Per un elogio dell’offesa: perché è non solo lecito, ma addirittura doveroso offendere.
La convinzione che i valori siano in sé e per sé discutibili è oggi quella ormai prevalente. Ma si tratta di un assurdo logico, prima ancora che di un abbaglio assiologico. Tanto più che l’approdo di questa imperdonabile cecità è la negazione stessa di un’assiologia, quasi come se fosse possibile stabilire – anche in modo relativo – ciò che è bene o ciò che è male senza fare (direttamente o indirettamente) riferimento ad un Bene e ad un male in sé, che si pongono fuori da un orizzonte materiale.
Fin dal suo apparire, il Relativismo è sempre stato molto convincente. Ma lo è stato sempre di più, fino al collasso etico dei nostri giorni, dal momento in cui l’Impero ha capito che è questa la strada più breve per approdare a quella piazza pulita che gli consentirà, finalmente, di divorare tutto e tutti, senza resistenze. Il nichilismo dei valori, unito ai nipoti del pensiero debole in ambito gnoseologico, sono due ottimi alleati per questo fine: convincere l’uomo che non solo non esistono valori, ma che quelli esistenti sono mere produzioni culturali e che, in quanto storicamente datate e geograficamente collocate, possono essere rimpiazzate da qualsiasi novità.
Da qualsiasi desiderio.
L’uomo creatore di nuovi valori: era questo, in fondo, il sogno di Nietzsche.
L’uomo creatore – elevato al rango del divino: era questo, l’inganno del Serpente, nel libro della Genesi.
Ora, da un punto di vista eminentemente logico, una teoria dei principi e dei valori etici, quale che essa sia, non può esistere senza che vi sia un implicito riferimento ad un Bene extra mondano, a temporale, sottratto al fluire del tempo e delle interpretazioni storicamente date. Se non vi fosse infatti un a-priori assiologico, non vi sarebbe alcun a-posteriori etico materiale contingente e nemmeno – dal punto di vista formale – né oggetti né famiglie di oggetti portatori di predicati di valore.
Abbiamo al contrario sempre bisogno, anche solo per metterlo in discussione, di un significato di Valore oggettivo: ma, in quanto oggettivo, e non soggettivo appunto, si tratta di un significato (e di una rete si significati) che può essere solo scoperto, non inventato. E’ dunque per sua stessa natura sottratto a qualsiasi creatio ex nihilo o a qualsiasi ri-modellazione. Il che non significa, ovviamente, che non si possa fare: significa soltanto che ciò sarebbe (ed è) assurdo, così come è assurda la posizione di chi vuole negare che vi siano verità matematiche o verità in genere indisponibili al cambiamento e per nulla oggetto di libera interpretazione. Si può sempre ammettere che 2+2 = 5, ma non si può evitare di cadere nella follia.
Così, allo stesso modo, non ci si può sottrarre all’accusa di follia quando – nell’intenzione di fondare un’etica – si pretende di negare l’assolutezza della distinzione tra Bene e male, offrendo in cambio la relatività (e quindi la disposizione alla “libera” interpretazione umana), di tutti i valori.
Il problema è fin troppo ovvio per essere discusso:
senza una distinzione oggettiva tra bene e male, tutti ci ritroviamo di colpo indifesi e tutto sommato sprovvisti di una valida ragione per protestare, quando riteniamo (a torto o a ragione) di essere offesi.Nell’etica della relatività dei valori, infatti, l’assiologia è sottratta all’a-temporale e consegnata nelle mani dell’impero che di volta in volta si viene a costituire, nell’eterna pretesa di dominare il mondo.
Emerge allora proprio qui il nesso ineludibile tra difesa e offesa: “difendere” (de-fendere: proteggere dalla violenza) significa sempre “offendere” (ob-fendere, “urtare contro” le pretese di chi vuole prenderci, proprio nella misura in cui si protegge e si fa da scudo a qualcosa o a qualcuno).
Il Relativismo, in tutte le sue pretese e in tutte le sue manifestazioni, dev’essere offeso. Non c’è scampo. Non esiste alternativa.
Non esiste una neutralità: chi non si difende – e quindi chi non offende – in altre parole chi non offende il Relativismo, per difendere l’indisponibilità dei Valori – si pone con ciò stesso in un territorio nullo, in cui essere o non-essere sostanzialmente si equivalgono (per cui non avrebbe senso lottare né per l’uno né per l’altro).
E’ chiaro adesso perché l’ideologia dominante si preoccupa di tacciare come “discorsi d’odio (“hate speech”) qualsiasi difesa dei valori?
Ed è chiaro perché io affermo che non solo bisogna difendere, ma anche offendere questo Nemico, passando all’attacco anziché restare a guardare quello che succede?
Alessandro Benigni
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