venerdì 2 giugno 2017

processione pietra di scandalo




Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam

Salmo 113 B (115) Lode al vero Dio
Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome dà gloria,
per il tuo amore, per la tua fedeltà.

Perché le genti dovrebbero dire:
“Dov'è il loro Dio?”.

Il nostro Dio è nei cieli:
tutto ciò che vuole, egli lo compie.

I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.

Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,

hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.

Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!

Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida!

Israele, confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.

Casa di Aronne, confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.

Voi che temete il Signore, confidate nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.

Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:
benedice la casa d'Israele,
benedice la casa di Aronne.

Benedice quelli che temono il Signore,
i piccoli e i grandi.

Vi renda numerosi il Signore,
voi e i vostri figli.

Siate benedetti dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.

I cieli sono i cieli del Signore,
ma la terra l'ha data ai figli dell'uomo.

Non i morti lodano il Signore
né quelli che scendono nel silenzio,

ma noi benediciamo il Signore
da ora e per sempre.

Alleluia.

Commento (da perfettaletizia.it)

Il salmo è stato con tutta probabilità scritto nell'immediato post-esilio, quando Israele si trovò di fronte l'ostilità samaritana e di altri nemici (Esd 4,1s; Ne 4,3s), rischiando il disorientamento, e quindi la derisione dei popoli, che, celebrando i loro idoli, avrebbero detto,: “Dov'è il loro Dio?”.

Il popolo dichiara di non chiedere gloria per sé, ma consapevole di essere il popolo dell'Alleanza, il popolo con il quale Dio si è impegnato di fronte a tutti i popoli, chiede di essere aiutato affinché tutto torni a gloria del suo nome: “Ma al tuo nome dà gloria, per il tuo amore, per la tua fedeltà”.

Il salmo presenta una lunga requisitoria contro la vanità degli idoli, dopo aver affermato la sovranità di Dio su tutte le cose: “Il nostro Dio è nei cieli: tutto ciò che vuole, egli lo compie”.

Alla base del processo idolatrico c'è una divinizzazione della materia: il cielo, il sole, la terra, la luna... (Cf. Sap 13,1s).

La requisitoria del salmo contro gli idoli non è “popolare”, come spesso si è detto, ma al contrario esaurisce efficacemente “il punto” affermando, innanzitutto, che sono di materia, di argento e oro, e Dio ha creato l'oro e l'argento, come tutte le cose. Poi sono muti... cioè inoperanti. La loro forma procede dall'uomo, che, con passaggio mentale illogico, dalla personificazione delle cose del creato, era passato ad una loro raffigurazione somatica, che costituiva la forma dell'idolo.

“Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra”, dice il decalogo (Es 20,4), intendendo precisamente riferirsi al processo che sta alla base della costruzione dell'idolo. Che le cose siano così lo si deduce anche dal fatto che Mosè fece porre l'effigie di due cherubini sull'arca, e fece fondere un serpente di bronzo, dunque immagini, ma non immagini che avevano a monte una divinizzazione della natura, cioè il misconoscimento della trascendenza di Dio creatore dal nulla di tutte le cose.

“Diventi come loro chi li fabbrica...”, dice il salmista, con più crudezza del salmo 96,7: “Si vergognino tutti gli adoratori di statue...”. L'espressione non raggiunge il livello di una maledizione, essendo piuttosto un grido di sofferenza, e per questo, benché imperfetta,  non è stata rimossa dalla recitazione cristiana.

Il salmo presenta innanzitutto "Israele”, cioè tutto il popolo; poi “la casa di Aronne”, cioè il sacerdozio e i leviti; poi i timorati di Dio (“Voi che temete il Signore"), cioè i convertiti dal paganesimo al Giudaismo, ma non circoncisi.
“Non i morti lodano il Signore né quelli che scendono nel silenzio...” dice il salmista, intendendo affermare che Dio non farà cessare la lode del suo popolo a lui tra le genti, lasciando che esso venga abbattuto dai suoi nemici. 





Pierluigi Ghiggini, editorialista di ReggioReport, non è noto per essere un “baciapile” e al Comitato B.G.S. non ha risparmiato dure critiche, pungendo gli organizzatori con l’accusa di “settarismo”.

Essendo però un osservatore qualificato ha compreso una cosa che ad altri (sempre meno in verità, anche tra i paladini del gay pride) è sfuggita: il Comitato B.G.S. ha già “vinto” la sua battaglia.

Ghiggini parla del piano mediatico (aggiungiamo noi: ha già “vinto” anche in quello soprannaturale) e lo fa a ragion veduta. Nel suo articolo di oggi lo scrive a chiare lettere:
Che piaccia o no gli anti-gay pride per il solo fatto di esserci hanno già vinto la loro battaglia. Se non altro ciò farà riflettere i sindaci che hanno patrocinato il Remilia Pride e hanno firmato il protocollo “contro la omo-trans-negatività”: dovrebbero ricordarsi che sono i sindaci di tutti, non di una sola parte della società.
L’articolo è intitolato “Quella processione pietra di scandalo” e il senso lo spiega lo stesso autore del pezzo:
Certamente nessuno si aspettava una contestazione così dirompente alle aperture pastorali verso le persone omosessuali e transgender, pur disapprovandone il “disordine” della vita sessuale e predicando loro l’astinenza.

E che soprattutto dà voce a tutti coloro che non condividono l’aggressività culturale del mondo Lbgti, ormai trasformata in un dogma del “politically correct” al quale tutti dovrebbero piegare la testa, pena l’accusa di oscurantismo, clericofascismo e persino di razzismo. E a conferma di quanto sia “pietra di scandalo” – in senso evangelico – la processione riparatrice, lo dimostra la querelle legale sull’uso del nome della Beata Giovanna Scopelli (carmelitana di Reggio Emilia che visse nel XV secolo)
Una posizione bel lontana dall’aderire alla Processione, quella di Ghiggini, ma intellettualmente onesta.

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