venerdì 31 gennaio 2014

SCRITTURA E TRADIZIONE


"VUOI LA TRADIZIONE? FALLA!"



Editoriale di "Radicati nella fede"


STABILITAS LOCI
[Editoriale di "Radicati nella fede" - febbraio 2014]

  Se c'è un rischio grande, oggi, è quello di credere di vivere le cose perché le si pensa o perché le si vede. Sì, oggi è questa la grande illusione, l'illusione del “virtuale”. Non vogliamo parlare solo di internet, anche di questo, ma non solo di questo.

  C'è nel mondo tradizionale chi, navigando sul web, fa il pieno di informazioni sulla vita della Tradizione, partecipa a tutti i più infuocati dibattiti o intervenendo o lasciandosi agitare, e pensa così di vivere la Chiesa secondo la tradizione. C'è poi un altro genere di “virtuali”, fatto da quelli che, amando viaggiare, vanno in cerca dei luoghi più significativi, dove poter vivere qualche intensa esperienza, che faccia loro gustare un pezzetto della Chiesa di sempre: un giorno sono in un convento, l'altro in un priorato, l'altro ancora in una chiesa dove si canta bene la messa. Nell'approssimarsi di una festa dicono: “Dove andiamo a viverla questa volta, dove sarà meglio?”.

  Entrambe queste posizioni sono ingannevoli e a lungo andare non costruiscono niente, lasciano a mani vuote, non cambiano la vita. Sono entrambe ingannate dal “virtuale” che non diventa mai “carne e sangue”. È un vagabondare pericoloso, che non ti cambia, che sposta fuori di te il problema.

  Potremmo applicare a questo genere di persone il giudizio severo che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, esprimeva sui monaci vaganti:

  “C'è infine una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la vita  passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri... 
 ...sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie ...
 Lasciamoli quindi da parte ...”

  Perché questa sferzante severità da parte del Patriarca del monachesimo? Perché questi monaci, così vagando, non si pongono sotto l'obbedienza di nessuno e sfuggono al primo compito del cristiano, la propria conversione.

  I monaci benedettini fanno due voti: quello di stabilità (nel monastero) e quello della conversione dei costumi, conversione della vita. Ma è evidente che i due voti sono collegati strettamente: come fa il monaco a convertire la sua vita, se stabilmente non si mette sotto un'obbedienza santa, se non segue chi può guidarlo al cambiamento della sua vita? E come fa ad obbedire se non è stabile, se il riferimento della sua vita non è stabile?

  Questo è vero anche per ciascuno di noi, non solo per il monaco. È vero per ogni cristiano. Tanto più per il cristiano che giustamente vuole seguire il Cristianesimo “non modificato”, cioè la Tradizione.

  Per questo, e lo abbiamo già detto, dobbiamo riconoscere un luogo di messa tradizionale, dove accanto alla celebrazione della messa ci sia anche la sana dottrina, e farlo diventare il luogo della nostra stabilità. Solo così sarà edificata la nostra vita, sotto un'obbedienza reale che ci converte.

  Anche nel caso che questo luogo sia molto distante, e quindi impossibile recarvisi tutte le settimane, sarà sempre possibile un riferimento spirituale intenso che ci permetterà un reale seguire. Uno non potrà forse andarci tutte le settimane, ma programmerà il suo esserci nei momenti più intensi dell'anno. Molte volte la difficoltà della distanza invece di essere un inciampo, se aumenta il desiderio, è una grazia: tu che sei distante puoi capire meglio quanta grazia ci sia in quel luogo, che tu non puoi sempre raggiungere.

  Ad altri, più fortunati per vicinanza, sarà invece sempre possibile una fedeltà scrupolosa, alle messe e agli incontri dottrinali, fedeltà che, sola, nel tempo produce grandi frutti.

  La vita cristiana consiste nel seguire Cristo, ma questo seguire passa attraverso quel prolungamento dell'Incarnazione di Nostro Signore che si chiama Chiesa. E nella Chiesa si incarna in volti precisi: quel sacerdote, quel fedele più zelante ecc...

  Non ha proprio senso il vagabondare spirituale, è sterile e se volete ridicolo: vai in un luogo, vuoi vederci una bella Messa cantata, va bene! ma lo sai che, perché ci sia quella Messa cantata, dei fedeli hanno rinunciato alla loro “libertà”, per essere lì tutte le domeniche a cantarla? ... e altri hanno assicurato il servizio all'altare, tutte le domeniche? ... e un prete è lì stabilmente per celebrarla?
 Se tutti questi avessero vagabondato negli anni, per cercare “esperienze” spiritualmente interessanti, tu non avresti trovato un bel nulla. Riflettici su questo.

  Sì, è chiesta a molti una conversione in questo senso, una decisione per la vita: vuoi la Tradizione? Falla!... secondo l'autorità che il Signore ti ha dato. Sei prete? Inizia a celebrare la messa di sempre. Sei laico? Recati stabilmente dove un sacerdote, sano per dottrina, ha assicurato la messa della Tradizione, e sii fedele a quella chiesa, perché la tua fedeltà edifichi altri e converta il tuo cuore.

  Non c'è alternativa a questa stabilità.




  Avete mai provato a domandarvi: ma se per un miracolo della Provvidenza, il Papa concedesse libertà totale all'esperienza della Tradizione, sapremmo far frutto di questa libertà? Ci metteremmo, sotto la grazia di Dio, a fare il Cristianesimo secondo la Tradizione? O troveremmo delle scuse per vivere ancora nella recriminazione?

  Volere che la Chiesa torni alla sua Tradizione, lamentandosi o rimpiangendo, fa buttare il tempo, fa buttare la vita ... e la vita passa veloce.

LITURGIA CREATIVA



Parliamo di Liturgia, perché don Riccardo Pane ha dato alle stampe il volumetto "Liturgia creativa", un testo volutamente provocatorio, nel quale mette in luce molti aspetti critici della pratica liturgica, che contrasta con gli insegnamenti conciliari. Al Cardinale Francis Arinze, che abbiamo incontrato in occasione della festa della comunità anglofona africana, è stato per alcuni anni prefetto della congregazione vaticana per il culto divino abbiamo chiesto qual è il criterio che fa di un rito, una celebrazione veramente cattolica. 

giovedì 30 gennaio 2014

modernismo senza maschere

Mutare la dottrina, si può e si deve


Nelle parole del teologo novatore Mancuso,
ecco la posta in gioco


“Se non entrerà in gioco il concetto di famiglia, non so a cosa possa servire il Sinodo. La questione di fondo è proprio questa, l’ha detto anche Maradiaga nella recente intervista concessa al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger”. Il teologo Vito Mancuso è rimasto impressionato dalle parole del porporato honduregno, “mi ha colpito la libertà della mente che il suo incedere aveva, e di questo c’è molto bisogno, soprattutto nella chiesa”, dice al Foglio. “Serve parresìa, franchezza nel dire le cose, pur avendo sempre rispetto verso la persona verso cui le si dice. C’è necessità di dire le cose in maniera netta, franca. Cosa che oggi non si vede più troppo spesso”. Maradiaga parla di nuova èra, si richiama al Vaticano II, “quasi ci fosse bisogno di riprendere quella musica dopo l’ouverture interrotta. E’ penetrante quell’immagine dell’aria fresca”, aggiunge Mancuso. Il cuore della faccenda è che “il genere di famiglia descritto dalla Familiaris Consortio, l’esortazione giovanpaolina del 1983, non esiste quasi più. Ci sono altre situazioni, oggi, che ambiscono ad avere la qualifica di famiglia, e ciò sarebbe opportuno e giusto”. Maradiaga, nell’intervista, parla di genitori separati, famiglie allargate, genitori single. Cita il fenomeno della maternità surrogata, i matrimoni senza figli, le unioni tra persone dello stesso sesso. “Più queste forme di unione vengono stabilizzate, più gli individui interessati ne trarranno del bene. Ricordiamo che il compito ultimo della chiesa è proprio quello, il bene. Ecco perché – aggiunge il teologo – il concetto di famiglia deve entrare nel dibattito sinodale. E questo senza paura di aprirsi troppo né di mostrarsi sempre necessariamente accondiscendenti verso la realtà”.

Quanto al confronto sul riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti, con il custode dell’ortodossia cattolica, Gerhard Müller che dalle pagine dell’Osservatore Romano invita a non banalizzare la misericordia divina e Maradiaga che ricorda come le parole di Cristo possano essere interpretate, Mancuso non ha dubbi: “Le parole di Cristo si sono sempre interpretate. Se non si vuole cadere nel fondamentalismo delle sette, è inevitabile esporsi al rischio (che è anche fascino) dell’interpretazione. Si è sempre fatto così. Basti pensare che le parole di Cristo già sono consegnate a noi come interpretazione, le ipsissima verba Iesu quasi non esistono, Gesù parla in modo molto diverso nei vari vangeli. Direi quindi che l’interpretazione non è certo un pericolo ma è specifico dell’identità cristiana”. Nel mondo della vita spirituale, aggiunge il nostro interlocutore, “nulla si fa senza il rischio di interpretazione”. E’ inevitabile, poi, che – come dice Maradiaga – si pensi più alla pastorale che alla dottrina: “Nel discorso d’apertura del Concilio, Giovanni XXIII distinse tra la dottrina certa e immutabile e il modo per renderla comunicabile all’altezza delle esigenze contemporanee. La pastorale è proprio questo, è il tentativo di rendere comunicabile la dottrina all’uomo contemporaneo”, spiega Mancuso. Certo, “ho dei dubbi che questo possa avvenire senza toccare la dottrina, anche se i vescovi non ammetteranno mai un mutamento dottrinale, diranno che si tratta semmai di normale evoluzione”, aggiunge. “Ma è inevitabile che ci debba essere un cambiamento di prospettiva, anche clamoroso. Se si è fedeli all’esigenza dei tempi, questo è inevitabile”. Niente di totalmente inedito però: “Anche in passato si è fatto così. E’ già successo – spiega il teologo –, solo che la chiesa ha negato che si trattava di rottura, parlando di naturale evoluzione”. Un esempio? “La questione della libertà religiosa. Aveva ragione Marcel Lefebvre nel dire che c’è stato un effettivo disconoscimento del Sillabo e della Mirari Vos di Gregorio XVI e, più in generale, di tutto un magistero secolare della chiesa. Non ci sono dubbi che la Dignitatis Humanae ha compiuto una svolta mettendo l’accento sulla libertà di coscienza del singolo e non sulla verità oggettiva”. Qualcuno potrebbe parlare di “tattica del camaleonte, ma sbaglierebbe. Perché è solo un modo per dire che l’insegnamento di Gesù è sempre attuale”. 
“Se la chiesa non muta – aggiunge Mancuso – non vive. Vogliamo qualcosa di immutabile? Bene, prendiamo una pietra. Se la chiesa vuole vivere, deve mutare”.

Quanto alle frasi del prefetto Müller sulla misericordia che deve andare sempre di pari passo con la giustizia – “al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”, scriveva sull’Osservatore Romano – Vito Mancuso dice che “la misericordia vera sa, conosce le ferite delle persone”. La strada, aggiunge, “è quella che porta al primato della misericordia. O vogliamo dire che chi ha un matrimonio fallito ha commesso un peccato? Semmai è un errore, ma non ci sono i presupposti per parlare di peccato”. A ogni modo, sottolinea il nostro interlocutore, “ciò non significa che si debba avere un’idea troppo sbarazzina della misericordia. Questa non va contrapposta alla giustizia, ma non può esserci giustizia senza misericordia. Altrimenti si cade nel giustizialismo, nel terrore, nel giacobinismo freddo e spietato. Troppo spesso, oggi, appare solo la parte fredda e oggettiva”. Ma qualcosa, dice, sta cambiando. Con l’ascesa al Soglio pontificio di Francesco, sta venendo meno l’idea di una dottrina “troppo canonistica e legalistica.  L’idea di un’etica cristiana che si traduceva in una serie di no”. Il prossimo passo sarà quello di far entrare il principio della libertà anche nella lettura del corpo, “come è già avvenuto a livello di ideologia morale e sociale, generando una dottrina capace di parlare all’uomo contemporaneo”. In assenza di questo passaggio, la dottrina morale prodotta rimane incomprensibile.

mercoledì 29 gennaio 2014

Io, sacerdote, scandalizato



IO, PRETE, SCANDALIZZATO



I NUOVI INQUISITORI CONTRO RATZINGER. RICOMINCIA L’AUTODEMOLIZIONE DELLA CHIESA

26 GENNAIO 2014 / IN NEWS
Ci sono stati grandi papi il cui pontificato è stato praticamente affossato dagli errori degli ecclesiastici del loro entourage. Anche per papa Francesco si presenta questo rischio.
Sconcertano infatti episodi, decisioni e “sparate” di alcuni prelati, penso al cardinale Maradiaga e al cardinale Braz de Aviz, che si sentono così potenti in Vaticano da usare il bastone sia contro il Prefetto dell’ex S. Uffizio Müller, sia contro i “Francescani dell’Immacolata”.
CONTRO BENEDETTO
I bersagli delle loro “randellate” (assestate ovviamente in nome della misericordia) sono coloro che, a diverso titolo, vengono individuati come paladini dell’ortodossia cattolica e che hanno avuto a che fare con papa Benedetto XVI.
Il vero bersaglio infatti sembra proprio lui, “reo” di tante cose, dalla storica condanna della teologia della liberazione, alla difesa della retta dottrina, al Motu proprio sulla liturgia.
Il cardinale Oscar Maradiaga è arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, diocesi in decadenza. Ma il prelato, che gira per i palcoscenici mediatici del mondo, nei giorni scorsi ha fatto clamore per una sua intervista a un giornale tedesco dove – fra corbellerie new age e banalità terzomondiste – ha attaccato pubblicamente il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Müller, a cui il papa ha appena dato la porpora cardinalizia. Un fatto clamoroso, anche perché Maradiaga è il capo della commissione che dovrebbe riformare la Curia.
Cosa era accaduto? Müller, chiamato a quell’incarico da Benedetto XVI e confermato da Francesco, nei mesi scorsi aveva ribadito che – pur cercando nuove vie pastorali (già indicate anche da Benedetto XVI) – il prossimo sinodo sulla famiglia non può sovvertire, con “un falso richiamo alla misericordia”, la legge di Dio sulla famiglia uomo-donna, affermata da Gesù nel Vangelo e sempre insegnata dalla Chiesa.
 MARADIAGA SHOW
Müller, che era già stato attaccato personalmente da Hans Küng, è stato liquidato da Maradiaga con queste parole: “è un tedesco e per giunta un professore di teologia tedesco. Nella sua mentalità c’è solo il vero e il falso. Basta. Io però rispondo: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile”.
Parole che hanno scandalizzato molti fedeli. Anzitutto perché l’accenno polemico al “professore di teologia tedesco” fa pensare inevitabilmente che il bersaglio fosse Benedetto XVI, che chiamò Müller a quell’incarico.
Poi perché è del tutto irrituale un attacco pubblico fra cardinali, come se Müller fosse lì a sostenere una sua teologia personale e non l’insegnamento costante della Chiesa e di tutti i papi.
Infine Maradiaga – secondo cui sarebbe sbagliato vagliare la realtà in termini di vero e di falso – dimentica che Gesù Cristo nel Vangelo dette questo preciso comandamento: “il vostro parlare sia sì (se è) sì e no (se è) no. Il di più viene dal Maligno” (Mt 5,37).
Maradiaga preferisce quel “di più” all’annuncio della Verità? Sui temi della famiglia, su cui c’è un’offensiva ideologica simile a quella marxista degli anni Settanta, diversi ecclesiastici sono pronti – proprio come allora – a calare le braghe.
E lo fanno anche con i sofismi di Maradiaga, il quale dice che le parole di Gesù sul matrimonio sono vincolanti, sì, “però si possono interpretare” e siccome oggi ci sono tante nuove situazioni di convivenza occorrono “risposte che non possono più fondarsi sull’autoritarismo e il moralismo”.
Questa frase da sola liquida tutto il Magistero della Chiesa: evidentemente per Maradiaga era autoritario e moralista anche Gesù, che si espresse con tanta nettezza.
Ma che significa chiedere “più cura pastorale che dottrina”? Ogni grande pastore, da S. Ambrogio a S. Carlo, da don Bosco a padre Pio, è stato un paladino della dottrina.
Maradiaga dice che occorrono sulla famiglia “risposte adatte al mondo di oggi”. Sono frasi vuote e allusive che alimentano confusione e dubbi.
E’ il tipico modo, che oggi dilaga nella Chiesa, di sollevare domande senza fornire risposte.
A tal proposito san Tommaso d’Aquino si espresse così: “Ebbene costoro sono falsi profeti , o falsi dottori, in quanto sollevare un dubbio e non risolverlo è lo stesso che concederlo” (Sermone “Attendite a falsis  prophetis”).
Oggi c’è chi, nella Chiesa, alle parole di Gesù riportate nel Vangelo preferisce il famoso questionario relativo al Sinodo, che è stato mandato a tutte le diocesi del mondo e viene presentato da taluno come un sondaggio, come se la Verità rivelata dovesse essere sostituita dalle più diverse opinioni.
AUTODEMOLIZIONE
Anche questo ci riporta agli anni Settanta, quando Paolo VI denunciava allarmato:
Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. Insofferenti dell’insegnamento del magistero (…) v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile; altri cerca una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana”.
E’ come spazzar via di colpo i pontificati di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per tornare ai cupi anni Settanta, all’autodemolizione della Chiesa (come la definì Paolo VI).
Non è un rinnovamento, ma il ritorno del vecchio più rovinoso.
LA VERGOGNA
Un altro episodio di autodemolizione della Chiesa è la persecuzione dei “Francescani dell’Immacolata”, una delle famiglie religiose più ortodosse, più vive (piene di vocazioni), più ascetiche e missionarie.
Ma alla quale – come ho già scritto su queste colonne – non è stata perdonata la zelante fedeltà a Benedetto XVI, a cominciare dal suo Motu proprio sulla liturgia.
Il rovesciamento delle parti è clamoroso. Infatti sul banco degli accusati ci sono dei cattolici ubbidienti e nella parte dell’inquisitore c’è il cardinale brasiliano João Braz de Aviz che, in una lunga intervista, ha avuto nostalgiche parole di elogio per la disastrosa stagione della Teologia della liberazione, fregandosene della condanna di Ratzinger e Giovanni Paolo II.
Braz de Aviz confessò tranquillamente che – in quegli anni – era pronto anche a lasciare il seminario per quelle idee sociali. Però ha fatto carriera. Oggi è a capo della Congregazione per i religiosi, lui che non è nemmeno un religioso.
Il prelato, che si proclama molto amico della Comunità di S. Egidio, ha una strana idea del dialogo che – per lui – vale verso tutti, meno che verso i cattolici più fedeli al Magistero.
Quando era arcivescovo di Brasilia partecipò tranquillamente fra i relatori a un convegno del “Forum Espiritual Mondial” con l’ex frate Leonardo Boff, leader della Tdl, Nestor Masotti, presidente della Federazione Spiritista Brasiliana, Ricardo Lindemann, presidente della Società Teosofica in Brasile e Hélio Pereira Leite, Gran Maestro del Grande Oriente.
Appena arrivato a capo della Congregazione per i religiosi ha subito iniziato il dialogo con le “vivaci” Congregazioni religiose femminili degli Stati Uniti che tanto filo da torcere dettero a Benedetto XVI.
Braz ha fatto una specie di critica alla Santa Sede: “abbiamo ricominciato ad ascoltare… Senza condanne preventive”.
Invece i “Francescani dell’Immacolata”, che non hanno mai dato alcun problema, non sono mai stati da lui chiamati e ascoltati. La condanna preventiva contro di loro c’è stata e pesante.
Curioso, no? Giorni fa “Vatican Insider” titolava: “In Italia ci sono sempre meno frati e suore”. Credete che Braz de Aviz si preoccupi di questo? Nient’affatto. Pensa a punire uno dei pochi ordini le cui vocazioni aumentano.
Sul primo numero di “Jesus” del 2014 si fa un monumento a Vito Mancuso, noto per negare “circa una dozzina di dogmi” (come scrisse “La Civiltà cattolica”). Ma state certi che nessuno farà obiezione ai paolini.
Invece vengono repressi i “Francescani dell’Immacolata” per averli difesi i dogmi della Chiesa. L’autodemolizione è ripresa con forza.
Antonio Socci
Da “Libero”, 26 gennaio 2014

lunedì 27 gennaio 2014

l'agitazione e la precipitazione

Filotea

L'AGITAZIONE

L'agitazione viene da un desiderio smodato di liberarci dal male che ci opprime o di acquistare il bene che speriamo; tuttavia nulla peggiora il male e allontana il bene quanto l'agitazione e la precipitazione. 


L'agitazione non è una semplice tentazione, ma una fonte dalla quale e a causa della quale ci vengono molte tentazioni: per questo te ne parlo un po'.

La tristezza è la sofferenza di spirito che noi proviamo per il male che si trova in noi contro la nostra volontà, sia che si tratti di un male esteriore, come povertà, malattia, disprezzo, oppure anche interiore, come ignoranza, aridità, ripugnanza, tentazione.


Quando l'anima avverte in sé un male, prova contrarietà: questa è la tristezza; subito desidera liberarsene e cerca il mezzo per disfarsene; fin qui ha ragione, perché ciascuno, per natura, tende al bene e fugge ciò che reputa male.

Se l'anima cerca i mezzi per liberarsi dal suo male per amore di Dio, li cercherà con pazienza, dolcezza, umiltà e serenità, aspettando la propria liberazione più dalla bontà e dalla 
Provvidenza di Dio che dai propri sforzi, dalle proprie capacità e dalla propria diligenza. Se invece cerca la propria liberazione per amor proprio, si agiterà e si altererà nella ricerca dei mezzi, come se dipendesse più da lei che da Dio: non dico che lo pensi, ma si comporta come se lo pensasse.

Se non trova subito quello che sta cercando, entra in uno stato di grande agitazione ed impazienza, che non le tolgono il male, ma anzi lo peggiorano; l'anima entra in uno stato di angoscia e smarrimento senza confini, con un tale cedimento del coraggio e della forza, che le sembra che il suo male sia senza rimedio. A questo punto la tristezza, che in partenza era giusta, genera l'agitazione; e l'agitazione in seguito aumenta la tristezza, il che è molto pericoloso.

L'agitazione è uno dei mali peggiori che possa colpire l'anima, eccettuato il peccato. Allo stesso modo che le sedizioni e i turbamenti interni di uno Stato lo rovinano completamente e lo rendono incapace di opporre resistenza agli aggressori esterni, così il nostro cuore, quando è turbato e agitato dentro di sé, perde la forza di conservare le virtù che aveva acquistato e, nello stesso tempo, perde anche la capacità di resistere alle tentazioni del nemico, il quale, come dice il proverbio, in tal caso, si impegna a fondo per pescare in acque torbide.


L'agitazione viene da un desiderio smodato di liberarci dal male che ci opprime o di acquistare il bene che speriamo; tuttavia nulla peggiora il male e allontana il bene quanto l'agitazione e la precipitazione. Gli uccelli rimangono presi nelle reti e nei lacci, soprattutto perché quando vi si impigliano, si dibattono e si agitano disperatamente per venirne fuori, e così si inviluppano sempre più.


Quando dunque sentirai il desiderio di essere liberata da qualche male e di pervenire a qualche bene, prima di tutto mettiti calma e serena, fa calmare il tuo intelletto e la tua volontà, e poi, con moderazione e dolcezza, insegui pure il sogno del tuo desiderio, prendendo con ordine i mezzi idonei; quando dico con moderazione, non intendo dire con negligenza, ma senza precipitazione, senza turbamento e agitazione; diversamente, invece di raggiungere l'oggetto del tuo desiderio, rovinerai tutto e ti troverai peggio di prima.


La mia anima è sempre nelle mie mani, Signore, e non ho dimenticato la tua legge, diceva Davide.


Rifletti più di una volta al giorno, ma almeno sera e mattina, se è vero che hai il dominio della tua anima; esaminati per renderti conto se non te l'abbia sottratta qualche passione o l'agitazione. Mantieni il cuore ai tuoi ordini, oppure ti è sfuggito di mano per impegolarsi in qualche passione sregolata di amore, di odio, di invidia, di ingordigia, di paura, di noia, di gioia?


Se per caso si fosse smarrito, prima di tutto, trovalo! Riportalo con garbo alla presenza di Dio, e sottoponi di nuovo i tuoi affetti e i tuoi desideri all'obbedienza e alla guida della sua divina volontà. Dobbiamo comportarci come coloro che temono di perdere qualche cosa che sta loro molto a cuore e la tengono molto stretta. Seguendo il grande Re Davide, diremo: Mio Dio, la mia anima è in pericolo, ecco perché la tengo sempre stretta nella mia mano; e così non ho dimenticato la tua legge.


Per piccoli che siano e di poca importanza, non permettere ai tuoi desideri di provocare agitazione in te; e sai perché? ai piccoli seguiranno quelli più grandi e quelli più impegnativi e troveranno il tuo cuore già aperto al turbamento e al disordine.


Quando ti accorgerai che stai per cadere nell'agitazione, raccomandati a Dio e decidi di non fare assolutamente nulla di quanto pretende da te il desiderio, finché l'agitazione non sia completamente sopita, a meno che non si tratti di cosa che non può essere differita; nel qual caso, con un impegno dolce e sereno, devi contenere la spinta del tuo desiderio, controllandolo e moderandolo nella misura del possibile, e realizza quello che devi realizzare non seguendo il tuo desiderio, ma seguendo la ragione.


Se puoi manifestare la tua agitazione -a chi ha la guida della tua anima, o almeno a qualche amico nel quale hai fiducia, ma che sia devoto, fallo senza esitazione: presto ritroverai la calma perché la comunicazione delle sofferenze del cuore fa all'anima lo stesso effetto che il salasso al corpo di chi ha una febbre insistente: è il rimedio dei rimedi.


S. Luigi di Francia diceva al figlio: " Se hai nel cuore un malessere, dillo subito al tuo confessore o ad una brava persona, e così il tuo male diverrà leggero per il conforto che ne hai avuto ".

domenica 26 gennaio 2014

La Decompositione del cattolicesimo

Le “profezie” sul Concilio del canonico Roca





(Opportune Importune)  I normalisti all’interno della Chiesa cercano di convincersi, e di convincere noi, che la rivoluzione conciliare ha avuto inizio con il postconcilio, e non con il Concilio. Secondo loro – appoggiati in questo anche dalle pie speculazioni di Benedetto XVI e dalla sua ermeneutica della continuità - il Concilio sarebbe evento cattolico, il quale sarebbe stato stravolto e distorto durante il postconcilio, sino a condurre alla crisi attuale. In pratica, i normalisti negano un rapporto di causalità tra il Concilio e la sua applicazione successiva. Essi non negano la situazione disastrata in cui si trova la Chiesa, ma non ne attribuiscono le cause all’assise romana. Temono, in verità, che laddove essi dovessero riconoscere che un Concilio Ecumenico abbia insegnato errori dottrinali, si dovrebbe dedurne che i Papi che lo presiedettero non abbiano esercitato il proprio Magistero, non solo venendo meno alla propria funzione di difensori della Verità rivelata, ma anche favorendo la diffusione dell’errore tra i fedeli. Insomma, per paura delle conseguenze, negano le premesse. Essi si trovano quindi costretti ad abbracciare aprioristicamente un postulato indimostrabile. 
Sotto un profilo morale, questo comportamento è gravissimo: anzitutto perché non è possibile curare un malato basandosi semplicisticamente sugli effetti del male, e non sulle sue cause. In secondo luogo, perché la crisi attuale – che coinvolge Fede, Morale, Liturgia e disciplina della Chiesa – costituisce una causa di dannazione per moltissime anime, ad opera della stessa Chiesa che viceversa dovrebbe salvarle. In terzo luogo, perché il rendersi ciechi dinanzi all’evidenza della débâcle conciliare è gesto da irresponsabili, da pusillanimi o da complici: specialmente allorché il semplice raziocinio ci dimostra quello che, ad un’analisi storica e documentale approfondita, i fatti ci confermano. D’altronde, se esaminiamo le Sacre Scritture, troviamo anticipata la situazione presente. 
Molti eminenti studiosi hanno permesso di scoprire le manovre dei modernisti nell’imminenza del Concilio e durante il suo svolgimento, e la perfetta corrispondenza di quanto essi si prefiggevano con quanto poi effettivamente è avvenuto dal postconcilio ad oggi. Merita tuttavia una qualche riflessione anche un passo più indietro nel tempo: analizzare la corrispondenza sussistente tra i piani dei nemici della Chiesa e la loro realizzazione durante e dopo il Concilio. In sostanza, chiediamoci se vi fu qualcuno che, in epoca antecedente al Concilio stesso, programmò di servirsene per diffondere dottrine eretiche, in modo da ottenere la distruzione della Chiesa usando i suoi stessi strumenti di governo e di magistero. 
Il ragionamento, che sinora si è sviluppato risalendo dagli effetti alle cause – vista la crisi del postconcilio (effetto), si può supporre che l’origine sia il Concilio (causa) – possiamo ora procedere nell’altro senso: se il Concilio fu la causa della crisi postconciliare, possiamo supporre che vi fu chi pianificò in anticipo questo piano perverso, con una strategia ed una tattica volte ad ottenere uno specifico risultato? Vi è una mens nel succedersi degli eventi, o è tutto accaduto per caso? In questo modo, identificando la causa (una mens) di quella che noi riteniamo essere a sua volta la causa (il Concilio) della crisi (il postconcilio), saremo in grado di dimostrare questa relazione necessaria e di escludere le tesi dei normalisti
Prima di tutto chiediamoci se l’idea di convocare un Concilio Ecumenico sia stata affrontata da qualche Papa, prima del 1962. Scopriremo allora che sin dai tempi di Pio XI l’ipotesi fu scartata, perché molti Cardinali e Prelati, e lo stesso Pontefice, avevano saputo che la setta modernista avrebbe potuto utilizzare il Concilio per scavalcare le condanne papali e diffondere le proprie tesi ereticali. Il Cardinal Boggiani affermò, nel corso del Concistoro segreto del 23 Maggio 1923, che le idee moderniste erano diffuse nel clero e nell’Episcopato: “Questa mentalità può portare alcuni Padri a presentare mozioni, ad introdurre metodi incompatibili con le tradizioni cattoliche”. Il Cardinal Billot disse: “I peggiori nemici della Chiesa, i modernisti, si stanno già preparando, come tutto sembra indicare, per portare avanti la rivoluzione all’interno della Chiesa, un nuovo 1789”. La percezione del pericolo gravissimo incombente sulla Chiesa, e dell’imminente attacco del Maligno, dissuasero Pio XI e Pio XII dall’indire un Concilio, mentre si cercò di rafforzare le difese interne grazie ad un più fermo governo da parte del Papa e dei suoi più stretti collaboratori.
Anche qui troviamo una conferma al nostro assunto: siccome la Chiesa aveva ben chiari i piani del nemico e i mezzi che esso si prefiggeva di utilizzare per giungere al proprio scopo, l’unica risposta ragionevole era impedire la celebrazione di un Concilio Ecumenico, al di là delle pie intenzioni che avrebbero potuto teoricamente ispirarlo. Un’azione di prudente realismo, in modo da combattere il nemico in campo aperto, senza lasciarlo infiltrare nella cittadella, dove avrebbe potuto causare un danno incalcolabile.
Non dimentichiamo che la promessa del Salvatore – Portae inferi non praevalebunt - non significa che la Chiesa non si debba confrontare con lotte terribili contro il nemico, al contrario: proprio in ragione di questa eterna guerra senza quartiere tra Cristo e Satana sappiamo che la vittoria finale è certa, ma sappiamo anche che dobbiamo combattere tutte le battaglie, vincendone alcune e perdendone altre. E teniamo ben presenti gli ammonimenti di Nostro Signore circa gli ultimi tempi, l’avvento dell’Anticristo e dei suoi precursori, i falsi profeti, oltre agli ammonimenti che la Vergine Ss.ma si è degnata di darci a Fatima e a La Salette.
«Hostis noster, cui mille nocendi artes, tam variis expugnandus est telis, quam oppugnat insidiis» (Detto da San Paolino da Nola a Sant’Agostino, in S. Aug., Ep. XXV, 2). 
Abbandonarsi con fatalismo fideista al corso degli eventi non è atteggiamento cristiano. Né può considerarsi cristiano l’atteggiamento di chi, aderendo ad un irenismo ispirato guarda caso proprio dall’avversario, presume che egli deponga a sua volta le armi per il semplice fatto di aver dinanzi a sé un nemico disarmato. Ben al contrario, egli approfitterà della sua debolezza per colpirlo con maggior efficacia. Dice infatti la Scrittura: Induite vos armaturam Dei, e poco oltre: in omnibus sumentes scutum fidei (Eph., VI, 11 et 16). Una battaglia, la nostra, che non è contro la carne e il sangue, ma adversus principes, et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiae, in caelestibus (ibid. 12). 
A dimostrare che il nemico non è comparso da un giorno all’altro, a Concilio concluso, per irretire le anime dei cattolici, ma che agisce con largo anticipo, parleremo di un personaggio che nei suoi scritti ha dimostrato che sin dall’Ottocento era in atto un piano di infiltrazione nella Chiesa, da realizzarsi per il tramite di un Concilio Ecumenico, finalizzato al raggiungimento di una serie di risultati che hanno poi trovato puntuale realizzazione negli ultimi cinquant’anni
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Alcuni dei lettori avranno forse sentito parlare del canonico Paul Roca (1830-1893): fu antesignano del modernismo e nei suoi scritti eretici anticipò non poche istanze del Concilio Vaticano II. Studiò a Parigi presso l’Ecole des Hautes Etudes Ecclésiastiques dei Carmelitani e venne ordinato nel 1858. Insegnò al Seminario minore di Prades fino al 1865. Amico di Mons. Ramadié – suo Vescovo e notorio anti-infallibilista, amico e discepolo di Mons. Dupanloup - fu primo direttore del Gran Collegio Cattolico di San Luigi Gonzaga a Perpignan, quindi venne nominato canonico onorario nel 1869. Con l’avvento del governo anticlericale e la soppressione del Collegio San Luigi, lasciò l’insegnamento e poco dopo abbandonò il ministero sacerdotale, venendo cancellato dall’Annuario Diocesano. 
Visse per dieci anni a Barcellona come precettore presso una famiglia francese, ma per le sue idee liberali, socialiste e antiromane fu sospeso dal Vescovo di Perpignan e da quello di Barcellona. Nel 1882 chiese ed ottenne di essere riaccolto in Diocesi, e venne inviato a Roma per un periodo di ritiro. Quivi conobbe il gesuita padre Carlo Maria Curci, fondatore de La Civiltà Cattolica e noto progressista con idee socialiste e antipapali, le cui opere Il Vaticano Regio, tarlo roditore della Chiesa cattolica  e Il Socialismo Cristiano furono messe all’Indice da Leone XIII (Padre Curci venne espulso dall’Ordine ignaziano nel 1877). Nel 1883 l’abate Roca terminò la prima edizione del suo libro Le Christ, le Pape et la Démocratie, e provò a farsi ricevere in udienza da Leone XIII, senza esito. Chiese quindi di incontrare il Card. Ludovico Jacobini, Segretario di Stato, e il segretario personale del Papa, mons. Gabriele Boccali, ai quale espose le sue teorie antipapiste e antimonarchiche. Il manoscritto, visionato anche da papa Pecci, gli fu restituito senza commenti. Ci si potrebbe chiedere per qual ragione la Gerarchia non lo condannò immediatamente…
In viaggio a Ginevra, incontrò dei teologi protestanti e dei filosofi illuministi, e partecipò a cerimonie esoteriche. Entrò in contatto e frequentò anche la setta dell’abate Joseph-Antoine Boullan, un ex prete satanista francese, amico di  Joris Karl Huysmans. Il canonico Roca viaggiò in Spagna, Portogallo, Italia e Svizzera, per poi partire alla volta dell’America nel 1883, dove intrattenne rapporti con gli esponenti di varie denominazioni protestanti, sette massoniche, gruppi iniziatici. A Nuova Orléans conobbe anche padre Hyacinthe Loyson, famoso predicatore, poi spretatosi, sposatosi e dichiarato eretico dopo la proclamazione dell’Infallibilità pontificia; la frequentazione di padre Hyacinthe e un articolo che egli scrisse in sua difesa sul giornale diocesanoL’Abeille - nel quale tra l’altro anticipava le tesi dell’ecumenismo che si sarebbero diffuse qualche decennio più tardi – gli meritò l’interdizione di celebrare, decretata da Mons. Leray. 
Dopo il viaggio americano, Roca tornò a Parigi, e prese casa a Neuilly. Qui diede alle stampe le sue opere: la seconda edizione di Le Christ, le Pape et la Démocratie, nel quale accusa la Chiesa e il Papato di ostacolare la libertà, la scienza, la democrazia, i sacri principii del 1789 e i Diritti dell’Uomo (tutti principj accolti oggi dalla chiesa conciliare). Per salvare il mondo, dice il canonico, sarebbe necessario tornare al Vangelo dei tempi primitivi (tesi che ritroveremo tra le istanze dei conciliaristi). Il 6 Giugno 1884 il Vescovo di Perpignan, mons. Caraquel, lo sospese nuovamente a divinis
Nel 1884 pubblicò anche L’abbé Gabriel et Henriette sa fiancée, un feuilleton nel quale si scagliò contro il Sacro Celibato ecclesiastico. L’anno successivo, diede alle stampe La crise fatale et le salut de l’Europe, nel quale auspicò la creazione di un governo mondiale, la sinarchia, che consideri tutte le religioni uguali e dia al Papa una semplice funzione di presidenza morale (sul modello di Assisi). Nel 1886 uscì La fin de l’Ancien Monde, in cui preconizzò la fine della società cristiana e della vecchia religione.
A questo punto fu convocato alla Nunziatura di Parigi per un ammonimento formale, senza alcun esito. Nel 1888 le sue opere sino ad allora pubblicate furono messe all’Indice.
La messa all’Indice delle opere del canonico Roca, 17 Dicembre 1888
Nel 1889, ribelle agli ordini di Roma, pubblicò Monde Nouveau. Glorieux Centenaire 1889, nel quale sintetizzò quanto recepito dalle sue frequentazioni in ambienti esoterici, massonici, eretici e legati al satanismo: il Cristianesimo profetizzato dal canonico Roca avrebbe avuto una nuova esegesi, nuovi dogmi (in particolare quelli del peccato originale e della Redenzione), un nuovo assetto sociale che avrebbe influito su un nuovo ordine politico, sindacale, federativo e associativo; un nuovo sacerdozio (egli chiamò i nuovi preti progressisti) e un nuovo papato. 
Dal 1890 al 1891 pubblicò il settimanale L’Anticlérical roussillonnais, poi divenuto Le Socialiste chrétien. Fu anche redattore capo e articolista di L’Etoile, un mensile fondato nel 1889, che aveva come sottotitolo: Kabbale messianique, Socialisme chrétien, Spiritualisme expérimental, Littérature et Art.
Le liaisons dangereuses dell’abate Roca lasciano capire in quali conventicole egli abbia potuto contaminarsi di errori, eresie, culti pagani e luciferini, idee massoniche e rivoluzionarie: Chamuel, il suo editore, che praticava riti gnostici valentiniani; François Charles Barlet, cabalista e rosacroce;Papus (Gérard Encausse), cabalista massone e fondatore dell’Ordine Martinista; Oswald Wirth, esoterista, massone e discepolo del satanista Eliphas Levi; l’occultista rosicruciano e satanista francese Stanislas de Guaita, per il quale Erik Satie compose nel 1890 la Sonneries de la Rose+CroixSaint-Yves d’Alveydre, esoterista amico di Papus e teorizzatore dellasinarchia ecumenista; il cabalista rosacroce Joseph Péladan; l’esoterista Alber Jhouney; la fondatrice della Società teosofica d’Oriente ed OccidenteLady Caithness, che fu anche sua benefattrice; Pierre-Michel Vintras, eretico condannato da Papa Gregorio XVI, fondatore della Chiesa del Carmelo, cui succedette il prete apostata e satanista Joseph-Antoine Boullan, che fu amante di una suora sedicente mistica e da cui ebbe un figlio che immolò a Lucifero. Roca prese parte ai riti della setta deiNuovi Magi, un gruppo iniziatico di laici che si credeva investito dell’ordine sacerdotale in virtù del Battesimo (il famoso sacerdozio comune dei fedeli che ritroveremo al Concilio).
Le idee del canonico Roca.
Il canonico Roca fu strenuo sostenitore della setta infame, a cui riconobbe un ruolo quasi missionario: «Il Vangelo è il rituale massonico delle idee razionali, i cui germi crescono nella nostra comprensione. La massoneria è dunque chiamata a realizzare sulla terra delle idee evangeliche».
dogmi vengono da lui interpretati non nel senso ortodosso, ma in chiave iniziatica e misterica. I miracoli sono invece rifiutati senza appello, in nome del razionalismo naturalista: «Non vi è mistero che debba sempre rimaner tale! Non vi è miracolo di cui non si giunga prima o poi a scoprire la legge e a riprodurre gli effetti con un metodo sicuro. Ne consegue che non vi è tradizione sacra che non si possa riuscire a dimostrare razionalmente al momento opportuno».
Il Papa, in quanto Sovrano temporale, viene indicato come causa della decadenza della Chiesa e ne auspica un ridimensionamento in chiave meramente spirituale e morale. «C’è un sacrificio da compiere, che rappresenta un solenne atto di espiazione… il Papato cadrà; morirà per mano del coltello consacrato che gli stessi Padri dell’ultimo concilio avranno forgiato. Il Papa-Cesare è la vittima coronata per il sacrificio». Pare che questo sciagurato auspicio stia trovando compimento proprio in questi ultimi mesi.
L’abate scomunicato Calixte Melinge (1842-1933), noto anche con lo pseudonimo di Alta, discepolo di Péladan (e che a questi succedette al Supremo Consiglio dell’Ordine Kabalistico della Rosa+Croce quando Péladan lo abbandonò per fondare l’Ordine cattolico della Rosa+Croce e del Graal), teorizzava di sostituire il governo della Chiesa con un Pontificato pluriconfessionale, capace di adattarsi ad un ecumenismo polivalente. Riteniamo molto probabile che queste idee, peraltro formulate nello stesso periodo e sempre in Francia, fossero ben note anche al nostro canonico.
Roca considera il Papato come un’istituzione destinata ad evolversi in qualcos’altro. «Il papato romano è una maceria di quel che fu, e un abbozzo di ciò che sarà, un ricordo e una speranza». Poiché secondo lui la Redenzione consiste nella salvezza del cosmo, essa verrà compiuta dal Cristo sociale o  dal cristianesimo sociale, per mezzo della democrazia e con il coinvolgimento del proletariato. Prevede a tale scopo l’istituzione dei sindacati e – cosa curiosa – degli Stati Uniti d’Europa. Roca auspica l’avvento di una divina sinarchia, con una costituzione che dovrà raccogliere tutti i popoli sotto un grande parlamento, al cui interno tutte le religioni saranno rappresentate. In questo conglomerato, il Papa non avrà più che un primato spirituale e la identità cattolica sarà praticamente irrilevante. Un altro punto interessante è l’avvento del femminismo: «Annuncio il prossimo avvento della donna, e del suo ministero religioso e sociale» e del sacerdozio femminile: «L’ammissione della donna all’altare, la sua ordinazione, la sua consacrazione per l’offerta pubblica del sacrificio, tutto questo proviene dalla gnosi sacra e fa parte essenziale del grande deposito della tradizione».
In ambito ecclesiastico, Roca prevede un cambiamento totale del Papato, dei Sacramenti, della Liturgia; l’abbandono della veste talare, il matrimonio dei sacerdoti, la secolarizzazione. Come? Attraverso un Concilio: «Solo un concilio può risolvere questi problemi, e le domande ad essi relative, riproducendo nell’ordine ecclesiastico lo spettacolo che diedero, nell’ordine politico, gli Stati Generali di Francia nel 1789». 
A tal proposito aggiunge: «Credo che il culto divino, così come è regolato dalla liturgia, dal cerimoniale, dal rituale e dai precetti della Chiesa romana, subirà prossimamente, nel corso di un concilio ecumenico, una trasformazione che, pur restituendogli la venerabile semplicità dell’età dell’oro apostolica, lo metterà in armonia con il nuovo stato della coscienza e della civiltà moderna». 
E continua: «Ne uscirà una cosa che provocherà lo stupore del mondo e che lo getterà in ginocchio davanti al suo Redentore. Questa cosa sarà la dimostrazione del perfetto accordo tra gli ideali della civiltà moderna e quelli di Cristo e del suo Vangelo. Sarà la consacrazione del Nuovo Ordine Sociale e il solenne battesimo della civiltà moderna». Ecco preconizzati l’apertura e il dialogo con il mondo, inaugurati da Giovanni XXIII al Concilio. 
Circa i sacerdoti afferma: «Essi ricopriranno incarichi civili, nazionali, comunali, famigliari, al municipio come al focolare domestico. La piaga purulenta del celibato, fonte di corruzione e sterilità presso tutti i popoli che hanno subito questo flagello, scomparirà anche dalle caserme, il giorno in cui sarà scomparsa nei presbiterj». Ecco come Roca prevede il suo nuovo mondo
Ovviamente Roca detesta i Gesuiti, l’Inquisizione, tutti i Monarchi, Mons. Gerbet, che fu tra gli ispiratori del Syllabus, e in particolare odia Ildebrando, ossia San Gregorio Magno, che accusa di essere all’origine di tutti mali della società e della Chiesa.
Estremamente presuntuoso e pieno di sé, giunge a confidare di aver ricevuto l’incoraggiamento a scrivere da eminenti Prelati di Curia e dall’Arcivescovo di Parigi: «Il Segretario di Stato di Sua Santità Leone XIII, mons. Jacobini, al quale offrivo un giorno la possibilità di spezzare la mia penna a patto che accettasse di assumersene la responsabilità dinanzi a Dio, mi rispose: “Me ne guarderei bene!” E il Cardinal Guibert, arcivescovo di Parici, mi disse benedicendomi: “Potreste aver ragione; l’avvenire ce lo dirà”. Citerei anche altre testimonianze, se non temessi di essere indiscreto. Davanti a questo atteggiamento attendista della Chiesa romana, inizio a sperare circa la sua fedeltà al Santo Vangelo di Gesù Cristo. Non sono stato né condannato, né censurato: è tutto dire». Non sappiamo se questa arroganza avesse un fondo di verità, se cioè Roca potesse confidare nella protezione di qualche personaggio di spicco nella Gerarchia, anche se pare poco verosimile. 
La condanna e la censura canonica arrivarono prima nel 1888 dalla Santa Sede e poi nel 1890 dal Vescovo di Perpignan, con la sospensione a divinis, l’interdizione di usare il titolo monsignorile, la riduzione allo stato laicale e il divieto l’abito ecclesiastico. 
Quasi cieco, si ritirò in miseria presso dei parenti a Néfiach, dove morì di un colpo apoplettico la notte del 10 Settembre 1893. Poco prima di lasciare questo mondo, Roca chiese di ricevere i Sacramenti e di poter essere riconciliato con la Chiesa, in modo da avere esequie ecclesiastiche. Ma quando, col permesso del Vescovo, il suo parroco gli portò il Viatico, egli si rifiutò di ritrattare i propri errori e ribadì di voler morire nella fede esoterica. Fu sepolto con esequie civili in terra non consacrata. La croce che i suoi amici eretici gli fecero porre sulla tomba venne divelta poco dopo, cosicché oggi non si sa dove sia il luogo della sua sepoltura. 
Conclusione
Abbiamo documentato – dagli scritti di un personaggio che ebbe assidui contatti con la Massoneria, il satanismo, l’occultismo e l’eresia – che sin dalla fine dell’Ottocento si teorizzava di utilizzare un concilio ecumenico come strumento di diffusione delle idee rivoluzionarie nella Chiesa, in modo da trasformarla in un’istituzione complice del progetto sinarchico ed ecumenico. Abbiamo evidenziato che questo stravolgimento della Chiesa intendeva colpire il Papato, i dogmi, la liturgia, il celibato sacerdotale, il sacerdozio, il ruolo dei laici e delle donne. 
Non crediamo che queste idee siano state partorite dal canonico Roca: pensiamo invece che egli se ne sia fatto portavoce, dopo averle apprese dalle sette che frequentava. 
Ma il punto importante di questa nostra analisi dimostra, senza alcuna possibilità di smentita, che quanto i nemici della Chiesa si prefiggevano ottant’anni prima del Concilio Vaticano II ha trovato quasi completa attuazione a partire da quell’assise che Pio XI e Pio XII ritenevano foriera di gravissimi pericoli per la Cristianità. E in quell’assise preso parte come periti e consultori quanti sino a Pio XII erano stati colpiti dalle censure ecclesiastiche proprio per le loro posizioni eterodosse. Molti teologi eretici diventarono, per ordine di Roncalli e Montini, i veri manovratori del Concilio, mentre gli ortodossi furono messi a tacere o estromessi, e con loro gli schemi preparatori.
Giovanni XXIII era informato delle riserve dei suoi predecessori ad indire un Concilio, e nondimeno lo convocò: «Noi abbiamo giudicato il momento opportuno per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la famiglia umana un nuovo concilio ecumenico». 
Veniamo ad un ultimo fatto, che vede protagonisti due personaggi: il primo è il monaco benedettino belga dom Lambert Beauduin (1873-1960), il quale fu iniziatore, nel 1909, del movimento liturgico che portò alla riforma liturgica del Vaticano II e che fu pioniere dell’ecumenismo con la fondazione del Monastero dell’Unione a Chevetogne, la cui finalità era (ed è tuttora, ovviamente) la ricerca dell’unità tra le chiese attraverso un dialogo alla pari. Oggi il Monastero si vanta di aver anticipato i tempi in un impegno che diverrà dottrina officiale al Concilio Vaticano II. Tanto per dare un’idea del personaggio, si sappia che per le sue idee eterodosse egli fu allontanato dal Monastero dalla Segreteria di Stato e confinato presso l’Abbazia di En-Calcat

Il secondo personaggio à padre Louis Bouyer (1913-2004), un protestante, ordinato nel 1936 pastore luterano e poi convertito al cattolicesimo nel 1939. Nel 1969 scrisse La Décomposition du catholicisme, ne quale mise in rilievo le difficoltà liturgiche e dogmatiche con cui la Chiesa conciliare avrebbe dovuto confrontarsi. Fu nominato due volte da Paolo VI alla Commissione teologica internazionale, prima nel 1969 e poi nel 1974; fu consultore al Concilio per la liturgia, la Congregazione del Culto divino e il Segretariato per l’unità dei Cristiani. 
Ebbene, all’annuncio della morte di Pio XII, l’anziano dom Lambert Beauduin, amico di Roncalli, confidava con entusiasmo a padre Bouyer: «Se leggono Roncalli, tutto sarà salvo: sarebbe capace di convocare il concilio e di consacrare l’ecumenismo».

Quel che è avvenuto è sotto gli occhi di tutti…
(fonte: Opportune Importune)