sabato 23 luglio 2011

SAN BENEDETTO 2011


“Si ritirò dal mondo con l’ignoranza di chi sapeva molto bene e con la sapienza di chi non voleva sapere”

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Teano, 11 luglio 2011
Chiesa S. Caterina
del Monastero delle Benedettine del SS. Sacramento

Solennità di San Benedetto
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Saluto iniziale

Condividiamo con le Monache Benedettine la Solennità di San Benedetto. Chiediamo la sua intercessione, che venga effuso su di noi lo Spirito che animò la sua vita radicale, a tal punto da segnare un tracciato che ancora oggi tanti percorrono. Ci disponiamo a celebrare i Santi Misteri con sentimenti di umiltà: riconosciamo la nostra indegnità, affidiamoci alla misericordia di Dio.

Omelia

Nella vita dei santi, carissimi fratelli e sorelle, si riedita la vita di Gesù. La loro vita è un vangelo lungo i secoli, in luoghi diversi, in culture diverse, in momenti storici diversi. Alcuni, come Benedetto, sono delle pietre miliari, dei punti nodali della storia della Chiesa.
Benedetto è il padre del monachesimo in Occidente: ha influito enormemente non solo sulla vita della Chiesa, ma anche sulla vita della cultura. È per questo motivo che l’Europa riconosce, nell’esperienza di Benedetto con ciò che ne è seguito, una sorta di matrice culturale, e quindi l’influenza è andata ben oltre i confini della Chiesa per diventare un’esperienza sociale, un’esperienza culturale, rivoluzionaria. È sempre così: i santi si sforzano di vivere il vangelo senza sconti, lo fanno personalmente, non hanno presunzione di aprire nessuna strada, ma diventano dei capofila e influiscono sul loro tempo. Quando Benedetto si ritirò a vita eremitica – cominciò così l’esperienza benedettina – non aveva assolutamente in mente di fondare un ordine e di aprire, non una strada, ma un’autostrada per la cultura occidentale e per la storia della Chiesa. Anche fra noi, se c’è uno solo che si converte, sarà il rivoluzionario dei nostri tempi e, pur vivendo a Teano, pur vivendo in un luogo fuori delle vie di comunicazione e di commercio, influirà sulla vita della Chiesa e sulla vita del mondo.
I santi, e quindi anche San Benedetto - vorrei sottolineare questo aspetto - sono stati degli scontenti, delle persone santamente scontente e per questo rivoluzionarie, cioè non si sono omologate alla cultura del tempo. Noi pensiamo d’essere in un tempo terribile, di corruzione, ma la corruzione c’è sempre stata. Ed è proprio alla vista della corruzione di Roma e degli ambienti universitari del tempo - parliamo ovviamente di una Università che stava nascendo, ma c’erano già dei poli universitari e Roma, come capitale, costituiva uno di questi poli - che Benedetto, proveniente da Norcia, da una famiglia consolare, approda alla capitale, pensando - come noi oggi, andando a Roma, la Città Santa - che magari stanno tutti in ginocchio, si pregherà in piazza Navona, all’Altare della Patria… Invece scopre che forse Roma, come ancora oggi, è la città più pagana. Quindi immaginate questo giovane che viene da un’esperienza provinciale, che approda nella capitale, che approda all’Università, che comincia a seguire i corsi, come fanno i nostri giovani che vanno a Napoli, a Caserta, a Cassino e - che volete? - i giovani, quando si mettono insieme, sono una sorta di tam-tam della cultura e anche della corruzione, perché i giovani, che noi diciamo essere corrotti, null’altro fanno che mettere in piazza quello che noi facciamo in segreto: sono spavaldi. Quindi, questi poli universitari hanno costituito sempre, ancora oggi, dei luoghi di cultura ma anche dei luoghi di grande corruzione. Immaginate Benedetto che segue i corsi, che cerca di districarsi, di imparare le vie e vede i suoi compagni gaudenti. I genitori pagano - la storia è sempre quella - e i figli si divertono; i genitori lavorano e i figli fanno un esame all’anno, stazionano, sono parcheggiati all’università e che fanno nel resto del tempo, dal momento che non studiano? Potete immaginarlo… La storia è questa, ieri e oggi. Benedetto si ribellò a questo andazzo, ritenne la sua permanenza e il suo restare a Roma pericoloso per il suo futuro, per la sua anima (si diceva allora, fino a pochi decenni fa) e decise di chiudere la sua carriera universitaria. Un fallito? Un rivoluzionario! Si ritirò e, attenti, non tornò a Norcia, non tornò a casa come uno sconfitto, come ritorna il figlio dal 1°, 2°, 3° anno universitario, dicendo: “Non ce la faccio… Sono in depressione… Non riesco a fare gli esami…”, ma si ritirò a Subiaco, e cominciò così quell’esperienza che per noi è una storia sacra.

Vorrei comunicarvi, trasmettervi e vorrei che vi restasse impressa questa espressione di San Gregorio Magno, che probabilmente - ma spero di sì - neanche qualche prete, qualche seminarista, che stamattina ha fatto l’Ufficio delle Letture di San Benedetto, è riuscito a scovare (era nel responsorio dopo la seconda lettura; non era firmato, ma chi ha naso dice: Questo è San Gregorio Magno): “Si ritirò dal mondo con l’ignoranza di chi sapeva molto bene e con la sapienza di chi non voleva sapere”. È un’espressione caratteristica di San Gregorio Magno. San Gregorio Magno è stato il grande tutor di Benedetto, benché discepolo, benché figlio, benché benedettino, poi finito sulla “sedia elettrica” che è il soglio pontificio. Quindi noi conosciamo Benedetto perché Gregorio Magno ha fatto il tam-tam della vita di San Benedetto, scrivendo i Dialoghi, e questa espressione probabilmente è nei Dialoghi scritti da San Gregorio che è come se scrivesse una vita, è come se facesse un film sulle vicende del santo cui egli si è ispirato. Fotografa così questo ritirarsi da Roma di Benedetto: “Si ritirò dal mondo con l’ignoranza di chi sapeva molto bene e con la sapienza di chi non voleva sapere”. È un poema, un’espressione paradossale, un ossimoro, che però dice bene l’astuzia che è propria dei santi.
Si ritirò dal mondo: in realtà si ritirò dall’Università, che è il luogo della sapienza, oggi si dice “il luogo dei saperi”, che è il luogo dove si conservavano i granai del sapere che erano le biblioteche (a quei tempi le biblioteche erano appannaggio solo delle grandi Università). Quindi si ritira dal tempio del sapere e - dice Gregorio - con l’ignoranza di chi sapeva molto bene e con la sapienza di chi non voleva sapere.

Perché è importante questa espressione di San Gregorio Magno? Perché oggi siamo tutti un po’ presi dalla smania di sapere. Non solo i giovani. I giovani ce lo dicono spudoratamente, ma anche noi grandi, noi adulti. Che significa “smania di sapere”? Significa che il giovane dice, ma anche l’adulto pensa: “Bisogna provare… Bisogna vedere… Bisogna andarci in questo posto… Bisogna vederlo questo film… Bisogna farla questa esperienza esotica…”. C’è questo progetto non detto, ma poi praticato da tanti, propagandato dalla nostra cultura, che se uno non fa esperienze, non sa, perché il sapere viene dall’esperienza. Il problema è che, all’atto in cui tu fai, sei perduto, non puoi più tornare indietro. Da alcuni viaggi non si torna più. Ecco perché l’intuizione di Gregorio, applicata a San Benedetto, mi sembra fare a pugni con questa nostra cultura del “sperimentiamo-facciamo-vediamo-tocchiamo”. Questo è lo slogan: bisogna fare esperienza. Allora, se bisogna fare esperienza, bisogna anche inocularsi dei virus, no?
Devo fare esperienza! Allora devo anche bere veleni...
Bisogna fare esperienza! Allora mi inietto anche una sostanza stupefacente…
Bisogna fare esperienza! Allora partecipo anche ad una vacanza col pacchetto tutto compreso. Voi m’intendete… Non vogliamo scandalizzare le monache, che queste cose non le sanno e non le vogliono sapere. Non che non le sanno perché sono anziane: non le vogliono sapere!, perché oggi un credente, anche giovane, deve avere questa forza nel dire: Andate per i fatti vostri, io non vengo! Continuate i vostri balli: non partecipo! Fate i vostri rituali di morte: io voglio vivere!
Questo principio, questo assioma del “bisogna sperimentare”, fa naufragare tantissime vite, perché se da certe esperienze si potesse tornare indietro, allora potrebbe anche esser valido (rimane immorale come principio). Il problema è che non si può più tornare. Ecco perché Benedetto si ritirò dal mondo con l’ignoranza di chi sapeva bene, cioè aveva capito per che cosa valga vivere, su cosa bisogna investire, quanto sia prezioso il tempo, quanto certe esperienze ci formino o ci deformino. Lo aveva capito bene.
L’ignoranza di chi sapeva molto bene e la sapienza di chi non voleva sapere. No, grazie! Tenetevele per voi! Non partecipo, non vengo! Ce l’abbiamo questo coraggio, oggi?
Perché questo criterio, che è proprio dei santi e dell’esperienza millenaria della Chiesa, va seguito? Perché le esperienze ti formano o ti deformano, cioè noi siamo quello che facciamo: se tu fai una cosa una, due, tre volte, questa cosa ti forma. Se è buona, ti forma al bene; se è cattiva, ti deforma. Non è vero che sono cose esterne. Le faccio così per provare… No! Questa cosa ti struttura, diventa da azione una struttura esistenziale, e poi anche una struttura mentale, perché poi bisogna trovare anche una motivazione (Mi trovo bene… Faccio bene…). Ognuno, anche all’interno della sua depravazione, trova tanti motivi per dire che non può fare diversamente.
Diceva Renato Zero, che non c’entra niente con San Benedetto, ma solo per suscitare l’attenzione di qualche volto un po’ più giovane, in una canzone dedicata ad un amico dice: “Lasciamo il mondo ai vizi suoi”. Ecco, lascia il mondo ai vizi suoi.

Chiedo per me e per voi al Signore, per intercessione di San Benedetto, la grazia, l’astuzia, l’arguzia di scegliere questa ignoranza di chi sa troppo bene, di scegliere la sapienza di chi non vuol sapere, perché poi questa ignoranza è più saggia di tutti i saperi, direbbe San Paolo, e questa sapienza che non vuol sapere ti apre l’accesso alle cose vere, quelle che non passano mai.
Le monache, che si sono ritirate dal mondo tanti decenni fa, lo sanno. Magari non conoscevano, all’atto in cui sono entrate, questo passaggio della vita di Benedetto di San Gregorio Magno, ma l’hanno realizzata appieno e, benché anziane, conservano un’innocenza negli occhi che noi invidiamo e che adesso, neanche più i bambini hanno, perché i bambini non sono più innocenti a causa nostra. Conservano questa innocenza perché si sono ritirate come Benedetto: Non voglio sapere! Non voglio sentire! No, grazie! Preferisco la mia santa ignoranza alla vostra dotta sapienza.
Avremo questo coraggio? Se uno fra noi ce l’avrà stasera e lascia il mondo ai vizi suoi, ci sarà una svolta nella nostra storia.              

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

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