LA PIAGA DEL BUONISMO
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Pinocchio col gatto e la volpe |
Uno degli aspetti principali non dottrinale ma comportamentale dell’attuale modernismo è quello che ormai da alcuni anni i cattolici fedeli alla Chiesa chiamano “buonismo”. Di che si tratta? Indubbiamente c’è in gioco la parola “bontà”, e quindi, se vogliamo, “carità”, “giustizia”, “misericordia” e simili. Senonchè qui si ha una perfetta falsificazione di questi sommi valori secondo i meccanismi, i metodi e le modalità che adesso tenterò di spiegare per coloro che ancora non avessero piena coscienza di questo pericoloso fenomeno che sta recando grave danno alla Chiesa e per conseguenza alla società.
Il buonismo ha origini lontane ma anche un appiglio recente. Le origini lontane sono l’atteggiamento di Lutero nei confronti di Dio. Come sanno tutti coloro che conoscono la sua vita, egli, oppresso dalle sue cattive inclinazioni, desiderava “sentire un Dio misericordioso” e nutriva angoscia, terrore ed odio per la prospettiva o l’eventualità di essere raggiunto dalla giustizia divina, che egli con sguardo distorto considerava come crudeltà e quindi ingiustizia nei suoi confronti. Da qui l’odio che aveva per il Dio giusto che gli ricordava i suoi peccati e lo minacciava di castigo.
Il Dio del buonismo è già qui: un Dio puramente “misericordioso”, che perdona e salva tutti nonostante i loro peccati e che non castiga nessuno, perché ciò sarebbe fare loro violenza, sarebbe ingiustizia e negazione della “bontà” divina. Senonchè poi ecco la perfetta ipocrisia: il Dio di Lutero è “misericordioso” col povero Lutero, ma non certo col Papa e con i Cardinali, non certo con i teologi scolastici, tomisti ed aristotelici, ai quali augura, con un odio implacabile per tutta la vita, di essere tormentati in eterno da tutti i diavoli nel più profondo dell’inferno.
Invece il buonismo di oggi, originato da questa ipocrisia di Lutero, si rifà direttamente, come è noto, fraintendendolo, al famoso discorso introduttivo al Concilio fatto da Papa Giovanni XXIII, il Papa “buono”, come se anche un S.Pio X o un S.Pio V non fossero stati Papi buoni. In tale discorso, come tutti sanno, Papa Giovanni prospettava un nuovo stile di Chiesa, una Chiesa più evangelica, la quale, nel suo rapporto col mondo moderno e al suo stesso interno, “preferisse l’esercizio della misericordia a quello della severità”, cosa che del resto è sempre stata nei costumi dei santi pastori, anche quando furono obbligati, sempre per il bene della Chiesa e delle anime, ad esercitare la massima severità.
Senonchè i buonisti intesero queste parole del Santo Pontefice come pura e semplice abolizione di ogni giustizia divina, di ogni severità o coercizione giuridica, di ogni sanzione penale, compresa la stessa condanna infernale sostenendo che all’inferno non c’è nessuno, perché se ci fosse qualcuno, Dio non sarebbe buono e sarebbe negata la volontà divina universale di salvezza. Si avrebbe insomma o un Dio buono ma impotente o un Dio potente ma non buono. Non è il caso qui di confutare queste falsità, cosa che è stata fatta anche di recente da teologi che conoscono il loro mestiere.
A differenza di Lutero che credeva nell’inferno, nei diavoli e nell’esistenza di dannati, minacciando l’inferno a chi non accettava le sue eresie, i buonisti di oggi, ritenendosi ancora più buoni di Lutero, negano tutte quelle cose, ma non per questo il loro animo è esente dal disprezzo, dall’odio, dall’invidia, dalla prepotenza e dal più gretto ed intollerante spirito inquisitoriale nei confronti di quei cattolici (fossero anche il Papa), i quali, in fedeltà alla Chiesa e al dogma, con garbo e carità, ricordano loro quelle verità che essi negano, come ho notato in un articolo recentemente apparso su questo sito[1].
Essi insegnano che “tutti si salvano” in base a una fede “atematica”, nella quale ci può essere tutto e il contrario di tutto, in forza dell’“autotrascendenza verso Dio” che costituisce l’essenza dell’uomo ed a causa del possesso ineliminabile della grazia, compresi atei, empi e miscredenti di ogni specie.
Il Vangelo, per costoro, è puro ed esclusivo annuncio di “misericordia” per tutti senza condizioni, tutti sono perdonati e salvi perché tutti in fondo sono buoni, in buona fede, di retta intenzione e di buona volontà, nessuno compie il male volontariamente, ma tutti sono scusati e sono proiettati verso Dio, anche se inconsciamente o “atematicamente”.
Della giustizia divina i buonisti non parlano o, come Lutero, la considerano cosa ripugnante ed offensiva della misericordia divina. Si considerano “uomini del dialogo”, aperti a tutti, rispettosi del “diverso”, tolleranti, comprensivi. I più spinti, influenzati dal panteismo tedesco e da quello indiano, arrivano a dire che tutti in fondo sono Dio, per cui non hanno nulla da temere, nonostante i loro peccati, ai quali pertanto non si deve dare alcuna importanza, perchè sono da considerare come semplice polo dialettico dell’eterno contrasto fra bene e male, presente anche in Dio.
Il vizio di fondo del buonismo, come è stato notato più volte da acuti studiosi, come per esempio Romano Amerio o Antonio Livi, è dato dalla pretesa di esercitare la carità disprezzando la natura e le esigenze della verità. Per i buonisti la verità non è adaequatio intellectus ad rem, e quindi, per il credente, umile obbedienza alla Parola di Dio mediata dal Magistero della Chiesa, ma è subordinazione degli altri ai loro interessi, il che comporta quindi il rispetto umano, l’adeguazione supina alle mode del momento, la stima degli idoli del giorno o la ricerca spasmodica del successo, pensando così di essere “moderni” e graditi al prossimo.
I buonisti sono “buoni” con tutti, hanno sorrisi per tutti, per loro tutti sono amici, ai quali comunicare il loro affetto e le loro confidenze: ortodossi, protestanti, anglicani, ebrei, musulmani, agnostici, scettici, atei, panteisti, buddisti, massoni, libertini, materialisti, salvo per quei cattolici normali fedeli a Roma, che si permettono di criticare il loro falso ecumenismo confusionario e lo spirito di dialogo opportunista e inconcludente.
I superiori e i prelati buonisti, docenti, vescovi, parroci, ecc. esigono obbedienza assoluta alla loro linea, mentre essi stessi sono i primi a disobbedire al Magistero e al Papa, magari sotto pretesto dell’“attuazione del Concilio” o dell’esigenza di essere “moderni”. Per loro la “Chiesa” non è una comunione soprannaturale da vivere nel rispetto della Parola di Dio interpretata dal Magistero della Chiesa in vista di una vita eterna ultraterrena, ma solo un ambiente sociopolitico, di questo mondo (giacchè, come dice Gutierrez, non ce ne sono altri), con le sue lotte di potere, ambiente nel quale farsi valere o far valere il proprio partito ed esercitare sugli altri (i “fratelli”) il proprio potere e soddisfare le proprie ambizioni.
Per costoro la Chiesa non è in lotta per la vita o per la morte contro potenze maligne di carattere spirituale (il demonio), ma semplicemente contro ostacoli terreni alle proprie ambizioni o contro gente arretrata e cocciuta, come per esempio i “lefevriani”, che per i modernisti sono tutti coloro che non sono dei loro, gente insopportabile e della quale non si sa come fare a liberarsi, perché purtroppo protetta da Roma, essa pure rimasta al preconcilio.
L’angolatura sotto la quale i buonisti guardano al prossimo, che essi chiamano ipocritamente i “poveri”, non è l’attenzione ai bisogni, alle sofferenze, alle esigenze o alle aspirazioni interiori delle loro anime, non è la preoccupazione di liberarle dal peccato, dai vizi, dalla menzogna e da Satana, ma semplicemente la possibilità di svolgere nei loro confronti servizi che abbiano un ritorno, trattare con loro a volte con durezza o furbizia di affari soprattutto economici o accordi politici, che riescano vantaggiosi, sotto colore di trattare del bene comune, soprattutto economicamente, per il proprio istituto o per la propria comunità o per la parrocchia o per la diocesi o per la Facoltà teologica di appartenenza.
I buonisti e in generale i modernisti corrispondono ai farisei, scribi e sommi sacerdoti dell’epoca di Cristo. Il loro metodo sostanzialmente è lo stesso: accontentare il mondo piuttosto che Dio, fingere di essere santi senza esserlo. Come costoro, i buonisti capovolgono la scala dei valori: mettono al primo posto ciò che vale di meno, sacrificano il più al meno per apparire quello che non sono.
Da allora sono cambiati solo i contenuti: mentre le gente ai tempi di Cristo apprezzava il tradizionalismo, il ritualismo, il rigore e il legalismo, oggi generalmente si ammira il progresso, la libertà, lo spontaneismo, la tolleranza, il pluralismo, il “dialogo”. Siccome dunque a questi ipocriti ciò che interessa è il successo, la carriera, la fama e l’onore, e non metter Dio al primo posto, gli ipocriti dei tempi di Cristo si mostravano campioni nei suddetti valori apprezzati allora, mentre gli ipocriti di oggi si mostrano esemplari nei valori oggi apprezzati. Ma agli uni come agli altri tutti quei valori non interessano per nulla, se non in quanto servono ad ottenere un successo mondano e l’affermazione del loro io, che per alcuni assomiglia all’“Io Assoluto” di Fichte o di Giovanni Gentile, che è Dio stesso.
Gesù pagò con la vita, come si sa, la sua polemica con questi ipocriti, senza risparmiare loro accuse, minacce ed invettive, non certo per odio verso di loro, ma anzi, sull’esempio degli antichi profeti, nel tentativo, purtroppo fallito, di scuotere le loro coscienze e sciogliere il loro “cuore indurito”.
Alcuni oggi con fare dolce e tono amichevole mi dicono: “Limitati ad enunciare il vero, guarda al positivo e lascia stare il negativo, non far critiche al tale o tal altro!”. Sembrano consigli saggi e a volte li adotto con convinzione. Ma sarebbe un po’ come se qualcuno consigliasse al medico di limitarsi a dare prescrizioni per mantenersi in buona salute evitando di curare le malattie. Che direbbe questo medico?
Certo i mali del fisico non fanno nel nostro animo lo stesso effetto dei mali dello spirito. Se un medico di fiducia ci dice che abbiamo la data malattia, sapendo che ci può guarire, accogliamo la notizia con gioia e con un senso di liberazione e di speranza. Ma se un sacerdote o un vescovo o un teologo fa un’osservazione in materia di fede o di morale a qualche altro teologo o parroco orgoglioso, ecco questo inalberarsi e magari lamentarsi di essere “diffamato”. Esistono superiori modernisti che arrivano al punto di proibire al teologo normalmente cattolico di criticare l’errante, che può cadere addirittura nell’eresia, mentre lasciano liberamente costui a diffondere tra la gente i suoi errori.
Da questo breve esame del buonismo vediamo come esso sia una vera disgrazia per la Chiesa. Occorre fare resistenza con tutte le forze, ricorrendo alla preghiera, col soccorso di Roma e dei buoni pastori, per impedire che questa loro opera scandalosa avanzi e per difendere la Chiesa dai danni che essi le arrecano.
[1] “L’inquisizione modernista”.
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