giovedì 8 marzo 2012

s. Francesca Romana

9 MARZO
SANTA FRANCESCA ROMANA




A.M. Canopi
Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospita­to, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, car­cerato e siete venuti a trovarmi...". In ogni tempo nella Chiesa ci sono persone che, toccate da queste parole di Gesù, mettono tutta la loro vita a servizio dei poveri, esprimendo con i fatti quello che nella Chiesa si può chia­mare "genio della carità".
Santa Francesca Romana ap­partiene a tale gloriosa schiera. Ella ci ha lasciato un messag­gio e una testimonianza di straordinario valore e la sua fi­gura - purtroppo non molto nota - merita di essere addita­ta a modello. Per farci un'idea di quello che la nostra santa fece, relativamente alla possi­bilità del suo tempo, dobbiamo pensare a Madre Teresa di Calcutta, al suo infaticabile chinarsi sugli ultimi, a quel suo "fare tutto per Gesù" o, meglio, quel suo essere tutta per Gesù e quin­di per tutti quelli come lui.

Con Francesca Romana veniamo a trovarci nel cuore di una grande città, agli albori del Rinascimento. Nacque infatti a Roma nel 1384. La sua vita si svolse durante gli anni travagliati dello scisma d'Occidente e delle ripetute occupazioni di Ladislao d'Angiò; anni di grandi disordini civili con pesan­ti conseguenze anche sulla vita morale e spirituale. Conobbe gli orrori della guerra, vide l'imperversare di una grave carestia e il dilagare di una epide­mia di peste. Questi fatti influirono non poco sull'orientamento della sua esistenza. Appartenente a una nobile e ricca famiglia, ricevette una buona educazione umana e cristiana, in particolare da parte della madre, lacobella Roffredeschi. Con lei - si legge in un'antica biografia - fin da bambina par­tecipò assiduamente alla messa nella basilica di Santa Maria Nova retta dai padri benedettini olivetani, di cui ascoltò attentamente la predi-cazione, impegnandosi il più possibile a imparare a memoria l'insegnamento cate­chetico e la Parola del Signore. Pur crescendo in un ambiente con le caratteristiche proprie dell'alta società, Francesca ebbe così modo di respirare, quasi senza accorrersene, la spiritualità monastica; e fu proprio questa a configurarla interiormente. Ben presto, infatti, le esigenze dello spirito, unite a particolari grazie mistiche di cui godrà per tutta l'esistenza, si fecero sentire con insi­stenza e ella volentieri acconsentì alle mozio­ni ulteriori.
Come già Caterina da Siena, anche Francesea si dedicò con passione alla preghiera e si sot­topose a un'ascesi molto austera. Era suo se­greto desiderio consacrarsi totalmente a Dio nella vita monastica, ma dovette cedere all'ir­riducibile opposizione del padre che l'aveva promessa sposa al patrizio Lorenzo Ponziani. Francesca, pur con il cuore affranto, dopo aver chiesto consiglio al suo padre spirituale, abbracciò lo stato matrimoniale come espres­sione della volontà di Dio, rinunziando alla volontà propria. Aveva solo dodici anni. "In­serita nella nobile famiglia dei Ponziani, ella comprese che il Signore l'aveva voluta nello stato coniugale per affidarle, quale sposa e madre e 'governatrice' in quel nobile casato, la missione di essere 'segno' incarnato e vi­vente della sua bontà, non solo nei confronti dei familiari, ma di tanti fratelli, specialmente dei più poveri e bisognosi".
Nella nuova condizione di vita, per l'esemplarità della sua condotta e la sua affabilità si conquistò il rispetto, la benevolenza e l'affetto di tutti. Iniziava cosi la sua opera apostolica. In casa - si legge nelle biografie - anche il per­sonale di servizio si recava alla preghiera comune... Pur giovanissima, Francesea si rivelò dotata di una straordinaria capacità organizzativa, tanto da diventare nella famiglia un vero punto di riferimento; e la sua azione ben presto si irradiò anche al di fuori delle mura domestiche.
Dolce e forte ad un tempo, sapiente nelle cose dello spirito, saggia nelle questioni pratiche, veniva ricercata come consigliera e come guida. Là dove si rendeva presente creava comunione; ella era infatti dotata di una forte sensibilità e coscienza ecclesiale. Giustamente la sua vita è stata definita una "pagina di storia sacra". Ma proprio in quanto tale dovette essere un'esi­stenza segnata da molte prove. Come sposa vide il marito catturato e co­stretto all'esilio ad opera del re Ladislao; come madre conobbe la sofferenza per la morte prematura di due dei suoi tre figli; come "governatrice" assistette im­potente al saccheggio della sua casa.
Ma ancor più che per le pro­prie tribolazioni, il suo cuo­re veniva ferito dallo squalli­do spettacolo di una città in cui, mentre i poveri e i mala­ti erano del tutto privi di assistenza materiale e spiri­tuale, i cittadini di opposte fazioni lottavano tra di loro, dominati da sentimenti di aspro rancore e di vendetta.
Davanti agli occhi di Fran­cesca si apriva un immenso campo di apostolato. Con lo sguardo di Gesù buon Pa­store, ella vedeva le folle smarrite e ne provava com­passione. Coinvolgendo al­lora un gruppetto di amiche diede inizio a un'opera ca­ritativa ben organizzata: visitare i bisognosi, trasporto dei malati in ospedale. Non pensava però soltanto alla salute del corpo, al sollievo fisico; anzitutto le stava a cuore la salute dell'anima. Per questo si preoccupava di garantire anche l'assistenza spirituale per mezzo di sacerdoti da lei stessa coinvolti e soste­nuti economicamente. Francesca diventò così "madre spirituale" di molti poveri e malati.
Parendole poco curare gli infermi dove li trovava, per quanto poteva, li accoglieva nella propria casa; andava a cercarli nei loro tuguri, negli ospe­dali, ovunque. Visitandoli, portava con sé ogni mezzo idoneo a dare loro sollievo; fasciava le loro ferite, anche le più ripugnanti, prendeva i loro panni sporchi per riconsegnarli lavati, cuciti, ben piegati e profumati, "co­me se dovessero servire al Signore stesso", secondo Maria Maddalena di Anguillara, superiora delle oblate di Tor de' Specchi che ne scrisse la parola che spiega anche tutto l'agire di Francesca Romana, il suo farsi pove­ra, il suo prodigarsi senza misura.
Questo suo "volto interiore" prese forma visibile nella Chiesa quando, nella festa dell'Assunta del 1425, tutti i membri del gruppo caritativo, col­laudato ormai da anni di servizio, si offrirono come oblate secolari per il monastero di Santa Maria Nova. Il 25 marzo 1433 esse cominciarono a vi­vere insieme in una casa presso il Campidoglio, Tor de' Specchi: nasceva così la Congregazione delle Oblate Regolari di Maria posta sotto la Regola di san Benedetto. Dedicandosi all'apostolato diretto nel mondo, le religio­se dovranno caratterizzarsi per lo spirito di preghiera e di dedizione asso­luta nel compiere il bene: "Vi riconoscerò come vere figlie" dirà loro la fondatrice "quando vi potrò riconoscere in uno stato di oblazione totale, di olo­causto a Dio". Francesca, dai suoi stessi concittadini insignita del titolo di "Romana", è un esempio bellissimo della bontà di Cristo, della sua compas­sione, di quello zelo buono - sintesi della Regola benedettina - che rende veramente forte e dolce la fraternità. È modello di quella carità amorevole che la Chiesa - e in essa ogni cristiano - deve esercitare verso tutta l'umanità, camminando in questo mondo con la sollecitudine di portare tutti al regno dei Cieli. Morì il 9 marzo 1440 e fu canonizzata da Paolo V nel 1608.

seconda lettura Dalla «Vita di santa Francesca Romana» scritta da Maria Maddalena di Anguillara, superiora delle Oblate di Tor de' Specchi (Cc. 6-7)
La pazienza e la carità di santa Francesca
Dio mise alla prova la pazienza di Francesca non soltanto nei beni esterni di fortuna, ma volle pro­varla anche nel suo stesso corpo in molti modi. Soffrì malattie per le quali fu molto tormentata. Però non fu dato mai di osservare in lei alcun moto di impazienza, nessun gesto di contrarietà per cure fastidiose o sbagliate. Francesca diede esempio di costanza nella morte immatura dei figli, che pure amava con grande tenerezza, adattandosi con serenità al volere divino e ringrazian­do Dio per quanto le accadeva. Con pari costanza sopportò le lingue dei maldi­centi e dei detrattori che sparlavano del suo modo di vivere.
Non dimostrò neppure il minimo indizio di avver­sione per quelle persone che parlavano senza riguardo di lei e delle sue cose, ma ricambiò sem­pre con bene il male. Anzi pregava continuamente Dio per loro.
Dio l'aveva scelta a essere santa non per sé sola, ma per far godere anche agli altri i doni ricevuti per la salute dell'anima e del corpo. Perciò l'aveva dotata di tanta amabilità, che chiunque avesse avuto modo di trattare con lei si sentiva istanta­neamente preso da amore e stima per la sua per­sona e diveniva docile a ogni suo volere. Nelle sue parole c'era tanta efficacia divina che portava pronto sollievo agli afflitti, calmava gli in­quieti, acquietava gli adirati, riconciliava i nemici, spegneva vecchi odi e rancori e, spessissimo, im­pediva vendette, già meditate e preparate. In una parola, sembrava poter frenare i sentimen­ti di qualsiasì persona e guidarli dove voleva lei. Perciò da ogni parte si faceva ricorso a Francesca come a rifugio sicurissimo e nessuno si allontana­va da lei senza esser stato consolato, quantunque ella biasimasse liberamente i peccati e stigmatizzasse senza paura tutto ciò che era colpevole e spiacente a Dio.
Imperversavano a Roma diverse malattie, ritenute mortali e contagiose. Ma la santa, disprezzando ogni paura di contagio, non dubitò di mostrare la sua pietà verso i miseri e i bisognosi. Prima li in­duceva con la sua carità a riconciliarsi con Dio, poi li aiutava amorevolmente ad accettare dalle sue mani ogni malanno, e a sopportarlo per suo amore. Ricordava che Cristo, per primo, aveva sof­ferto tanti dolori per loro.
Francesca non si accontentava di curare gli in­fermi che poteva raccogliere in casa sua, ma an­dava a cercare anche quelli degenti nei loro tugurì e negli ospedali pubblici. Trovatili, dissetava quelli che avevano sete, faceva i letti e fasciava le ferite. Quanto più queste erano maleodoranti e sto­machevoli, tanto più le trattava con pietà e con cura.
Andando all'ospedale detto Campo Santo, era solita portare con sé cibi e vivande squisite da distribuire fra i più bisognosi; nel ritorno poi portava a casa stracci di vestiti e poveri panni tutti sporchi che ella, lavati e ben ricuciti, come se dovessero servi­re al Signore stesso, ripiegava con cura e metteva da parte tra profumi.
Per trent'anni Francesca praticò questo servizio agli infermi negli ospedali, mentre ancora abitava nella casa di suo marito, frequentando gli ospeda­li di S. Maria e S. Cecilia in Trastevere, e un altro, quello di S. Spirito in Sassia e un quarto al Campo Santo. E siccome in questo tempo di contagio non solo era difficile trovare medici che curassero i corpi, ma anche sacerdoti che somministrassero la necessaria medicina alle anime, ella li ricercava e li conduceva a coloro che già erano stati preparati a ricevere i sacramenti della Penitenza e dell'Euca­ristia.
Per poter fare questo a suo piacimento, con mag­gior comodità, manteneva a sue spese un sacer­dote, il quale recandosi ai predetti ospedali, visitava i malati da lei indicati.

responsorio (Rt 3, I0. 11; cfr. Gdt 13,19 [Volg. 13,25])
Sii benedetta dal Signore!
* II popolo di Dio ti ammira come una donna di coraggio e di fede.
Il Signore ha reso glorioso il tuo nome: gli uomini non si stancheranno di lodarti.
II popolo di Dio ti ammira come una donna di coraggio e di fede.

Lectio altera
E Vita sanctæ Francíscæ Románæ a María Magdaléna Anguillária præside Oblatárum Turris Speculórum conscrípta
(Cap. 6-7: Acta Sanctorum Martii 2, *185-*187)
De patientia et caritate sanctæ Franciscæ
Non in extérnis tantum fortúnæ bonis probávit Francíscæ patiéntiam Deus, sed in ipso quoque illíus córpore múltiplex súmere vóluit experiméntum per morbos, quibus diutúrnis gravibúsque, ut dictum est dicetúrque deínceps, fuit exércita; sic tamen ut nullus impatiéntiæ motus in ea observátus sit umquam, nulla displicéntia alicúius obséquii quantúmvis inépte sibi exhíbiti.
Per filiórum, quos tenérrime diligébat, immatúra fúnera, constántiam suam Francísca probávit, ánimo semper tranquíllo divínæ sese voluntáti aptans et grátias agens in iis quæ accidébant. Pari constántia maledicórum ac sibi detrahéntium, deque ipsíus vivéndi modo male loquéntium linguas pértulit; ne mínimæ quidem aversiónis indícium ab iis demónstrans persónis, quas de se suísque rebus pérperam sentíre ac loqui nóverat; sed bonum pro malo reddens, solébat Deum pro ipsis contínuo deprecári.
Quóniam ipsam non elégerat Deus ut sibi soli sancta foret, sed ut colláta sibi divínitus dona in proximórum spiritálem ac corporálem salútem convérteret, tanta illam amabilitáte instrúxerat, ut cuicúmque ágere cum ipsa contigísset, is íllico sentíret illíus amóre æstimationéque captum se, atque ad omne ipsíus arbítrium fléxilem. Ea namque verbis suis divínæ virtútis efficácia ínerat, ut brevi sermóne afflíctis et ægris ánimis, solámen fáceret, inquiétos sedáret, mitigáret irátos, reconciliáret inimícos, inveteráta ódia rancorésque exstíngueret, et meditátam paratámque vindíctam sæpe sæpius impedíret, verbo uno ut frenásse hóminum quorumcúmque afféctus, et eos quocúmque vellet dúcere posse viderétur.
Quare ex omni parte recurrebátur ad Francíscam, velut ad asylum tutíssimum, nec ab ea quisquam nisi consolátus recedébat, quamvis líbere ipsa et peccáta reprehénderet, et quæ nóxia erant Deóque ingráta citra formídinem castigáret.
Grassabántur Romæ morbi várii, mortáles passim et pestíferi hábiti, in quibus non dubitávit sancta, spreto contagiónis perículo, exhibére víscera misericórdiæ erga míseros et opis índigos aliénæ; quos fácile repértos primum ad expiánda per compassiónem inducébat, sédulo deínde iuvábat ministério, amánter exhórtans ut de manu Dei hoc qualecúmque incómmodum libénter acceptárent, et pro eius amóre tolerárent, qui tam multa prior pro ipsis tulísset.
Non erat conténta iis, quos domi suæ collígere póterat, infírmis curándis Francísca; sed in suis illos mapálibus atque hospitálibus públicis requirébat, ibíque invéntis refovébat sitim, componébat lectos, obligábat úlcera; quæ quanto fÏtentióra erant et magis stómacho suo contrária, tanto diligéntius accuratiúsque tractábat. Solébat étiam in Campum Sanctum iens cibos et delicatióra obsónia deférre secum, inter magis índigos distribuénda; domum autem revértens referébat detríta indusiórum frágmina et páuperes pannos immundítia plenos, quos diligénter elútos probéque resártos, tamquam ipsi Dómino suo servitúros, curióse complicábat atque inter odóres reponébat.
Per annos omníno trigínta hoc inserviéndi infírmis atque hospitálibus ministérium secúta Francísca est, dum scílicet in sui maríti domo esset, frequens ad hospitália Sanctæ Maríæ et Sanctæ Cæcíliæ in Transtíberim, ad áliud Sancti Spíritus in Sáxea, quartúmque in Campo Sancto. Et quóniam eiúsmodi contagiónum témpore non solum diffícile erat inveníre médicos, qui curárent córpora, sed étiam sacerdótes, qui necessáriam animábus medicínam fácerent; ipsa eos requirébat adducebátque ad tales, qui iam ad suscipiénda pæniténtiæ et eucharístiæ sacraménta dispósiti erant; quod ut pro arbítrio suo commódius fáceret, alébat suis impéndiis sacerdótem, qui ad prædícta accédens hospitália, præscríptos a se infírmos visitáret.

orazione      O Dio, che in santa Francesca Romana ci hai offer­to un modello di santità coniugale e di vita a te consacrata, fa' che in ogni circostanza siamo per­severanti nel tuo servizio e camminiamo nella luce del tuo volto. Per il nostro Signore.

Oratio
Deus, qui nobis in beáta Francísca singuláre dedísti coniugális et monásticæ conversatiónis exémplar, fac nos tibi perseveránter deservíre, ut in ómnibus vitæ adiúnctis te conspícere et sequi valeámus. Per Dóminum.

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