di Françoic Fillon e del ritorno, di fronte all'islam, della questione cristiana nel dibattito politico si sono cercate delle figure e "Libération" mi ha canonizzato come «santo patrono» e «guru» della «cattosfera». Ma non sono un guru della destra. Non sono nemmeno di destra, se la destra corrisponde al tecnoliberialismo criticato in maniera radicale dai miei lavori. Ciò non toglie, tuttavia, che dopo la «Manif pour tous» i cristiani sono entrati di nuovo nello spazio pubblico.
 
— François Fillon incarna dunque tutto ciò?
 
— È stato primo ministro di Sarkozy, ma sembra meno opportunista e più un uomo di convinzioni. Da quel che ho capito il suo cattolicesimo è più sincero di quello dei suoi predecessori, ma soggiacendo alla gesuitica distinzione tra etica della convinzione e etica della responsabilità non lo esprime in pubblico. Si evolverà? L'adesione di molti cattolici alla sua candidatura mostra in ogni caso che le cose stanno cambiando. I cattolici uniscono in lui la speranza di un'apertura, di una deideologizzazione del rapporto col cristianesimo in Francia.
 
Lo spazio pubblico è sempre politico-religioso
— Come spiegare questo ritorno della questione cristiana? E perché ora?
— Questo accade solo ora in Francia per via della sua certezza di essere portatrice dei «valori universali», un fatto che la rinchiude in una sorta di provincialismo sufficiente. I politici francesi non riescono a comprendere questo ritorno del religioso perché credono all'universalità del laicismo, della secolarizzazione, della relegazione della religione nella sfera privata. È per questo che sono così indifesi di fronte all'islam, che non combacia con la loro griglia di lettura. Ora, questo fenomeno del ritorno del religioso — ipotizzando che sia mai partito — è in atto da anni. Prendete soltanto l'anno 1979: l’ayatollah Khomeyni in Iran, Solidarność in Polonia, la rivoluzione sandinista in Nicaragua, così impregnata di teologia della liberazione... Prima ancora c'è Israele, ma anche la guerra d'Algeria, di cui è la linfa, una volta caduta la maschera del comunismo.
 
Lo spazio pubblico è sempre politico-religioso, che lo si voglia o meno. È per questo che lo Stato deve assicurare uno spazio alla religione: è la condizione di una vera laicità. Il potere politico deve dire che la salvezza delle anime non è affar suo, che lavora per la prosperità temporale di un paese, ma allo stesso tempo deve riconoscere che la salvezza delle anime è essenziale, e assicurare uno spazio a chi è testimone di questo mistero, nei limiti della libertà religiosa, e dunque al di fuori di ogni violenza fondamentalista. Se non lo fa, cade nel laicismo, cioè si costituisce come religione dell'antireligione, col suo clero, con le sue scomuniche, la sua fede nell'autocostruzione dell'uomo.
 
Un prodotto delle multinazionali biotecnologiche
— Il laicismo porta a quel che lei pure denuncia da più di vent'anni, l'avvento dell'uomo aumentato, del cyborg?
— Non direttamente. I governanti francesi si inseriscono nella logica dell'Uomo Nuovo della Rivoluzione francese: una utopia ancora politica, e non tecnologica. Ma quale giovane oggi si riconosce ancora nella storia nazionale del «patto repubblicano»? Non funziona più. E questo ci porta a una situazione senza precedenti: l'Uomo Nuovo non è più il Cittadino, ma il Cyborg. Ora, questo superuomo è in realtà un super-arnese, completamente inserito in e dipendente da un dispositivo tecno-economico. La sua presunta liberazione è una alienazione totale. Quando la vostra coscienza si troverà su un supporto non biologico, potrete pure essere immortali ma anche incepparvi, essere piratati. In ogni caso integralmente dipendenti da un servizio di assistenza e da un fornitore di servizi... Non sarete più figli dei vostri padri, bensì un prodotto delle multinazionali biotecnologiche.
 
Cos'è una vita umana?
— Lei critica, alla stregua del papa, il paradigma tecno-economica. Ma non è una formidabile forza di progresso, di emancipazione per l'umanità?
— È un progresso, certo, ma gli oggetti, non per il soggetto umano: l'impresa tecno-liberale poco alla volta ha spossessato l'uomo di ogni sapere pratico che gli consentiva una certa autonomia rispetto al mercato. Il sogno dell'uomo aumentato è il sogno di uomo che è stato prima diminuito. È quanto mostra molto bene Michel Houellebecq nei suoi romanzi, dove mette in scena un uomo consumatore tanto diminuito da sognare tanto la tecnocrazia quanto l'islam, e questo proprio perché è stato privato delle sue facoltà più essenziali. È per questo che si ridurrà a mendicare al sistema degli impianti oppure a una salvezza automatica.
 
Ora, cos'è una vita umana? Se lei guarda La piccola casa nella prateria si trova davanti un padre di famiglia che lavora la terra, ripara la propria casa, canta coi figli, suona il violino, ha voce in capitolo nell'assemblea del villaggio, va a messa per ringraziare Dio. Tutto questo lo abbiamo ancora? Oggi lavoriamo in un ufficio senza bene sapere a che cosa e se la grande distribuzione si inceppa moriamo di fame nel giro di pochi giorni. La tecnologia ha distrutto le tecniche più umane. Abbiamo creduto che il lavoro veramente umano fosse puramente intellettuale, ma è un errore: la nostra intelligenza passa sempre attraverso le nostre mani. Un tempo trasmettevamo i ferri del mestiere, dei saperi pratici. Ma oggi cosa trasmettiamo? L'innovazione vi intrappola in una obsolescenza che fa sì che non vi sia più nulla da trasmettere. Privati delle nostri mani, privati di una esistenza veramente umana, sogniamo di essere direttamente installati nel mondo virtuale.
 
Ecologia integrale
— Davanti a questo incubo postumano lei si richiama all'ecologia integrale. Di che si tratta?
— Io sostengo innanzitutto quello che si chiama distributismo: dobbiamo ovviamente avere a che fare con le multinazionali, con le nuove tecnologia, ma bisogna anche riappropriarsi dei mezzi di produzione per assicurare la propria sussistenza, riscoprire una economia locale e familiare. I giovani sono completamente saturi di tecnologia. Ecco perché alcuni si danno al jihad. Altri, più illuminati, ricercano la terra. I «neocontadini» sono sempre più fondamentali. Alcuni dei miei vecchi studenti hanno fondato un eco-villaggio a sud di Lione. Dico ai cattolici che non difendere una famiglia eterea, indifferente al modello economico: perché la famiglia sia un luogo vivo, interessante, esse deve essere un luogo in cui si produce, dove entriamo in rapporto con la natura, dove trasmettiamo una cultura.
 
Conosco una giovane coppia a Bruxelles che si è sistemata con altre famiglie. Hanno un orto, dei maiali, dei polli, e lavorano fuori a mezza giornata, per esempio di un'azienda di digitalizzazione... Questi giovani riscoprono una vita con una autentica densità umana, vale a dire carnale e spirituale. Il virtuale non li affascina più perché è stato loro donato nuovamente il reale. Il mio modello, se volete, sono gli Hobbit di Tolkien! Il ritorno al locale risolverà una gran parte dei problemi ecologici facendoci uscire da una crisi che è prima di tutto antropologica.
— Ma, precisamente, in tutto questo dove sta l'ecologia, nel senso di protezione della natura, degli animali?
— Parlando dell'ecologia integrale, papa Francesco parte dall'ecologia scientifica, quella degli ecosistemi e dell'interdipendenza dei viventi gli uni dagli altri. Ma poi va oltre: questa interdipendenza è anche quella degli uomini, del corpo e dello spirito, infine quella della creatura e del Creatore. Il santo padre mette in rapporto la devastazione materiale e la devastazione spirituale. È perché l'uomo non è più capace di vivere l'incarnazione, l'interiorità, la fede in una provvidenza, che ... acquistando dei prodotti che lo distoglieranno dal proprio vuoto. Quando non sappiamo più contemplare il reale, lo divoriamo. Ecco perché l'ecologia integrale è radicata nel vero oikos [«casa» in greco antico]: la famiglia, la prima unione data dall'Autore della natura. Il problema principale non è l'eguale ripartizione delle ricchezze, ma l'eguale ripartizione del capitale, dei mezzi di produzione. Se vogliamo limitare i danni dell'iper-industrializzazione bisogna restituire di nuovo alla famiglia, al quartiere, al villaggio la loro vitalità di luoghi di produzione economica, culturale, artistica e dunque anche politica. Uno spazio pubblico, ma in una giusta dimensione. La casa deve riscoprire il giardino e il laboratorio. Questo sarebbe un autentico contatto con la natura, e non una fantasia buona per la tappezzeria.
 
Natale, luogo di affermazione del paradigma tecno-liberale
— Che pensa del Natale, che oggi appare come un'orgia consumistica? Quale significato deve ritrovare questa festa?
— Il mondo effettivamente approfitta del Natale per lasciarsi andare all'iper-consumo. È un'usurpazione molto problematica. Abbiamo reso il Natale un luogo principe dell'affermazione del paradigma tecno-liberale. Acquistiamo giocattoli fabbricati in Cina per bambini ai quali non sappiamo più raccontare una storia, ci ingozziamo di cibo industriale, della carne soprattutto, senza interrogarci sulla dimensione sacrificale della macellazione. Riappropriarsi del Natale vuol dire anzitutto interrogarsi su questo, rendendosi conto che non corrisponde in nulla a quel che avviene a Betlemme. Laggiù il Verbo si è fatto carne in una famiglia umana, in una economia domestica, fino a diventare carpentiere come suo padre, fino a paragonarsi a un pastore o a un vignaiolo.
 
È la vita pura e semplice, in mezzo al bue e all'asino, che si manifesta nel presepe. Non dico che un simile modo di vivere non presentasse alcun problema. Non rifiuto neppure il progresso. Ma penso che il progresso degli oggetti debba essere subordinato al progresso del soggetto, e che al di là dei problemi ci sia un mistero. Non tutto si gioca nella digitalizzazione del mondo. È buona cosa inventare un nuovo gadget elettronico, è infinitamente meglio creare lo stesso ingegnere, voglio dire mettere al mondo un uomo. Si tratta di accettare pienamente l'avventura umana, dalla nascita alla morte, come luogo della suprema offerta. Ben sapendo che il paradiso celeste non sarà mai quaggiù sulla terra. Perché, come dice Claudel, nel momento in cui l'uomo vuole creare il paradiso in terra realizza un molto rispettabile inferno.
[...]
 
Questionario di Proust
— Se fosse un animale?
­— Un cane, senz'altro. Del genere Golden Retriver: cacciatore, giocherellone, capace di sognare ai piedi del padrone. E tanto docile da essere impiegato per guidare gli ipovedenti e per risvegliare le persone colpite da handicap mentali.
— Se fosse un oggetto?
— Una brocca. Riempita di acqua fresca. Per gli assetati del deserto. Del resto non ho mai compreso per quale motivo «brocco» possa mai essere un insulto [cruche, «brocca», vuol dire anche «scemo»].
— Non uscirebbe mai di casa senza...
— La mia fede nuziale. Mi rendo conto che, anche da nudo, la porto.
— L'applicazione più preziosa dell'iPhone?
— La modalità aereo. O il bottone Interrompi. Qualche mi serve anche per fare pesi e per tenere un libro aperto.
— L'ultimo libro letto?
— Le Odi di Orazio e Quanti guai, piccolo Nicolas [un libro per bambini creato da René Goscinny, lo stesso autore di Asterix].
— L'ultima volta che ha pianto?
— Poco fa. Piango quasi tutti i giorni. Spesso di tristezza e di gioia, come se il «piangere-ridere» fosse il fondo della mia anima.
 
Biografia
15 settembre 1971 — Nascita a Nanterre in una famiglia ebraica di estrema sinistra.
1 marzo 1995 — Pubblicazione di Objet perdu, opera collettanea che co-dirige assieme a Michel Houellebecq e Dominique Noguez.
11 aprile 1998 — Battesimo presso l'abbazia di Saint-Pierre de Solesmes.
22 agosto 2001 — Matrimonio con Siffreine Michel, attrice di teatro franco-svizzera, con la quale ha avuto ad oggi sette figli.

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