martedì 22 marzo 2016

La lavanda dei piedi non è un Sacramento e neppure un Sacramentale

DELLA LAVANDA DEI PIEDI

.Ariel S. Levi di Gualdo
 
Vedere il Sommo Pontefice lavare e baciare i piedi a delle donne, inclusa una donna non cristiana, mi ha profondamente ferito come sacerdote consapevole del fatto che Cristo Signore, tra i Dodici, non ha mai inserito alcuna donna; anche perché se avesse voluto inserirne qualcuna, forse la prima sarebbe stata sicuramente sua madre, l’Immacolata Concezione.
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Caro Padre Ariel.
Domanda lapidaria: che cosa ne pensi del cambio del Rito della Settimana Santa riguardo il fatto che la “lavanda dei piedi” sarà possibile a farsi anche alle donne? Secondo te perché, ed a qual scopo, questi rivoluzionari cambiamenti ? [NdR, cf. QUI, QUI]                                                                             Leonardo G.
il Sommo Pontefice Francesco durante il rito della lavanda dei piedi che si svolge nella Missa in Coena Domini
lavanda dei piedi
Ritengo anzitutto doveroso procedere con una premessa di carattere personale: quando si è particolarmente addolorati — e dinanzi a questo ennesimo “golpe de genio  revolucionario” [colpo di genio rivoluzionario], ammetto di essere addolorato — è necessario sul momento soprassedere e possibilmente anche tacere in modo prudenziale, cosa in sé diversa dal vile tacer codardo mosso da paura o più ancora da interesse personale.
Saggio insegnamento a me trasmesso dai miei formatori in passato, ed approfondito ancora in tempi recenti attingendo sia dalla sapienza del mio direttore spirituale, sia da un mio venerabile confratello sacerdote di lunga esperienza, il domenicano  G. Cavalcoli, che oltre ad essere una mente speculativa raffinatissima sul piano metafisico e teologico è anzitutto un uomo di Dio dotato di autentica pietà e grande zelo sacerdotale, basterebbe solo vederlo quando esercita il sacro ministero di confessore.
 
Solo gli stolti che non sanno analizzare l’altro, possono darmi dell’impulsivo, mentre chi è in grado di analizzare capisce all’istante che proprio quando sparo i fuochi artificiali, questi sono frutto di una accurata fabbricazione avvenuta dentro un laboratorio filosofico, teologico e storico-giuridico di fuochi pirotecnici, fatti esplodere solo dopo attenta riflessione e predisposizione; o come diceva Luigi Pirandello: «È così se vi pare». Lo prova il fatto che sino a oggi nessuna autorità ecclesiastica mi ha mai mosso rimproveri, tanto sono consapevoli che proprio quando uso toni o espressioni severe, i discorsi o le tesi sono più che mai costruite sulla letteratura evangelica, quindi sulla dottrina e sul magistero della Chiesa. E questo, alla prova dei fatti, non è un agire impulsivo. Certo, spesso sollevo questioni fastidiose ― e seguiterò a farlo finché Dio mi darà grazia e vita ― mai però basate sulla umoralità soggettiva o sull’agire impulsivo più o meno sconsiderato.
 
In questi ultimi giorni si sono moltiplicati commenti e critiche nel vasto oceano dei blog, dove non sono mancati coloro che partendo per la tangente si sono improvvisati storici della Chiesa, teologi, liturgisti e suvvia dicendo a seguire, ignari che non si può rispondere né legittimamente criticare in assenza di due presupposti indispensabili: la conoscenza approfondita del tema sul quale s’intende discutere e la mancanza di condizionamenti derivanti da smarrimento, da delusione e da animo ferito, perché ciò porta a espressioni soggettive e fuorvianti, non ad espressioni strutturate sulla oggettività che siano come tali libere da condizionamenti.
 
Dopo questa premessa posso seguitare rispondendo in modo “freddo” e oggettivo al Lettore che mi ha rivolto un quesito riguardo la possibilità di estendere la lavanda dei piedi anche alle donne alla Missa in Coena Domini. Per quanto mi riguarda posso quindi replicare in tutta serenità che la cosa l’ho presa male, ma con una sostanziale differenza: al contrario dei numerosi presbiteri, ma a dire il vero anche dei diversi vescovi che nel giro delle ultime ventiquattro ore mi hanno espresso in privato il loro sconcerto, il mio rammarico lo esprimo in pubblico, unendo all’amarezza il garbo dovuto ad una scelta a mio parere infelice del Sommo Pontefice, legittimo detentore della potestas che gli consente di modificare discipline, normative e riti nella loro contingenza accidentale, non certo nell’essenza e nella sostanza dei Sacramenti, che nel caso di specie in questione non vengono in alcun modo scalfiti, cosa questa che è bene ricordare e precisare. Inutile però nascondere che un numero sempre maggiore di vescovi, presbiteri e teologi, temono che si possa finire per intaccare la sostanza giocando sugli accidenti esterni che sono in sé e di per sé da sempre mutevoli, soggetti come tali a riforme od a cambiamenti di vario genere.
 
Un mio confratello sacerdote mi ha scritto per rivolgermi una domanda retorica, o se preferiamo accademica, ossia cosa avrei fatto e come avrei agito al posto del Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Ho risposto che mi sarei presentato dal Santo Padre e avrei rimesso il mio mandato nelle sue mani, senza esprimere alcun giudizio sulla sua decisione. Un conto, infatti, è riconoscere sempre l’autorità del Romano Pontefice, ubbidirla e tutelarla all’occorrenza; un conto, come Prefetto di un suo dicastero, firmare invece un documento che potrebbe creare a qualche firmatario un certo turbamento alla propria coscienza cattolica. E siccome, di questi tempi in particolare, non è affatto difficile trovare dei carrieristi con la veste sdrucita e la povera crocetta di legno al collo, ma anelanti con la bava alla bocca al cardinalato e alla carica di prefetto presso un dicastero della Santa Sede, reperire un firmatario non sarebbe stato un problema, anzi: basterebbe spargere voce per ritrovarsi a breve con un esercito di monsignorotti pronti a prendersi a cazzotti tra di loro, o forse a colpi di unghie e di borsetta, pur di firmare all’istante.
 
Noto con rammarico che sta avendo la meglio quella che fu la linea del Cardinale Carlo M. Martini, che ho avuto modo di menzionare anche di recente in una mia video-lezione [cf. QUI, QUI], come in passato lo menzionai in un articolo critico improntato sulla pura disputa teologica e nel quale smentivo le tesi peregrine del celebre Porporato che stava auspicando il ripristino di ciò che nella Chiesa non era mai esistito: il diaconato femminile [cf. QUI]. Detto questo proseguo dicendo che tutto sommato sono cresciuto quanto basta per riconoscere i piccoli cavallini mandati in avanscoperta prima dell’arrivo del grande cavallo di Troia. Certo, non era mai accaduto che un Cardinale finisse eletto al sacro soglio dopo morto; e se non lui, le sue idee bizzarre, che una appresso all’altra stanno affiorando tutte nel ora …
 
Ritengo che da alcuni anni sia in fase avanzata un processo di veloce e massiccio svuotamento sia del senso vero, evangelico e teologico delle parole; sia dei simboli o dei segni esteriori che finiscono — una volta svuotati — riempiti di altri significati. Fatto questo si può correre il serio rischio di andare a incidere sulle sostanze eterne e immutabili, per il semplice fatto che sia delle une sia delle altre si sarebbe finito col perdere il senso, ma viepiù: la stessa percezione.
 
Cercherò ancora una volta di spiegare ciò che intendo dire attraverso un esempio legato al mistero dei misteri, l’Eucaristia, il Santissimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo, cuore vivo e pulsante del suo Corpo Mistico che è la Chiesa. Il fatto che oggi il Sacrificio Eucaristico sia celebrato con il Messale del Beato Paolo VI anziché con quello del Santo Pontefice Pio V, che siano ammessi come lettori durante la Liturgia della Parola dei laici e delle laiche, che la Preghiera Eucaristia sia recitata in lingua nazionale anziché in latino, ad alta voce anziché a bassa voce; che l’altare sia volto verso l’assemblea anziché verso Oriente, etc .., nulla toglie alla sostanza del sacro mistero del pane e del vino che divengono Corpo e Sangue di Cristo, presente in modo completo e in tutta la sua Persona, Anima e Divinità.
 
Non possiamo essere però così ingenui e teologicamente sprovveduti da negare che gli accidenti esterni possano finire con l’incidere sui Christi fideles inducendoli a smarrire il senso profondo della sostanza eterna ed immutabile di questo Sacramento. Se infatti i celebranti cominciano a celebrare il Sacrificio Eucaristico togliendo ad esso il senso della sua ineffabile sacralità; se dopo avere sproloquiato in omelie di mezz’ora recitano la formula consacratoria in mezzo minuto come se dessero lettura degli articoli del Codice della strada, prendendo di rigore sempre la Seconda Preghiera Eucaristica, che è la più breve, affinché non sia tolto “tempo inutile” al celebrante protagonista; se non maneggiano i vasi sacri contenenti le sacre specie con sacrale rispetto e se non toccano le specie eucaristiche con altrettanto sacrale rispetto; se distribuiscono ai fedeli il Corpo di Cristo come se l’Eucaristia fossero gettoni fatti di pane azzimo; se aboliscono i piattelli che servono a raccogliere eventuali frammenti di Pane Eucaristico, salvo però istituire al loro posto il piattello d’argento per depositare il santissimo zucchetto rosso del vescovo; se attraverso la meticolosa purificazione dei vasi sacri non lasciano percepire che neppure un minuscolo frammento che sia visibile all’occhio umano deve andare disperso; se passando dinanzi al tabernacolo non si genuflettono devoti dinanzi alla sacra riserva eucaristica; se nelle chiese sostituiscono con delle poltroncine da cinema le panche con gli inginocchiatoi; se istruiscono i fedeli a stare in piedi a capo diritto durante la Preghiera Eucaristica … ecco che il Popolo di Dio, attraverso i suoi stessi sacerdoti, finirà col perdere il senso del sacro e con esso la percezione stessa della vera essenza dell’Eucaristia, che è presenza reale di Cristo vivo e vero. A quel punto, procedendo su quelli che sono degli accidenti esterni che per loro stessa natura non dovrebbero intaccare mai l’essenza, si rischia davvero di distruggere attraverso di essi la sostanza di una fede perenne che nei secoli rimane la seguente: in quel pane c’è realmente Cristo presente vivo e vero.
 
L’Eucaristia non è, né mai potrà essere un simbolo che ricorda una famosa cena celebrata dal Signore Gesù e che oggi, quanti si riconoscono nella sua aggregazione, celebrano per fare festa tra di loro, semmai inginocchiandosi dinanzi ai poveri che «sono la carne di Cristo» [cf. QUI] e che in essi lo rende molto più vivo e presente di quanto non lo sia invece nel Pane e nel vino eucaristico. E se una simile espressione non è spiegata con adeguate catechesi e con una ferrea dottrina basata sulla più granitica teologia, il tutto potrebbe portare anche a dedurre che i ricchi sono invece esclusi dalla partecipazione al Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, di cui Egli è capo e noi tutti membra vive. E tutti siamo membra di questo Corpo Santissimo, a prescindere dal reddito dichiarato e dal ceto sociale di appartenenza. Infatti, durante l’ultima cena, Cristo Signore non ha preso ed esibito agli Apostoli un povero dicendo loro: “Costui è il mio corpo e il mio sangue”, quindi “adoratelo”, “in memoria di me”.
 
L’imporre come nei concreti fatti sta accadendo, un concetto di teologia del popolo, che avrà sicuramente una sua indubbia logica sociologica nella provincia dell’America Latina, ma che dalla provincia non è però applicabile alla complessità della intera universalità cattolica, comporta piegare anzitutto l’universale al provinciale, se non peggio: al capriccio soggettivo. Il tutto diviene cosa pericolosa e non poco inquietante se attraverso questo processo di svuotamento e di riempimento si finisce poi col dare un significato del tutto nuovo allo stesso concetto paolino di Corpo Mistico di Cristo [cf. I Col 1,18], che è cosa del tutto diversa, in forma e sostanza, da «El pueblo unido jamás será vencido» [Il Popolo unito non sarà mai sconfitto, cf. QUI]
 
La lavanda dei piedi durante la Missa in Coena Domini non è un Sacramento e neppure un Sacramentale; è un elemento accidentale. La sua introduzione è peraltro recente e risale alla riforma dei sacri riti della Settimana Santa del Venerabile Pontefice Pio XII. Questo gesto del Verbo di Dio tradotto poi in segno inserito in un preciso quadro liturgico, ha un suo stretto significato legato al sacro ministero sacerdotale, che è appunto un servizio. Da qui il gesto profondamente simbolico attraverso il quale, memori del fatto che la partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo attraverso il Sacramento dell’Ordine Sacro è anzitutto un servizio, i vescovi procedevano a ripetere il gesto di questo esempio dato da Cristo Signore [cf. Gv 13,1-11] lavando i piedi a 12 loro presbiteri che rappresentavano gli apostoli scelti dal Redentore. A loro volta, i parroci, ripetevano questo gesto procedendo alla lavanda dei piedi a 12 viri probati.
 
Non ritengo cosa semplicemente inopportuna, ma proprio fuorviante e dolorosa, svuotare questo segno del proprio vero significato evangelico per riempirlo d’altro, a lode e gloria dei vezzi di questo mondo e dei suoi male intesi criteri di uguaglianza e di parità tra i sessi. Il tutto, per di più, ad opera di un Sommo Esponente della più grande aggregazione di misogini mai esistita nei duemila anni di storia della Chiesa: i Gesuiti. E per non lasciare quest’ultima frase né sospesa né tanto meno in pasto a quella ambiguità che non costituisce affatto il mio pane quotidiano, tanto sono memore che il nostro parlare deve essere si quando è si e no quando è no [cf. Mt 5,37], basti precisare che la Compagnia di Gesù è uno dei pochissimi ordini e congregazioni religiose che non ha mai favorita la nascita di un proprio ramo femminile, neppure sotto forma di consacrate laiche, perché la considerazione che lo stesso Sant’Ignazio di Loyola aveva per le aggregazioni femminili lo portava ad affermare: «La direzione spirituale di tre donne è compito più arduo della amministrazione di un intero ordine religioso». Per seguire con varie altre espressioni del tipo: «Il nemico si comporta come una donna poiché, suo malgrado, è debole e vuole sembrar forte».
 
Non metto in dubbio che Sant’Ignazio di Loyola sia un alto modello di eroiche virtù, ma come la Chiesa mi insegna i santi non sono, in quanto tali, dotati della perfezione divina, né sono esenti da errori umani che non intaccano i due elementi e presupposti fondanti la santità: la prudenza e la sapienza. Questo per dire che Sant’Ignazio non teneva forse in considerazione certi dati di fatto storici documentati e accertati: le “deboli” donne, sia sulle quinte sia dietro le quinte ― ma volendo anche dentro le potentissime camere da letto, che non sempre erano tra l’altro quelle dei mariti ― hanno esercitato negli Stati europei un enorme potere di influenza, convincimento e decisione; per non parlare della determinazione e del braccio di ferro col quale hanno regnato e governato molte sovrane. Prendiamo comunque atto, a cinque secoli dalla loro nascita, di questa grande esplosione di amore per l’egualitarismo tra i sessi che procede proprio da quei Gesuiti che per secoli hanno avuto una impostazione tendenzialmente misogina. E le donne, mi si permetta: non si possono conoscere d’improvviso, dall’oggi al domani, sulla scia delle mode e dei vezzi di questo mondo, prova n’è il fatto che, quando il Santo Padre Francesco ha scelto per vari incarichi e mansioni delle donne, ha finito con lo scegliere ― stando sempre alla prova dei fatti ― quelle più sbagliate. Se invece avesse chiesto consiglio a chi le donne le conosce da sempre, anziché a coloro che le hanno scoperte d’improvviso a cinque secoli di distanza dalla loro fondazione religiosa, questo e altro non sarebbe accaduto. Se però c’è qualcuno che conosce un gesuita il quale accetti l’idea di poter imparare qualche cosa da qualcuno ed in specie al di fuori degli schemi mentali e socio-politici della Compagnia di Gesù, che per cortesia me lo presenti, affinché io possa chinarmi a baciargli le mani con riverente e commossa devozione.
 
Il Giovedì Santo si celebra la istituzione di due sacri misteri: l’Eucaristia ed il Sacerdozio. Non a caso, quel giorno, noi presbìteri rinnoviamo dinanzi al vescovo le nostre sacre promesse fatte solennemente nel giorno in cui fummo consacrati per sacramento di grazia nel Sacro Ordine Sacerdotale.
 
Vedere il Sommo Pontefice lavare e baciare i piedi a delle donne, inclusa una donna non cristiana, mi ha profondamente ferito come sacerdote consapevole del fatto che Cristo Signore, tra i Dodici, non ha mai inserito alcuna donna; anche perché, avesse voluto inserirne qualcuna, forse la prima sarebbe stata sicuramente sua madre, l’Immacolata Concezione.
 
Se durante quella prima rappresentazione mediatica resa dal Sommo Pontefice al carcere di Rebibbia, il Santo Padre Francesco seduto sulla sua cattedra episcopale presso la Basilica di San Giovanni in Laterano mi avesse dato due schiaffi in faccia davanti a tutti, mi avrebbe fatto meno male, ma soprattutto mi avrebbe umiliato molto di meno, rispetto al fare un simile gesto per così dire nazionalpopolare nel giorno in cui l’intera orbe catholica ― che ripeto è universale e non provinciale ― festeggia la istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, conferito per volontà di Dio a 12 uomini; scelti per una precisa logica divina e non certo per una discriminazione tra i sessi da correggere dopo due millenni di sacra tradizione. Per questo affermo che, dopo il trotto di questi cavallini, giungerà infine il cavallo di troia auspicato dal Card. Carlo M. Martini: il diaconato femminile, ed il tutto con la “ragionevole” scusa che il diaconato è un servizio di istituzione apostolica [cf. At 6,1-7] e che il diacono non partecipa al sacerdozio ministeriale istituito da Cristo, come invece vi partecipano per sacramento di grazia i presbìteri. Lascio ai posteri valutare se quanto oggi da me affermato nelle precedenti righe sarà o no oggetto di discussione e forse anche di approvazione in un futuro non poi così lontano.
 
Concludo con un’ultima nota: è cosa risaputa e ampiamente documentata che il Santo Padre, seguendo in questo uno dei tanti pessimi vezzi liturgici messi in atto nell’ultimo mezzo secolo dai Gesuiti, durante la Preghiera Eucaristica non si inginocchia, perché a dire di alcuni “spiritosi” pronti a giustificare anche l’ingiustificabile evidenza dei fatti, pare che abbia problemi all’anca.
 
È mai possibile che questi problemi, per ineffabile mistero di grazia, spariscano al momento in cui, anziché avere dinanzi a sé il Corpo e il Sangue di Cristo, il Santo Padre si ritrova dinanzi agli occhi i piedi di una donna musulmana, di fronte ai quali la sua anca non ha problema psico-fisico alcuno ad inginocchiarsi per lavarli e per baciarli?
 
Un anziano sacerdote, colpito anni prima da un ictus cerebrale, mi pregava di aiutarlo a genuflettersi, per il poco che poteva, durante la Preghiera Eucaristica. E lui sì che aveva problemi fisici davvero insormontabili. Eppure pregava un suo giovane confratello, o il diacono che quasi sempre lo assisteva, affinché lo prendesse e lo aiutasse a piegare fino a meno della metà il ginocchio destro. Quando poi non riusciva più ad accennare neppure una genuflessione col ginocchio destro ed era costretto solo a piegare profondamente la testa, a bassa voce chiedeva sempre perdono al Signore per non essere più neppure capace di piegarsi dinanzi al suo Santissimo Corpo e Sangue vivo.
 
Questo e altri ancora sono stati i miei modelli di vita sacerdotale e sull’esempio di questi modelli intendo seguitare a vivere il mio servizio sacerdotale, lasciando ad altri il toccante sciacquo mediatico dei piedi alle carcerate musulmane.
 
La divina sostanza del Sacramento dell’Ordine che ho ricevuto non appartiene a me come non appartiene al Romano Pontefice; e non appartiene neppure alla Chiesa stessa, che per divina istituzione è custode e dispensatrice dei Sacramenti, ma non padrona, solo fedele custode e dispensatrice, perché i Sacramenti di grazia non sono dei “beni disponibili”. Il Sacramento dell’Ordine ci è stato conferito per mistero di grazia per servire Cristo nei modi e nelle forme a noi comandate dalla sua Santa Chiesa, la cui Autorità Suprema è chiamata all’esercizio del primo grande servizio: la tutela del deposito della fede, che all’occorrenza vuol dire anche tutela della santa tradizione, memore che il Signore Gesù ci ha lasciato un monito che è molto esteso ad una vasta casistica di azioni e situazioni:
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«Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» [Mt 18,6].
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È sbagliato pensare che un simile monito severo sia rivolto da Cristo Signore solo ai casi di pedofilia od a coloro che per la sicurezza di intere popolazioni tentano di rifiutare l’accoglienza ad orde di musulmani che stanno invadendo l’Europa in veste di falsi profughi per poi procedere ad una nuova colonizzazione del nostro vecchio e morente Continente.
 
Una sola è la rivoluzione alla quale come Sacerdoti di Cristo siamo chiamati: annunciare il Vangelo, salvaguardare la traditio catholica e tutelare la fede nel Popolo di Dio. Missione questa per la quale rischieremo di essere presi presto a bastonate proprio da coloro che, gaudenti e applaudenti, inneggiano a chi il Vangelo lo annacqua e lo rende vago allo scopo di renderlo dolce e appetibile per lo stomaco di un mondo sempre più affetto da incontenibile bulimia.
 
No, il Vangelo non è né dolce né appetibile, perché nasce in una stalla a Bethlehem e finisce poi su una croce in cima alla quale, durante l’agonia, ci viene allungata sopra una canna una spugna imbevuta di aceto:
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« … Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno d’aceto, posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima ad una canna e gliel’accostarono alla bocca» [Gv 19,29].
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Questo è ciò al quale ogni sacerdote deve essere pronto a lode e gloria del Nostro Signore e Redentore, che non è venuto per piacere e per compiacere il mondo, lo provano la croce e la spugna imbevuta di aceto, unici mezzi possibili per essere resi partecipi della Sua risurrezione. Se però qualcuno, Sommo Pontefice in testa, conosce qualche altra via, a partire dalla simpatia del mondo per seguire col plauso dei giornalisti atei compiacenti, che allora ce la indichi in fede, sapienza e coscienza, perché noi ne prenderemo atto e la seguiremo, quindi laveremo e baceremo i piedi anche alle donne musulmane alla Missa in Coena Domini; e se fosse necessario daremo loro anche lo smalto alle unghie dopo il servizio di lavanda, applicando le apposite creme emollienti per eliminare l’indurimento dei talloni derivante dall’uso prolungato dei tacchi alti. Il tutto lo faremo, naturalmente, sotto i riflettori puntati e gli applausi degli atei laicisti che pur non conoscendo ― né volendo affatto conoscere ― nemmeno le prime cinque parole della Professione di Fede, loderanno a gran voce i preti della “nuova Chiesa” conformatisi in tutto e per tutto alle direttive del nuovo dicastero della Santa Sede per le pari opportunità.

1 commento:

  1. Che vergogna e che scandalo!
    E' mai possibile che il Papa possa dare scandalo in questo modo e nessuno osi parlare per farlo desistere da simili scelleratezze?

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