giovedì 27 giugno 2013

Gay Pride

Perchè a Palermo il Family Day infastidisce i cattolici più del Gay Pride



(di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro) Il lettore immagini un giovane di belle speranze seduto al banco dell’esame scritto di giornalismo che si trovi tra le mani la seguente traccia: Il candidato scriva un articolo a commento di queste due notizie di agenzia:

Palermo, 14 giugno“Adnkronos”«Ciascuna parola in questa occasione è equivocabile. La parola “contro”, soprattutto, è dannosa. La “Giornata” della famiglia non deve essere contro qualcuno, non è e non deve essere una manifestazione di muscoli o di forza. La logica del Vangelo, infatti, non è quella della lotta, ma è quella del sussurrare la verità alla ricerca sempre della più profonda verità dell’uomo». A dirlo è il vescovo delegato Cesi (Conferenza episcopale siciliana) per la famiglia e i giovani, monsignor Calogero Peri, in vista del “Family Day” che si terrà sabato 22 giugno al Parco Ninni Cassarà, a Palermo. In contemporanea con il corteo conclusivo del Gay Pride nazionale, che invaderà le strade del capoluogo siciliano, più di trenta associazioni famigliari daranno vita alla Giornata della famiglia. «Vorrei che ci fosse la capacità ‒ aggiunge ‒ di smetterla di fare fronti contrapposti. Nella storia la soluzione dei problemi non è mai stata nella lotta, ma nell’ascoltare l’altro, nel dire la verità. Certo, non bisogna rinunciare alla propria prospettiva ma bisogna affermarla come dono, come ricchezza».

Palermo, 22 giugno “Adnkronos”«È partito pochi minuti fa dal Foro italico di Palermo il Gay pride nazionale. Ad aprire il corteo sono il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, Vladimir Luxuria, la top model Eva Riccobono, l’attrice palermitana Barbara Tabita, l’assessore comunale alla Cultura Francesco Giambrone. Migliaia i partecipanti alla manifestazione. Subito dopo le prime file ci sono decine di bandiere di Rifondazione comunista. Sono numerosi i carri che sfileranno lungo le strade di Palermo fino ad arrivare ai cantieri culturali della Sisa».

Come in qualsiasi esame, anche durante quello di giornalismo, il primo pensiero del candidato è più o meno il seguente: “Ma come fanno a inventarsi delle assurdità del genere?”. E il povero candidato ne ha tutte le ragioni. “Vladimir Luxuria” pensa il candidato prima di mettersi a scrivere “è da poco balzato/a alle cronache nazionali ed estere per essersi fatto/a comunicare niente meno che dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante i funerali di don Andrea Gallo. Come è possibile inventarsi la notizia che si a in prima fila al Gay Pride? Se ha fatto la comunione, vuol dire che si è convertito/a… Va bene inventarle grosse, ma a tutto c’è un limite”.

Ma questo è ancora niente, perché il povero candidato è ancora più turbato dalla notizia di agenzia con la dichiarazione sul “Family Day” del delegato dei vescovi siciliani per la famiglia. “Qui hanno proprio esagerato” dice tra sé il candidato sentendo il mormorare dell’intera aula che condivide tutta la sua perplessità, cattolici compresi. “Immaginare un vescovo che non abbia il coraggio di schierarsi apertamente contro una manifestazione dell’orgoglio omosessuale, con i tempi che corrono, ci può anche stare. Ma pensare che questo vescovo, delegato per la famiglia, spari addosso a una manifestazione in sostegno alla famiglia è davvero troppo. Cambio traccia”.

Purtroppo, come quasi tutti sanno, le due notizie “Adnkronos” non sono inventate, e se l’ipotetico candidato all’esame può decidere di cambiare traccia, il povero cattolico è costretto a fare i conti con la dura realtà. La quale mostra che i componenti dell’ipotetica commissione d’esame di giornalismo sono tutt’altro che perfidi immaginatori di trame alla Dan Brown. Si sono limitati alla semplice cronaca: contra facta non valet argumentum. Che, tradotto pedestramente ad uso dei chierici postconciliari significa: contro i fatti non valgono le argomentazioni.

Non valgono, per esempio, le argomentazioni di coloro che, non sapendo più che altro argomentare, hanno difeso l’improvvida e scandalosa comunione data dal cardinale Bagnasco a Vladimir Luxuria spiegando che bisognava evitare un gesto provocatorio. Ma non sarebbe proprio questo che deve fare il cristiano? Libero da ogni rispetto umano, non dovrebbe affermare senza alcun timore la verità? E non dovrebbe usare anche gesti di fermezza che, magari quelli sì, possono indurre un peccatore a ravvedersi?

Ma serve il coraggio, con tutte le considerazioni che a suo tempo fece Alessandro Manzoni. Tanto che risulta sempre più difficile trovare pastori capaci di andare contro l’onda montante dell’omosessualismo. Il timore di finire linciati sui giornali e in televisione è palpabile ed evidente. Gli insegnamenti semplici e inequivocabili della dottrina, quando vengono ricordati, sono sempre attenuati da una serie di ma, di però, di tuttavia che finiscono per snaturali. E dove la dottrina non sia ancora stata completamente snaturata, si raccomanda, coma fa monsignor Peri, di sussurrarla, di non contrapporla all’errore. Di più, bisogna ascoltare l’altro, anche quando sfila nel Gay Pride.

Il dialogo, già pernicioso come metodo, è divenuto contenuto. Per questo monsignor Peri non ha esitato a scagliarsi contro gli organizzatori del “Family Day”. Loro sì che, nella sua visione, sono fuori luogo, verrebbe da dire degli eretici se nella Chiesa di oggi ci fosse ancora il coraggio di usare questo concetto. Questi poveri reperti fossili di una fede che non è più di moda non vogliono professare la religione del dialogo che ormai ha conquistato tutti i livelli. Quando si insegna che l’importante è camminare insieme perché in tal modo, alla fine del viaggio sono cadute le differenze, non si può tollerare coloro che ancora si interrogano su dove finisce il viaggio e su come ci si arriva.

In questa prospettiva, bisogna chiedersi se la dichiarazione dei vescovi siciliani sul “Family Day” sia cosiddetto fuoco amico o se, invece, non sia fuoco mirato per abbattere gli avversari della religione del dialogo. Una questione di sostanza, dunque, e non di metodo, che conduce all’ipotesi ancora più drammatica di un cambiamento di orizzonte sulla questione omosessuale.

Non si spiegano altrimenti le uscite di membri della gerarchia cattolica che intendano in qualche modo dialogare con la cultura omosessualista. Con il risultato che, con sempre più forza e autorevolezza, ormai si comincia ad aprire alle unioni civili per gli omosessuali. Per esempio, lo hanno sostenuto, recentemente, monsignor Vincenzo Paglia e l’ex cerimoniere pontificio Piero Marini.

E qui, l’ipotetico candidato all’esame di giornalismo si chiede: ma non vorranno dire che l’atto omosessuale, da peccato che grida vendetta al cospetto di Dio è diventato un peccato a gradazione variabile a seconda di quanto dice la legge di uno stato laico? E non sarà che, una volta dato il via alle unioni civili, si arriverà anche al matrimonio? E non sarà pure che, come è accaduto per la legge sull’aborto, dopo averla combattuta, ora i vescovi la definiscono una legge che non va toccata, anzi va applicata integralmente e, come la costituzione della Repubblica italiana, è la più bella del mondo?

Ma si sa come sono in candidati all’esame di giornalismo. Si fanno un sacco di domande, anche sulle questioni di principio e sulla dottrina, invece di lasciar fare ai pastori. E forse fanno bene.

(Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro)

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