mercoledì 12 ottobre 2011

Con i contraccettivi ormonali più rischi di contagio da Hiv "E a pagare sono le donne più deboli" (E. Rizzardi)




Con i contraccettivi ormonali più rischi di contagio da Hiv

E a pagare
sono le donne più deboli

di Emanuele Rizzardi

Il contraccettivo più utilizzato nell’Africa subsahariana raddoppia il rischio di contagio del virus Hiv. È quanto emerge da una ricerca scientifica pubblicata lo scorso 4 ottobre sulla rivista medica «The Lancet». Le organizzazioni internazionali però non ne tengono conto e decidono di continuare a somministrare il farmaco alle donne africane, nonostante i rischi provati, confermando che la salute della donna del terzo mondo non occupa i primi posti nelle loro priorità.

I numeri del rigoroso studio scientifico parlano chiaro: nelle coppie in cui un partner è sieropositivo, l’utilizzo da parte della donna del contraccettivo ormonale Depo-Provera — prodotto dalla società farmaceutica Pfizer e somministrato attraverso iniezione — fa raddoppiare la probabilità che anche il partner sano contragga il virus: la percentuale di donne contagiate sale al 6,61 per cento in un anno, rispetto al 3,78 per cento, mentre per gli uomini la probabilità passa dall’1,51 al 2,61 per cento.
Lo studio, condotto per la prestigiosa rivista da un’equipe internazionale e finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation, ha seguito 3.790 coppie per due anni consecutivi con test clinici cadenzati ogni tre mesi. Le coppie provenivano dai Paesi con alti tassi di popolazione infetta da Aids: Botswana, Kenya, Rwanda, Sud Africa, Tanzania, Uganda e Zambia. All’inizio dello studio almeno uno dei due partner risultava sieropositivo. E il contagio è risultato doppio nelle coppie in cui il controllo delle nascite era regolato attraverso la somministrazione di ormoni.

Il Depo-Provera è ampiamente diffuso in Africa, grazie alla sua praticità: deve essere assunto soltanto ogni tre mesi e senza l’assistenza di un dottore, elementi che evitano spostamenti spesso difficoltosi in un continente dove le strutture mediche qualificate sono molto scarse. Circa 12 milioni di donne africane tra i 15 e i 49 anni (il 6 per cento) utilizzano questo metodo contraccettivo. Il Depo-Provera è inoltre diffuso anche in occidente: negli Stati Uniti lo usano il 3 per cento delle donne che ricorrono ai metodi contraccettivi ormonali.

I risultati dello studio appena pubblicato non sono una novità: già ad agosto Jennifer Kimball, direttore della Culture of Life Foundation, e Steven Mosher, presidente del Population Research Institute, avevano affermato che i programmi di controllo delle nascite nel terzo mondo basati su cure ormonali aumentano i rischi di trasmissione delle infezioni sessuali. Il biologo Daniel Kuebler, della Franciscan University of Steubenville, conferma come non sia sorprendente che le cure ormonali abbiano effetti indesiderati gravi come in questo caso. È auspicabile quindi che vengano condotti altri studi così rigorosi anche sugli altri tipi di contraccettivi ormonali.

Isobel Coleman, direttore del Women and Foreign Policy Program del Council on Foreign Relations, è molto chiara: la comunità internazionale si trova a dover affrontare una crisi di prim’ordine nella sfida per la salute della popolazione del terzo mondo.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e le altre istituzioni delle Nazioni Unite non sembrano però essere dello stesso avviso. «Vogliamo essere sicuri di allarmare solo quando c’è un vero bisogno di farlo», afferma al «New York Times» Mary Lyn Gaffield, epidemiologa dell’Oms. Sono tanti i commentatori che hanno lamentato come scandaloso il silenzio dell’Oms: nessuna comunicazione ufficiale e tanto meno alcuna azione per informare i milioni di donne africane ignare del rischio che corrono. Solo la promessa di «approfondire la questione» in un convegno che si terrà a gennaio, dimostrando che, quando si tratta di salute della donna, l’Oms e le case farmaceutiche — anche la Pfizer non ha voluto rilasciare commenti — continuano a utilizzare due pesi e due misure nei confronti del terzo mondo.

Già nel 2005, come ricorda Susan Yoshihara, di fronte ai primi risultati scientifici che evidenziavano una relazione tra contraccezione ormonale e diffusione dell’Hiv, l’Oms rispose con un documento nel quale affermava che i «benefici della contraccezione per impedire le gravidanze indesiderate avrebbero controbilanciato nella maggior parte dei casi il rischio di contagio da Hiv». Un’affermazione senza alcuna base scientifica rigorosa, che in definitiva lascia alle donne deboli del mondo tutto il prezzo da pagare causato dall’ideologia della pianificazione delle nascite e dai guadagni delle case farmaceutiche.

Una volta di più la scienza indipendente dagli interessi economici dimostra che la strada per elevare la dignità della donna, e al contempo risolvere gravi situazioni di salute nei Paesi in via di sviluppo, è quella di promuovere un’educazione alle pratiche naturali di regolazione della fertilità: uno studio tedesco pubblicato nel 2007 sulla rivista di Oxford «Human Reproduction» (22, 5, pp. 1310–1319) ha già ampiamente dimostrato che questi metodi sono molto più efficaci di quelli farmacologici. Sulla strada che più volte Benedetto XVI ha indicato parlando di sviluppo nei Paesi del terzo mondo: promuovere una cultura che metta al centro la donna e l’uomo come esseri liberi e portatori di una dignità infinita.

© L'Osservatore Romano 12 ottobre 2011

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