lunedì 19 settembre 2011

Il contenuto del 'preambolo dottrinale' presentato alla FSSPX




Lo scorso 14 settembre a mons. Fellay, convocato a Roma per cercare una piena riconciliazione, è stato presentato un 'Preambolo dottrinale' come base per l'accordo. Il testo non è stato però pubblicato, per almeno tre ragioni: per consentire ai responsabili della Fraternità S. Pio X un esame più sereno, senza il fiato sul collo di chi vedrebbe comunque trappole e cavalli di Troia anche nel numero delle virgole; per prepararne una meditata illustrazione al Capitolo generale della Fraternità; e infine... per consentire magari qualche limitata emenda, senza che lo si sappia, ove un passaggio o un aggettivo apparisse davvero poco appetibile alla FSSPX.

Acquisite le debite informazioni e pur volendo rispettare, per le stesse ragioni appena dette, il vincolo della riservatezza che protegge il contenuto del 'preambolo dottrinale', non vogliamo privare i nostri affezionati lettori di qualche elemento di giudizio supplementare.

Io posso dirvi che, personalmente, non avrei problemi a sottoscrivere quel preambolo. Ma io non sono Superiore della FSSPX; per fortuna, diranno molti... Tuttavia, rilevo plurime ragioni per cui quel testo è una sorpresa positiva (dico sorpresa poiché mons. Fellay, recandosi all'incontro, si aspettava una proposta esclusivamente giuridico-canonica, anziché un testo dottrinale). Oserei dire che la relativizzazione del Concilio, che questo preambolo consente, rappresenta una vera e propria vittoria per la Fraternità, un punto estremamente significativo, come (se non di più) la solenne affermazione del motu proprio secondo cui la liturgia antica non è mai stata abrogata. Ma vittoria per mons. Fellay non significa sconfitta di Roma: come avevo già scritto, un accordo - e così pure la demolizione del 'superdogma' conciliare - rappresenta una soluzione win-win, dove entrambe le parti hanno molto da guadagnare.

Il contenuto del preambolo, che in fin dei conti è un documento alquanto sintetico, si può compendiare essenzialmente in due punti. Iniziamo dal secondo perché è cosa semplice: per dirla in soldoni, la FSSPX deve modificare i toni ed esprimere quel che ha da dire in modo rispettoso e filiale, nonché collaborare lealmente con tutte le altre compagini del Corpo mistico. In linguaggio clerical-teologico, questo si definisce 'sentire cum ecclesia'.

Il primo punto del preambolo invece, il più importante, è la riproposizione del contenuto del canone 750 c.j.c., ossia della necessità per un cattolico di accettare l'insegnamento magisteriale secondo i gradi di adesione sanciti da quell'articolo e dalla lettera apostolica Ad tuendam fidem di Giovanni Paolo II. In sintesi, vi sono diversi livelli di vincolatività dell'insegnamento magisteriale: come chiariva una Nota esplicativa dell'allora card. Ratzinger, in funzione di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vi sono verità che la Chiesa proclama divinamente rivelate e sono pertanto irreformabili e da accogliere con 'fede teologale'. Chi non ci crede, non è cattolico. Tali sono i dogmi di fede, su cui peraltro la FSSPX non ha problema alcuno (mons. Fellay faceva l'esempio del dogma trinitario). Eguale assenso di ferma fede (ed eguale assenza di problemi per la FSSPX) concerne quelle dottrine sulla fede o la morale non fondate direttamente sulla Scrittura, ma insegnate dalla Chiesa infallibilmente, perché così proclamate o perché sempre ripetute dal Magistero. Esempi di quest'ultimo tipo (che si leggono proprio nella Nota esplicativa) sono l'impossibilità dell'ordinazione femminile, il divieto di eutanasia, la canonizzazione dei santi.

Richiedono invece un mero 'religioso assenso della mente e dell'intelletto' quegli insegnamenti del Magistero del Pontefice o del Collegio dei Vescovi che non appaiono definitivi (magari perché contraddicono precedenti insegnamenti: si pensi - l'esempio è nostro - al divieto di prestito ad interessi). La Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede si astiene prudentemente dal fare esempi di questo tipo, forse perché sarebbe come sminuire gli insegnamenti che venissero elencati  in questa categoria. Fatto è che gli insegnamenti più controversi del Concilio, come pure il Magistero successivo che quegli insegnamenti ha ripetuto, non potrebbero assurgere (ammesso - e, come si vedrà, non concesso - che ci arrivassero) ad un livello di vincolatività superiore a questo, visto che il Concilio ha dichiarato di non voler definire alcuna nuova 'verità' e che il fatto stesso di essere proposizioni se non in 'rottura', almeno in 'riforma' rispetto al Magistero anteriore, le priva giocoforza di ogni carattere di definitività.

In pratica si chiede alla Fraternità di sottoscrivere la professione di fede cui è tenuto ogni cattolico; la cosa sembra ben fattibile. Ma qualcuno potrebbe temere che quell'obbligo di 'religioso assenso della mente e dell'intelletto', se applicato a certi insegnamenti conciliari, possa tarpare, anche se non annullare (a certe condizioni, è possibile dissentire - ma non platealmente - dagli insegnamenti non definitivi), il diritto di critica al Concilio. E qui sta la magnifica novità.

Come riporta il  comunicato ufficiale della S. Sede, il Preambolo lascia "alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo". Si noti che oggetto di questa discussione, che è espressamente riconosciuta 'legittima', non sono soltanto le interpretazioni dei documenti, ma il testo stesso di questi ultimi: le 'espressioni o formulazioni' usate nei documenti conciliari. Siamo quindi ben al di là della mera ermeneutica: diventa lecito sindacare le parole stesse (e non solo il significato o l'interpretazione di quelle parole) che i Padri conciliari scelsero per comporre i documenti. Se le parole usate nel preambolo e quindi nel comunicato ufficiale hanno un senso, qui c'è una rivoluzione copernicana nell'approccio al Concilio: ossia lo spostamento da un mero piano esegetico ad uno sostanziale (questo è un punto che mi pare assente nella peraltro bella analisi di don Morselli pubblicata su questo blog). Nel discorso del 15 agosto mons. Fellay diceva che per Roma il Concilio è un tabù e che quindi essa si limita a criticarne l'involucro esterno, ossia l'interpretazione. Ora, invece, sarà lecito affrontare anche il nucleo. Il che implica inoltre che quei passaggi testuali controversi, in quanto liberamente discutibili, non richiedono nemmeno quel grado minorato di adesione che consiste nel 'religioso ossequio'.

In senso analogo si esprime anche l'abbé Barthe, esperto conoscitore di cose ecclesiali, in questo illuminante articolo che vi esorto a leggere, come pure il vaticanista de Le Figaro.

Ricorderete come nei mesi scorsi i ponderosi saggi di un Gherardini o di un de Mattei abbiano ricevuto affrettate stroncature (anziché approfondite e meditate critiche), sulla base dell'aprioristica accusa di porsi contro il Papa, che del Concilio ha criticato solo l'ermeneutica della rottura e non i testi in sé, che qualcuno (penso a P. Cavalcoli, o a Introvigne) vorrebbe 'dogmatizzare' al punto da considerare definitivi. Ebbene, come spesso succede quando si è più papisti del Papa: Gherardini-de Mattei 1 - Squadra dei neocon 0.

E un bel successo per mons. Fellay, per la Chiesa e per il Papa Benedetto, che a due cose tiene moltissimo: al risanamento di una dolorosa rottura ecclesiale e ad un ridimensionamento del totem Concilio, del quale già in tempi non sospetti ebbe a dire (Allocuzione ai vescovi del Cile del 13 luglio 1988):


La verità è che questo particolare concilio non ha affatto definito alcun dogma e deliberatamente ha scelto rimanere su un livello modesto, come concilio soltanto pastorale; ma molti lo trattano come se si fosse trasformato in una specie di superdogma che toglie l'importanza di tutto il resto. [..] Non si sopporta che si critichino le decisioni che sono state prese dal Concilio; d'altra parte, se certuni mettono in dubbio le regole antiche, o persino le verità principali della fede - per esempio, la verginità corporale di Maria, la Resurrezione corporea di Gesù, l'immortalità dell'anima, ecc. - nessuno protesta, o soltanto lo fa con la più grande moderazione.


Enrico
 
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