(una proposta che si può
sottoscrivere in questa pagina) –
Il paradosso – ma non troppo, come vedremo – è che se c’è un giornale che per il suo imprinting ha addirittura rischiato di essere diretto da Marco Pannella, quel giornale è Tempi. E non sto scherzando. Fu la prima idea di direttore buttata lì come provocazione da un amico prete. Il cristianesimo è libertà. «Perciò noi siamo disposti ad andare anche tra le gambe del diavolo. Basta una pagina espressiva di quello che siamo noi. Illuminerà tutto il restante». E infatti, in “quello che siamo noi” c’è lo spirito di un giornale che sta all’estremo opposto della concezione esistenziale “radicale”.
Il paradosso – ma non troppo, come vedremo – è che se c’è un giornale che per il suo imprinting ha addirittura rischiato di essere diretto da Marco Pannella, quel giornale è Tempi. E non sto scherzando. Fu la prima idea di direttore buttata lì come provocazione da un amico prete. Il cristianesimo è libertà. «Perciò noi siamo disposti ad andare anche tra le gambe del diavolo. Basta una pagina espressiva di quello che siamo noi. Illuminerà tutto il restante». E infatti, in “quello che siamo noi” c’è lo spirito di un giornale che sta all’estremo opposto della concezione esistenziale “radicale”.
Poiché per la natura ideale di questo giornale, libertà (in
cultura come nella politica, nell’economia come nella concezione dei rapporti
umani e delle opere sociali) è volontà energica di adesione alla verità,
all’Essere, «ragione sottomessa all’esperienza». Altre declinazioni della
libertà possono essere sorprese come approssimazione (o caricatura) della
libertà. Nel caso, l’approssimazione “liberale liberista libertaria
transnazionale, antiproibizionista…” e tutta l’aggettivazione con cui Marco
Pannella ha via via connotato la propria azione “missionaria” in politica. Ed è
significativa questa proliferazione di aggettivi. Così come proverbiale è la
prolissità di Pannella.
Sembrano il tentativo di afferrare ed esaurire col pensiero,
tipico dell’illuminismo, l’esperienza del reale. Tant’è vero che la più
classica argomentazione di questo pensiero sul piano civile sembra di logicità
implacabile: ma se tu non vuoi farlo (l’aborto, l’eutanasia eccetera), perché
vuoi impedire a me di farlo? Il dialogo e la democrazia come competizione delle
libertà diventano così pura forma (teatro delle opinioni), soccombenti alla
pura potenza (teatro delle forze, economiche, mediatiche, giuridiche,
politiche, internazionali, del Potere).
D’altra parte: che esempio di durata illuminista ha dimostrato il
piccolo gruppo di fedeli infiammati dal “ministro del culto” (definizione di
Pannella data da Giuliano Ferrara) che dall’anno 1955 predica a nome dei
“radicali”. Sorta di Onu in miniatura che va in giro per il mondo pretendendo
di risolvere i problemi del pianeta con l’idea giusta, con le giuste cause
(risolvere il problema della “fame nel mondo” addirittura). Con gli appelli, le
conferenze stampa, i referendum e le mozioni internazionali. Dalle cime del
Nepal alla cima del Palazzo di Vetro, da Bruxelles alla Birmania, da Roma alle
carceri di tutta Italia, i radicali hanno seminato il globo di attivisti del
più puro e militante illuminismo democratico. Se ci pensate, il Partito
radicale ha portato nel mondo un modello di agitatore, militante, attivista,
che ha fatto del suo essere “minoranza” una potente leva di influenza delle
maggioranze. Un vero e proprio lievito del mondo, per parafrasare il detto
evangelico.
Il metodo politico per
eccellenza
Tant’è che nelle democrazie odierne quello dei radicali è diventato il metodo politico per eccellenza. Sono stati i radicali italiani, grazie alla comprensione che per primi hanno avuto della comunicazione e della potenza persuasiva del gesto che diventa immagine, che hanno anticipato i successi delle attuali minoranze e lobby che impongono l’agenda politica con risultati che nessun partito di massa sa ottenere. Vedi l’agenda Lgbt che nel volgere di un decennio si è affermata come cultura di massa e legislazione internazionale.
Tant’è che nelle democrazie odierne quello dei radicali è diventato il metodo politico per eccellenza. Sono stati i radicali italiani, grazie alla comprensione che per primi hanno avuto della comunicazione e della potenza persuasiva del gesto che diventa immagine, che hanno anticipato i successi delle attuali minoranze e lobby che impongono l’agenda politica con risultati che nessun partito di massa sa ottenere. Vedi l’agenda Lgbt che nel volgere di un decennio si è affermata come cultura di massa e legislazione internazionale.
Personalmente, ho sempre avvertito il carattere “cattolico” (cioè
“universale” nel senso etimologico del termine) della sfida radicale. Intanto i
fatti sono lì a documentare che solo il partito di Pannella ha attraversato
metà del secolo scorso e mantiene tutt’ora una forza ben superiore al dato
numerico dei suoi tesserati e militanti. Ancora oggi, i radicali sono il
lievito dei cambiamenti sociali. Prova ne siano i temi all’ordine del giorno:
dal divorzio breve alla fecondazione assistita, dall’eutanasia al matrimonio
gay, sono tutte battaglie che sorgono e si affermano dentro la storia radicale.
I partiti sono tutti morti e le chiese cristiane non si sentono molto bene. Ma
Lorenzo Strik Leavers (che è ancora qui a lottare con Pannella mentre dietro di
lui giovani leve seguitano a sorgere) aveva 15 anni nel 1955 quando discuteva
in classe con don Giussani e stampigliava orgogliosamente il simbolo del
Partito Radicale sui muri della cerchia dei Navigli. In questo senso Emma
Bonino ha potuto affermare a ragione che «Amicone è un amico».
E proprio da Radio Anch’io, in cui la mattina del 22
aprile Emma Bonino riconobbe “amicizia” nell’opposizione di vedute, ci è venuta
una “rivelazione”. Credo che l’idea di dedicare la trasmissione a lei sia nata
da uno spunto nobile e umanissimo. Sappiamo che Emma sta lottando con un tumore
ai polmoni. Ha voluto annunciarlo lei stessa, da Radio Radicale, esponendosi e non considerando la malattia estranea alla sua
battaglia ideale e politica. Non solo. In quella stessa giornata il Parlamento
avrebbe approvato in via definitiva il cosiddetto “divorzio breve”. Un modo
perfetto per commentare la notizia.
«Grande Emma»
Diciamo un’altra cosa. Emma Bonino ha un profilo scabroso per noi cattolici. È andata in prigione per aver procurato aborti e si è battuta per ottenere legislazioni abortiste. È la famosa storia del meglio l’aborto legale che quello clandestino. Col limite di aggirare un male puntuale (“l’omicidio in pancia”, direbbe Giuliano Ferarra) e un serio caso di libertà (uccidere un bambino in pancia è libertà?) per arrivare infine – via libertà di solitudini – a rivendicare un “bene” sociale (abbattimento degli aborti clandestini e dei rischi per la salute di chi all’aborto ricorre). Mentre il “radicale” Pasolini ne faceva un problema di verità – cioè di “sacralità”, la vita non ci appartiene ed è il Potere che ci induce a pensare il contrario, come il poeta scrisse dichiarando il suo “no all’aborto” – i radicali tutti, da Pannella alla Bonino, ne hanno fatto il tema di libertà e giustizia per eccellenza, nel campo dei diritti civili e dello Stato di diritto. Ma non è questo il punto.
Diciamo un’altra cosa. Emma Bonino ha un profilo scabroso per noi cattolici. È andata in prigione per aver procurato aborti e si è battuta per ottenere legislazioni abortiste. È la famosa storia del meglio l’aborto legale che quello clandestino. Col limite di aggirare un male puntuale (“l’omicidio in pancia”, direbbe Giuliano Ferarra) e un serio caso di libertà (uccidere un bambino in pancia è libertà?) per arrivare infine – via libertà di solitudini – a rivendicare un “bene” sociale (abbattimento degli aborti clandestini e dei rischi per la salute di chi all’aborto ricorre). Mentre il “radicale” Pasolini ne faceva un problema di verità – cioè di “sacralità”, la vita non ci appartiene ed è il Potere che ci induce a pensare il contrario, come il poeta scrisse dichiarando il suo “no all’aborto” – i radicali tutti, da Pannella alla Bonino, ne hanno fatto il tema di libertà e giustizia per eccellenza, nel campo dei diritti civili e dello Stato di diritto. Ma non è questo il punto.
Il punto è il convergere del “cattolico” – e qui mi riferisco al
“cattolico” in senso stretto – alla sostanza del pensiero radicale. Già il
risultato storico del referendum sull’aborto (17 maggio 1981), con l’affermarsi
di una maggioranza prossima al 70 per cento, conteneva in nuce questo
convergere. Oggi si potrebbero votare eutanasia, matrimoni tra persone dello
stesso sesso e tutto il resto dell’agenda politica radicale, e avremmo
risultati analoghi a quelli del divorzio e aborto di anni Settanta e Ottanta. Ed ecco le ultime battute di Radio
Anch’io, edizione del 22 aprile scorso.
Roberto: «Grande Emma. Da cattolico condivido le sue battaglie perché mi
sto commuovendo nel sentire le parole di una persona che chiede veramente di
non dover soffrire fino alla fine, ma di poter scegliere il momento in cui
potersene andare in serenità. È veramente una battaglia, come tutte le
battaglie che ha fatto Emma: sono battaglie da cattolico… Perciò, se possibile:
diamo queste libertà! Queste libertà non sono libertà da dover prendere e usare
selvaggiamente, ma ognuno di noi sa cosa farne. Io e mia moglie abbiamo fatto i
corsi per i fidanzati per la parrocchia dove abitiamo: io vi posso dire che se
non ci fosse stato il divorzio sapeste quante coppie infelici ci sarebbero
ancora adesso in giro! Perciò, grande Emma. Se posso: vai avanti per la tua
strada. Ti ringrazio, arrivederci».
Emma Bonino: «Volevo chiudere con un ricordo di mia madre. Mia madre e tutta la
mia famiglia in generale sono cattolici e praticanti, ed è stata sempre la mia
più grande sostenitrice. Semplicemente pensando che magari la pensava diversamente,
ma credeva di capire che cos’è la possibilità di vivere diverso, di scegliere e
di rispettarsi comunque. Lei, da cattolica, diceva: senza il libero arbitrio,
senza la possibilità di scegliere, non è neanche il tipo, come dire, di
“religione” a cui io sono così, affezionata…».
Conduttore: «Gli ascoltatori sono anche un po’ tutti commossi dalla bellezza e
dalla nobiltà delle sue parole. C’è un minuto per chiederle, se crede, che cosa
significa per lei la parola libertà». Emma Bonino: «Responsabilità. La libertà
senza responsabilità si chiama licenza ed è una cosa che francamente interessa
poco. E la libertà si basa sullo stato di diritto, sulle regole, sul rispetto
delle regole, quello per cui si battono Marco Pannella, Rita Bernardini e i
radicali».
Libertà, responsabilità, coraggio, giustizia, dignità, diritto…
Tutte le parole più nobili del mondo. Solo la parola “verità” non trova più
posto. E con l’applauso commosso del cattolico. Ciascuno potrà valutare, sulla
base della propria esperienza, quanto sia generalizzabile e identificabile nel
tipo umano del Roberto di Radio Anch’io il “cattolico della strada” o
il “cattolico anonimo” come lo chiamano i giornali stile la Repubblica.
E comunque, qualche ora dopo questa trasmissione, il Parlamento
italiano votava il divorzio breve e il primo a esultare era il cattolico
presidente del Consiglio. «Un altro impegno mantenuto. Avanti, è la
#voltabuona”», scriveva il premier Matteo Renzi in un tweet. «Questo Paese lo
cambiamo davvero», gli faceva eco la deputata Alessia Morani, relatrice del
testo a Montecitorio assieme al forzista Luca D’Alessandro. Tutti cattolici.
Tutti centrati sull’euforia del “cambiamento”. Non c’è alcun residuo di
domanda, di perplessità, di scrupolo. Nessun residuo di “verità” disturba i
festeggiamenti. Siamo «al passo coi tempi». O, come si dice, «al passo con i
paesi più avanzati d’Europa».
Il divorzio breve sembrerebbe l’unica bella notizia nei giorni di
tristezza per le centinaia di migranti africani affogati nel Canale di Sicilia.
Di nuovo, completamente orfani della verità, nessuno coglie e fa esplodere in
pensiero quello che ha colto, pensato e scritto il nostro Emanuele Boffi in una cronaca fattuale, scarna, al netto
di tutte le belle parole sentite dai commentatori. Le autopsie hanno rilevato
sulle braccia di certi affogati l’incisione nella carne di una preghiera e di
una casa. «Possa Dio aiutarci» e i nomi dei loro villaggi. La verità della
tragica avventura.
Marco che volle farsi Papa
Sul lato divorzio breve, invece, questa “verità” è apparsa come una reminiscenza lontana lontana. Ad esempio nell’articolo sulla Stampa del bravissimo cattolico Michele Brambilla. Una fantastica bandiera bianca issata sul ponte della storia. Dopo aver passato in rassegna i mali del passato (come se il passato fosse male, come se il passato del matrimonio dei nostri genitori e dei nostri avi fosse ascrivibile in toto, in ossequio allo schema radicale, a passato di violenza, di ipocrisia, di «divorzi alla Pietro Germi», con la lupara), «però – concludeva Brambilla – abbiamo perso qualcosa». Nostalgia. L’ultimo giudizio cattolico in società sembra essere la nostalgia per una verità che non c’è più. Giusto che Radio Radicale registri la resa. E infatti per la voce di Massimo Bordin, il radicale rende onore alla nostalgia.
Sul lato divorzio breve, invece, questa “verità” è apparsa come una reminiscenza lontana lontana. Ad esempio nell’articolo sulla Stampa del bravissimo cattolico Michele Brambilla. Una fantastica bandiera bianca issata sul ponte della storia. Dopo aver passato in rassegna i mali del passato (come se il passato fosse male, come se il passato del matrimonio dei nostri genitori e dei nostri avi fosse ascrivibile in toto, in ossequio allo schema radicale, a passato di violenza, di ipocrisia, di «divorzi alla Pietro Germi», con la lupara), «però – concludeva Brambilla – abbiamo perso qualcosa». Nostalgia. L’ultimo giudizio cattolico in società sembra essere la nostalgia per una verità che non c’è più. Giusto che Radio Radicale registri la resa. E infatti per la voce di Massimo Bordin, il radicale rende onore alla nostalgia.
Qual è il punto? I punti, in realtà, sono (almeno) due. Il primo
sembra scontato. Però, non dal giorno in cui passò il divorzio, ma dal giorno
in cui l’élite cattolica ha avuto un problema con la verità e se n’è fatta una
ragione. Quando Marta Sordi ricordò che «in Cattolica furono ammessi ben due
interventi pro divorzio e neppure uno contro. Mentre in Università statale
persino Gabrio Lombardi, promotore del referendum antidivorzista, poté
parlare», si riferiva a un’epoca in cui rettore dell’Università cattolica era
Giuseppe Lazzati. «Un credente emblema del Novecento italiano», secondo
l’autorevole e cattolicissimo storico del Mulino di Bologna e del Corriere della Sera di Milano Alberto Melloni. Lazzati stava dalla parte della storia.
E i cattolici sono passati dalla parte della storia.
Chi non è dalla parte della storia? I poeti, gli artisti, i
giornalisti (o almeno dovrebbero) che custodiscono la verità dei fatti. E
poeta, artista e giornalista fu in un certo senso anche don Giussani, il cui
movimento è coetaneo del Partito Radicale. Credo che le sue tre premesse al Senso religioso restino un grande programma di educazione alla verità e, quindi,
di resistenza allo storicismo relativista. Dicono in estrema sintesi quelle tre
premesse: primo, che se la conoscenza non “rispetta” l’oggetto, se non si piega
all’oggetto, il primo svarione è che la cosa o l’altro (oggetto) diventano lo
sgabello dei miei pensieri. Secondo, se la ragione non è apertura alla
totalità, se non ammette la categoria della possibilità, il mio pensiero
anticipa ed esaurisce la realtà e così, anche qui, la cosa e l’altro spariscono
dall’orizzonte conoscitivo. Terzo, se la moralità non è amore alla verità («più
di me stesso»), la morale diventa quella dettata dal Potere in un determinato
momento storico.
Dopo di che, non è affatto strano che Pannella, Bonino,
Bernardini, i tre maggiori leader radicali, abbiano per un verso o per l’altro
matrice cattolica (la Bernardini è stata addirittura una delle leader
dell’Azione cattolica). Così come non è strano che “maestri del sospetto” come
Umberto Eco e “cattivi maestri” come Toni Negri siano stati capi di grandi
associazioni cattoliche. Per completare il quadro dirò che un giorno Marco
Pannella mi invitò nella sede del Partito Radicale a Roma «per fare esercizi
spirituali». Così disse. Mi sfuggono i particolari, ma ho il vivido ricordo del
racconto di una fanciullezza colma di attenzioni e di devozione cattolica.
Aveva avuto uno zio vescovo e si potrebbe cogliere nello stesso leader radicale
il piglio di un uomo che, in sintesi della predica, “volle farsi Papa”.
Infine, è il Partito radicale che ha catechizzato e convertito
democristiani e comunisti. Non il contrario. Pregevole sintesi (ancorché
imperfetta, direbbe Pannella) di questo catechismo è il Partito Democratico. E
quanto dal Pd discende in educatori e “società civile”. Ma da destra a
sinistra, passando per Grillo, tanti sono i radicali nel pensiero, in tutti i
partiti e movimenti. Tutti (compresi i boy scout di Renzi) sono dalla parte
della storia. Ma non dalla parte dell’esperienza che «ditta dentro amore»,
direbbero gli stilnovisti.
L’esperienza che colpisce nel
segno
E così, torniamo a ricordare con l’ammirabile Walter Benjamin, poeta e scrittore che come Kafka immaginava di farsi trovare “degno” della verità anche se la verità non fosse arrivata, «si potrebbe parlare di una vita o di un istante indimenticabili anche se tutti gli uomini li avessero dimenticati». La verità è soprattutto «la morte dell’intenzione» (Benjamin) e soprattutto «esperienza che colpisce nel segno» (Arendt). Così è la musica, la poesia, l’arte. Possibilità della verità di trionfare sulla storia anche da seppellita viva (vedi l’umano nel secolo delle idee assassine, custodito non da Martin Heidegger ma da Vasilij Grossman).
E così, torniamo a ricordare con l’ammirabile Walter Benjamin, poeta e scrittore che come Kafka immaginava di farsi trovare “degno” della verità anche se la verità non fosse arrivata, «si potrebbe parlare di una vita o di un istante indimenticabili anche se tutti gli uomini li avessero dimenticati». La verità è soprattutto «la morte dell’intenzione» (Benjamin) e soprattutto «esperienza che colpisce nel segno» (Arendt). Così è la musica, la poesia, l’arte. Possibilità della verità di trionfare sulla storia anche da seppellita viva (vedi l’umano nel secolo delle idee assassine, custodito non da Martin Heidegger ma da Vasilij Grossman).
Ho capito di più questa natura invincibile della verità agli
ultimi esercizi spirituali di Cl. Mirabilmente accompagnati, settimana scorsa,
dalla musica di Palestrina e dal fado portoghese, dai canti gaelici dell’VIII
secolo e dal gregoriano, da un video di don Giussani e uno illustrativo
dell’arte di Millet, pittore testimone di quella cristianità cara a Péguy,
fatta di popolo e di lavoro, di umiltà e di onore, di uomini e donne ai margini
di ogni mondanità, eppure protagonisti della storia.
Perché il mio amico David Jaeger, ebreo nato in Israele e col
sogno di diventare rabbino, un giorno arrivò invece al cristianesimo,
addirittura dopo aver letto l’enciclica di Pio XII sul “Mistico corpo di
Cristo”? Perché se per una via, diciamo così, lineare, su terra cattolica e
ambrosiana, Giussani ha potuto attestare con una umanità e fecondità
eccezionali come la vita di Gesù è arrivata per una catena millenaria di amici
«a mia madre, e mia madre l’ha detto a me», per la via dell’arte europea, a 16
anni, David trovò la domanda che non si aspettava. Il residuo di verità che non
immaginava. E, infine, la risposta nel “Mistico corpo di Cristo”. La Storia
dentro la storia.
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