martedì 19 aprile 2011

VIA CRUCIS DI UN PRETE

XI STAZIONE

GESU’ MUORE IN CROCE


Sarò morto tante volte
prima dell’ ultima sera
quando tu cenerai con me
mane nobiscum Domine!

Guardo Gesù morente sulla Croce e so che questo sguardo è tutta la mia fede, riassume tutta la mia vita. Lo guardo e sono guardato. L'intera mia esistenza è trascorsa, veloce come la spola, ai piedi del Crocifisso e lo sguardo colmo di fiducia dell'infanzia si accompagna e si confonde con lo sguardo interrogativo che mi ha graffiato l'anima ad ogni morte, ad ogni tragedia nel ministero pastorale. Ora è uno sguardo velato che chiede di ben morire perché come la mia vita così la mia morte sia un dono, un atto d'amore ...

"Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d'amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l'ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all'estremo momento della vita si ha il coraggio di fare" (Paolo VI).

"Perdona loro perché non sanno...". Sento, senza difficoltà, il bisogno di perdonare tanti che mi hanno perseguitato, fatto soffrire. Non sapevano, non si rendevano conto del male che mi arrecavano, non potevano conoscere l'eco tremenda, amplificata per anni, di parole e gesti che si generava nel mio cuore di prete. D'altra parte devo essere più grato a loro di quanto non sia chiamato ad esserlo nei confronti di coloro che mi hanno amato e mi hanno dato il bicchiere d'acqua fresca della loro amicizia perché ora mi accorgo che, grazie al loro pungolo, non mi sono adagiato ed ho assommato meriti.

Sento altresì di dover chiedere il perdono a tanti fratelli vivi e defunti cui ho arrecato danno con il mio carattere, con la voglia di fare il bene senza carità, senza pazienza, con eccessivo zelo: prima che si rompa il cordone d'argento e la lucerna d'oro s'infranga e si rompa l'anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo, prima che sia troppo tardi, perdonatemi tutto, perdonatemi tutti!

Anche i preti muoiono, anche i preti sanno morire. Sento un'infinita riconoscenza per il pensiero della morte che mi ha accompagnato fin dall'infanzia con la partenza dei nonni, con l'ultimo saluto reso a mio padre, appena dodicenne, scoprendo che i cadaveri sono freddi e rigidi come statue, con un bacio sulla fronte che mi congelò le labbra ...

Riconoscenza per la morte amica negli anni di ministero perché non mi facessi illusioni sulle promesse mai mantenute della tentazione, né su quelle, pur bagnate di lacrime abbondanti, di mogli, figli, parenti, amici ...

"Nelle tue mani, Padre, affido il mio spirito" ho recitato per cinquant'anni a compieta e stasera ripeto per l'ultima volta e sento che non sarò confuso, non resterò deluso.

"Ed eccomi al Tuo servizio, eccomi al Tuo amore. Eccomi in uno stato di sublimazione, che non mi consente più di ricadere nella mia psicologia istintiva di pover'uomo, se non per ricordarmi la realtà del mio essere, e per reagire nella più sconfinata fiducia con la risposta, che da me è dovuta: amen; fiat; Tu scis quia amo Te, così sia, così sia. Tu lo sai che ti voglio bene" (Paolo VI).

Portami via per mano ad occhi chiusi
senza un addio che mi trattenga ancora
tra quanti amai, tra le piccole cose
che mi fecero vivo.

Non credevo, Signore, tanto profondo fosse
questo sfiorarsi d'ombre, questo lieve
alitarsi la vita nello specchio
fragile di uno sguardo,
né pensavo che il mondo
divenisse, abbuiando, così acceso
di impensate bellezze.

Questi versi di Renzo Barsacchi (1924-1996) vorrei che mi accompagnassero nell'ultimo congedo. Vi emerge la dolce tentazione dell'indugio che proviene dall'aver amato con profondità persone, cose, luoghi. Allora anche questa valle di lacrime mi parrà un giardino e tutto e tutti avranno quel rigurgito di vita e di luce che prende ogni essere vivente nell'ora vespertina.

"Ma in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell'uomo!" (Paolo VI).

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