giovedì 8 settembre 2011

9 SETTEMBRE
B. FEDERICO OZANAM
(1813-1853)


SECONDA LETTURA Dalle «Lettere» del b. Federico Ozanam. (Lettera a Louis Janmot )
I poveri li abbiamo davanti
I Santi erano pazzi d'amore. Il loro amore smisurato abbracciava Dio, l'umanità, la natura e, considerando che Dio si era fatto povero per vivere sulla terra, che una gran parte dell'umanità è povera, e che la natura stessa, pur nella sua magnificenza, è povera, in quanto soggetta alla morte, anch'essi hanno voluto essere poveri: è proprio dell'amore rendersi simile, per quanto è possibile, alle cose amate.
E noi, amico carissimo, non faremo nulla per assomigliarci a questi Santi che amiamo, e ci accontenteremo di lamentarci della freddezza del tempo presente, mentre ciascuno di noi porta in cuore un germe di santità che, al solo volerlo, potrebbe sbocciare? Se non sappiamo amare Dio come i Santi lo amavano, ciò deve essere per noi motivo di rimprovero, anche se la nostra debolezza potrebbe vedervi un motivo di scusa, dato che sembra che per amare occorre vedere, e noi vediamo Dio solo con gli occhi della fede, e la nostra fede è cosi debole! Ma gli uomini, i poveri, li vediamo con lo sguardo umano, li abbiamo davanti, possiamo toccare con mano le toro piaghe e scorgere le ferite della corona di spine sulla loro fronte. Allora non possiamo non credere, dobbiamo gettarci ai loro piedi e, con l'apostolo, dire loro: Mio Signore e mio Dio! Voi siete i nostri padroni e noi i vostri servi, voi siete l'immagine sacra di questo Dio che non vediamo, e, non potendolo amare in altro modo, lo ameremo nella vostra persona. Se nel medio evo la società malata non potè essere guarita che per una grande effusione d'amore da parte soprattutto di San Francesco d'Assisi, e se più tardi nuovi dolori richiesero l'intervento della mano soccorrevole di San Filippo Neri, di San Giovanni di Dio e di san Vincenzo de Paoli, quale bisogno non c'è oggi di carità, di donazione, di pazienza per sanare le sofferenze di questa povera gente, più povera che mai, per avere rifiutato il nutrimento dell'anima proprio quando le veniva a mancare il cibo materiale?
Il problema che divide gli uomini d'oggi non è un problema di ordine politico, è un problema sociale. Si tratta di sapere chi risulterà vincitore: se lo spirito di egoismo o lo spirito di sacrificio; se la società sarà una società di sfruttamento sempre maggiore a profitto del più forte, o una consacrazione di ognuno al bene di tutti e soprattutto per la difesa del più debole. Molti hanno troppo e vogliono avere ancora di più; altri non hanno abbastanza, o non hanno nulla, e vogliono prendere con la forza ciò che non viene dato loro. Si prepara una guerra tra queste due categorie; e minaccia di essere terribile: da una parte la potenza della ricchezza, dall'altra la forza della disperazione. Noi dovremmo interporci tra queste due parti, se non per impedire, almeno per attutire lo scontro. E la nostra gioventù, la nostra condizione modesta può renderci più tacile il compito di mediatori, che la nostra condizione di cristiani ci fa sentire obbligatorio. Ecco l'utilità possibile della nostra Conferenza di San Vincenzo de Paoli.
Tu hai già fatto un'opera eccellente fondando una Conferenza a Roma, dove, guidato dal tuo intuito meraviglioso, hai visitato i poveri malati francesi negli ospedali di quella città. Dio ti darà la benedizione che ha già dato alla creazione iniziale: Crescete e moltiplicatevi. Ma non basta crescere; a misura che la Conferenza si estende, bisogna rafforzare la comunione di ogni parte con il centro.

RESPONSORIO
Noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi.
* Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui.
Amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio.
Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui.

Oppure: Dalle «Conferenze spirituali» di san Vincenzo de Paoli, sac. (Da Conferenze ai Preti della Missione)
Dio ci è raffigurato nei poveri.
Non devo considerare un povero contadino o una povera donna dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità; molto spesso non hanno quasi la fisionomia né l'intelligenza delle persone ragionevoli, talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia, e alla luce della fede vedrete che il Figlio di Dio, il quale ha voluto essere povero, ci è raffigurato in questi poveri. Egli non aveva quasi le sembianze di uomo nella sua passione, e passava per pazzo nella mente dei gentili, e per pietra di scandalo in quella dei giudei; eppure egli si qualifica l'evangelizzatore dei poveri: Evangelizare pauperibus misit me (Lc 4, 18). O Dio! quanto è bello vedere i poveri, se li consideriamo in Dio, e con la stima che egli ne aveva! Ma se li guardiamo secondo i sentimenti della carne e dello spirito del mondo, ci sembreranno disprezzabili.
Il Figlio di Dio, non potendo avere sentimenti di compassione nello stato di gloria che possiede da tutta l'eternità in cielo, volle farsi uomo e divenire nostro pontefice per compatire le nostre miserie. Per regnare con lui in cielo, dobbiamo compatire come lui le sue membra che sono sulla terra. La nostra vocazione ci spinge a servire i più miserabili, i più abbandonati e i più oppressi dalle miserie materiali e spirituali. Prima di tutto dobbiamo sentirci commossi al vivo e afflitti in cuor nostro per le miserie del prossimo. In secondo luogo questa pena e compassione deve apparire esternamente sul nostro volto, ad esempio di Nostro Signore che pianse sulla città di Gerusalemme, minacciata da tante calamità. In terzo luogo bisogna usare parole compassionevoli, che dimostrino al prossimo come sentiamo come propri i suoi interessi e le sue pene. Infine bisogna soccorrerlo e assisterlo, quanto è possibile, nelle sue necessità e miserie e cercare di liberamelo in tutto o in parte, perché la mano deve essere, per quanto è possibile, conforme al cuore.
Dio ama i poveri e per conseguenza ama coloro che amano i poveri; perché quando si ama molto una persona, si sente affetto anche per i suoi amici e i suoi servi. Dobbiamo dedicarci con amore al servizio dei poveri, che sono i prediletti di Dio; e perciò abbiamo motivo di sperare che per amore loro Dio ci amerà. Coraggio dunque, fratelli, e dedichiamoci con rinnovato amore al servizio dei poveri, cerchiamo anzi i più miserabili e i più abbandonati, riconosciamo dinanzi a Dio che sono loro i nostri signori e padroni, e che non siamo degni di prestare loro i nostri umili servizi.

RESPONSORIO 1 Gv 4. 19.21; Rm 5, 5
Noi ci amiamo, perché Dio ci ha amati per primo. Questo è il comandamento che abbiamo da lui:
* chi ama Dio, ami anche il suo fratello.
L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo,
che ci è stato dato:
chi ama Dio, ami anche il suo fratello.

ORAZIONE O Dio, che hai ispirato il beato Federico Ozanam, infiammandolo del tuo spirito di carità nel promuovere associazioni di laici per l'assistenza ai poveri, concedi a noi, a suo esempio, di attuare il tuo comandamento di amore, per essere lievito nel mondo in cui viviamo. Per il nostro Signore Gesù Cristo.


TESTAMENTO DEL B. FEDERICO OZANAM

Il Prof. Ozanam, nato a Milano, (battezzato in s. Carlo al Corso), da genitori lionesi il 23 - 4 - 1811, morto 8 - 9 - 1853 a Marsiglia, studioso e storico di valore è noto fra noi soprattutto come fondatore delle benefiche Conferenze di S. Vincenzo. Al quarantesimo suo compleanno vergò questo suo testamento, pubblicato nel II Tomo delle sue Lettres. Lo riprendiamo così come lo riporta il suo biografo italiano. (CESARE ORSENIGO: Federico Ozanam. 2" ed. Milano, S. Lega Eucaristica, 1923, pp. 156-157).

Dopo aver dichiaralo la piena lucidità del suo spirito e la completa spontaneità di quelle sue disposizioni, scrive: « Affido l'anima mia a Gesù Cristo mio Salvatore; atterrito dai miei peccati, ma fidente nella misericordia infinita di Dio, muoio nel grembo della Chiesa cattolica, apostolica, romana. Ho conosciuto i dubbi del secolo presente, ma tutta la mia vita mi ha convinto, che non vi è riposo per lo spirito e per il cuore che nella fede della Chiesa e sotto la sua autorità. Se attribuisco qualche pregio ai miei lunghi studi, è perché essi mi danno il diritto di supplicare tutti quelli che amo, perché restino fedeli ad una religione, in cui io ho trovata la luce e la pace. La mia preghiera estrema alla mia famiglia, a mia moglie, alla mia bambina, ai miei fratelli e cognati, a tutti quelli che nasceranno da loro è di perseverare nella fede malgrado le umiliazioni, gli scandali, le diserzioni di cui saranno testimoni. Alla mia tenera Amalia, che ha fatto la gioia e il fascino della mia vita e le cui cure soavi hanno consolato per più di un anno tutti i miei mali, rivolgo un addio breve come tutte le cose della terra. La ringrazio, la benedico e l'aspetto. Solo in cielo io potrò renderle l'amore ch'ella si merita. Dò alla mia figlia la benedizione dei patriarchi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».

E dopo saluti affettuosi ai parenti più strelti e agli amici nominatamente, così conchiude:
« Chiedo perdono della mia vivacità e dei miei cattivi esempi. Invoco le preghiere di tutti i miei, della Società di San Vincenzo de' Paoli, de' miei amici di Lione. Non lasciatevi trattenere da quelli che vi diranno: Egli è in cielo. Pregate sempre per colui che vi ama molto, ma che ha anche molto peccato. Aiutato dalle vostre preghiere, miei cari e buoni amici, lascerò la terra con meno paura. Spero fermamente che noi non ci separeremo, e che io resterò con voi, finché voi verrete a me. Sia su tutti voi la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen».


Essere coppia! del b. Federico Ozanam“ Vi è una felicità che non si trova nella fortuna e neanche nei clamori del mondo; una felicità raccolta , soave e profonda che deriva dal riavvicinamento delle anime e che le tempeste esterne non riuscirebbero a turbare …
Il mio mi rimane veramente importuno e odioso, questa egoistica solitudine non si addice ai bisogni del mio carattere ; mi occorre la compagnia morale della famiglia , il sentimento del noi.
D’ora in poi diremo noi: non vi sarà più isolamento; e questo non sarà più la semplice presenza del ricordo dell’uno nei pensieri dell’altro, sarà la fusione completa di due destini.
La mano che venne così dolcemente a posarsi sul mio cuore per sostenerlo nel momento pericoloso dei miei esordi si stringerà ancora al mio braccio nei passaggi difficili, nei passi scivolosi della vita e là, dove i passi di uno solo sarebbero infermi, due si sosterranno.”
“ Essere insieme vuol dire lasciare traboccare naturalmente quello che si agita nel cuore ed effonderlo nel cuore altrui; vuol dire confondere i flutti di due vite e sentirli scorrere più limpidi e più dolci entro rive meno strette; vuol dire arrivare a quell’unione di anime, che è l’opera meravigliosa dell’amore, avvicinarsi ogni giorno di più con l’imitazione scambievole di quello che ognuno ha di buono, stringersi attraverso la reciproca devozione di due volontà che non ne formano che una, perdersi e ritrovarsi l’uno nell’altra e fare così bene che Dio solo possa distinguerli e riconoscerli, senza mai separarli!.”
(Lettera alla futura moglie del Beato Federico Ozanam)

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