“FUORI MODA”
Carissimo Alessandro Gnocchi,
vorrei porle una domanda molto semplice che, temo, richieda di una risposta complessa. La domanda è questa: perché oggi i cattolici non hanno più nulla di cattolico da dire su quanto accade nel mondo? Prendo spunto dall’ultimo naufragio del barcone carico di quelli che si continua a chiamare “migranti” ma in realtà non si sa bene che cosa siano, avvenuto nei giorni scorsi nel canale di Sicilia. Ecco, prendo spunto da questa tragedia e penso alle banalità uscite dalla bocca di tanti, troppi cattolici che non fanno che ripetere quanto dicono gli altri. Ma potrei prendere spunto da infiniti altri esempi. Mi dica lei dove sta la ragione di tutto questo, di questa rinuncia a dire qualcosa di vero su quanto accade nel mondo.
Grazie per l’attenzione.
Marcello Lorenzetti
la domanda che pone è semplice nella formulazione, ma niente affatto nella sostanza. E la risposta, più che complessa, è remota, affonda le radici nella crisi che la Chiesa sta patendo manifestamente dai tempi del Concilio Vaticano II e nascostamente da molto prima. Per darci un limite possiamo fermarci alla diffusione cancrenosa del modernismo, ma senza esaurire certo l’argomento. La radicale novità della primavera conciliare sta nell’aver formato una gerarchia che, in tutto o in parte, ha assecondato la crisi invece che combatterla, a differenza di quanto avveniva prima, quando la gerarchia, in tutto o in parte, combatteva la crisi invece che assecondarla.
A proposito del fatto che lei porta ad esempio, salto a piedi pari le dichiarazioni, gli articoli, le interviste, i commenti che i cattolici hanno copiato dal mondo per imbrattare i loro giornali, per saturare le onde a modulazione di frequenza, per addobbare antenne e parabole e ingolfare il web. Cito solo lo straniante concetto di “ricerca della felicità” applicato da papa Francesco ai poveretti morti nel naufragio. Concetto straniante, caro Lorenzetti, perché tremendamente, terribilmente, impietosamente umano. Concetto estraneo a una visione cristiana della vita e della morte, ma così caro al mondo.
Se ci si guarda attorno nella Chiesa del terzo millennio, dire che il sale della terra sia ormai tutto tramutato in zucchero sarebbe forse sbagliato. Ma, se si dice “quasi tutto”, non si è lontani dal vero. Sarebbe fuorviante nascondersi che la radicale diversità del cattolicesimo, per sua natura antagonista al mondo, ormai è stata dilapidata da una gioiosa macchina di pace votata a un dolciastro laicizzare, a un mellifluo omologare. L’asprezza del dogma non piace più, la spigolosità della verità spaventa proprio chi dovrebbe amare la fatica della via stretta.
È questa, caro Lorenzetti, la causa remota del fenomeno che tanto giustamente la inquieta. Ma non è colpa del mondo, che troppo spesso i cattolici rincorrono scriteriatamente, salvo poi imputargli la mondanizzazione del cattolicesimo.
Nell’inedito tentativo di conquistare il consenso della modernità, invece che convertirla, il cattolicesimo di questi decenni ha annunciato l’avvento di un villaggio globale praticamente privo di dogmi: una sorta di “serenopoli” da spot pubblicitario su cui è stata appiccicata l’etichetta di “pastorale” e dove nulla più è urticante al punto da richiedere un “sì” o un “no”. Ma il mondo moderno aveva già una “serenopoli” siffatta e si è ben guardato dal comprare l’imitazione cattolica. Così, gli unici a invaghirsi della “serenopoli” cattolica a dogma variabile sono stati i cattolici stessi. Solo loro, gli abitanti della cittadella del rigore dogmatico, potevano percepire, tra il proprio universo e quello libero da vincoli proposto dal nuovo corso, una differenza tale da provarne un desiderio incontrollabile.
Ma senza dogma non c’è rigore, senza rigore non c’è obbedienza, senza obbedienza non c’è unità e senza unità non c’è forza. Così oggi, quando va bene, la Chiesa balbetta là dove dovrebbe urlare la sua verità in faccia al mondo. Per farlo, però, non basta l’impeto fugace di reazioni anche meritorie. Bisogna andare alla radice del problema, a quella deriva luterana che ha conquistato vasti settori della Chiesa. Pur con tutte le dichiarazioni congiunte possibili, non si può essere cattolici e anche filo luterani, cattolici e anche anticattolici, romani e anche antiromani: lo chiede la ragione prima che la fede.
Invece, caro Lorenzetti, è evidente che Lutero, il monaco agostiniano che non comprese Agostino, eserciti un fascino prepotente nella cittadella del dogma, minata a suo tempo da tomisti che non compresero Tommaso. Quel geniaccio tedesco è riuscito là dove schiere di eretici avevano fallito. Il motivo lo ha spiegato nel XIX secolo dom Prosper Guéranger, abate benedettino di Solesmes in uno scritto che si intitola L’eresia antiliturgica e la riforma protestante: “Lutero (…) non disse nulla che i suoi precursori non avessero detto prima di lui, ma pretese di liberare l’uomo, nello stesso tempo, dalla schiavitù del pensiero rispetto al potere docente, e dalla schiavitù del corpo rispetto al potere liturgico”.
Proclamando la liberazione della ragione e del corpo, Lutero ha conquistato l’individuo illudendolo di poter essere maestro, sovrano e sacerdote a se stesso. Ma, di fatto, lo ha condannato alla dissoluzione. Che il cattolicesimo oggi sia su questa china lo si scopre osservando che i risultati della riforma luterana, lucidamente enunciati nella sua opera da Guéranger nell’Ottocento, sono gli stessi che flagellano la Chiesa cattolica dagli Anni Sessanta del Novecento: “Odio della Tradizione nelle formule del culto”, “Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della Sacra Scrittura”, “Introduzione di formule erronee”, “Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono i misteri”, “Uso del volgare nel servizio divino”, “Odio verso Roma e le sue leggi”, “Distruzione del sacerdozio, “Il principe capo della religione”.
E ora, caro Lorenzetti, siamo qui davanti alle macerie di una Chiesa che piange con le lacrime del mondo le vittime di una tragedia causata dalle logiche del mondo. Una Chiesa che non ha il coraggio di dichiarare che una tragedia ben più grande che quella di perdere la vita, è quella di perdere la fede.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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