Secondo Alberto Giubilini, uno dei due ricercatori (foto a sinistra), “è doveroso sia eliminare il neonato che non ha alcuna disabilità ma costituisce un problema economico o psicologico per la famiglia, sia quello portatore di patologie gravi”. E per spiegarsi meglio fa l’esempio dei bambini Down.
Il tema è stato al centro di un recente dibattito all’Università Torino che, oltre ai due ricercatori, ha ospitato altri professori e studiosi italiani. Tutti in disaccordo, a parte uno.
Giovanni Fornero, storico della filosofia, citando Bobbio ha invitato la “bioetica laica a non lasciare ai soli cattolici la prerogativa di difendere la vita”.
Riportiamo l’articolo del prof. Giuseppe Zeppegno apparso su “Bioeticanews”.
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Febbraio 2013
L’ “aborto post nascita” ad un convegno all’Università di Torino
L’ “aborto post nascita” ad un convegno all’Università di Torino
Alberto Giubilini e Francesca Minerva, due giovani studiosi di filosofia, ricercatori all’Università di Melbourne in Australia e membri della Consulta di bioetica, hanno pubblicato nel 2012, sul secondo numero della rivista Journal of Medical Ethics un articolo dal titolo «After-birth abortion: why should the baby live?» (Aborto post-nascita: perché il bambino dovrebbe vivere?).
La convinzione che sia “eticamente” plausibile dare la morte ai bambini già nati, non è purtroppo una novità. Hanno teorizzato questa raccapricciante ipotesi bioeticisti del calibro di Peter Singer e Hugo T. Engelhardt jr. Quest’ultimo ad esempio, nella seconda edizione del suo Manuale di bioetica, pubblicato in italiano nel 1996, non esclude la possibilità dell’infanticidio osservando che «il dovere di preservare la vita di un neonato generalmente viene meno con il diminuire delle possibilità di successo nonché della qualità e della quantità della vita, e con l’aumentare dei costi del conseguimento di tale qualità».
Nei Paesi Bassi l’eutanasia pediatrica non è soltanto una teoria, ma una drammatica realtà ammessa dal 2002 con il Protocollo di Groningen che concede a genitori e medici di sopprimere le vite di neonati portatori di una sofferenza ritenuta “insopportabile”.
La “novità”, se tale si può dire, dell’articolo sta nel fatto che gli estensori sono dell’avviso che l’eliminazione di un bambino dopo la nascita non dovrebbe essere definita “infanticidio” o “eutanasia” ma “aborto”. Esprimono la persuasione che il bambino appena nato, come il feto, non ha lo status di persona, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso appunto l’aborto (disabilità, difficoltà psicologiche, economiche, …).
L’11 gennaio 2013, a un anno dalla pubblicazione dell’articolo che tanto ha fatto discutere, si è svolto presso l’Università di Torino un convegno di studio sul tema promosso dal Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione. Gli organizzatori l’hanno proposto come occasione opportuna per «tornare a riflettere in modo pacato e ragionato sulla proposta […] per valutarne la portata teorica e al contempo esaminare alcuni dei vari aspetti aperti dalla pubblicazione». Era loro opinione che «come istituto deputato alla ricerca intellettuale sviluppata attraverso la libera discussione delle idee, l’università non può sottrarsi al compito di sottoporre a vaglio critico anche tesi che suscitano clamore mediatico».
Al simposio sono stati invitati esperti di diverse correnti di pensiero. Dopo i saluti di rito, hanno esordito i due estensori dell’articolo. Giubilini ha ribadito che è doveroso sia eliminare il neonato che non ha alcuna disabilità ma costituisce un problema economico o psicologico per la famiglia, sia quello portatore di patologie gravi. Per spiegare la sua convinzione ha proposto la situazione di quanti nascono con la sindrome di Down. Anche se sono bimbi che non sentono disagio per la loro situazione e vivono felici, le loro vite non sono degne di essere vissute perché rappresentano un peso eccessivo per chi deve sobbarcarsi l’onere di crescerli e ingenti costi di assistenza per la società.
Il suo argomentare faceva tristemente tornare alla memoria idee e fatti che si sperava fossero ormai relegati a una lontana pagina di storia dell’umanità. Come non ricordare in questi frangenti il testo di A. Jost pubblicato nel 1895 in cui si sosteneva la legittimità di uccidere i malati terminali e psichici asserendo che la loro vita è di valore pari a zero, anzi negativo? Tornava anche alla mente l’Operazione T4 ideata dal regime nazista che portò a morte negli anni 1939-1941 circa 80.000 adulti e 5.000 bambini tedeschi perché malati mentali e handicappati definiti “vite senza valore, indegne di essere vissute”. Infine non si poteva non pensare allo sterminio di milioni di ebrei, polacchi, russi, rom, sinti e detenuti politici fatti perire nei campi di concentramento nazisti. Minerva ha invece deprecato la veemente e a tratti violenta reazione che l’articolo ha suscitato. Ha invitato ad accogliere con maggiore serenità testi supportati da una rigorosissima logica argomentativa (sic!).
Dopo gli autori sono intervenuti gli altri illustri partecipanti al dibattito. L’unica voce favorevole è stata quella di Maurizio Mori, direttore del Master in Bioetica ed Etica Applicata dell’Università di Torino. Ha elogiato gli Autori per la loro capacità di inventare l’espressione “aborto post-nascita”. Il “neologismo” (!?) è stato criticato però in tutti gli altri interventi.
Assuntina Morresi, docente all’Università di Perugia e membro del Comitato Nazionale per la bioetica ha detto esplicitamente che questa tesi, come quella sul negazionismo della Shoah, non è degna di essere discussa in un contesto accademico.
Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano, ha ripreso le affermazioni degli Autori e ne ha evidenziato il limite logico. Se fosse vero, come loro sostengono, che per essere persona occorre provare un interesse per la vita, allora chi chiede l’eutanasia non dovrebbe essere ascoltato, perché non essendo interessato a vivere non è degno di essere ritenuto persona.
Giovanni Fornero, storico della filosofia e studioso di bioetica, ha osservato che le carte internazionali condannano l’omicidio. Chi non accoglie questo cardine del vivere democratico faticosamente conquistato, lede le basi stesse del vivere sociale. Ha concluso citando Norberto Bobbio e invitando la bioetica laica a non lasciare ai soli cattolici la prerogativa di difendere la vita.
Analoghi dibattiti sul tema sono avvenuti a Milano, Forlì, Roma e Napoli e hanno suscitato un pressoché unanime sconcerto ripreso e condiviso anche da testate laiche. Una di queste, Cronache Laiche, ha pubblicato il 17 gennaio 2013 un articolo dal titolo «”Aborto” post-nascita: quando la bioetica diventa un boomerang. La tesi agghiacciante che legittima l’omicidio del neonato paragonandolo all’interruzione di gravidanza torna dopo un anno. Con la sponsorizzazione della Consulta di Bioetica».
L’articolo ha suscitato l’indignazione di M. Mori, presidente della Consulta. Egli in un comunicato diramato il 19 gennaio 2013 ha precisato che «la Consulta di bioetica non ha affatto “sponsorizzato” la tournée di Giubilini e Minerva nelle diverse università italiane né è affatto coinvolta in questa iniziativa come mostrato dal fatto che in nessun programma compare il logo dell’Associazione né alcuno studioso ha parlato in rappresentanza di essa».
Ha però anche colto l’occasione per rinnovare il suo invito al mondo laico a non appiattirsi sulle tesi dei pro-life «sostenitori dell’idea che il problema non avrebbe dovuto neanche essere sollevato e che sul tema va limitata la libertà di ricerca e di discussione accademica». Ha inoltre affermato che
l’agenda della ricerca intellettuale e della discussione scientifica va stabilita dagli scienziati stessi e non da altri, e per opporsi ai tentativi di imbavagliare la ricerca intellettuale che cinque università italiane hanno invitato Giubilini e Minerva a discutere i vari aspetti sollevati dalla loro tesi. I laici che informano il loro pensiero alla razionalità scientifica dovrebbero apprezzare quest’azione a sostegno della libertà di ricerca che ha portato a cinque partecipati incontri coinvolgendo in modo diretto 25 studiosi.
Dal mio canto mi sembra doveroso notare che quei laici che contestano l’ipotesi dell’aborto post-natale, meglio definibile come infanticidio, spesso guardano all’aborto del feto come a un’insostituibile necessità o addirittura come una conquista di civiltà. Per quanti come me ritengono che la vita umana debba essere rispettata dal concepimento, la “derubricazione” dell’infanticidio ad aborto non muta invece affatto la gravità della scelta. Entrambi sono attentati abominevoli alla vita umana.
È giusto fremere all’idea che ci sia chi pretenda di poter e dover discutere ogni teoria come mero esercizio logico anche quando lede il primario diritto alla vita del nato, è altrettanto giusto impegnarsi per promuovere una nuova cultura della sessualità, dell’accoglienza e del sostegno alla vita che non è ancora nata.
È fondato il timore che questo prolungato clamore abbia il sotteso scopo di inculcare ancor di più nelle coscienze di molti l’utilitaristica idea che valga solo la vita sana.
È giunto il momento che laici e cattolici si uniscano per salvaguardare almeno quei valori minimi che stanno alla base della convivenza democratica e danno a ogni essere umano, anche al più debole, nato o non nato, la certezza di essere accompagnato con amorevole cura perché una società incapace di solidale impegno manifesta una povertà inaudita e rischia di sfaldarsi inesorabilmente.
Prof. don Giuseppe Zeppegno
Dottore di ricerca in Morale e bioetica
Docente di Bioetica presso la Facoltà dell’Italia Settentrionale, sezione di Torino
Direttore scientifico del Master universitario in Bioetica, Facoltà di Teologia
Fonte: Bioeticanews
Dottore di ricerca in Morale e bioetica
Docente di Bioetica presso la Facoltà dell’Italia Settentrionale, sezione di Torino
Direttore scientifico del Master universitario in Bioetica, Facoltà di Teologia
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