“Pro vobis et pro multis”
Il Prof. Giovanni Bazzana, Assistente di Nuovo Testamento alla Harvard Divinity School, a quanto pare, è un attento lettore di questo blog. Anche lui ha un suo blog (“dedicato al Nuovo Testamento e alla storia delle origini cristiane”) dal titolo Ta Biblia. Già in ottobre si era occupato dei miei post sulla nuova versione CEI della Bibbia e aveva poi precisato, su mia richiesta, il rapporto fra testo masoretico e Settanta, che mi risultava poco chiaro. Successivamente aveva postillato il mio intervento sulle “Traduzioni edulcorate”. Lo scorso gennaio aveva poi fatto riferimento al mio post sui salmi imprecatori. Giorni fa infine si è occupato del mio recente post sulle “Stravaganze di traduzione e di interpretazione”. Non posso che raccomandare anche ai miei lettori la lettura del post del Prof. Bazzana, perché si sofferma su un punto a cui siamo piuttosto sensibili, vale a dire il significato del “pro multis” (Mt 26:28).
Il Professore corregge la mia affermazione, sicuramente esagerata, secondo cui «tutti gli esegeti ci assicurano che “per molti” è un semitismo che significa in realtà “per tutti”». Io non facevo che riportare l’interpretazione del Padre Zerwick (Analysis philologica Novi Testamenti Graeci, Romae, PIB, 3ª ed., 1966, p. 68): «sem. potest significare multitudinem simul cum totalitate = omnes qui multi sunt». Si veda pure, in proposito, la nota della TOB («per i molti, cioè, secondo il significato semitico della formula, per l’insieme degli uomini») o il Jerome Biblical Commentary («Per tutti senza alcuna riserva»). Giustamente Bazzana fa notare che «non è vero che tutti gli esegeti sostengono questa posizione», e cita il caso di Luz (il quale «non ritiene l’espressione un semitismo e non pensa che significhi “per tutti”») e quello di Joachim Jeremias (il quale «ammette che in ebraico o aramaico le espressioni equivalenti qualche volta possono voler dire “tutti”, ma che questa ovviamente non può essere la regola»). Va precisato, per poter capire la posizione di Jeremias, che egli ricorreva alla tecnica della retroversione (dal greco all’aramaico) per cercare di ricostruire gli ipsissima verba Jesu.
Il Prof. Bazzana spiega poi come si sia arrivati a identificare “per molti” con “per tutti”. La questione non sarebbe tanto di tipo linguistico, quanto piuttosto esegetico: secondo Jeremias, Mt 26:26-28 dipenderebbe da Is 53:11-12 (il quarto canto del Servo del Signore, dove si afferma che «il giusto mio servo giustificherà molti … io gli darò in premio molti ... egli portava il peccato di molti»). Tale constatazione permette a Bazzana di fare una riflessione assai interessante:
«Anche accettando il legame suggerito da Jeremias, è paradossale vedere come proprio questo offra un argomento molto forte contro l’esegesi “semitica”. Di Is 53:11-12 possediamo una traduzione greca (quella dei Settanta) e vale la pena di domandarsi: se l’ebraico rabbim aveva proprio questo chiaro significato di “tutti”, come mai i traduttori, che non brillavano certo per il loro letteralismo, l’hanno tradotto per ben tre volte nello spazio di due versi con polloi?
«È interessante domandarsi quale sia il supporto ideologico di queste esegesi fondate sulle retroversioni semitiche, dal momento che il loro valore storico è tanto scarso. Ho formulato tre ipotesi provvisorie. Anzitutto, discutendo della cosa con un collega, lui mi faceva notare che un peso notevole deve avere ancora l’idea che l’ebraico sia una “lingua divina”. In secondo luogo, ritornare all’originale semitico è un po’ parte dell’utopico tentativo di tornare al Gesú storico (combinato con il “dogma”, secondo il quale Gesú avrebbe parlato solo aramaico). Infine, l’impressione piú sgradevole, ma dalla quale è purtroppo difficile liberarsi quando si leggono esegesi come quelle di Jeremias, è che si tratti di un’altra forma di supersessionismo. Come i cristiani si appropriano della Bibbia degli ebrei, cosí possono fare anche con la loro lingua, dimostrando che gli ebrei non solo non sono stati capaci di capire il “vero” significato dei libri che consideravano sacri, ma anche della lingua stessa in cui erano scritti».
Decisamente interessante.
p. G. Scalese
Pubblicato da Querculanus a 12:56
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