mercoledì 30 marzo 2011

30 MARZO
San Giovanni Climaco
abate (VII sec.)



Il trattato La scala del paradiso ebbe una grandissima influenza, specialmente nella Chiesa orientale, ottenendo per il suo autore, Giovanni lo Scolastico, l'appellativo Climaco, con il quale è generalmente conosciuto.
Le sue origini sono oscure: è noto che a sedici anni si unì ai monaci che vivevano sul monte Sinai conducendo inizialmente una vita ritirata con Abba Martirio, che dopo tre anni gli diede la tonsura. Verso i trentacinque anni, alla morte della sua guida spirituale, Giovanni si ritirò in solitudine completa a Thole, rimanendovi per quarant'anni. A un certo momento fece visita a un monastero in Egitto, rimanendo colpito dalla vita spirituale intensa dei monaci e del loro abbà. Egli stesso era molto richiesto come guida spirituale, tanto che gli altri monaci lo avevano etichettato come chiacchierone. Giovanni interpretò questo fatto come un segno e prudentemente rifiutò di accogliere visitatori per un anno intero, quando coloro che lo avevano criticato gli proposero di riprendere la sua attività per non privare gli altri del suo dono di discernimento spirituale. Giovanni venne eletto igumeno della comunità di cenobiti del monte Sinai a circa settantacinque anni, guidandoli per quattro anni. Si ritirò in seguito nuovamente nel suo eremitaggio, dove morì nella seconda metà del VII secolo.
Giovanni sperimentò tre esperienze diverse di vita monastica, così che quando nei suoi ultimi anni abba Giovanni di Raithu gli chiese di scrivere un trattato sulla vita spirituale, egli potè fare affidamento su una vasta esperienza, su una comprensione piena e matura delle esigenze di tale vita, su una penetrazione profonda della natura umana e su qualità di compassione, umorismo e sapienza inusuali per un eremita. Aveva letto le opere di Evagrio Pontico e, pur dipendendo da lui, non sempre si trovava d'accordo con le sue opinioni; conosceva gli scritti di Origene, che disapprovava, ed era aggiornato sulle controversie teologiche dell'epoca, schierandosi apertamente dalla parte dell'ortodossia. Dotato di una forte volontà e di un pensiero saldo e indipendente, era tuttavia un uomo facile da avvicinare e ricco di fascino, come suggeriscono i suoi successi e la facilità con la quale entrò in contatto con i monaci egiziani. La Scala, che viene letta durante la Quaresima nei monasteri ortodossi, è frutto di studi accurati. Una prima lettura può provocare un senso di scoraggiamento perché buona parte del testo è dedicata all'analisi dei vizi, ma Giovanni aveva ben presente che, quando uno consacra la sua esistenza all'unione con Dio, la natura umana peccatrice costituisce un ostacolo continuo. A tutti dice: «Liberatevi dal peccato e le lacrime diventeranno superflue. Adamo non versava lacrime prima della caduta e dopo la resurrezione non saranno più necessarie». La descrizione che offre delle celle monastiche da lui visitate in Egitto potrebbe oggi sembrare la parte più sconvolgente del trattato. Egli non dà nessun giudizio, ma senza dubbio ammira la fede invincibile di quei monaci penitenti che sopportavano anni di tremende penitenze per espiare le loro colpe. Nell'altra sua opera, il Libro per il pastore, rivolta al padre di un monastero, Giovanni suggerisce di insegnare non con i libri ma attraverso l'esperienza personale. Egli non è interessato alle forme esteriori della vita monastica ma alla sua sostanza: l'importante nello schema monastico non sono le pratiche ascetiche ma la ricerca dell'umiltà e della purezza del cuore. In un passaggio molto intenso Giovanni analizza nel profondo la via del controllo delle passioni che allontana una persona sempre più dalla vita ordinaria: «Vivere in esilio significa condurre una vita disciplinata; nessuno proclamerà la nostra sapienza e nessuno potrà sospettare il tesoro della nostra conoscenza. È una vita nascosta e i suoi ideali sono celati. Nessuno saprà nemmeno che preghiamo. È per umiltà che combattiamo in quest'esilio, la povertà ciò che desideriamo e la vita divina ciò a cui agogniamo. È un'esistenza di amore versato, e perciò di rigetto dell'orgoglio, che pone la nostra dimora nelle profondità del silenzio». Giovanni non esita a chiamare il monastero "il paradiso sulla terra" e per questo motivo un monaco deve legare il suo cuore alla regola e, come gli angeli, servire Dio. Ci potranno essere delle proteste ma «Dio non si aspetta da parte nostra delle lamentele a motivo della sofferenza» ma piuttosto «che siamo felici di amarlo, con l'anima che ride». Nei primi secoli della cristianità, dominati dal neoplatonismo, l'idea di dover liberare l'anima da una serie di ostacoli fisici per raggiungere la vita spirituale era largamente diffusa, tuttavia questi maestri avevano una discreta conoscenza della psicosomatica: l'anima e il corpo potevano così unire le loro esigenze che, lasciate senza controllo, distoglievano invece la persona dalla via della virtù. Il corpo non è un nemico, ma semplicemente noi siamo dei fragili esseri mortali: «Come posso odiare [il mio corpo] quando la mia natura mi impone di amarlo? Come posso fuggire da esso quando mi accompagnerà nella resurrezione? È il mio aiuto e il mio nemico, amico e oppositore, protettore e traditore». L'intenzione dei monaci non è quella di distruggere questo ambiguo compagno ma di arrivare a "un corpo santificato" attraverso l'ascetismo e l'obbedienza, due strumenti indispensabili, sebbene inutili senza fede, speranza e carità, che «tengono insieme e assicurano l'unità del tutto». L'amore «non viene mai meno, non indugia mai, non permette mai a chi viene colpito dalla sua santa ebbrezza di esitare».
Il trattato inizia ponendo il problema di quanto sia possibile per un essere umano l'imitazione di Cristo e finisce con la gioiosa certezza che uno può realmente arrivare a una somiglianza con Dio: «L'amore di sua natura è una somiglianza con Dio, per quanto sia possibile all'uomo raggiungerla». L'idea della scala come segno dell'ascesa spirituale verso Dio era già stato usato da Origene, S. Gregorio Nazianzeno, S. Giovanni Crisostomo e Teodoreto di Ciro, ma l'opera di Climaco, riportando la sua esperienza personale, presenta anche la sintesi di tre secoli di esperienza monastica. Il trattato fu scritto per divulgare il metodo esicastico, incentrato sull'uso della "preghiera di Gesù": l'invocazione del nome di Gesù risale a Macario l'Egiziano ed era conosciuta da Diadoco di Fotica, da Barsanufio e da Giovanni il Profeta. Climaco è la prima persona, per quanto è risaputo, a collegare l'invocazione con il ritmo del respiro. Egli scrive: «Fate sì che il ricordo di Gesù sia presente in ogni vostro respiro, perché possiate comprendere il significato del silenzio (hesychia)», enfatizzando in questo modo la necessità della preghiera continua. Le Centurie di Esichio, attribuite a Esichio di Gerusalemme, ma probabilmente redatte nel monastero di Batos sul monte Sinai, portano avanti questo discorso, come anche molti altri autori, ma fu solo con il XIV secolo che la "memoria di Gesù" fu perfezionata dai monaci del monte Athos (con quella tecnica che possiamo vedere descritta nel novecentesco I racconti del pellegrino russo). La Scala fu tradotta in siriaco nel VII secolo, in arabo, greco, armeno e slavo nel X secolo e in rumeno nel XVII secolo, mentre la rinascita monastica nella Russia del XV secolo vi prese molta parte dell'ispirazione. Una prima traduzione in latino fu opera di un monaco francescano nel XIV secolo, e si crede che questo testo sia stato fondamentale per la conversione di Angelica Arnaud nel XVII secolo.
 
L'inno Apolytikion* in greco per la memoria di san Giovanni Climaco
(* canto tipico di una memoria o festa, corrispondente alla colletta occidentale per il fatto che sintetizza il mistero o la vita del santo celebrato.)


Ἀπολυτίκιον
Ἦχος γ’. Θείας πίστεως.
Θεῖον κλίμακα, ὑποστηρίξας, τὴν τῶν λόγων σου, μέθοδον πάσι, Μοναστῶν ὑφηγητὴς ἀναδέδειξαι, ἐκ πρακτικῆς Ἰωάννη καθάρσεως, πρὸς θεωρίας ἀνάγων τὴν ἔλαμψιν. Πάτερ Ὅσιε, Χριστὸν τὸν Θεὸν ἱκέτευε, δωρήσασθαι ἠμὶν τὸ μέγα ἔλεος

Apolytikion 
Dopo aver elevato una scala sacra per mezzo delle tue parole, sei stato rivelato a tutti come un maestro di monaci; e tu ci porti, o Giovanni, dalla purificazione che viene attraverso la disciplina verso la luce della visione divina. Padre giusto, ti supplico, fa che Cristo Dio ci conceda grande misericordia.

Testo preso da: Cantuale Antonianum: Il santo della scala: Giovanni Climaco http://www.cantualeantonianum.com/2011/03/il-santo-della-scala-giovanni-climaco.html#ixzz1I4kfM7d4 http://www.cantualeantonianum.com

Il breve trattato Libro per il pastore fu anch'esso scritto su richiesta di Giovanni di Raithu. In esso Climaco espone la sua concezione della paternità spirituale: un abba, responsabile della salute spirituale dei suoi fratelli, è un insegnante: «Ciò di cui abbiamo bisogno più di qualsiasi altra cosa è il potere dall'alto, così che quelli che abbiamo iniziato a introdurre nel Santo dei Santi, quelli a cui ci sforziamo di rivelare Cristo nascosto nel banchetto mistico e che come bambini conduciamo lontano dalla massa [...] possano arrivare a dimorare nella casa del Signore». L’abba è inoltre un medico pronto a prendere su di sé tutte le malattie e tutte le tentazioni, le angosce e le debolezze dei suoi discepoli, uno che «mette la sua vita a disposizione degli altri». Egli è il capitano della nave che, se prevede una tempesta e non mette in guardia la ciurma e accade un incidente, sarà ritenuto responsabile del naufragio. Egli è un pastore che prega per le pecore che vede in difficoltà. E, poiché un leone non è adatto per sorvegliare un gregge, egli sarà mite e umile di cuore. Infatti «ciò che distingue un pastore è quel medesimo amore che ha messo il Pastore sulla croce». Infine, l’abbà ha il compito più bello di tutto il mondo: «Dio non avrebbe potuto darci una benedizione maggiore di quella di poter offrirgli le anime pentite. Il mondo intero non vale più di una sola anima; esso passerà, mentre l'anima è eterna e immortale». Nei dipinti Giovanni viene sempre rappresentato con una scala.

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