Redatta una guida per battezzare i “figli” delle coppie gay
Secondo mons. Rodríguez Milán i nuovi interrogativi posti alla comunità ecclesiale richiederebbero di essere affrontati con «carità e prudenza», nonché con «tatto pastorale», riservando ai piccoli un’accoglienza pari «per attenzione, premura e cure» a quella riservata «agli altri bambini» e secondo una «prassi» comune in tutta la Diocesi, prassi che non pretenderebbe di «giudicare le coscienze» dei richiedenti, benché la loro «condotta morale si ponga oggettivamente in contraddizione con gli insegnamenti del Magistero della Chiesa». Al di là degli equilibrismi lessicali, qui non si tratta di far processi alle intenzioni ad alcuno, bensì di valutare con discernimento se sussistano i requisiti per la celebrazione del Sacramento, il che non è solo legittimo, ma addirittura doveroso. E’ a questo punto importante ricordare come per il Catechismo della Chiesa Cattolica il sacrilegio consista «nel profanare o nel trattare indegnamente i Sacramenti e le altre azioni liturgiche, come pure le persone, gli oggetti e i luoghi consacrati a Dio» (n. 2120). Caratteristiche, che qui sembrano configurarsi.
Il rito cattolico prevede d’interrogare i i genitori, per sapere cosa chiedano alla «Chiesa di Dio» per il “loro” «bambino»: domanda assolutamente incompatibile con una “coppia” gay. Si chiede infatti ai due se siano consapevoli delle responsabilità connesse alla richiesta del Battesimo ovvero impegnarsi «a educare vostro figlio nella fede, perché, nell’osservanza dei Comandamenti, impari ad amare Dio e il prossimo come Cristo ci ha insegnato». Ma è la loro condotta quotidiana di vita a disattendere tutto questo, configurandosi come tradimento esplicito dei Comandamenti, della Sacra Bibbia e della Dottrina cattolica.
Non si tratta allora “soltanto” di capire quale dei due genitori debba accendere il cero pasquale in occasione della cerimonia o come scegliere il padrino e la madrina, benché anche questi siano altri punti “cruciali”. La guida sarebbe stata scritta, per normare il tutto «finché in merito, a livello di Chiesa universale o di Conferenza episcopale, non venga promulgata una norma di carattere generale». A nessuno è venuto il dubbio che tale norma manchi per un motivo preciso? Sarebbe buona cosa nelle Diocesi evitare norme troppo “creative”…
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