venerdì 4 marzo 2011




Confutare la tesi del deicidio
da parte degli ebrei,
uno degli scopi del libro del Papa.
La risposta del rabbino Di Segni.


Il libro del Papa “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso a Gerusalemme alla risurrezione” ruota intorno a uno sforzo principale, di mostrare che Gesù è davvero quanto i Vangeli dicono egli sia, il Messia. E non solo è l’unto, colui che il popolo eletto attende da sempre, ma è anche “la verità”.

I rapporti tra cattolici ed ebrei sembrano sempre pronti a infiammarsi: la beatificazione di Pio XII oramai vicina, la preghiera del Venerdì Santo nella quale i cattolici pregano per la conversione dei giudei.

Benedetto XVI rilegge la Passione di Cristo anche alla luce del ruolo cruciale svolto allora dal popolo ebraico. La sua tesi è chiara: l’interpretazione che definisce il popolo ebraico “deicida” e dunque colpevole della morte di Gesù non si regge, esegesi alla mano. Per Giovanni furono i giudei a uccidere Gesù, intendendo però per giudei semplicemente “l’aristocrazia del tempio”.

Il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni: “Lanci di agenzia alla mano, mi sembra che nel testo di Ratzinger ci sia poco di nuovo. C’è un grande sforzo esegetico di leggere il Vangelo in chiave non anti ebraica ma è uno sforzo che si regge con qualche difficoltà. Giovanni parla di giudei e non di aristocratici del tempio o di plebaglia. I giudei sono i giudei. Come i cristiani restano i cristiani al di là dell’esegesi”.





Benedetto XVI e i responsabili della morte di Gesù.                di don Alfredo Morselli


L’anticipazione di alcuni stralci del nuovo libro di Benedetto XVI su Gesù non mancherà di suscitare polemiche e sciorinamenti di pareri di Perpetua – a cui siamo tristemente abituati. Ed è verosimile che ciò accada soprattutto a motivo delle pagine in cui il Pontefice esprime il suo pensiero circa le responsabilità nella condanna a morte di Nostro Signore Gesù Cristo, e circa le parole della folla, che invoca: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).

Fin troppo facilmente profeta di queste reazioni allergiche (o entusiasmi da parte di progressisti, che esultanti proclameranno cambiamenti e/o rovesciamenti), vorrei qui semplicemente mostrare come Benedetto XVI riprende – né più né meno – la dottrina tradizionale.

Quali sono le tesi del Papa? Sono sostanzialmente due:
1) La responsabilità morale della morte di Gesù è principalmente dei capi e non del popolo ebraico o di tutti gli Ebrei, e l’espressione “i giudei” non deve farci pensare “al popolo d’Israele come tale”.
2) L’invocazione della folla “il suo sangue ricada su di noi” si muta in benedizione.
Per quanto riguarda la I tesi, mi basta riportare alcune parole di San Tommaso:
“Parlando dei giudei bisogna distinguere tra maggiorenti e la gente del popolo. I maggiorenti, che erano detti loro principi, certo lo conobbero, secondo l'autore delle Quaestiones Novi et Veteris Testamenti, come del resto gli stessi demoni riconobbero che egli era il Cristo promesso: "infatti essi vedevano avverarsi in lui tutti i segni predetti dai profeti". Essi però non conobbero la sua divinità: ecco perché l'Apostolo afferma, che "se l'avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria".

Si noti però che tale ignoranza non li scusava dal delitto: perché si trattava di un'ignoranza affettata. Essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità: ma per odio ed invidia verso Cristo li travisavano, e così non vollero credere alle sue affermazioni di essere il Figlio di Dio. Di qui le parole del Signore: "Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero peccato: ma ora non hanno nessuna scusa del loro peccato". E ancora: "Se non avessi compiuto tra loro le opere che nessun altro ha compiuto, non avrebbero peccato". Perciò si possono applicare ad essi le parole di Giobbe: "Essi dissero a Dio: Allontanati da noi, noi non vogliamo conoscere le tue vie".
Il popolo invece, che non conosceva i misteri della Scrittura, non conobbe pienamente né che egli era il Cristo, né che era Figlio di Dio: sebbene alcuni del popolo abbiano creduto in lui. E anche se talora essi sospettarono che fosse il Cristo, per la molteplicità dei segni e per l'efficacia del suo insegnamento, come nota l'evangelista Giovanni, tuttavia poi furono ingannati dai loro capi, al punto di non credere né che era il Figlio di Dio, né che era il Cristo. Di qui le parole di S. Pietro: "So che avete agito per ignoranza, al pari dei vostri capi"; cioè perché sedotti da essi” (S. Th. IIIª q. 47 a. 5 co).
Per quanto riguarda la seconda affermazione, basta citare S. Agostino:
“Risorto che fu il Signore, molti credettero. Non capivano allorché lo crocifiggevano, ma più tardi hanno creduto in lui, ed è stato loro perdonato un così grande delitto. Il sangue del Signore, che essi avevano versato, venne dato in dono agli stessi omicidi, non propriamente deicidi (ut non dicam deicidis); perché, se avessero conosciuto il Signore della gloria, mai lo avrebbero crocifisso. Agli omicidi è stato ora dato in dono il sangue dell'innocente che essi avevano versato: e così lo stesso sangue che essi avevano versato nella loro follia, hanno ora bevuto come grazia. Dite dunque a Dio: quanto sono terribili le tue opere! Perché terribili?Perché si è compiuta la cecità di una parte di Israele affinché entrasse la totalità delle genti. O totalità delle genti, di' a Dio: Quanto sono terribili le tue opere! Erallègrati, ma insieme trema; e non ti gloriare nei confronti dei rami tagliati. Dite a Dio: quanto sono da temere le tue opere!(Enarr. in Ps. LXV, 5).
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Conclusione
Oggi il modernismo propina la teoria della duplice via parallela di salvezza per Ebrei e cristiani (secondo la quale gli Ebrei non avrebbero bisogno di Gesù Cristo) e va a braccetto con le assurde pretese di certi esponenti ebrei, ad es. Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si esprimeva in questi termini:
«Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua. Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità». («Un futuro di amicizia», Osservatore Romano, 10 novembre 2010, p. 5; articolo pubblicato senza alcun commento di disapprovazione).
La risposta al neo-modernismo non è un antigiudaismo da strapazzo; che fare allora? Non ho ricette, ma sempre Sant’Agostino mi va benissimo:
“Or dunque, voi genti che siete state chiamate, notate bene come nella sua severità Dio abbia reciso certi rami e come voi, per la sua bontà, vi siate state innestate. Voi siete divenute partecipi dell'abbondanza dell'olivo; ma non nutrite pensieri di alterigia, cioè, non vi insuperbite. Perché - dice - non sei tu che porti la radice, ma la radice porta te.
Ancora di più dovete, anzi, spaventarvi, se vedete recisi i rami naturali. I giudei infatti discendono dai patriarchi; sono nati dalla stirpe di Abramo. Che cosa afferma l'Apostolo? Tu forse dici: i rami sono stati spezzati perché io sia innestato. Bene! Per l'incredulità sono stati spezzati. Ma tu, se stai saldo, è per la fede. Non insuperbirti dunque, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato i rami naturali, neppure te risparmierà. Guarda quindi come certi rami sono stati spezzati e come tu stesso ci sei stato innestato.

"Non insuperbirti contro i rami spezzati, ma piuttosto di' a Dio: Quanto sono da temere le tue opere! Fratelli, se non dobbiamo inorgoglirci guardando i giudei, recisi tanto tempo addietro dalla radice dei patriarchi, ma dobbiamo piuttosto temere e dire a Dio: Quanto sono tremende le tue opere!, quanto meno dobbiamo rallegrarci per le ferite delle recenti scissioni! Un tempo sono stati recisi i giudei, e vi sono state innestate le genti. Dalla pianta così innestata sono stati tagliati via gli eretici; ma neppure contro costoro dobbiamo insuperbire, se non vogliamo meritarci di essere a nostra volta recisi, come gente che prova gusto nell'insultare i recisi. Fratelli miei, comunque sia il vescovo di cui voi udite la voce, noi vi scongiuriamo di stare in guardia! Tutti voi, che siete nella Chiesa, non insultate coloro che ne sono estranei, ma piuttosto pregate affinché anch'essi entrino nella Chiesa. Dio onnipotente può innestarli di nuovo”. (Enarr. in Ps. LXV, 5).

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