Per quali valori ci chiedono di combattere
Veniamo, ora, a scoprire che Abdelhamid Abaaoud, l’organizzatore del multiplo attacco terroristico a Parigi – jihadista con il Corano in una mano ed il mitra nell’altra –, già condannato, prima di diventare terrorista, per rapina, il giorno dopo della strage beveva in abbondanza birra e fumava spinelli.
Sua cugina, la ventiseienne Hasna Ait Boulahcen, abbiamo poi appreso, era una bella ragazza dalla difficile infanzia ed adolescenza, vessata da maltrattamenti familiari, che si era allontanata dalla famiglia d’origine fino a ripudiare pubblicamente l’Islam e dichiarandosi non mussulmana. Si era data ad una vita bohemienne a base di sesso, droga e musica rock. Poi la svolta radicale in favore del “jihad” al seguito del cugino. Un svolta dettata dalla stessa rabbia verso il mondo che l’aveva portata a ripudiare le sue origini ed alla dissipazione drogastica. Negli anni ’70 probabilmente avrebbe fatto la stessa scelta nichilista arruolandosi nella fila delle brigate rosse o in quella neonaziste.
Anche Salah Abdesalam, il terrorista ancora vivo ed attualmente fuggiasco, è nato nella periferia povera di Bruxelles, la capitale del Belgio, dove sembra sia tornato ed abbia fatto sapere di temere, ora, la vendetta delle altre cellule terroristiche dell’Is, presenti in terra belga, per non essersi fatto saltare in aria come “martire”. Quasi a sua giustificazione verso gli ex compagni, ha confessato di aver avuto paura di morire: uno scampolo di umanità – la paura – in una vita ormai perduta agli uomini.
Insomma, si tratta di terroristi dell’Is senza dubbio ma nati e cresciuti in Occidente, nelle periferie delle grandi città occidentali ossia nel vuoto del non senso, del nulla, delle nostre città.
Un vuoto che pesa su ognuno di noi, non solo sui giovani. Questi ne soffrono forse in modo più manifesto e cercano di reagire ad esso o abbracciando il consumo famelico, anche quando sono poveri, oppure ponendosi in una posizione di contrasto assoluto che un tempo trovava alimento nelle ideologie, nutrite di pensiero forte, che erano un surrogato della fede, ed oggi, paradossalmente, nella religione ridotta ad ideologia che diventa a sua volta, nel deserto occidentale, un surrogato delle tramontate ideologie politiche.
Ho potuto constatare, in altri contesti, che altri giovani invece trovano, per grazia di Dio, diverse vie di recupero del senso della vita, fuggendo dal deserto occidentale, nella riscoperta delle ragioni profonde della fede cristiana. Ma la maggior parte dei loro coetanei al contrario muoiono esistenzialmente, in un modo o nell’altro, nel deserto spirituale postmoderno.
Del resto, se i terroristi di Parigi hanno ucciso usando blasfemamente del Nome di Dio, altri loro coetanei uccidono in nome della propria “fede calcistica”. Dove sta la differenza?
Franco Cardini, l’altra sera da Bruno Vespa a “Porta a Porta”, ricordava che i soldati nazisti portavano sui loro cinturoni il motto “Gott mit üns” e protestava che Al Baghdadi ed i suoi seguaci non possono essere ritenuti mussulmani, come i soldati di Hitler non potevano essere ritenuti cristiani.
Vorrei aggiungere che l’Occidente il Nome di Dio lo ha bestemmiato – e continua ogni giorno a bestemmiarlo – non solo al modo dei soldati nazisti ma anche sul frontespizio del dollaro statunitense dove campeggia la scritta: “In God we trust”, ad indicare quale “dio” esso in realtà adora.
Non solo. L’Occidente il Nome Santo lo bestemmia anche mediante il suo mimetismo sacrale.
La contro-religione umanitaria è stata celebrata, in questi giorni, in tutto il suo ritualismo secolarizzato. I parigini, in massa, si sono recati a deporre lumini e fiori ai piedi della statua della Marianna giacobina, in Place de la Republique, come un tempo i loro antenati deponevano, nelle chiese, ceri e fiori di campo ai piedi dell’Icona della Vergine Maria, Madre di Dio e madre nostra. Non credo che sia fuori luogo evidenziare – Mircea Eliade lo avrebbe fatto – il carattere “religioso” delle manifestazioni parigine cui abbiamo assistito. Ciò conferma che l’uomo è homo religiosus e che l’ateismo non esiste. Tutto sta nel capire se siamo – nel caso dell’Is come in quello del laicismo francese – in un ambito autenticamente religioso o invece mistificatorio. Le vittime povere del Bataclan erano lì accorse per ascoltare un gruppo rock, gli “Eagles of death metal”, le cui canzoni sono tutte un invito alla religio luciferina: “Kiss the devil” e titoli simili costituiscono il repertorio di quella band. Quelle vittime, compresa la nostra bella Valeria Solesin, volontaria umanitaria di Emergency (quanto ci sarebbe da dire, purtroppo, sul retroterra “a-teistico” di tante organizzazioni che mirano a laicizzare la Caritas cristiana), sono “povere” non solo e non tanto per essere state brutalmente uccise ma innanzitutto per il vuoto spirituale nel quale hanno tristemente vissuto pur senza rendersene conto. E’ dal 1789 che gli “immortali principi” sono stati innalzati a fondamento della liberazione dell’Umanità, con la “U” maiuscola al modo massonico. Liberazione dell’umanità dall’oscurantismo religioso. Nel conflitto storico iniziato nel XVIII secolo quell’oscurantismo era identificato con il Cattolicesimo. Oggi è identificato, dai cultori della religione umanitaria, più in generale, nell’“eccezione abramitica” tout court, intendendo per eccezione abramitica, in un panorama religioso, come quello antico, contrassegnato dal panteismo olistico pagano, la Rivelazione della Trascendenza, dell’Altro oltre il mondo nonché Signore del cosmo).
Mentre le masse occidentali celebravano il rito muratorio, ormai inconsapevolmente da esse adottato, nessuno, tuttavia, si è chiesto se gli “immortali principii” sono davvero tali ossia radicati nell’Immortale. Infatti rispondere a questa domanda significherebbe dover ammettere la loro natura mistificatoria di contraffazione dell’etica cristiana e di conseguenza ammettere che è impossibile costruire sulla loro base una qualsiasi convivenza tra gli uomini, come i fatti in questi due secoli si sono incaricati di dimostrare.
In mancanza di fondamento metafisico la Liberté ha come esito l’individualismo, l’Egalité il totalitarismo, la Fraternité la globalizzazione in nome della quale giustificare, come osservava Carl Schmitt, la guerra contro i “Nemici dell’Umanità” ossia contro chi disturba l’ordine imposto a tutela del Mercato Mondiale, del Mammona che l’Occidente adora come proprio “dio”.
In questo contesto, la persona umana, realtà ontologica alla quale si richiamano puntualmente i paladini dell’Occidente libero-muratorio anche per cercare di accattivarsi le simpatie dei cristiani, viene confusa con l’individuo, mero concetto astratto senza alcuna rilevanza ontologica, secondo una strategia che mira a fare del “giudeocristianesimo” la religione dell’Occidente nello scontro di civiltà con l’Islam. Oltretutto sorvolando silenziosamente sulla diversificazione iniziata con Cristo, da subito ossia sin dal primo Concilio di Gerusalemme, tra vero ebraismo, adempiuto dal Sacrificio d’Amore della Croce e incredulo postebraismo ad esso successivo.
Nei fatti l’unico esito della libertà individualistica, dell’eguaglianza totalitaria e della fraternità umanitaria è, inevitabilmente, il nichilismo, lo stesso nulla e vuoto di senso che alimenta, benché per reazione distorta, anche i fanatici dell’Is.
Solo nella prospettiva cristiana del primato della Verità è possibile tenere insieme libertà, eguaglianza e fraternità. Perché solo in tale prospettiva la libertà non diventa illimitata ed autoreferenziale; l’eguaglianza evita l’uniformità meccanicista grazie alla convergenza organica, quindi differenziale ed ad un tempo armonica, tra il singolo ed il comune, la persona e la comunità; la fraternità ha il volto vero della Carità che pur universalmente rivolta al prossimo in senso etimologico, chiunque esso sia, sfugge alla riduzione globalista perché non elimina, piuttosto perfeziona, i legami naturali, compresi quelli che ci uniscono, storicamente e culturalmente, ai nostri connazionali.
Non concentrare l’attenzione su questo rischia di portarci a tragici errori che servono solo a rafforzare la tensione artificialmente preparata per lo scontro di civiltà. Il compianto cardinal Giacomo Biffi era solito sostenere un opinabile giudizio secondo il quale l’Europa, in futuro, sarà o cristiana o mussulmana, invitando l’Europa stessa a riscoprire le sue radici cristiane per non diventare mussulmana. Eppure lo stesso Biffi aveva compreso che la radice del male, anche del terrorismo, è tutta nella “cultura occidentale del vuoto, del nulla” e che questo è il terreno di coltura del fanatismo fondamentalista. Intervistato a seguito dei fatti parigini, l’imam di Bruxelles, considerato moderato, ha dichiarato che l’Europa prima o poi dovrà far i conti con la sharia.
Come si vede, sia da parte di un esponente della gerarchia cattolica sia da parte di un esponente della umma mussulmana, il ragionamento è lo stesso, quello dell’antagonismo religioso, senza chiedersi a chi gioverà, in definitiva, tale antagonismo. E’ il caso, forse, che, al contrario, cristiani, islamici ed ebrei si siedano intorno ad un tavolo per esaminare la situazione e verificare se esiste un comune nemico che rischia di utilizzare le tre fedi abramitiche allo scopo di imporre una neo-religione globale alternativa a quelle tradizionali (cristiani, islamici ed ebrei, almeno quelli spiritualmente consapevoli, sanno molto bene che il “Nemico” esiste e che non ha natura umana ma angelica, di volta in volta variamente denominato al-Djjall, il Mentitore, l’Impostore, l’Avversario, l’Anticristo, il Figlio della Predizione, Colui che si oppone, Il Caduto, l’Omicida, etc.).
A parziale riprova della evidente radice nichilista, dunque moderna e postmoderna, dell’ideologia dei criminali dell’Is va osservato che essi, non a caso, usano egregiamente la tecnologia occidentale più raffinata, proprio quella che ha permesso l’egemonia mammonica dell’Occidente. Prima ed insieme che essere criminali sono anche imbecilli perché non si rendono conto di fungere da utili idioti per cementare un mondo, quello occidentale, che senza un nemico esterno, vero o presunto, continuerebbe, come d’altronde farà, ad affogare nei gorghi delle sue contraddizioni dovute alla mancanza di salde fondamenta metafisiche.
Nella gestione della pluridecennale crisi vicino-orientale l’Occidente – ormai lo riconoscono persino coloro che a suo tempo sono stati ultrà della politica neoconservatrice di Bush – ha fatto enormi errori strategici e di valutazione. Tuttavia chiediamoci in quale modo, dopo Parigi, esso ha risposto, tra choc e fobia di massa, al dramma in atto che lo ha duramente colpito? Ancora una volta ricorrendo alla retorica dello scontro di civiltà ed innalzando orgogliosamente le bandiere della sua concezione del mondo, quella che, dietro il seducente slogan “liberté, egalité, fraternité”, sin dal 1789, sta in realtà realizzando il potere totalitario del Mammona.
In apertura della partita di calcio tra le nazionali francese ed inglese, l’intero stadio, sia la tifoseria transalpina che quella d’oltremanica, ha cantato all’unisono la Marsigliese mentre i giocatori della due squadre cantavano a loro volta abbracciati. Contemporaneamente, nello stadio di Istanbul, in Turchia, il pubblico ha risposto all’invito ad un minuto di silenzio, in memoria delle povere vittime di Parigi, con urla, fischi e slogan contro l’Occidente. Fischi, certo, esecrabili ma, per rovescio, significativi del sostegno alla ambigua politica di Erdogan che non nasconde, visto che l’Is combatte i curdi, secolare spina nel fianco dello Stato turco, simpatie per il Califfo. Si badi, però, che questo non spiega del tutto quei fischi anti-occidentali nello stadio di Istanbul. Infatti, i turchi, nonostante Erdogan, non hanno, generalmente, un rapporto fondamentalista con la fede islamica. Quasi un secolo di kemalismo modernizzatore e laicizzante non è passato invano, come dimostra la continua ribellione, in nome degli stessi valori occidentali, contro il potere neo-ottomano di Erdogan. Ed allora a chi fischiavano i tifosi turchi durante il minuto di silenzio? Una domanda che nessuno, nei media occidentali, si è posto al di là dell’esecrazione dell’offesa alle vittime parigine.
E se i turchi, lungi dall’intenzione di offendere la memoria delle vittime del terrorismo, avessero soltanto voluto rispondere al modo nel quale l’Occidente ha mediaticamente, e quindi globalmente, posto la questione della strage parigina, oggi come a gennaio in occasione dell’assalto a Charlie Hebdo, ossia alla stregua di un attacco di civiltà, un attacco alla sua civiltà ovvero agli “immortali principii” del 1789 che, dopo aver sradicato le radici cristiane del Vecchio Continente, portati con la sopraffazione e la violenza negli altri continenti, per i popoli extra-europei hanno sempre avuto il volto del dominio coloniale, fino alla bushista esportazione manu militari della democrazia ad imitazione di quanto già perpetrato, proprio nel XVIII secolo, dalle truppe della Francia rivoluzionaria con l’invasione dell’intera Europa e l’inaugurazione della moderna guerra ideologica in luogo dell’antica guerra dinastico-territoriale?
L’Occidente è solito accusare l’Islam per la sua incapacità di separare la sfera del religioso da quella del politico e del civile. Separazione che l’Occidente avrebbe invece conquistato per merito di Lutero e di Locke. Tuttavia la distinzione (non la separazione) tra Sacro e Politico non l’hanno inventata né Lutero né Locke ma è nel Vangelo. Esiste, però, un modo di intendere questa distinzione che è altrettanto “terrorista” del fanatismo dell’Is. Tra gli intervistati parigini, i telegiornali hanno mandato in onda la dichiarazione, a modo suo esemplare, di un giovani, ai piedi della statua della Marianne, un coetaneo delle povere vittime, che ha detto: “Loro uccidono in nome della religione, noi rispondiamo in nome dell’Umanità”. Non so se nelle sue intenzioni la parola “umanità” doveva essere usata con la maiuscola. Sono, però, sicuro che, se l’avesse scritta quella parola, il giovane in questione così avrebbe fatto. Ora, questo giovane non avrebbe potuto meglio di così individuare nell’ideologia umanitaria il vero fondamento della Francia e dell’Occidente. Anche in passato – è vero – si è usato il Nome di Dio per uccidere. Ma il mondo moderno in nome dell’Umanità ha fatto lo stesso, e con una potenza di fuoco, se non altro per il progresso tecnologico, molto più alta. Anzi, non solo in passato: proprio l’Is e le esportazioni bombarole della democrazia dimostrano che le aberrazioni in questione sono cose anche dell’oggi e quindi si potrebbe dire tentazioni umane di sempre.
Come cattolico conosco bene gli errori, contrari al Vangelo, dei miei correligionari del passato, pur comprendendoli nel contesto dei loro tempi che era tale da non farli sembrare, loro, errori (e spesso effettivamente non lo erano, almeno laddove era in gioco uno scontro sui contenuti essenziali delle fede e della stessa possibilità di preservarla). So, però, bene che nel tempo, e non solo dal Vaticano II in poi, la stessa Chiesa ha meglio compreso la Rivelazione, la – si badi – medesima ed unica Rivelazione che, lungi dall’essere una elaborazione storicisticamente condizionata, tuttavia si è data all’uomo un poco alla volta fino all’adempimento definitivo in Gesù Cristo. L’ebraismo, non tutto (non gli ultraortodossi fanatici), ha fatto un percorso simile almeno in Europa. L’Islam forse lo ha fatto nelle sue élite religiose, in particolare in quelle sciite (tra l’islam iraniano, più colto e più tollerante, erede anche della Persia pre-islamica, e il fanatismo salafita non ci possono essere paragoni). Per complesse ragioni storiche, tra le quali il colonialismo occidentale, i paesi di matrice arabo-mussulmano non hanno conosciuto alcuna modernizzazione, nonostante i tentativi dei regimi “nazionalsocialisti” di Gheddafi, di Saddam Hussein e di Assad. Ma quella del socialismo arabo, una sorta, a dire il vero, di fascismo orientale, è stata una modernizzazione non del tutto compiuta benché sia stata importante. Tributaria, in ogni caso, di una ideologia comunque di matrice europea. Si aggiungano le contraddizioni sociali in quell’Occidente dal quale provengono molti dei militanti dell’Is, compresi gli stragisti parigini, ed il mix esplosivo è bello e pronto.
Quel che, in un’ottica abramitica, deve invece essere posto in evidenza, tanto dai cristiani quanto dagli ebrei e dagli islamici, è piuttosto il contenuto “luciferino” della dichiarazione del giovane parigino di cui sopra. Essa, infatti, afferma una sorta di diritto all’autosalvazione che è, biblicamente e quindi anche coranicamente, la tentazione perenne dell’uomo. I fanatici dell’Is, in fondo, agiscono nella stessa ottica “umanitaria” di autocostruzione del mondo: pretendono di imporre loro a Dio come e quando intervenire nella storia, riducendo così la fede ad una ideologia, invece di aspettare, pregando, che la salvezza del mondo giunga misericordiosamente, come un dono di grazia, dall’Alto.
I Neturei Karta (“Guardiani della Città”), un gruppo di ebrei ortodossi ma non fanatici, tra gli ultimi esponenti dell’originario atteggiamento di rifiuto del sionismo da parte dell’ebraismo tradizionale, non riconoscono lo Stato di Israele, creato dai sionisti con la astuzia politica e la violenza contro gli arabi, anzi lo considerano un fatto blasfemo agli occhi dell’Onnipotente, perché, dicono, il ritorno degli esuli alla Terra Promessa ed il ristabilimento di Israele, nella Pace con i non goym che per essi non sono meno degli ebrei al cospetto di Dio, avverrà solo quando e come l’Altissimo vorrà e non con mezzi ed inganni politici e militari. Per questi ebrei “tradizionalisti” il grande peccato dei sionisti è quello di voler forzare la mano a Dio. Esattamente come fanno i fanatici dell’Islam (o anche del Cristianesimo, si pensi ai protestanti fondamentalisti americani). I rabbini “modernisti”, ormai la maggior parte, che hanno invece abdicato al sionismo vedono in esso, al contrario, lo strumento, laico ma inconsapevole, di Dio per ristabilire Israele. Ecco, questa è la incolmabile differenza tra una posizione religiosa, per sua natura di Pace, ed una posizione “auto-costruttivista” come sono, anche, quelle falsamente religiose ma sostanzialmente ideologiche: chi si pone nella prima prospettiva aspetta la salvezza come dono, chi si pone, invece, nella seconda la pretende come diritto e vuole realizzarla come progetto mondano. Gli esiti sono diametralmente opposti e possono simbolicamente rappresentarsi con, da un lato, san Francesco che predica al sultano la Pace di Cristo e, dall’altro, dato che siamo in argomento, con la tragica sera parigina del 13 novembre scorso.
Mi si consenta di aggiungere, ad estremo chiarimento, una considerazione intra-abramitica. Il Dio “misericordioso e lento all’ira” degli ebrei, del Vecchio Testamento che è anche cristiano, ed il Dio “clemente e misericordioso” dell’Islam, è innegabilmente, non solo da un punto di vista culturale e storico, lo stesso Dio cristiano, lo stesso Dio di Gesù Cristo, Seconda Persona della Uni-Trinità Divina. Nell’ebraico biblico, oltre a “hesed” dal tono piuttosto maschile e legale anche se non privo di richiamo alla gratuità dell’amore, il termine usato per indicare la Misericordia di Dio è “rahamin” (da “rehem ossia grembo materno) che ha il senso dell’“amore viscerale ed assolutamente gratuito, fino al sacrificio di sé, della madre per il proprio figlio” (ad esempio in Isaia 49,15). In quanto cattolico, dunque, posso rivendicare come propri del Dio cristiano non solo la viscerale misericordia a Lui attribuita dall’Antico Testamento ma anche gli attributi “clemente e misericordioso” che gli islamici riconoscono propri della Natura di Dio.
Per noi cristiani, ebrei ed islamici sono attualmente soltanto “fratelli in Abramo”. Nell’attesa di poterli chiamare anche “Fratelli in Cristo” come promesso dal Signore nel giorno che nessuno, al di fuori di Lui, conosce. Gli ebrei sono rami separati dall’Olivo Santo di Israele ma nella promessa del reinnesto quando la benda dei loro occhi finalmente cadrà per riconoscere in Gesù di Nazareth il Messia; gli islamici sono in attesa, coranica, della Venuta Escatologica di Isa, il Figlio di Myriam Sempre Vergine e Verbo, o Segno, di Allah, benché essi non sappiamo attualmente cogliere tutto il profondo senso incarnazionista e divino-umano di questa denominazione – Parola di Dio – che il Corano attribuisce a Gesù.
E’ per questo che, da cattolico, dico con estrema chiarezza e franchezza ad ebrei ed islamici che un Dio “lento all’ira”, un Dio “clemente e misericordioso”, non è tale se kenoticamente non si incarna, non assume su di Sé quella natura umana, originariamente creata a Sua Icona, per redimerne, nel Sacrificio d’Amore della Croce (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, Gv. 15,13), debolezze, miserie, fragilità. Senza Incarnazione – che inizia con la Sua Rivelazione, mediante Israele, nella storia umana, per adempiersi compiutamente e definitivamente nella Sua Umanità ipostaticamente unita alla Sua Divinità –Dio, il Dio di Abramo, resta lontano, inaccessibile, inattingibile. Se Dio non si fa Uomo come potrebbe essere lento all’ira, clemente e misericordioso? Sarebbe solo Dio di Giustizia. Ma, per nostra fortuna, in Lui la Misericordia sovrabbonda sulla Giustizia benché anche quest’ultima deve trovare la sua soddisfazione a causa del peccato dell’uomo. Il peccato adamitico è stato, anzi è, di natura tale che nessun uomo può porvi, da solo, rimedio. A meno che Dio stesso non provveda incarnandosi. Ecco perché senza la Divino-Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo non c’è salvezza, nessuna salvezza sarebbe possibile. Ed è su questo che i fratelli ebrei ed islamici devono ancora riflettere a fondo. Lo facciano anche alla luce del Vecchio Testamento come del Corano ma che lo facciano se vogliono giungere alla Pienezza della Promessa fatta da Dio ad Abramo. Quella Pienezza ha un Nome ed un Volto: quelli di Gesù Cristo.
Il dramma dell’Occidente post ed anticristiano – un dramma che, a ben pensarci, non poteva non manifestarsi proprio nella antiche terre nelle quali la Fede nell’Incarnazione di Dio aveva attecchito – sta in questo: nell’aver rovesciato la prospettiva del Dio che si fa Uomo in quella, ateistica e prometeica, dell’uomo che pretende (senza riuscirci) di farsi Dio.
Secondo la fede islamica il Corano è la Parola di Dio. Per questo il Libro è immutabile: perché consustanziale con Dio, della stessa Natura Divina (ciò non toglie che, poi, nell’islam, la giurisprudenza – non dimentichiamo che l’Islam è una religione a suo modo molto legalistica come l’ebraismo – possa fornire adattamenti esegetici del Corano alle varie diverse situazioni storiche). L’essenza della Parola di Dio è, coranicamente, l’Amore di Dio per l’uomo quale fondamento dell’amore tra gli uomini.
Nostro Signore Gesù Cristo, in polemica con il legalismo rigorista dei farisei, ci ha definitivamente rivelato che il cuore della Legge sta tutto nell’Amore di Dio e del prossimo (Mt. 22, 37-40). Ma come potrebbe Dio essere Amore e chiedere amore agli uomini se Egli stesso non fosse disposto a piegarsi verso i miseri – misericordia significa “avere cuore per i miseri” – fino all’estremo sacrificio di Sé? Come potrebbe Dio essere Amore se l’Amore non fosse ad intra la sua Essenza, la sua Natura? Infatti affinché ci sia Amore è necessaria la relazione tra Persone, altrimenti vi sarebbe solo il pur magnifico e glorioso solipsismo autoreferente di una Divina Monade chiusa in Sé stessa e per questo persino incapace di, amandola, concepire – si badi: in Sé, ossia partecipe di Sé – la creatura. Incapace, in altri termini, persino di creare.
Ma dire relazione in Dio significa dire relazione ad intra tra Persone eguali e consustanziali per Natura. Significa dire Trinità, Monoteismo Trinitario, nell’Amore tra la Persona del Padre e la Persona del Figlio, Amore che è a sua volta Terza Persona e che si riversa ad extra innanzitutto nell’atto creativo e poi in quello salvifico. Gli islamici non ancora comprendono che affermare la consustanzialità della Parola di Dio, del Corano, con Dio stesso è già dire, implicitamente, relazione intra-divina, è già affermare l’Amore che unisce essenzialmente Dio e la Sua Parola. Gratta gratta le sure, prima o poi gli islamici – ad alcuni di essi è già accaduto – scopriranno che lo stesso Corano porta al Mistero Trinitario di Dio e finalmente comprenderanno che la Parola di Dio non è, meramente, un Libro ma è Persona divino-umana. E’ Gesù Cristo Dio-Uomo.
Diventerà allora chiaro anche ad essi quanto già spiegato da Louis Massignon e da padre Giulio Bassetti Sani ofm, tra i più noti islamologi contemporanei, ossia che il Corano è profezia del Cristo Venturo, del Cristo della Seconda Venuta atteso anche dai cristiani (ed a modo loro dagli ebrei). L’Islam, pertanto, può ritenersi “sigillo della Profezia” solo a patto che abbandoni la sua infondata pretesa di essere l’ultima rivelazione, quella “perfetta”, e umilmente riconosca che Muhammad – il quale ha sempre ammesso che l’al-Ghayb della sura 7, ossia il Mistero Divino per eccellenza, non gli è stato rivelato – è sì, pur a posteriori (ma in Dio ciò che per noi è temporalmente antecedente e successivo si da invece nell’eterna contemporaneità), nella linea della profezia veterotestamentaria ma, appunto, in quanto tale, come qualunque profeta, impossibilitato ad accedere definitivamente e pienamente al Mistero Divino che è il Logos, la Parola di Dio colta nella Sua Essenza. A meno che quella Parola non si dia all’uomo in forma umana ossia incarnandosi come è avvenuto all’annuncio a Maria dell’arcangelo Gabriele, lo stesso che annuncia a Muhammad, in preda alle febbri mistiche, le sure del Corano.
Noi cristiani abbiamo il diritto-dovere di sollecitare i nostri fratelli abramitici, ebrei ed islamici, a comprendere che le loro vie, se ben intese, portano inevitabilmente a Nostro Signore Gesù Cristo, Signore del cosmo e della storia. Perché al di fuori del Suo Nome non c’è salvezza.
La prospettiva mistica e teologica come si vede, se colta nella Luce del Signore ossia immune da riduzionismi esegetici e strumentalizzazioni ideologiche, può aprirci possibilità inedite di convivenza senza massonici indifferentismi e relativismi. Non a caso mentre siamo ancora qui a medicare le ferite parigine ed a pregare per le vittime, si sta per aprire il Giubileo della Misericordia. La data non è casuale: l’otto dicembre, festività della Immacolata Concezione di Maria, Madre della Divina Misericordia. Il credente sa che nulla accade a caso nella storia e che Dio ci parla mediante segni concreti.
Un’ultima riflessione sulle scelte che l’Islam europeo dovrà inevitabilmente fare in un contesto secolarizzato come quello occidentale. Credo che il benessere occidentale smorserà, prima o poi, il fondamentalismo. Ma solo a lungo andare. Nell’immediato la reazione è quella “antagonista” che abbiamo visto emergere proprio nei mussulmani europei di seconda generazione alle prese con il vuoto del nulla, con il quale gli occidentali ormai tristemente convivono da decenni. Ora però esiste un ulteriore problema, quello spirituale. Intendo dire che se la secolarizzazione smorzerà il “jihad”, mal inteso come guerra esteriore, al tempo stesso essa, però, annichilirà la spiritualità islamica. Questo è già accaduto ai cristiani occidentali. Ma il Cristianesimo ha, però, saputo ritrovare una migliore qualità della propria, benché ormai minoritaria, dimensione religiosa. I tradizionalisti cattolici lamentano la scomparsa della Cristianità che, certo, addolora anche me. Sul piano storiografico difendo, a spada tratta, le ragioni della perduta Cristianità contro tutte le mistificazione e false “leggende nere”. Ma è inevitabile riconoscere che la Cristianità è alle nostre spalle e che non sarà un decreto legge, ossia l’affermazione politica di forze conservatrici, a restituircela. Se, però, la perdita della Cristianità dovesse significare ritrovare ad un livello più alto le ragioni della fede, allora forse se ne può scorgere il senso provvidenziale di prova con cui Dio sta saggiando la fede dei cristiani. La nostra speranza non può, certo, non essere quella che un domani possa risorgere un’altra Cristianità, consapevole ed immunizzata dagli errori della precedente Cristianità in modo da non ripeterli. Una Cristianità migliore. Tornando all’Islam, se, quindi, il “virus” della secolarizzazione dovesse agire anche su di esso, quello che c’è da augurarsi è che esso sappia rispondere come ha fatto il Cristianesimo. Questo comporterà, inevitabilmente, una non rinviabile riflessione, intra-islamica, sui rapporti tra sharia e legge civile. Con buona pace delle illusioni dell’imam di Bruxelles, se l’Islam riuscirà a fare questo allora ritroverà, migliorata, anche la sua dimensione religiosa. Altrimenti potrebbe deflagrare nella tensione, esercitata sugli stessi mussulmani, tra i seducenti richiami della secolarizzazione occidentale e l’ingannevole fondamentalismo jihadista. Non sarebbe da escludere neanche una tragica “guerra civile” intra-islamica.
A conclusione di queste riflessioni, non è possibile, naturalmente, che lo scrivente si esima da qualche considerazione più terrena, politica e geopolitica. Dunque qualche parola sul cosa fare, concretamente, dopo Parigi bisogna spenderla, anche a chiarimento, per eventuali imbecilli intellettualmente trogloditi, che queste riflessioni se certo non sono filo-occidentali non sono, però, né una apologia della follia terroristica né una svalutazione della gravità dei fatti parigini.
Che, in concreto, si debbano unire le forze – occidentali, russe, arabe, iraniane – per debellare militarmente l’Is è cosa talmente chiara ed evidente che non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo. Sembra, finalmente, che ora anche americani ed europei lo abbiano compreso, tendendo una mano a Putin.
Sostengo la immediata necessità di una azione militare mirata contro l’Is. Per questo ho approvato la decisione di Putin, precedente ai fatti parigini, di intervenire direttamente nel Vicino Oriente – diciamolo pure: egli è l’unico vero statista sulla scena internazionale attuale – benché tutti la sappiamo motivata anche dagli interessi geopolitici russi in Siria. Ma, chiarito questo, bisogna poi anche valutare chi, e con quali scopi, parteciperà all’azione. Perché il problema è soprattutto pianificare il futuro, il post. Questa mancanza di programmazione, oltre all’improvvisazione, è stato un ingrediente tragico del dramma apertosi con la guerra bushista in Afghanistan ed in Iraq, che ci ha condotto al punto attuale. Chi governerà dopo lo sradicamento dell’Is in quelle terre come anche, dopo Assad, in Siria? E chi bisogna aiutare nel caos libico, visto che proprio i francesi hanno la grande storica responsabilità di aver aperto il vaso di pandora del dopo Gheddafi? Con la sconfitta dell’Is avremmo davvero risolto tutti i problemi compreso il terrorismo in Europa? Oppure è necessario, appunto, che l’Occidente la finisca con la sua “Israelolatria” e finalmente imponga ad Israele un limite ed il fermo rispetto dei patti sanzionati dall’Onu, naturalmente, imponendo, di contro, anche al mondo arabo il rispetto di un Israele tornato nei suoi originari confini? In una tale prospettiva, inoltre, almeno la città vecchia di Gerusalemme, centro universale per le tre fedi abramitiche, deve essere internazionalizzata. Essa non può, per via della sua storia ed universale importanza religiosa, essere derubricata a parte della capitale di uno Stato nazionale. Sarà necessario anche che sauditi e qatariani la smettano di destabilizzare il Vicino Oriente finanziando l’Is contro l’Iran, il quale ha ormai abbandonato ogni velleità nucleare se mai l’ha davvero coltivata, e che Erdogan abbandoni il suo impossibile sogno neo-ottomano.
Come si vede, alla fine, il problema del terrorismo potrà – e sia chiaro: dovrà ed anche al più presto – essere risolto abbattendo l’Is ma nulla ci assicura che in futuro esso non rinasca in qualche forma se non saranno risolti i problemi atavici di quelle terre. Purtroppo sotto questo profilo è vero quanto dicono in molti ossia che questa guerra, la prima guerra globale ed a-statuale, durerà decenni.
Ho letto, di recente, queste parole di un commentatore ai fatti parigini, che si lamentava dei madornali errori geopolitici e strategici dell’Occidente: “Ma una cosa la devo dire: smettiamola con quello che abbiamo fatto negli ultimi 14 anni. (…). Lasciamo il Medio Oriente da solo”. Questa posizione sembra in apparenza saggia ma non lo è e, soprattutto, nel suo ingenuo ed arrendevole irenismo, non tiene conto di due questioni:
- l’Occidente non sta nel Vicino Oriente per fare una gita culturale ma per il controllo delle fonti petrolifere, essenziali per la sua economia;
- Come la mettiamo con Israele? Lo sappiamo tutti che la lobby ebraica ha un enorme potere di influenza sulla politica americana (senza il suo consenso in Usa non si vincono le elezioni) e che, quindi, gli Stati Uniti sono inevitabilmente costretti a favorire Israele, sicché giammai lasceranno il Vicino Oriente ossia non lasceranno mai Israele alla mercé dei suoi nemici alcuni dei quali, d’altronde, pur avendo molte buone ragioni, ma non tutte, per avercela con lo Stato sionista, volentieri godrebbero della sua scomparsa, cosa che, però, ed i nemici politici dello Stato di Israele a loro volta non se ne rendono conto, sarebbe non la conclusione del dramma orientale ma l’apertura di una sua altra, e ben più complicata e drammatica, fase.
Ergo, l’Occidente non può, pure se lo volesse, lasciare il Vicino Oriente. Ma con tutta evidenza non può però neanche continuare nella sua politica esclusivamente e partigianamente filo-israeliana senza mettere in conto che, in questo modo, la risposta sarà sempre e comunque di tipo violento. Che tale violenza trovi giustificazioni nazionaliste, come in passato, o religiose, come oggi, non cambia nulla per un Occidente cieco nella convinzione della superiorità dei suoi “immortali principii” antimetafisici ed annichilenti.
Come diceva Benedetto XVI, i popoli extra-occidentali non rifiutano, di per sé, la fede cristiana ma hanno paura del vuoto che l’Occidente porta con sé insieme alla sua potenza tecnologica ed economica.
Luigi Copertino