Epifania del Signore
Omelia
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Credo che il dono più bello di questa Solennità sia Rosa, che proclama la Prima Lettura dove si parla di luce, lei che la luce non l’ha mai vista.
Potrebbe bastare questo segno, cari fratelli e sorelle, per stare già dentro al mistero della Solennità dell’Epifania del Signore, dove in una maniera colma di fascino, affascinante, l’evangelista Matteo narra di una visita di gente estranea, straniera e misteriosa, che si è messa in cammino da lontano. Non sono Israeliti, non hanno la Bibbia, non hanno l’Antico Testamento; non hanno altro ausilio che la mente, che il cuore, che l’amore che legge, che intravede, che avverte dei sussulti: sta avvenendo qualcosa o qualcosa sta per avvenire, e si mettono in cammino.
Oggi è come se la Chiesa guardasse al mondo come ad una sola grande comunità, credenti e non credenti, appartenenti a questa o a quella professione cristiana, a questa o a quella tradizione religiosa, o semplicemente appartenenti al genere umano. Betlemme, o comunque Gesù, il Redentore, diventa consapevolmente - ma spesso inconsapevolmente - la meta del nostro cammino, Colui che ci mette per strada, che ci mette alla ricerca, che ci pone nel cuore il desiderio di un “di più” che non sappiamo, che non vediamo, ma di cui avvertiamo l’esigenza. È bella questa dimensione universale, questo abbraccio al mondo che la Chiesa, fin dall’antichità (la pagina di Vangelo ci viene da 2000 anni), ha avvertito come dimensione essenziale, al punto - e qui siamo interpellati noi - che alcuni che ritengono di essere credenti, forse non lo sono, e altri, che ritengono di essere non credenti, sono più avanti di noi. Lo vediamo anche nel dialogo, nell’incontro tra questi personaggi - che non sono 3, ma forse 33, o forse un popolo - un dialogo che avviene tra loro e Erode che, a sua volta chiama gli esperti: sono gli esperti della Parola, gli esperti della Torah, gli esperti della legge, dei profeti, ma sono sordi; hanno la verità ma non ne godono, hanno un tracciato certo ma non lo percorrono… Allora avviene un dialogo tra sordi e, per la verità, i sordi sono quelli che dovrebbero avere le orecchie attente alla Parola, che danno una spiegazione ma non la seguono. È come se noi dessimo una terapia di guarigione ad una persona, mentre noi non la seguiamo: è questo il paradosso che, tra l’altro, il Vangelo dei Magi ci presenta, cioè di chi è dentro ma è lontanissimo, e di chi è fuori e invece viene riconosciuto come uno in cammino verso la verità.
La verità, cari fratelli e sorelle, nessuno la possiede; al massimo, la verità ci possiede. E se ci possiede, non la possiamo vedere, così come il bambino, che è portato nel grembo di sua madre, ne è posseduto ma non ne vede il volto e forse ne ascolta la voce. Quindi è un senso di grande ottimismo per i lontani, ma anche per i nostri figli lontani, per le persone che facevano parte di questa comunità parrocchiale e se ne sono allontanate, e di tanti altri, che vediamo vaganti ma comunque alla ricerca.
Mi piace avvicinare il Vangelo dei Magi con quel simbolo che ha accompagnato la nostra infanzia e ancora accompagna l’infanzia dei nostri figli: la calza e, certamente, la Befana, con la sua matrice non proprio evangelica.
Perché si scelse la calza da appendere al camino? Chiaramente, perché era l’unico abbigliamento che poteva contenere qualcosa; ma mi piace scavare dentro questo simbolo e pensare - o forse illudermi - che chi l’ha scelto avesse in mente il camminare, perché le calze si consumano, le scarpe si consumano: si consumano quando le usiamo, quando camminiamo, quando cerchiamo, quando ci interroghiamo, quando ci lasciamo interrogare dagli altri, dagli eventi, da quello che succede altrove e che pure dovrebbe trovare ascolto nel nostro cuore. E, allora, questo immenso pellegrinaggio dei Magi, come ho detto già gli altri anni - noi abbiamo questo appuntamento in agenda di vederci la mattina dell’Epifania - sono i filosofi, sono i poeti, sono gli artisti, sono i sognatori, sono i viaggiatori, sono quelli che guardano una vetta e dicono: “Mi metto in cammino”, e sembrano degli illusi (Ma dove vai? perché ti muovi? ma che stai facendo? perché non stai qui al caldo con noi?). Sono quelli che affrontano il freddo e mille altre difficoltà, e a volte mettono a repentaglio anche la propria fede - ma una fede non messa a repentaglio non è una fede - e si mettono in cammino per strada, vanno a cercare ciò che possa rispondere a quella esigenza di bellezza, di verità, di bene, che è presente nel cuore di ogni uomo.
Anche noi, fratelli e sorelle, mettiamoci in cammino. Tra l’altro, le feste natalizie, che la tradizione vuole chiudere con l’Epifania, forse ci hanno messo anche qualche chilo in più e, allora, sarà il caso di camminare, non tanto per dimagrire, per scendere di peso, quanto per salire su qualche vetta. “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce”: questa visione del profeta non può che essere pensata e sognata sulla cima di una collina (per voi il colle “San Pasquale”) o di un monte (per noi il Monte Maggiore) o di una calotta per guardare le stelle o di una specola; non può che essere immaginata sulla cima di una torre o sulla tolda di una nave, dove qualcuno si pone le mani sulla fronte per vedere più lontano.
Voglio consegnarvi questi tre doni legati a tre di voi, anche per svegliarvi, perché anche stanotte si è fatto tardi e anche stamattina, forse, siamo stati impegnati a scartocciare…
Oro, incenso e mirra, che i Magi offrono, sono simboli, sono vie essi stessi.
Dice l’evangelista: “Aprirono i loro scrigni”, e uno che si è messo in viaggio non può andare con uno scrigno in mano; è un atteggiamento scomodo, e tantomeno lo scrigno l’ha portato il cammello o altri.
Aprono lo scrigno del loro cuore, offrendo quello che hanno: oro, incenso e mirra.
Scelgo Pio per l’oro (prendo tre volti giovanili della vostra comunità, anche per incarnare questa Parola). Scelgo Pio perché è giovane, neoeletto presidente di Azione Cattolica della vostra comunità, studente di Giurisprudenza, esile, alto… Ho saputo di alcuni che hanno detto che è troppo giovane per fare il presidente AC (quasi che il presidente AC debba esser calvo e avere le rughe: non è scritto da nessuna parte…).
Scelgo lui per dire ogni giovane di Pignataro che guardi lontano, che si interroghi, che interpelli se stesso e che si lasci interpellare dalla cultura. Guai a noi se restiamo – l’ho detto altre volte – nel pantano delle nostre piccole beghe, dei nostri pettegolezzi: apriamoci, perché ci sono dei segni nel mondo; al di là di tutto il male, c’è anche tanto bene e qualche volta il bene lo dobbiamo andare a cercare nel territorio nemico. Allora l’oro è lo sforzo dell’intelligenza; per questo lo collego a Pio, che ha voglia di apprendere, che ha voglia di fare, che mi sembra anche un’anima intellettualmente vergine della vostra comunità (magari parlo di lui, ma riguarda tanti altri, tanto per darvi un segno). Allora quando pensate all’oro, pensate a Pio e a tutti quelli, i nostri figli, che si mettono in cammino, che vanno all’università, che fanno dei sacrifici, che superano gli esami e non si accontentano della loro realizzazione professionale, aprendosi anche agli altri, dando spazio anche all’animazione dei più piccoli, aprendo itinerari.
Per l’incenso, ovviamente, scelgo Giuseppe, che oggi ha messo la talare per la prima volta, ma attenti - so di correre un rischio -, non per indicarlo come prete. Giuseppe, per noi, è importante per il solo fatto che ha lasciato Pignataro e ha cominciato l’anno previo. Ho detto alla mamma: “Poteva tornarsene anche il giorno dopo: va già bene, va già bene!”. Quindi non ve lo presento come il prete di domani (magari lo sarà, lo speriamo), ma Giuseppe è importante, legato all’incenso ovviamente, come segno - magari tra voi ce ne saranno tanti altri - che si gioca tutto per tutto.
L’incenso esprime l’itinerario della preghiera, l’itinerario della spiritualità, il consumarsi anche da giovani. Consumare e bruciare la propria giovinezza è qualcosa apparentemente di inafferrabile; Pio si laureerà, avrà la sua ragazza, la sua sposa, ma questo incenso, anche quello che utilizziamo durante la liturgia, che è profumato, dice quello che è un uomo davanti a Dio: è in ginocchio. Se Pio è l’oro, Giuseppe è l’incenso. Tra l’altro mi va di ricordarvi che Pignataro, in passato, era la culla di tanti sacerdoti; mi dicono - e alcuni sono ancora vivi e vegeti - che gran parte del presbiterio della Diocesi di Teano-Calvi era di provenienza pignatarese. Com’è che a un certo punto si sono legate le tube? Com’è che si è interrotta questa tradizione? Può darsi che Giuseppe apra questa strada; magari tornerà indietro, ma l’ha aperta, e questo è importante. Allora Giuseppe anche domani può venire dal Vescovo e dire: “Eccellenza, è stato bellissimo partecipare, ma me ne torno… Sono contento della mia laurea in Scienze Politiche che sto per conseguire e mi rilancio nei progetti di prima”. Per me va bene lo stesso, perché qualcuno tra voi si è messo in cammino.
Ovviamente, per la mirra scelgo Elisabetta e, in lei, tutti quelli che soffrono, perché c’è la via dell’intelligenza, la via della poesia, la via della filosofia (oro); c’è la via dell’adorazione, dell’ascolto della Parola, del mettersi davanti a Dio dicendo: “Voglio sciupare per Te la mia esistenza” (incenso); ma sapete che in tanti ci mettiamo in cammino per questa strada così tortuosa, certamente in assoluto la più difficile: la via del dolore, che attraversa la vita di tutti. Adesso prendo Elisabetta perché più volte abbiamo pregato per lei, facciamo il tifo per la sua chemio in corso, perché sia debellato il mostro del cancro. Quante persone soffrono… E questo dolore che è? Non lo sappiamo. Il dolore è un mistero, però con il Vangelo dei Magi, che ci presenta la mirra come dono in uno scrigno, possiamo dire che il dolore è una via. Magari l’oro ci veste di splendore, l’incenso ci profuma, la mirra è una medicina. Forse è la via più difficile. D’altra parte, questi tre percorsi non sono alternativi, perché anche Pio soffrirà, anche Giuseppe soffrirà, anche Elisabetta tornerà ai suoi libri d’università insieme a Marco - speriamo presto - anche lei è credente e va avanti in grazia della forza della fede; anche Giuseppe ha bisogno di ripensare la sua fede, perché una fede non pensata “pensata” diventa fideismo, come sapete, cioè l’intelligenza va dentro la fede, l’intelligenza interpella la fede; a volte la fede interpella e domanda all’intelligenza.
Quindi tre percorsi che sembrano paralleli; in realtà è un’unica strada: è la strada dell’essere uomini e donne, che è fatta di fatica del concetto, come diceva Hegel, cioè è fatta di questa regalità, perché non c’è nulla di più grande, nella nostra vita, della forza del pensiero e, a volte, del pensiero che si fa dolce nella poesia; non c’è nulla di più bello che riconoscere la grandiosità di Dio bruciando l’incenso della lode, della preghiera, del canto… Ma dobbiamo dire anche che la strada del dolore è quella che ci denuda, che ci fa mettere in ginocchio, che rende il pensiero umile, perché tanti interrogativi staranno affollando la mente di Elisabetta e di chi sta partecipando (tanti di noi) al suo dolore. Ma a tanti interrogativi non ci sono risposte, se non quella dell’incenso, se non: “Signore, Tu sai, Tu volgerai al bene ogni cosa”.
Allora coraggio, fratelli e sorelle! Vi ho indicato questi tre giovani un po’ per svegliarvi e un po’ per dirvi che c’è oro anche a Pignataro, c’è incenso anche nella vostra comunità e c’è tanta mirra, perché poi, se dovessimo fare, come ho detto anche gli altri anni, le proporzioni, ovviamente la bilancia pesa sempre eccessivamente dal lato della mirra. Quanto oro possiamo avere? Quanto incenso? Per quanto incenso possiamo bruciare – e l’incenso, all’atto in cui si usa, diventa etereo, una voluta – rimane il peso specifico del dolore, da cui vorrei con voi lasciarmi interrogare quest’oggi, fino a mettere in crisi una fede semplicista.
I Magi non si sono accontentati di piccole risposte: hanno cercato le grandi risposte. E per cercare le grandi risposte, bisogna lasciarsi ferire dalle grandi domande: cos’è? dov’è? da dove veniamo? dove stiamo andando? perché, Signore, permetti tutto questo? E la stella ora compare, ora scompare; ora sorge, ora tramonta… Alcuni di noi sono in piena eclisse di stella, perché stanno al buio; altri vedono un barlume. La stella - che è un mezzo - diventa, solo alla fine, un fine ed è Gesù stesso: è Lui la stella.
Alla fine della nostra vita, quando saremo stanchi di pensare e di tormentarci con le nostre domande, forse anche stanchi di adorare e di pregare senza ricevere risposte, soprattutto tanto stanchi di soffrire (Lasciatemi qui – dice il poeta – come una cosa posata e dimenticata), allora - e solo allora - noi ci vedremo bene. Come Rosa.
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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.
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