giovedì 18 luglio 2013

Giovanni XXIII

Papa Giovanni: i testamenti




Era il lunedì dell’Ottava di Pentecoste, 3 giugno 1963, quando, alle ore 19.49, moriva Giovanni XXIII. Di lui è stato scritto tanto e certamente non si può negare la straordinarietà della sua vita spirituale, dato che la Santa Chiesa lo ha proclamato beato già da diversi anni e, a Dio piacendo, si potrebbe anche giungere ad una sua canonizzazione. Il suo nome resterà sempre legato al Concilio Vaticano II – e non certo, come taluni a torto vorrebbero, ad un nefasto “Spirito del Concilio” che è in realtà ribellione, orgoglio, disonore. Dal cielo si degni egli di intercedere per papa Francesco, per tutta la Chiesa e – ci sia permesso dirlo – anche per questo blog.
In questo anniversario tanto importante – e questo non posso disconoscerlo neppure i detrattori di papa Roncalli – proponiamo ai nostri lettori i due testamenti redatti dal Papa, uno del 1954 – redatto quand’era patriarca di Venezia – e uno del 1961 – quand’era Sommo Poontefice. Sono tratti dagli Acta Apostolicae Sedis 55 [1963], pp. 508-511.

Venezia, 29 giugno 1954
TESTAMENTO SPIRITUALE E MIE ULTIME VOLONTA’

Sul punto di ripresentarmi al Signore Uno e Trino, che mi creò, mi redense, mi volle suo sacerdote e vescovo, mi colmò di grazie senza fine, affido la povera anima mia alla sua misericordia: gli chiedo umilmente perdono dei miei peccati e delle mie deficienze, gli offro quel po’ di bene che col suo aiuto mi è riuscito di fare, anche se imperfetto e meschino, a gloria sua, a servizio della aanta Chiesa, a edificazione dei miei fratelli, supplicandolo infine di accogliermi, come padre buono e pio, coi santi suoi, nella beata eternità.
Amo di professare ancora una volta tutta intera la mia fede cristiana e cattolica, e la mia appartenenza e soggezione alla Santa Chiesa Apostolica e Romana, e la mia perfetta devozione e obbedienza al suo Capo Augusto, il Sommo Pontefice, che fu mio grande onore di rappresentare per lunghi anni nelle varie regioni di Oriente e di Occidente, che mi volle infine a Venezia come Cardinale e Patriarca, e che ho sempre seguito con affezione sincera, al di fuori e al di sopra di ogni dignità conferitami. Il senso della mia pochezza e del mio niente mi ha sempre fatto buona compagnia tenendomi umile e quieto, e concedendomi la gioia di impiegarmi del mio meglio in esercizio continuato di obbedienza e di carità per le anime e gli interessi del Regno di Gesù, mio Signore e mio tutto. A lui tutta la gloria; per me e a merito mio la sua misericordia. Meritum meum miseratio Domini. Domine, tu omnia nosti: tu scis quia amo Te. Questo solo mi basta.
Chiedo perdono a coloro che avessi inconsciamente offeso: a quanti non avessi recato edificazione. Sento di non aver nulla da perdonare a chicchessia, perché in quanti mi conobbero ed ebbero rapporti con me – mi avessero anche offeso o disprezzato o tenuto, giustamente del resto, in disistima, o mi fossero stati motivo di afflizione – non riconosco che dei fratelli e dei benefattori, a cui sono grato e per cui prego e pregherò sempre.
Nato povero, ma da onorata e umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano – in misura assai limitata del resto – durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono, sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici.
Alla mia diletta famiglia secundum sanguinem – da cui, del resto, non ho ricevuto nessuna ricchezza materiale – non posso lasciare che una grande e specialissima benedizione, con l’invito a mantenere quel timore di Dio che me la rese sempre così cara e amata, anche semplice e modesta, senza mai arrossirne: ed è il suo vero titolo di nobiltà. L’ho anche soccorsa talora nei suoi bisogni più gravi, come povero coi poveri: ma senza toglierla dalla sua povertà onorata e contenta. Prego e pregherò sempre per la sua prosperità, lieto come sono di constatare anche nei nuovi e vigorosi germogli la fermezza e la fedeltà alla tradizione religiosa dei padri, che sarà sempre la sua fortuna. Il mio più fervido augurio è che nessuno dei miei parenti e congiunti manchi alla gioia del finale eterno ricongiungimento.
Partendo, come confido, per le vie del Cielo, saluto, ringrazio e benedico i tanti e tanti che composero successivamente la mia famiglia spirituale, a Bergamo, a Roma, in Oriente, in Francia, a Venezia, e che mi furono concittadini, benefattori, colleghi, alunni, collaboratori, amici e conoscenti, sacerdoti e laici, religiosi e suore, e di cui, per disposizione di Provvidenza, fui, benché indegno, confratello, padre o pastore.
La bontà di cui la mia povera persona fu resa oggetto da parte di quanti incontrai sul mio cammino rese serena la mia vita. Rammento bene, in faccia alla morte, tutti e ciascuno, quelli che mi hanno preceduto nell’ultimo passo, quelli che mi sopravvivono e che mi seguiranno. Preghino per me. Darò loro il ricambio dal Purgatorio o dal Paradiso dove spero di essere accolto, ancora lo ripeto, non per i meriti miei, ma per la misericordia del mio Signore.
Tutti ricordo e per tutti pregherò. Ma i miei figli di Venezia: gli ultimi che il Signore mi pose intorno, ad estrema consolazione e gioia nella mia vita sacerdotale, voglio qui nominarli particolarmente a segno di ammirazione, di riconoscenza, di tenerezza tutta singolare. Li abbraccio in ispirito tutti, tutti, del clero e del laicato, senza distinzione, come senza distinzione li amai appartenenti ad una medesima famiglia, oggetti di una medesima sollecitudine e amabilità paterna e sacerdotale. Pater sancte, serva eos in nomine tuo quos dedisti mihi: ut sint unum sicut et nos (Io. XVII, 11)
Nell’ora dell’addio, o meglio, dell’arrivederci, ancora richiamo a tutti ciò che più vale nella vita: Gesù Cristo benedetto: la sua Santa Chiesa, il suo Vangelo e, nel Vangelo, soprattutto il Pater noster nello spirito e nel cuore di Gesù e nel Vangelo, la verità e la bontà, la bontà mite e benigna, operosa e paziente, invitta e vittoriosa.
Miei figli; miei fratelli, arrivederci. Nel nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo. Nel nome di Gesù nostro amore; di Maria nostra e sua dolcissima Madre; di san Giuseppe mio primo e prediletto Protettore. Nel nome di S. Pietro, di S. Giovanni Battista e di San Marco; di San Lorenzo Giustiniani e di San Pio X. Così sia.
                                                                                                                                                       Card. Ang. Gius. Roncalli patriarca
«… Queste pagine scritte da me valgono come attestazione della mia volontà assoluta per il caso di una mia morte improvvisa.

Venezia, 17 settembre 1957
                                 + Ang. Gius. Card. Roncalli

E valgono anche come testamento spirituale da aggiungersi alle disposizioni testamentarie qui unite sotto la data del 30 aprile 1959 ».

IOANNES XXIII PP.

Da Roma, 11 dicembre 1959.

MIO TESTAMENTO
Castelgandolfo, 12 settembre 1961.

Sotto l’auspicio caro e confidente di Maria, mia Madre celeste, al cui nome è sacra la liturgia di questo giorno, e nell’anno LXXX della mia età, depongo qui e rinnovo il mio testamento, annullando ogni altra dichiaraizone circa le mie volontà fatta e scritta precedentemente, a più riprese.

Aspetto e accoglierò semplicemente e lietamente l’arrivo di sorella morte secondo le circostanze con cui piacerà al Signore di inviarmela.

Innanzi tutto chiedo venia al Padre delle misericordie pro innumerabilibus peccatis, offensionibus et negligentis meis, come tante e tante volte dissi e ripetei nell’offerta del mio Sacrificio quotidiano.

Per questa prima grazia del perdono di Gesù su tutte le mie colpe, e dell’introduzione dell’anima mia nel beato ed eterno Paradiso, mi raccomando alle preghiere suffraganti di quanti mi hanno seguito, conosciuto durante tutta la mia vita di sacerdote, di vescovo, e di umilissimo ed indegno Servo dei servi del Signore.

Poi mi è esultanza del cuore rinnovare integra e fervida la mia professione di fede cattolica, apostolica e romana. Tra le varie forme e simboli con cui la fede suol esprimersi preferisco il «Credo della Messa» sacerdote e ponticale dalla elevazione più vasta e caora, come in unione con la Chiesa universale di ogni rito, di ogni secolo, di ogni regione: dal «Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem» al «et vitam venturi saeculi».

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