lunedì 30 novembre 2015

l' occidente versso la religione luciferina

Per quali valori ci chiedono di combattere

CTybDFyXIAUXOjX
Veniamo, ora, a scoprire che Abdelhamid Abaaoud, l’organizzatore del multiplo attacco terroristico a Parigi – jihadista con il Corano in una mano ed il mitra nell’altra –, già condannato, prima di diventare terrorista, per rapina, il giorno dopo della strage beveva in abbondanza birra e fumava spinelli.
Sua cugina, la ventiseienne Hasna Ait Boulahcen, abbiamo poi appreso, era una bella ragazza dalla difficile infanzia ed adolescenza, vessata da maltrattamenti familiari, che si era allontanata dalla famiglia d’origine fino a ripudiare pubblicamente l’Islam e dichiarandosi non mussulmana. Si era data ad una vita bohemienne a base di sesso, droga e musica rock. Poi la svolta radicale in favore del “jihad” al seguito del cugino. Un svolta dettata dalla stessa rabbia verso il mondo che l’aveva portata a ripudiare le sue origini ed alla dissipazione drogastica. Negli anni ’70 probabilmente avrebbe fatto la stessa scelta nichilista arruolandosi nella fila delle brigate rosse o in quella neonaziste.
Anche Salah Abdesalam, il terrorista ancora vivo ed attualmente fuggiasco, è nato nella periferia povera di Bruxelles, la capitale del Belgio, dove sembra sia tornato ed abbia fatto sapere di temere, ora, la vendetta delle altre cellule terroristiche dell’Is, presenti in terra belga, per non essersi fatto saltare in aria come “martire”. Quasi a sua giustificazione verso gli ex compagni, ha confessato di aver avuto paura di morire: uno scampolo di umanità – la paura – in una vita ormai perduta agli uomini.
Insomma, si tratta di terroristi dell’Is senza dubbio ma nati e cresciuti in Occidente, nelle periferie delle grandi città occidentali ossia nel vuoto del non senso, del nulla, delle nostre città.
Un vuoto che pesa su ognuno di noi, non solo sui giovani. Questi ne soffrono forse in modo più manifesto e cercano di reagire ad esso o abbracciando il consumo famelico, anche quando sono poveri, oppure ponendosi in una posizione di contrasto assoluto che un tempo trovava alimento nelle ideologie, nutrite di pensiero forte, che erano un surrogato della fede, ed oggi, paradossalmente, nella religione ridotta ad ideologia che diventa a sua volta, nel deserto occidentale, un surrogato delle tramontate ideologie politiche.
Ho potuto constatare, in altri contesti, che altri giovani invece trovano, per grazia di Dio, diverse vie di recupero del senso della vita, fuggendo dal deserto occidentale, nella riscoperta delle ragioni profonde della fede cristiana. Ma la maggior parte dei loro coetanei al contrario muoiono esistenzialmente, in un modo o nell’altro, nel deserto spirituale postmoderno.
Del resto, se i terroristi di Parigi hanno ucciso usando blasfemamente del Nome di Dio, altri loro coetanei uccidono in nome della propria “fede calcistica”. Dove sta la differenza?
Franco Cardini, l’altra sera da Bruno Vespa a “Porta a Porta”, ricordava che i soldati nazisti portavano sui loro cinturoni il motto “Gott mit üns” e protestava che Al Baghdadi ed i suoi seguaci non possono essere ritenuti mussulmani, come i soldati di Hitler non potevano essere ritenuti cristiani.
Vorrei aggiungere che l’Occidente il Nome di Dio lo ha bestemmiato – e continua ogni giorno a bestemmiarlo – non solo al modo dei soldati nazisti ma anche sul frontespizio del dollaro statunitense dove campeggia la scritta: “In God we trust”, ad indicare quale “dio” esso in realtà adora.

Non potere servire due padroni: Dio e il mammona” ammonisce Nostro Signore Gesù Cristo.
Non solo. L’Occidente il Nome Santo lo bestemmia anche mediante il suo mimetismo sacrale.
La contro-religione umanitaria è stata celebrata, in questi giorni, in tutto il suo ritualismo secolarizzato. I parigini, in massa, si sono recati a deporre lumini e fiori ai piedi della statua della Marianna giacobina, in Place de la Republique, come un tempo i loro antenati deponevano, nelle chiese, ceri e fiori di campo ai piedi dell’Icona della Vergine Maria, Madre di Dio e madre nostra. Non credo che sia fuori luogo evidenziare – Mircea Eliade lo avrebbe fatto – il carattere “religioso” delle manifestazioni parigine cui abbiamo assistito. Ciò conferma che l’uomo è homo religiosus e che l’ateismo non esiste. Tutto sta nel capire se siamo – nel caso dell’Is come in quello del laicismo francese – in un ambito autenticamente religioso o invece mistificatorio. Le vittime povere del Bataclan erano lì accorse per ascoltare un gruppo rock, gli “Eagles of death metal”, le cui canzoni sono tutte un invito alla religio luciferina: “Kiss the devil” e titoli simili costituiscono il repertorio di quella band. Quelle vittime, compresa la nostra bella Valeria Solesin, volontaria umanitaria di Emergency (quanto ci sarebbe da dire, purtroppo, sul retroterra “a-teistico” di tante organizzazioni che mirano a laicizzare la Caritas cristiana), sono “povere” non solo e non tanto per essere state brutalmente uccise ma innanzitutto per il vuoto spirituale nel quale hanno tristemente vissuto pur senza rendersene conto. E’ dal 1789 che gli “immortali principi” sono stati innalzati a fondamento della liberazione dell’Umanità, con la “U” maiuscola al modo massonico. Liberazione dell’umanità dall’oscurantismo religioso. Nel conflitto storico iniziato nel XVIII secolo quell’oscurantismo era identificato con il Cattolicesimo. Oggi è identificato, dai cultori della religione umanitaria, più in generale, nell’“eccezione abramitica” tout court, intendendo per eccezione abramitica, in un panorama religioso, come quello antico, contrassegnato dal panteismo olistico pagano, la Rivelazione della Trascendenza, dell’Altro oltre il mondo nonché Signore del cosmo).
Mentre le masse occidentali celebravano il rito muratorio, ormai inconsapevolmente da esse adottato, nessuno, tuttavia, si è chiesto se gli “immortali principii” sono davvero tali ossia radicati nell’Immortale. Infatti rispondere a questa domanda significherebbe dover ammettere la loro natura mistificatoria di contraffazione dell’etica cristiana e di conseguenza ammettere che è impossibile costruire sulla loro base una qualsiasi convivenza tra gli uomini, come i fatti in questi due secoli si sono incaricati di dimostrare.
In mancanza di fondamento metafisico la Liberté ha come esito l’individualismo, l’Egalité il totalitarismo, la Fraternité la globalizzazione in nome della quale giustificare, come osservava Carl Schmitt, la guerra contro i “Nemici dell’Umanità” ossia contro chi disturba l’ordine imposto a tutela del Mercato Mondiale, del Mammona che l’Occidente adora come proprio “dio”.
In questo contesto, la persona umana, realtà ontologica alla quale si richiamano puntualmente i paladini dell’Occidente libero-muratorio anche per cercare di accattivarsi le simpatie dei cristiani, viene confusa con l’individuo, mero concetto astratto senza alcuna rilevanza ontologica, secondo una strategia che mira a fare del “giudeocristianesimo” la religione dell’Occidente nello scontro di civiltà con l’Islam. Oltretutto sorvolando silenziosamente sulla diversificazione iniziata con Cristo, da subito ossia sin dal primo Concilio di Gerusalemme, tra vero ebraismo, adempiuto dal Sacrificio d’Amore della Croce e incredulo postebraismo ad esso successivo.
Nei fatti l’unico esito della libertà individualistica, dell’eguaglianza totalitaria e della fraternità umanitaria è, inevitabilmente, il nichilismo, lo stesso nulla e vuoto di senso che alimenta, benché per reazione distorta, anche i fanatici dell’Is.
Solo nella prospettiva cristiana del primato della Verità è possibile tenere insieme libertà, eguaglianza e fraternità. Perché solo in tale prospettiva la libertà non diventa illimitata ed autoreferenziale; l’eguaglianza evita l’uniformità meccanicista grazie alla convergenza organica, quindi differenziale ed ad un tempo armonica, tra il singolo ed il comune, la persona e la comunità; la fraternità ha il volto vero della Carità che pur universalmente rivolta al prossimo in senso etimologico, chiunque esso sia, sfugge alla riduzione globalista perché non elimina, piuttosto perfeziona, i legami naturali, compresi quelli che ci uniscono, storicamente e culturalmente, ai nostri connazionali.
Non concentrare l’attenzione su questo rischia di portarci a tragici errori che servono solo a rafforzare la tensione artificialmente preparata per lo scontro di civiltà. Il compianto cardinal Giacomo Biffi era solito sostenere un opinabile giudizio secondo il quale l’Europa, in futuro, sarà o cristiana o mussulmana, invitando l’Europa stessa a riscoprire le sue radici cristiane per non diventare mussulmana. Eppure lo stesso Biffi aveva compreso che la radice del male, anche del terrorismo, è tutta nella “cultura occidentale del vuoto, del nulla” e che questo è il terreno di coltura del fanatismo fondamentalista. Intervistato a seguito dei fatti parigini, l’imam di Bruxelles, considerato moderato, ha dichiarato che l’Europa prima o poi dovrà far i conti con la sharia.
Come si vede, sia da parte di un esponente della gerarchia cattolica sia da parte di un esponente della umma mussulmana, il ragionamento è lo stesso, quello dell’antagonismo religioso, senza chiedersi a chi gioverà, in definitiva, tale antagonismo. E’ il caso, forse, che, al contrario, cristiani, islamici ed ebrei si siedano intorno ad un tavolo per esaminare la situazione e verificare se esiste un comune nemico che rischia di utilizzare le tre fedi abramitiche allo scopo di imporre una neo-religione globale alternativa a quelle tradizionali (cristiani, islamici ed ebrei, almeno quelli spiritualmente consapevoli, sanno molto bene che il “Nemico” esiste e che non ha natura umana ma angelica, di volta in volta variamente denominato al-Djjall, il Mentitore, l’Impostore, l’Avversario, l’Anticristo, il Figlio della Predizione, Colui che si oppone, Il Caduto, l’Omicida, etc.).
A parziale riprova della evidente radice nichilista, dunque moderna e postmoderna, dell’ideologia dei criminali dell’Is va osservato che essi, non a caso, usano egregiamente la tecnologia occidentale più raffinata, proprio quella che ha permesso l’egemonia mammonica dell’Occidente. Prima ed insieme che essere criminali sono anche imbecilli perché non si rendono conto di fungere da utili idioti per cementare un mondo, quello occidentale, che senza un nemico esterno, vero o presunto, continuerebbe, come d’altronde farà, ad affogare nei gorghi delle sue contraddizioni dovute alla mancanza di salde fondamenta metafisiche.
Nella gestione della pluridecennale crisi vicino-orientale l’Occidente – ormai lo riconoscono persino coloro che a suo tempo sono stati ultrà della politica neoconservatrice di Bush – ha fatto enormi errori strategici e di valutazione. Tuttavia chiediamoci in quale modo, dopo Parigi, esso ha risposto, tra choc e fobia di massa, al dramma in atto che lo ha duramente colpito? Ancora una volta ricorrendo alla retorica dello scontro di civiltà ed innalzando orgogliosamente le bandiere della sua concezione del mondo, quella che, dietro il seducente slogan “liberté, egalité, fraternité”, sin dal 1789, sta in realtà realizzando il potere totalitario del Mammona.
In apertura della partita di calcio tra le nazionali francese ed inglese, l’intero stadio, sia la tifoseria transalpina che quella d’oltremanica, ha cantato all’unisono la Marsigliese mentre i giocatori della due squadre cantavano a loro volta abbracciati. Contemporaneamente, nello stadio di Istanbul, in Turchia, il pubblico ha risposto all’invito ad un minuto di silenzio, in memoria delle povere vittime di Parigi, con urla, fischi e slogan contro l’Occidente. Fischi, certo, esecrabili ma, per rovescio, significativi del sostegno alla ambigua politica di Erdogan che non nasconde, visto che l’Is combatte i curdi, secolare spina nel fianco dello Stato turco, simpatie per il Califfo. Si badi, però, che questo non spiega del tutto quei fischi anti-occidentali nello stadio di Istanbul. Infatti, i turchi, nonostante Erdogan, non hanno, generalmente, un rapporto fondamentalista con la fede islamica. Quasi un secolo di kemalismo modernizzatore e laicizzante non è passato invano, come dimostra la continua ribellione, in nome degli stessi valori occidentali, contro il potere neo-ottomano di Erdogan. Ed allora a chi fischiavano i tifosi turchi durante il minuto di silenzio? Una domanda che nessuno, nei media occidentali, si è posto al di là dell’esecrazione dell’offesa alle vittime parigine.
E se i turchi, lungi dall’intenzione di offendere la memoria delle vittime del terrorismo, avessero soltanto voluto rispondere al modo nel quale l’Occidente ha mediaticamente, e quindi globalmente, posto la questione della strage parigina, oggi come a gennaio in occasione dell’assalto a Charlie Hebdo, ossia alla stregua di un attacco di civiltà, un attacco alla sua civiltà ovvero agli “immortali principii” del 1789 che, dopo aver sradicato le radici cristiane del Vecchio Continente, portati con la sopraffazione e la violenza negli altri continenti, per i popoli extra-europei hanno sempre avuto il volto del dominio coloniale, fino alla bushista esportazione manu militari della democrazia ad imitazione di quanto già perpetrato, proprio nel XVIII secolo, dalle truppe della Francia rivoluzionaria con l’invasione dell’intera Europa e l’inaugurazione della moderna guerra ideologica in luogo dell’antica guerra dinastico-territoriale?
L’Occidente è solito accusare l’Islam per la sua incapacità di separare la sfera del religioso da quella del politico e del civile. Separazione che l’Occidente avrebbe invece conquistato per merito di Lutero e di Locke. Tuttavia la distinzione (non la separazione) tra Sacro e Politico non l’hanno inventata né Lutero né Locke ma è nel Vangelo. Esiste, però, un modo di intendere questa distinzione che è altrettanto “terrorista” del fanatismo dell’Is. Tra gli intervistati parigini, i telegiornali hanno mandato in onda la dichiarazione, a modo suo esemplare, di un giovani, ai piedi della statua della Marianne, un coetaneo delle povere vittime, che ha detto: “Loro uccidono in nome della religione, noi rispondiamo in nome dell’Umanità”. Non so se nelle sue intenzioni la parola “umanità” doveva essere usata con la maiuscola. Sono, però, sicuro che, se l’avesse scritta quella parola, il giovane in questione così avrebbe fatto. Ora, questo giovane non avrebbe potuto meglio di così individuare nell’ideologia umanitaria il vero fondamento della Francia e dell’Occidente. Anche in passato – è vero – si è usato il Nome di Dio per uccidere. Ma il mondo moderno in nome dell’Umanità ha fatto lo stesso, e con una potenza di fuoco, se non altro per il progresso tecnologico, molto più alta. Anzi, non solo in passato: proprio l’Is e le esportazioni bombarole della democrazia dimostrano che le aberrazioni in questione sono cose anche dell’oggi e quindi si potrebbe dire tentazioni umane di sempre.
Come cattolico conosco bene gli errori, contrari al Vangelo, dei miei correligionari del passato, pur comprendendoli nel contesto dei loro tempi che era tale da non farli sembrare, loro, errori (e spesso effettivamente non lo erano, almeno laddove era in gioco uno scontro sui contenuti essenziali delle fede e della stessa possibilità di preservarla). So, però, bene che nel tempo, e non solo dal Vaticano II in poi, la stessa Chiesa ha meglio compreso la Rivelazione, la – si badi – medesima ed unica Rivelazione che, lungi dall’essere una elaborazione storicisticamente condizionata, tuttavia si è data all’uomo un poco alla volta fino all’adempimento definitivo in Gesù Cristo. L’ebraismo, non tutto (non gli ultraortodossi fanatici), ha fatto un percorso simile almeno in Europa. L’Islam forse lo ha fatto nelle sue élite religiose, in particolare in quelle sciite (tra l’islam iraniano, più colto e più tollerante, erede anche della Persia pre-islamica, e il fanatismo salafita non ci possono essere paragoni). Per complesse ragioni storiche, tra le quali il colonialismo occidentale, i paesi di matrice arabo-mussulmano non hanno conosciuto alcuna modernizzazione, nonostante i tentativi dei regimi “nazionalsocialisti” di Gheddafi, di Saddam Hussein e di Assad. Ma quella del socialismo arabo, una sorta, a dire il vero, di fascismo orientale, è stata una modernizzazione non del tutto compiuta benché sia stata importante. Tributaria, in ogni caso, di una ideologia comunque di matrice europea. Si aggiungano le contraddizioni sociali in quell’Occidente dal quale provengono molti dei militanti dell’Is, compresi gli stragisti parigini, ed il mix esplosivo è bello e pronto.
Quel che, in un’ottica abramitica, deve invece essere posto in evidenza, tanto dai cristiani quanto dagli ebrei e dagli islamici, è piuttosto il contenuto “luciferino” della dichiarazione del giovane parigino di cui sopra. Essa, infatti, afferma una sorta di diritto all’autosalvazione che è, biblicamente e quindi anche coranicamente, la tentazione perenne dell’uomo. I fanatici dell’Is, in fondo, agiscono nella stessa ottica “umanitaria” di autocostruzione del mondo: pretendono di imporre loro a Dio come e quando intervenire nella storia, riducendo così la fede ad una ideologia, invece di aspettare, pregando, che la salvezza del mondo giunga misericordiosamente, come un dono di grazia, dall’Alto.
I Neturei Karta (“Guardiani della Città”), un gruppo di ebrei ortodossi ma non fanatici, tra gli ultimi esponenti dell’originario atteggiamento di rifiuto del sionismo da parte dell’ebraismo tradizionale, non riconoscono lo Stato di Israele, creato dai sionisti con la astuzia politica e la violenza contro gli arabi, anzi lo considerano un fatto blasfemo agli occhi dell’Onnipotente, perché, dicono, il ritorno degli esuli alla Terra Promessa ed il ristabilimento di Israele, nella Pace con i non goym che per essi non sono meno degli ebrei al cospetto di Dio, avverrà solo quando e come l’Altissimo vorrà e non con mezzi ed inganni politici e militari. Per questi ebrei “tradizionalisti” il grande peccato dei sionisti è quello di voler forzare la mano a Dio. Esattamente come fanno i fanatici dell’Islam (o anche del Cristianesimo, si pensi ai protestanti fondamentalisti americani). I rabbini “modernisti”, ormai la maggior parte, che hanno invece abdicato al sionismo vedono in esso, al contrario, lo strumento, laico ma inconsapevole, di Dio per ristabilire Israele. Ecco, questa è la incolmabile differenza tra una posizione religiosa, per sua natura di Pace, ed una posizione “auto-costruttivista” come sono, anche, quelle falsamente religiose ma sostanzialmente ideologiche: chi si pone nella prima prospettiva aspetta la salvezza come dono, chi si pone, invece, nella seconda la pretende come diritto e vuole realizzarla come progetto mondano. Gli esiti sono diametralmente opposti e possono simbolicamente rappresentarsi con, da un lato, san Francesco che predica al sultano la Pace di Cristo e, dall’altro, dato che siamo in argomento, con la tragica sera parigina del 13 novembre scorso.
Mi si consenta di aggiungere, ad estremo chiarimento, una considerazione intra-abramitica. Il Dio “misericordioso e lento all’ira” degli ebrei, del Vecchio Testamento che è anche cristiano, ed il Dio “clemente e misericordioso” dell’Islam, è innegabilmente, non solo da un punto di vista culturale e storico, lo stesso Dio cristiano, lo stesso Dio di Gesù Cristo, Seconda Persona della Uni-Trinità Divina. Nell’ebraico biblico, oltre a “hesed” dal tono piuttosto maschile e legale anche se non privo di richiamo alla gratuità dell’amore, il termine usato per indicare la Misericordia di Dio è “rahamin” (da “rehem ossia grembo materno) che ha il senso dell’“amore viscerale ed assolutamente gratuito, fino al sacrificio di sé, della madre per il proprio figlio” (ad esempio in Isaia 49,15). In quanto cattolico, dunque, posso rivendicare come propri del Dio cristiano non solo la viscerale misericordia a Lui attribuita dall’Antico Testamento ma anche gli attributi “clemente e misericordioso” che gli islamici riconoscono propri della Natura di Dio.
Per noi cristiani, ebrei ed islamici sono attualmente soltanto “fratelli in Abramo”. Nell’attesa di poterli chiamare anche “Fratelli in Cristo” come promesso dal Signore nel giorno che nessuno, al di fuori di Lui, conosce. Gli ebrei sono rami separati dall’Olivo Santo di Israele ma nella promessa del reinnesto quando la benda dei loro occhi finalmente cadrà per riconoscere in Gesù di Nazareth il Messia; gli islamici sono in attesa, coranica, della Venuta Escatologica di Isa, il Figlio di Myriam Sempre Vergine e Verbo, o Segno, di Allah, benché essi non sappiamo attualmente cogliere tutto il profondo senso incarnazionista e divino-umano di questa denominazione – Parola di Dio – che il Corano attribuisce a Gesù.
E’ per questo che, da cattolico, dico con estrema chiarezza e franchezza ad ebrei ed islamici che un Dio “lento all’ira”, un Dio “clemente e misericordioso”, non è tale se kenoticamente non si incarna, non assume su di Sé quella natura umana, originariamente creata a Sua Icona, per redimerne, nel Sacrificio d’Amore della Croce (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, Gv. 15,13), debolezze, miserie, fragilità. Senza Incarnazione – che inizia con la Sua Rivelazione, mediante Israele, nella storia umana, per adempiersi compiutamente e definitivamente nella Sua Umanità ipostaticamente unita alla Sua Divinità –Dio, il Dio di Abramo, resta lontano, inaccessibile, inattingibile. Se Dio non si fa Uomo come potrebbe essere lento all’ira, clemente e misericordioso? Sarebbe solo Dio di Giustizia. Ma, per nostra fortuna, in Lui la Misericordia sovrabbonda sulla Giustizia benché anche quest’ultima deve trovare la sua soddisfazione a causa del peccato dell’uomo. Il peccato adamitico è stato, anzi è, di natura tale che nessun uomo può porvi, da solo, rimedio. A meno che Dio stesso non provveda incarnandosi. Ecco perché senza la Divino-Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo non c’è salvezza, nessuna salvezza sarebbe possibile. Ed è su questo che i fratelli ebrei ed islamici devono ancora riflettere a fondo. Lo facciano anche alla luce del Vecchio Testamento come del Corano ma che lo facciano se vogliono giungere alla Pienezza della Promessa fatta da Dio ad Abramo. Quella Pienezza ha un Nome ed un Volto: quelli di Gesù Cristo.
Il dramma dell’Occidente post ed anticristiano – un dramma che, a ben pensarci, non poteva non manifestarsi proprio nella antiche terre nelle quali la Fede nell’Incarnazione di Dio aveva attecchito – sta in questo: nell’aver rovesciato la prospettiva del Dio che si fa Uomo in quella, ateistica e prometeica, dell’uomo che pretende (senza riuscirci) di farsi Dio.
Secondo la fede islamica il Corano è la Parola di Dio. Per questo il Libro è immutabile: perché consustanziale con Dio, della stessa Natura Divina (ciò non toglie che, poi, nell’islam, la giurisprudenza – non dimentichiamo che l’Islam è una religione a suo modo molto legalistica come l’ebraismo – possa fornire adattamenti esegetici del Corano alle varie diverse situazioni storiche). L’essenza della Parola di Dio è, coranicamente, l’Amore di Dio per l’uomo quale fondamento dell’amore tra gli uomini.
Nostro Signore Gesù Cristo, in polemica con il legalismo rigorista dei farisei, ci ha definitivamente rivelato che il cuore della Legge sta tutto nell’Amore di Dio e del prossimo (Mt. 22, 37-40). Ma come potrebbe Dio essere Amore e chiedere amore agli uomini se Egli stesso non fosse disposto a piegarsi verso i miseri – misericordia significa “avere cuore per i miseri” – fino all’estremo sacrificio di Sé? Come potrebbe Dio essere Amore se l’Amore non fosse ad intra la sua Essenza, la sua Natura? Infatti affinché ci sia Amore è necessaria la relazione tra Persone, altrimenti vi sarebbe solo il pur magnifico e glorioso solipsismo autoreferente di una Divina Monade chiusa in Sé stessa e per questo persino incapace di, amandola, concepire – si badi: in Sé, ossia partecipe di Sé – la creatura. Incapace, in altri termini, persino di creare.
Ma dire relazione in Dio significa dire relazione ad intra tra Persone eguali e consustanziali per Natura. Significa dire Trinità, Monoteismo Trinitario, nell’Amore tra la Persona del Padre e la Persona del Figlio, Amore che è a sua volta Terza Persona e che si riversa ad extra innanzitutto nell’atto creativo e poi in quello salvifico. Gli islamici non ancora comprendono che affermare la consustanzialità della Parola di Dio, del Corano, con Dio stesso è già dire, implicitamente, relazione intra-divina, è già affermare l’Amore che unisce essenzialmente Dio e la Sua Parola. Gratta gratta le sure, prima o poi gli islamici – ad alcuni di essi è già accaduto – scopriranno che lo stesso Corano porta al Mistero Trinitario di Dio e finalmente comprenderanno che la Parola di Dio non è, meramente, un Libro ma è Persona divino-umana. E’ Gesù Cristo Dio-Uomo.
Diventerà allora chiaro anche ad essi quanto già spiegato da Louis Massignon e da padre Giulio Bassetti Sani ofm, tra i più noti islamologi contemporanei, ossia che il Corano è profezia del Cristo Venturo, del Cristo della Seconda Venuta atteso anche dai cristiani (ed a modo loro dagli ebrei). L’Islam, pertanto, può ritenersi “sigillo della Profezia” solo a patto che abbandoni la sua infondata pretesa di essere l’ultima rivelazione, quella “perfetta”, e umilmente riconosca che Muhammad – il quale ha sempre ammesso che l’al-Ghayb della sura 7, ossia il Mistero Divino per eccellenza, non gli è stato rivelato – è sì, pur a posteriori (ma in Dio ciò che per noi è temporalmente antecedente e successivo si da invece nell’eterna contemporaneità), nella linea della profezia veterotestamentaria ma, appunto, in quanto tale, come qualunque profeta, impossibilitato ad accedere definitivamente e pienamente al Mistero Divino che è il Logos, la Parola di Dio colta nella Sua Essenza. A meno che quella Parola non si dia all’uomo in forma umana ossia incarnandosi come è avvenuto all’annuncio a Maria dell’arcangelo Gabriele, lo stesso che annuncia a Muhammad, in preda alle febbri mistiche, le sure del Corano.
Noi cristiani abbiamo il diritto-dovere di sollecitare i nostri fratelli abramitici, ebrei ed islamici, a comprendere che le loro vie, se ben intese, portano inevitabilmente a Nostro Signore Gesù Cristo, Signore del cosmo e della storia. Perché al di fuori del Suo Nome non c’è salvezza.
La prospettiva mistica e teologica come si vede, se colta nella Luce del Signore ossia immune da riduzionismi esegetici e strumentalizzazioni ideologiche, può aprirci possibilità inedite di convivenza senza massonici indifferentismi e relativismi. Non a caso mentre siamo ancora qui a medicare le ferite parigine ed a pregare per le vittime, si sta per aprire il Giubileo della Misericordia. La data non è casuale: l’otto dicembre, festività della Immacolata Concezione di Maria, Madre della Divina Misericordia. Il credente sa che nulla accade a caso nella storia e che Dio ci parla mediante segni concreti.
Un’ultima riflessione sulle scelte che l’Islam europeo dovrà inevitabilmente fare in un contesto secolarizzato come quello occidentale. Credo che il benessere occidentale smorserà, prima o poi, il fondamentalismo. Ma solo a lungo andare. Nell’immediato la reazione è quella “antagonista” che abbiamo visto emergere proprio nei mussulmani europei di seconda generazione alle prese con il vuoto del nulla, con il quale gli occidentali ormai tristemente convivono da decenni. Ora però esiste un ulteriore problema, quello spirituale. Intendo dire che se la secolarizzazione smorzerà il “jihad”, mal inteso come guerra esteriore, al tempo stesso essa, però, annichilirà la spiritualità islamica. Questo è già accaduto ai cristiani occidentali. Ma il Cristianesimo ha, però, saputo ritrovare una migliore qualità della propria, benché ormai minoritaria, dimensione religiosa. I tradizionalisti cattolici lamentano la scomparsa della Cristianità che, certo, addolora anche me. Sul piano storiografico difendo, a spada tratta, le ragioni della perduta Cristianità contro tutte le mistificazione e false “leggende nere”. Ma è inevitabile riconoscere che la Cristianità è alle nostre spalle e che non sarà un decreto legge, ossia l’affermazione politica di forze conservatrici, a restituircela. Se, però, la perdita della Cristianità dovesse significare ritrovare ad un livello più alto le ragioni della fede, allora forse se ne può scorgere il senso provvidenziale di prova con cui Dio sta saggiando la fede dei cristiani. La nostra speranza non può, certo, non essere quella che un domani possa risorgere un’altra Cristianità, consapevole ed immunizzata dagli errori della precedente Cristianità in modo da non ripeterli. Una Cristianità migliore. Tornando all’Islam, se, quindi, il “virus” della secolarizzazione dovesse agire anche su di esso, quello che c’è da augurarsi è che esso sappia rispondere come ha fatto il Cristianesimo. Questo comporterà, inevitabilmente, una non rinviabile riflessione, intra-islamica, sui rapporti tra sharia e legge civile. Con buona pace delle illusioni dell’imam di Bruxelles, se l’Islam riuscirà a fare questo allora ritroverà, migliorata, anche la sua dimensione religiosa. Altrimenti potrebbe deflagrare nella tensione, esercitata sugli stessi mussulmani, tra i seducenti richiami della secolarizzazione occidentale e l’ingannevole fondamentalismo jihadista. Non sarebbe da escludere neanche una tragica “guerra civile” intra-islamica.
A conclusione di queste riflessioni, non è possibile, naturalmente, che lo scrivente si esima da qualche considerazione più terrena, politica e geopolitica. Dunque qualche parola sul cosa fare, concretamente, dopo Parigi bisogna spenderla, anche a chiarimento, per eventuali imbecilli intellettualmente trogloditi, che queste riflessioni se certo non sono filo-occidentali non sono, però, né una apologia della follia terroristica né una svalutazione della gravità dei fatti parigini.
Che, in concreto, si debbano unire le forze – occidentali, russe, arabe, iraniane – per debellare militarmente l’Is è cosa talmente chiara ed evidente che non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo. Sembra, finalmente, che ora anche americani ed europei lo abbiano compreso, tendendo una mano a Putin.
Sostengo la immediata necessità di una azione militare mirata contro l’Is. Per questo ho approvato la decisione di Putin, precedente ai fatti parigini, di intervenire direttamente nel Vicino Oriente – diciamolo pure: egli è l’unico vero statista sulla scena internazionale attuale – benché tutti la sappiamo motivata anche dagli interessi geopolitici russi in Siria. Ma, chiarito questo, bisogna poi anche valutare chi, e con quali scopi, parteciperà all’azione. Perché il problema è soprattutto pianificare il futuro, il post. Questa mancanza di programmazione, oltre all’improvvisazione, è stato un ingrediente tragico del dramma apertosi con la guerra bushista in Afghanistan ed in Iraq, che ci ha condotto al punto attuale. Chi governerà dopo lo sradicamento dell’Is in quelle terre come anche, dopo Assad, in Siria? E chi bisogna aiutare nel caos libico, visto che proprio i francesi hanno la grande storica responsabilità di aver aperto il vaso di pandora del dopo Gheddafi? Con la sconfitta dell’Is avremmo davvero risolto tutti i problemi compreso il terrorismo in Europa? Oppure è necessario, appunto, che l’Occidente la finisca con la sua “Israelolatria” e finalmente imponga ad Israele un limite ed il fermo rispetto dei patti sanzionati dall’Onu, naturalmente, imponendo, di contro, anche al mondo arabo il rispetto di un Israele tornato nei suoi originari confini? In una tale prospettiva, inoltre, almeno la città vecchia di Gerusalemme, centro universale per le tre fedi abramitiche, deve essere internazionalizzata. Essa non può, per via della sua storia ed universale importanza religiosa, essere derubricata a parte della capitale di uno Stato nazionale. Sarà necessario anche che sauditi e qatariani la smettano di destabilizzare il Vicino Oriente finanziando l’Is contro l’Iran, il quale ha ormai abbandonato ogni velleità nucleare se mai l’ha davvero coltivata, e che Erdogan abbandoni il suo impossibile sogno neo-ottomano.
Come si vede, alla fine, il problema del terrorismo potrà – e sia chiaro: dovrà ed anche al più presto – essere risolto abbattendo l’Is ma nulla ci assicura che in futuro esso non rinasca in qualche forma se non saranno risolti i problemi atavici di quelle terre. Purtroppo sotto questo profilo è vero quanto dicono in molti ossia che questa guerra, la prima guerra globale ed a-statuale, durerà decenni.
Ho letto, di recente, queste parole di un commentatore ai fatti parigini, che si lamentava dei madornali errori geopolitici e strategici dell’Occidente: “Ma una cosa la devo dire: smettiamola con quello che abbiamo fatto negli ultimi 14 anni. (…). Lasciamo il Medio Oriente da solo”. Questa posizione sembra in apparenza saggia ma non lo è e, soprattutto, nel suo ingenuo ed arrendevole irenismo, non tiene conto di due questioni:
  • l’Occidente non sta nel Vicino Oriente per fare una gita culturale ma per il controllo delle fonti petrolifere, essenziali per la sua economia;
  • Come la mettiamo con Israele? Lo sappiamo tutti che la lobby ebraica ha un enorme potere di influenza sulla politica americana (senza il suo consenso in Usa non si vincono le elezioni) e che, quindi, gli Stati Uniti sono inevitabilmente costretti a favorire Israele, sicché giammai lasceranno il Vicino Oriente ossia non lasceranno mai Israele alla mercé dei suoi nemici alcuni dei quali, d’altronde, pur avendo molte buone ragioni, ma non tutte, per avercela con lo Stato sionista, volentieri godrebbero della sua scomparsa, cosa che, però, ed i nemici politici dello Stato di Israele a loro volta non se ne rendono conto, sarebbe non la conclusione del dramma orientale ma l’apertura di una sua altra, e ben più complicata e drammatica, fase.
Ergo, l’Occidente non può, pure se lo volesse, lasciare il Vicino Oriente. Ma con tutta evidenza non può però neanche continuare nella sua politica esclusivamente e partigianamente filo-israeliana senza mettere in conto che, in questo modo, la risposta sarà sempre e comunque di tipo violento. Che tale violenza trovi giustificazioni nazionaliste, come in passato, o religiose, come oggi, non cambia nulla per un Occidente cieco nella convinzione della superiorità dei suoi “immortali principii” antimetafisici ed annichilenti.
Come diceva Benedetto XVI, i popoli extra-occidentali non rifiutano, di per sé, la fede cristiana ma hanno paura del vuoto che l’Occidente porta con sé insieme alla sua potenza tecnologica ed economica.
 Luigi Copertino

vaticano: la "Corte" degli altri era la lebbra del papato

sesso bugie e padrini politici 

io e la chaouqui amanti e nemici



ROMA - Nel memoriale che monsignor Lucio Vallejo Balda ha consegnato al primo avvocato (poi sostituito) l'8 novembre scorso c'è la confessione dei suoi rapporti, anche carnali, con Francesca Immacolata Chaouqui. Ci sono le sue convinzioni preoccupate: "Lei era dei servizi segreti, aveva dietro Bisignani". E c'è il racconto di tutti gli amici importanti della pierre assurta a commissario delle finanze del Vaticano per volontà di Papa Bergoglio.

I GIORNI DELLA TENTAZIONE
"Io non potevo cedere ... Avevo sempre il Papa davanti agli occhi che parlava della sacralità delle donne sposate e del matrimonio ", si tormenta monsignore. È il momento più drammatico della confessione a proposito del suo rapporto con la Chaouqui, uno dei commissari alle finanze della Santa Sede.

Sono trascorsi sei giorni dal suo arresto e monsignore detta il suo memoriale sulla diffusione delle carte segrete della Prefettura economica di cui era il segretario. "Repubblica" presenta questo documento mentre oggi, al processo sul caso Vatileaks, sia il monsignore spagnolo sia la pierre cosentina saranno interrogati dalla Corte. Sul tavolo, una prima importante decisione presa nei giorni scorsi: il rifiuto da parte della corte della richiesta avanzata dal legale d'ufficio di Balda (tutti gli imputati di questo processo presso la Santa Sede non hanno avvocati di fiducia) di sottoporre il suo assistito a una perizia psichiatrica.

"Io racconto della Francesca, ma per me es muy doloroso... Io mi vergognavo di quello che avevo fatto con Francesca e quando passavo i documenti pensavo allo scandalo, se si sapeva. Mio Dio". Continua: "Lei mi disse che apparteneva ai servizi segreti italiani e che la sua unione con Corrado Lanino era un matrimonio di copertura. Mi mandò delle foto di Corrado con un'altra donna, la sua vera moglie".

Francesca Chaouqui viene presentata al monsignore nei primi mesi del 2013. Il suo nome viene fatto, sostiene Vallejo Balda, dal cardinale Jean-Louis Tauran, amico della contessa Marisa Pinto Olori del Poggio, presidente della Fondazione I Messaggeri della Pace e nobile molto vicina alla Chaouqui. Quando viene nominata la Commissione Cosea, con l'incarico di riformare le finanze della Santa Sede, il nominativo della donna viene quindi fatto a Papa Francesco dallo stesso Vallejo Balda, anche in considerazione dell'indicazione del cardinale Tauran.

QUELLA NOTTE A FIRENZE
La Commissione conclude i suoi lavori nel maggio 2014. La Chaouqui si conquista la fiducia del monsignore. È lei che presenta una società di informatica riconducibile al marito, che resta a fare da consulente all'interno della Prefettura degli affari economici. Alla chiusura della Cosea, dice Balda, "la Chaouqui si aspettava un incarico importante, ma questo non accade a causa dei pettegolezzi che la circondavano". A giugno - continua il memoriale - Corrado Lanino chiama il monsignore chiedendo perché la moglie piangesse e perché non avesse ricevuto una nomina. Balda, che - sostiene ora - aveva un debole sentimentale nei confronti della donna, acconsente a che lei lo aiuti per completare l'archivio della Commissione, insieme a Nicola Majo, suo segretario.

Il monsignore spagnolo mette per iscritto che la Chaouqui lo ha sedotto a Firenze il 28 dicembre 2014. Lui, subito dopo avere consumato, si pente, e cerca di allontanarsi dalla donna. Però la teme. "Io ho avuto paura di questo... Lei aveva tanti numeri di telefono". Cerca di stanare la sua collaboratrice. "Sono andato a parlare con il capo dei servizi segreti, lui neanche la conosceva, rimasi sorpreso, iniziai così a chiedere informazioni e tutte le volte scoprivo sempre truffe diverse".

Il rapporto fra i due si fa difficile. "Io mi ero confrontato con una psicologa, che mi disse di tenerla calma, di non dirle subito di no, e allora le dicevo: "Va bene Francesca, vediamo...". Ma lei era violenta, muy cattiva, mi scriveva "verme, sei un verme" ". Un litigio durissimo avvenne per la serie del regista Paolo Sorrentino in Vaticano. "Francesca mi scrisse che voleva la mia autorizzazione per la troupe di Sky. Io le dissi: no se puede, porqué ci vuole l'autorizzazione della Gendarmeria. Lei mi mandò un whatsapp e mi scrisse che ero un coglione".

L'incontro con i giornalisti che scrissero i due libri-inchiesta avviene a marzo 2015. "Francesca mi organizzò un aperitivo. Quando arrivai vidi Nuzzi che già conoscevo, ma feci finta di non conoscerlo".

Davanti alle richieste dei due giornalisti, monsignore dice di aver soggiaciuto "e ho passato i documenti ". Ancora: "Ho cercato di dare quelli meno pericolosi e dannosi, o di scarso valore". Passerà anche cinque fogli con le password dei file criptati tenuti nel suo indirizzo di posta. Lanino e la Chaouqui, mette a verbale mosnignor Balda, detengono le password del suo indirizzo e-mail.

LA CERCHIA DI PROTETTORI
"Il 12 dicembre ricevo un invito a pranzo da Luigi Bisignani. A quell'incontro volevano farmi credere che Francesca lavorava per i servizi segreti, che il suo capo era l'ambasciatore Massolo. Con Bisignani la Chaouqui aveva complicità e lui mi chiese di incontrare alcuni suoi sponsor. Grazie a Dio il secondo pranzo non c'è mai stato... Dietro Francesca c'è Paolo Berlusconi (ma forse si confonde con Silvio, ndr): lei assisteva in modo abituale alle feste di Palazzo Grazioli, a Roma. E poi è amica di Gianni Letta e di sua moglie, del cardinale Touran, lo chiamava il cardinale di nostra proprietà. E anche del cardinale Re. Il loro contatto con la Santa Sede è Padre Sapienza, che gestisce le udienze del mercoledì del Papa... Francesca ha una grande relazione con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il marito del ministro lavora in Rai. La Chaouqui dice che è lì per volontà di Renzi". Ancora: "Carlo Carrai (il riferimento è probabilmente a Marco, amico del premier, ndr) è molto vicino a Francesca, lei è andata al suo matrimonio".

GLI SCONTRI NELLA COMMISSIONE
"Nella Commissione Cosea c'erano persone lì per fini personali. Uno era il presidente Joseph Zahra, l'altro Jean Baptiste de Franssu, il presidente dello Ior. Mi arrivavano notizie inquietanti sulle loro attività, tutti i giorni. Ad aprile 2014 io, Francesca, suo marito e Nicola Majo abbiamo fatto un dossier e a maggio l'ho portato al Papa. Francesco mi ha chiesto di darlo al cardinale Pell, che ha reagito con aggressività e ha ignorato le mie informazioni. Quelle erano persone di sua fiducia".

http://www.repubblica.it/vaticano/2015/11/30/news/_sesso_bugie_e_padrini_politici_io_e_la_chaouqui_amanti_e_nemici_-128460857/?refresh_ce

domenica 29 novembre 2015

Vatileaks: come amare la chiesa

Vatileaks, le responsabilità di cui nessuno parla
di Ettore Gotti Tedeschi


Avendo avuto personalmente una esperienza, molto sofferta, nel 2012 su temi assimilabili (Vatileaks 1) e molto simili nello svolgimento a quelli di Vatileaks 2, desidero fare un paio di osservazioni per i lettori, al fine di contribuire alla comprensione di questi fatti senza far vacillare il nostro amore per la Chiesa.
La prima osservazione riguarda i fatti che sono stati considerati  “scandalosi” (l’uscita e pubblicazione dei documenti). Qui ci sono quattro attori che hanno differenti responsabilità, ma solo i primi due attori sono imputati e oggetto di attenzione. Il primo attore è composto dai giornalisti che hanno pubblicato nei libri i documenti, prendendosi coscientemente, o no, la responsabilità di farlo. Il secondo attore è composto da tre persone accusate di aver fatto uscire detti documenti, esse dovranno spiegare perché lo hanno fatto. Gli altri due attori che seguono appaiono esser vittime dei primi due. Il terzo attore è composto da quelli che con il loro comportamento personale hanno originato quelli che sono definiti scandali o illeciti, o persino solo “errori”. 
Il quarto attore è chi ha permesso questo comportamento, contribuendo a “smontare” le norme, le procedure e i sistemi di controllo che furono voluti a realizzati da papa Benedetto XVI nel 2010. E qui la responsabilità sale di grado e vuole attenzione. Ora, la sensibilità mediatica resta (come fu nel 2012) alta solo sul chi ha fatto cosa, ma non sul perché lo ha fatto e sul perché sia stato possibile farlo. Sembra proprio che si voglia concentrare l’attenzione sul dito, anziché su ciò che esso indica e va guardato. Ma sembra anche emergere il rischio che si pensi che nella Chiesa taluni sappiano vedere la pagliuzza nell’occhio del vicino e non la trave nel proprio. Se poi si volesse esser più approfonditi nella valutazione, si potrebbe persino sospettare che (come fu nel 2012 per i cambiamenti della Legge antiriciclaggio) si voglia distrarre l’attenzione pubblica da altri problemi importanti (quali la gestione del post-Sinodo). 
La seconda osservazione si riferisce alle mie preoccupazioni per la Chiesa, essendo convinto che questi avvenimenti non devono far vacillare il nostro amore per lei. Cristo è morto per la Chiesa per renderla con il Suo sangue “bella e pura da ogni macchia” (Ef 5,27), ma questa preoccupazione non sembra esser comune a tutti, nonostante la Chiesa sia la nostra ricchezza ed il presupposto della nostra ricerca di santità. Perciò vorrei ricordare in proposito ciò che scrisse Romano Guardini (Il senso della Chiesa, Morcelliana) «Anche sulla Chiesa incombe la tragedia di tutto ciò che è uomo e quindi difettoso. L’assoluto e perfetto si fonde con il limitato e imperfetto». E ancora scrive: «Per quanto possa sembrare paradossale, la imperfezione appartiene alla natura della Chiesa terrena. Si potrebbe quasi osare di riproporre l’equazione: le manchevolezze della Chiesa sono la croce di Cristo. É stato detto che noi ci faremo una ragione dei difetti della Chiesa solo quando ne intenderemo il senso. Forse il senso è questo: essi devono crocefiggere la nostra fede affinché cerchiamo veramente Iddio e la nostra salvezza e non noi stessi. Cosa avverrebbe di noi se davvero le debolezze umane sparissero dalla Chiesa? Chissà, forse diverremmo orgogliosi, egoisti e prepotenti. Non saremmo più fedeli per il solo motivo giusto, cioè per trovar Dio. Le manchevolezze della Chiesa sono la Croce, purificano la nostra fede. Dobbiamo amare la Chiesa così come è, solo allora la ameremo davvero».
http://www.lanuovabq.it/mobile/articoli-vatileaks-le-responsabilita-di-cui-nessuno-parla-14509.htm#.Vlow8dIvet9

Rorate Caeli

sabato 28 novembre 2015

come rubare Ostie consacrate

“Arte” contemporanea profanando il Corpo di Gesù. Il terrificante sacrilegio di Abel Azcona

L’orrore della profanazione della S. Eucaristia si rende “presentabile” nei “salotti buoni”: una sfacciataggine satanica, che dà i brividi (c’è quasi da augurarsi che le consacrazioni fossero invalide, ma purtroppo non lo possiamo sapere). Invito pertanto tutti i lettori a pregare e a far dire SS. Messe in riparazione. [Ilaria Pisa]

cuffmwduwaai9pt_6692_11

Abel Azcona ha 27 anni ed è originario di Pamplona. Si definisce un artista «multidisciplinare», specializzato nella cosiddetta «arte d’azione». Nessuno ha mai sentito parlare di lui e probabilmente nessuno ne sentirebbe mai parlare.
Forse anche per questo ricerca spasmodicamente la provocazione sopra le righe, l’eccesso smodato, la trasgressione urlata, superando non più soltanto il limite della decenza (non parliamo di buon gusto … ), bensì anche quello del rispetto del sacro. Per questo si è preso la briga di recarsi in diverse chiese di Pamplona e Madrid durante la S. Messa, fingere di comunicarsi e trafugare l’Ostia consacrata. [cosa che non sarebbe accaduta se non si consegnasse l’Ostia in mano, ndr] Questo per ben 242 volte. Poi ha usato le particole per comporre con esse, dopo averle gettate a terra, la parola «pedofilia».
Tutto questo, si noti bene, col Corpo di Cristo. La profanazione è evidente. E lo è anche il reato contro i sentimenti religiosi, regolato dall’art. 525 del Codice Penale spagnolo, che condanna chiunque si faccia beffa di dogmi, credenze, riti o cerimonie. A peggiorar le cose, la mostra dal titolo Desenterrados, allestita proprio in questi giorni da Azcona a Pamplona, dove ha esposto anche l’opera blasfema in questione. Pietosamente riscattata da una persona, che ha preferito rimanere anonima: ha tolto le Ostie consacrate dall’esposizione e le ha trasferite in una parrocchia, per por fine al sacrilegio. Solo in parte, però; purtroppo sono rimasti i pannelli con le immagini, che raffigurano minuziosamente le varie fasi della sua realizzazione.
Nella presentazione della mostra, Azcona ha dichiarato di voler con essa «riflettere sulle sofferenze propria ed altrui»… In realtà, le sofferenze le provoca soltanto agli altri. Non solo: la questione è divenuta subito politica, in quanto la manifestazione è stata allestita dallo scorso 20 novembre e sino al 17 gennaio dall’ amministrazione municipale di Pamplona, guidata dall’estrema sinistra di EH Bildu, nella sala pubblica di piazza Serapio Esparza, presso il monumento ai Caduti. Si tratta di locali di proprietà della Diocesi, ma ceduti negli Anni Novanta al Comune a condizione che il beneficiario vi svolgesse attività strettamente culturali ed educative, compatibili con la natura e la storia dell’edificio, dovendosi mantenere all’interno l’ordine ed il rispetto dovuto alla Cripta. È evidente come, in questo caso, tali condizioni non solo non siano state rispettate, bensì siano state palesemente violate.
Il Centrodestra con l’UpnUnión del Pueblo Navarro, ed il sostegno del Partito Popolare, ha presentato una mozione, in cui si bocciava la mostra, accusandola di «mancar di rispetto» ed anzi di attentare «alle convinzioni religiose di una parte della società». Ana Beltrán, del Ppn, ha bollato la mostra di Azcona come «riprovevole» ed «esecrabile». Ma il Parlamento di Navarra, grazie soprattutto al voto compatto delle Sinistre, ha respinto tale richiesta.
I motivi sono sempre gli stessi, triti e ritriti: la «libertà di espressione e di opinione», come sostenuto da Koldo Martínez, portavoce della formazione progressista Geroa Bai, mentre Adolfo Araiz, esponente della forza di estrema sinistra, EH Bildu, ha lamentato una «certa aria di censura»; sulla medesima linea anche i socialisti e Laura Pérez, di Podemos, che teme anzi «gravi rischi» e conseguenze da tali atteggiamenti.
La questione si è ora, comunque, spostata nelle aule dei tribunali: l’associazione degli Avvocati Cristiani ha sporto denuncia contro l’autore, accusandolo di «profanazione»; ma ha fatto anche sapere che, dipendendo ora l’utilizzo di quegli spazi dal Comune – dall’Assessorato alla Cultura, nello specifico –, qualora la mostra non fosse immediatamente sospesa, anche l’ente locale si troverebbe citato in giudizio con la medesima imputazione. Anche il governo spagnolo ha chiesto alla Procura di verificare se vi siano gli estremi di reato.
Intanto, l’agenzia InfoCatólica ha diffuso la foto dell’autore delle “opere”, Abel Azcona, affinché tutti, sacerdoti e fedeli laici, «memorizzino il suo volto», e, nel caso «cercasse nuovamente di comunicarsi, per fare in realtà incetta di Ostie consacrate», possano immediatamente assumere i provvedimenti del caso. Le agenzie Change.org Hazteoir.org, invece, hanno lanciato due pubbliche sottoscrizioni, che han raccolto in poco tempo circa 90 mila firme contro la mostra. Migliaia di fedeli han recitato il S. Rosario a Pamplona, dinanzi alla sede dell’esposizione di Azcona.
Per il 26 novembre è prevista una manifestazione di protesta dinanzi al Comune, per mostrare il netto ed assoluto rifiuto di simili offese a Cristo ed alla fede di milioni di cattolici. Per lo stesso motivo, è stato creato anche un blog, Respeto por Navarra. Lo sdegno è tanto e la reazione forte, questa volta, contro l’ennesimo, sacrilego spregio alla libertà ed al diritto fondamentale di dirsi e di essere cattolici. L’Arcivescovo di Pamplona, mons. Francisco Pérez González, ha deciso per oggi alle ore 19 la celebrazione contemporanea di due S. Messe di riparazione per il furto sacrilego di ostie consacrate: una funzione liturgica nella Cattedrale di Pamplona, celebrata dallo stesso mons. Pérez, e l’altra nella Cattedrale di Tudela, celebrata dal Vescovo ausiliare, mons. Juan Antonio Aznárez Cobo.
Non solo: in un’intervista rilasciata ad Alfa y Omega ha dichiarato che la Diocesi ha sporto una denuncia-querela in proposito. L’Arcivescovo ha anche scritto al Comune, affinché provveda a «ritirare questa esposizione con connotazioni sacrileghe contrarie alla nostra fede».
Ora, per renderci meglio conto di chi sia Abel Azcona, questo “illustre sconosciuto” che ammanta di sussiego artistico le sue profanazioni disgustose, possiamo leggere delle sue ultime gesta a Roma.
Si è infatti inaugurata il 16 novembre 2015 alla Galleria Rossmut, e per la prima volta in Italia (speriamo anche l’ultima … ), la personale di Abel Azcona. La mostra è il risultato della performance che Azcona ha realizzato in un albergo di Madrid il 28 e 29 marzo 2015: dietro pagamento di 100 euro, 24 partecipanti hanno avuto a disposizione un’ora di intimità da passare senza limiti con l’artista. Il ricavato è stato successivamente donato ad un progetto di reinserimento nell’ambito della prostituzione maschile a Madrid. Tutto si è svolto nel completo anonimato, ai partecipanti è stato richiesto solo uno scritto anonimo, sull’ora trascorsa. Le uniche testimonianze fotografiche ritraggono l’artista subito prima e dopo ogni ora di “prostituzione”.
Intervistato da Michela Casavola, l’artista si è così espresso: “Se i miei processi performativi non fossero al cento per cento reali non li farei. Questo è il motivo per cui sono compromessi con la mia vita reale, spesso essendo parte di essa, non distaccati. “Las Horas” è un momento totalmente libero, forse anche più libero di un processo di limitazione reale dove la prostituta solitamente dice di no, o mantiene sicurezza nel luogo dove opera. Nel mio caso, il no, non c’è. È un ritorno alle mie esperienze di abuso sessuale, è un ritorno alla vita di mia madre. Una ricerca di empatia con la mia notte di gestazione, ma più difficile, più sporca, più libera. Sottoponendo il mio corpo all’esaurimento dell’abuso consecutivo che implica la prostituzione. Non è più un abuso sessuale perché avviene con uno scambio monetario, piuttosto che con una pistola o con l’uso della forza. La realtà per me è una zona estrema. Ho vissuto in un ambiente estremo, pieno di povertà, maltrattamenti e abusi. Droga e sesso a pagamento. Questa è la realtà, ed è la realtà in cui mi sento a mio agio. E ho l’opportunità di portare questa realtà ad un pubblico di una galleria che può essere contaminata e trasformata con la mia reale prostituzione”.
Sta di fatto che la pagina facebook di Abel Azcona è seguita da più di 40mila fan, in continua attività e sempre in contatto con migliaia di amici. L’artista ha lavorato e lavora con gallerie in Spagna, a Bogotà, Lione e New York. Ora in esclusiva con Rossmut in Italia.
 Fonti: qui e qui

giovedì 26 novembre 2015

lettera al patriarca moraglia

Signor Patriarca Moraglia, ....


«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua …. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?  E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?  Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).

Vogliamo allora scrivere questa “Lettera aperta” al Patriarca di Venezia.


Mons. Francesco Moraglia è patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012.

Mons. Francesco Moraglia è patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012.Ecc. Rev.ma, Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia,
dire basiti è poco, ma il suo “discorso” ai funerali “laici” (sic!) non ci sono proprio piaciuti e, come cattolici seppur laici, abbiamo il dovere di dire come stanno le cose, e di rimanere vigili quando, chi dovrebbe vigilare, perde la bussola e si allea con il mondo.

La saggezza antica dice che “un funerale non si nega a nessuno” perciò, sia ben chiaro, che non abbiamo nulla contro “un funerale” specialmente se non cattolico perché ben sappiamo che ogni essere umano è costato caro prezzo, quindi non ci vengano attribuite intenzioni completamente estranee a quanto diremo anche perché preferiamo seguire il consiglio del vero Maestro e Signore Nostro Gesù Cristo +, Colui che ha pagato a caro prezzo la nostra libertà e salvezza (e diciamolo tutto intero questo Nome glorioso, visto che ora si teme di fare il Suo Santo Nome in pubblico per non dispiacere gli uomini): “Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; poiché il di più vien dal maligno” (Mt 5,37).

Veniamo al dunque suggerendo di leggere l’articolo di Renato Farina su Il Giornale – vedi qui – ne riportiamo un passo assolutamente da condividere:
Le motivazioni però di questo gesto pubblico meritano di essere discusse, anche perché la testimonianza di dignità data da questi genitori rischia di trasformare in dogma il loro giudizio. Il padre Alberto ha spiegato: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa, ma non ho contrarietà rispetto a una benedizione o all’intervento di un imam». Ha aggiunto: «Volevamo qualcosa che non fosse di proprietà di qualcuno, che non fosse divisivo, ma aiutasse a unire»
Come dire: la colpa delle divisioni, e alla fine, quello che favorisce il terrorismo, è l’identità dichiarata, è la croce. La croce divide. Non esiste religione di Stato, il cattolicesimo non lo è più.

Ma qui siamo ad una nuova religione di Stato, il cui segno è di non avere segni. Ciò che unisce, deve essere secondo quanto dice Alberto Solesin privo d’identità. Ne deriva che l’unica identità accettabile è la rinuncia ad amare proprie certe cose, certi segni, una tradizione, una fede. No, non è giusto. Èl’oicofobia (*), l’odio della nostra casa, tanto più se in essa sta appeso un crocifisso. Secondo questa religione di Stato laica sempre più maggioritaria avrebbero ragione coloro che pretendono di togliere dalle aule scolastiche il crocifisso. Invece noi siamo questo crocifisso. Anche chi non lo prega ne è costituito. E nei gesti pubblici è molto triste che sia additato persino nel dolore comune come simbolo di divisione”.

Ecc.za rev.ma, (o forse preferisce il più umile termine Padre Moraglia?) Lei e l’Imam siete stati messi sullo stesso piano perché, a questo padre di famiglia, colpito negli affetti più cari, è indifferente chi benedice, non ha contrarietà perché non gli interessa, è solo rispetto per Lei, e Lei in cambio ha fatto a meno di dire la verità ad un funerale.

Lei non ha fatto il Nome di Colui che è padrone della vita e della morte, di Colui al quale questa anima si è presentata.
Lo ha fatto per paura? Un giornalista laico è stato coraggioso.

Sì, cita il Salmo e nel Suo flebile discorso dice: ” l’uomo è questo fiore che, nonostante il vento che sradica, permane. Il salmo, poi, ricorda che c’è qualcosa che non viene meno: l’amore, l’amore di Dio che è “da sempre” e sa bene che “noi siamo polvere”… ma l’amore di Dio va accolto e non rifiutato! Non viene meno questo Amore, verissimo, ma non può sostituirsi a Dio e far credere alla Famiglia che la Figlia, perché uccisa in modo drammatico, sia quasi canonizzata!

Siamo polvere, siamo vasi di creta, la Bibbia contiene un mare di espressioni poetiche per definire la nostra miseria, ma qui c’è palese un rifiuto netto dei Genitori alla Bibbia e allora ci viene da chiederLe: perché citare il Salmo, perché usare questo termine generico “Dio” e censurarsi nel fare il Nome di questo Dio che ha una identità propria e che ha detto chiaramente che chi non crederà sarà condannato? (Mc 16,16)

Di che cosa aver paura?
La Chiesa eleva il pio suffragio per l’anima immortale del defunto, nella speranza della sua eterna salvezza, e ne onora con una degna sepoltura il corpo esanime, nell’attesa della sua risurrezione. Tale certezza nella risurrezione, perché Gesù Cristo è risorto pagando il riscatto anche per quell’anima, fa delle esequie una celebrazione di vita e di profonda serenità, pur nell’amarezza delle lacrime per il distacco e apre i credenti all’attesa di un rinnovato incontro con chi vive e ci aspetta lassù…

Queste sono le parole che un Patriarca, un Vescovo, un Sacerdote, un parroco, deve dire, a chiunque, specie se invitato a dire qualcosa anche se non si tratta di un funerale cattolico, altrimenti è meglio non andare.

E invece?: “Ci spiace non potervi aiutare come vorremmo. La vostra dignità ci sorprende e fa riflettere”.
A noi non sorprende affatto e non ci fa riflettere la scelta di un padre che è stato coerente fino alla fine con le sue idee che non ha voluto cambiare neppure davanti alla morte: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa …», a noi sorprende e fa riflettere la scelta della posizione della nuova chiesa nel piegarsi alle nuove regole del mondo.
Perché sia chiaro, un conto è rispettare le scelte di un padre, altra cosa è piegarsi a delle richieste che nessuno Le ha imposto, neppure questo padre colpito negli affetti più cari.

Non era obbligato ad andare anzi, poteva dire a questo padre affranto: “Non comprenda male le mie intenzioni, ma non verrò a questo funerale perché io sono un Vescovo e non un politico. Guardi, mentre voi starete in piazza a fare il funerale laico, io starò con il mio clero in ginocchio davanti al Tabernacolo, davanti a Gesù Cristo il quale, che lei creda o meno, è Colui che sta accogliendo in queste ore l’anima di sua figlia…”.

La scelta fatta è per noi immenso dolore e forte delusione.  Piegarsi alla politica corretta, ma esprime parole forti quali: “In nome di Dio, cambiate il vostro modo d’essere! Iniziate dal cuore, abbiate questo coraggio! Sì, si tratta del coraggio di dire: abbiamo sbagliato tutto. Chiedete perdono! Chiedere perdono è la dignità dell’uomo …”.
Belle parole ma rivolte a chi? Anche questi sono morti… Chiedere perdono a chi poi? ad un dio generico o a quel Dio Crocefisso del quale però non si ha il coraggio di fare il Nome santo e benedetto?
Inizia dal cuore è vero, ma se non è formato e i formatori hanno paura di dire in piazza la Verità … hanno paura di fare quel Nome santo e benedetto, come arriveranno mai a dire perdono?

Forse il Patriarca crede davvero che l’ateismo o il sincretismo di questo padre che, con orgoglio, ha detto che alla figlia non hanno dato alcuna educazione religiosa, sia meno devastante – per noi cristiani – di questi altri che uccidono con le bombe?

C’è modo e modo di uccidere qualcuno, e c’è modo e modo di morire, Lei dovrebbe saperlo meglio di noi che adesso saremo accusati di essere insensibili per quel che abbiamo detto, ma soprattutto per aver messo Cristo al centro, sì al centro anche di un funerale laicista perché, al di là di come la pensano gli atei o i sincretisti, noi crediamo davvero che solo Gesù Cristo è VIA, VITA E VERITA’, altrimenti perché è andato vestito pure da Patriarca, poteva andarci in borghese, tanto oggi va di moda e così non si urtano le coscienze di chi non crede in Cristo.

In questo funerale laicista e di piazza, caro Patriarca, si è negato, nascosto, censurato – si scelga il termine che si vuole – ad un vasto pubblico presente: la Via, la Verità e la Vita verso la quale questa anima è andata.

Ecc.za e amato Patriarca,
la delusione del Suo comportamento è davvero tanta.
Nella conclusione afferma che: “insieme alla Chiesa che è in Venezia, con tutte le confessioni cristiane presenti in questa città…”, quasi fosse ora il portavoce anche dei non cattolici, di fatto è stato onorato il ruolo di Patriarca che ricopre nella città, peccato che Lei non abbia onorato, pubblicamente, quel Crocefisso che ha un Nome, Gesù Cristo + e che le ha dato quel ruolo.

Ci siamo permessi molto con Lei in questa Lettera aperta, ma lo abbiamo fatto con l’affetto di figli feriti ed umiliati dalla Sua scelta, una scelta di partecipazione alla quale nessuno l’obbligava, ci permetta di concludere con un pensiero forse un poco cattivello, ma siamo persone sincere.

Facevamo davvero a gara nel desiderare che il Papa le donasse quella porpora cardinalizia, ma questa storia ci ha aperto gli occhi. 

Chissà, forse la porpora le giungerà o forse per colpa di questa non le arriverà più, il tempo lo dirà e noi comprenderemo allora tante cose.

Le lasciamo le parole di due Donne Dottore della Chiesa.
In questa con quelle parole di Santa Ildegarda, Dottore della Chiesa, quando scrisse al Papa Anastasio IV:
«O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto?
Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?
Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata.
Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata…
Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore…
O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!
Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».
E a terminare con Santa Caterina da Siena dove sollecita il mondo laico a servire Dio:
«Aiutate a favoreggiare, e a levar su l’insegna della santissima croce; la quale Dio vi richiederà, a voi e agli altri, nell’ultima estremità della morte, di tanta negligenza e ignoranzia, quanta ci si è commessa, e commette tutto dì. Non dormite più (per l’amore di Cristo crocifisso, e per la vostra utilità!), questo poco del tempo che ci è rimaso; perocché il tempo è breve, e dovete morire, e non sapete quando. Cresca in voi un fuoco di santo desiderio a seguitare questa santa croce, e pacificarvi col prossimo vostro. E per questo modo seguiterete la via e la dottrina dell’Agnello svenato, derelitto in croce; e osserverete i comandamenti»
(S. Caterina da Siena – Lettera CCXXXV – Al Re di Francia).
E qui i Pastori:
«Oimè, oimè, disavventurata l’anima mia! Aprite l’occhio e ragguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singolarmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dio. Vedete, padre, che ‘l lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa; e non si trova chi si muova a trargliele di bocca. (…)
Oimè, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli è il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sel furano con la superbia, tollendo l’onore che debbe essere di Dio, e dannolo a loro».
[Lettera 16 (XVI) di S. Caterina da Siena al card. Di Ostia, citata da Paolo VI nella Proclamazione della Santa a Dottore della Chiesa il 4.10.1970].
__________
(*) oicofobia: la paura di vedere invasa la propria sfera privata da parte di terzi, senza un manifesto benestare del soggetto interessato.

https://bergoglionate.wordpress.com/2015/11/26/lettera-al-patriarca-di-venezia-francesco-moraglia/