MATTARELLA AL COLLE: IL DISASTRO DI UN ALTRO CATTO-DEMOCRATICO SUBALTERNO AL LAICISMO POST-ILLUMINISTA
di Robi Ronza Ciò
che da sempre - nei fatti, non nelle opinioni – caratterizza il cosiddetto
“cattolicesimo democratico” è una lodevole preoccupazione morale accompagnata
tuttavia da una sconfortante incapacità di vivere il cristianesimo per ciò che
è innanzitutto: ovvero una visione del mondo e quindi una cultura da cui deriva
anche una morale. Adesso che, con l’elezione a presidente della Repubblica di
Sergio Mattarella, il vertice delle istituzioni politiche del nostro Paese è
tutto quanto “cattolico democratico”, non si vede dunque che cosa debba
festeggiare chi abbia a cuore una presenza non subalterna dei cristiani nella
vita pubblica del nostro Paese.
A causa
della sua strutturale subalternità alla cultura laica post-illuminista, il
“cattolicesimo democratico” ha finito per essere il cireneo del vecchio
PCI e di tutto ciò che vi ha fatto seguito fino ad oggi quando, svanita la
classe operaia e uscito di scena il marxismo, si è trasformato in un partito
liberal-radicale di massa. Non si discute che nelle fila del “cattolicesimo
democratico” ci siano tante persone di ferma fede e di retti costumi (fermo
restando che ce ne sono anche altrove). Questo però non toglie che, quando sono
in gioco obiettivi e valori che non rientrano nell’orizzonte ordinario del
progressismo laico (e parecchi dei valori civili che l’esperienza cristiana
ispira non vi rientrano), allora il “cattolico democratico” tende per natura sua
a barattare qualsiasi primogenitura con qualsiasi piatto di lenticchie.
Essendo il
giornale in cui devono potersi riconoscere tutti i cattolici, Avvenire avrebbe oggi ottimi motivi per
mantenere una costante distanza critica dalle cronache della vita politica
italiana. Perciò legano un po’ i denti i toni della sua prima pagina di ieri:
«Una scelta giusta, un uomo giusto»; «Il buon giorno si vede dal mattino. E il
giorno che è iniziato con l’elezione a presidente della Repubblica di Sergio
Mattarella si annuncia davvero buono». Con parole come queste, espressione
quasi di un tifo da stadio, apriva infatti ieri il suo editoriale il direttore
del giornale.
In fondo
ancor più sorprendente però è l’entusiasmo di Mario Adinolfi, direttore del
nuovo quotidiano La Croce, un’iniziativa
peraltro molto originale e meritevole della più grande attenzione. Dando
perentoriamente del cretino a chi nel “mondo cattolico” non fa salti di gioia
per l’elezione di Mattarella, Adinolfi scrive: «A qualcuno Mattarella non piace
perché oltre ad essere cristiano è democristiano o perché ha militato nell’ala
sinistra di quel partito o perché è “dossettiano”. Cretinate ideologiche, appunto.
Mattarella è un presidente cristiano e per noi combattenti, consci che il 2015
sarà l’anno decisivo della battaglia per la difesa della cultura della vita e
della famiglia dalle iniziative parlamentari già in corso che puntano a varare
le norme sulle unioni gay e sulla legittimazione dell’utero in affitto tramite
la "stepchild adoption", è decisivo avere un cristiano non all’acqua
di rose al Quirinale». Temiamo che il direttore de La Croce avrà
molte delusioni da Mattarella, un uomo della pasta dei tre illustri cattolici
che devotamente siglarono l’entrata in vigore della legge che legalizzava
l’aborto per “senso delle istituzioni”; senza neanche, come fu il caso di
Baldovino del Belgio, fare il gesto per non firmarla di dimettersi almeno per
un giorno.
Ciò detto,
si sarebbe potuto sperare di meglio? Molto probabilmente no, tenuto conto
dell’attuale irrilevanza della presenza cristiana nella vita politica del
nostro Paese. Ci si può domandare come mai siamo caduti tanto in basso e che
cosa possiamo fare per risollevarci per il bene comune dell’Italia. Nel
frattempo però non è il caso di scaldarsi per il trionfo del “cattolicesimo
democratico” che, come la storia dimostra, è un disastroso equivoco. Se
«Mattarella è la migliore soluzione nelle condizioni date» ciò conferma in
quale difficile situazione siamo.
D’istinto
personaggi come il prete indegno de Il potere e la gloria di Graham Greene, che nel Messico
insanguinato dalla persecuzione contro i cristiani continua però a celebrare la
messa e a confessare finché viene scoperto e passato per le armi, ci emozionano
di più dei sacrosanti “cattolici democratici” (le virgolette sono di
rigore altrimenti sarebbe come dare a tutti gli altri, noi compresi, la patente
di cattolici non democratici) sempre pronti a tutto pur di passare per moderni
e illuminati. È poi pur vero, diciamolo ancora una volta, che occorre giocare
con le carte che ci sono, ma quelle che abbiamo adesso non sono migliori
bensì peggiori delle precedenti. «Bisogna vincere un combattimento difficile
contro forze che ci sovrastano per numero e furbizia. Sarà bene affilare le
armi dell’intelligenza, perché continuando a bearsi di cretinerie ideologiche
prive di concretezza, ci si espone a certa e devastante sconfitta», dice ancora
Adinolfi sempre più convinto che chi non la pensa come lui sia un imbecille.
Auguri.
Molto più
comprensibile è invece l’entusiasmo del fondatore de la
Repubblica, Eugenio Scalfari, che sul giornale da lui fondato
salutava ieri Mattarella come il possibile catalizzatore della trasformazione
del Pd in un “Partito d’Azione di massa”. Il Partito d’Azione, diciamo a chi
non se ne ricordasse, era la formazione politica neo-giacobina, sorta in Italia
negli anni della Resistenza e poi rapidamente svanita nel dopoguerra, secondo la
quale il progresso passava per l’annichilimento o comunque per la totale
espulsione della presenza cristiana dalla vita pubblica del nostro Paese.
Dopo aver
perentoriamente affermato che «la vera cultura (…) è quella del socialismo
liberale che stato il lascito culturale e politico del’ Partito d’Azione»
Scalfari aggiunge: «Se avessi la bacchetta magica farei sì che il Pd fosse un
Partito d’Azione di massa», il che a suo dire «negli ultimi anni della sua vita
breve fu anche l’idea di Enrico Berlinguer». Oggi «è stato eletto al Colle un
antico democristiano di sinistra», osserva ancora Scalfari fregandosi
idealmente le mani, e aggiunge: «Ebbene, è con Aldo Moro che si accordò
Berlinguer. Pensateci bene e pensateci tutti». Pensiamoci anche noi.
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