giovedì 23 maggio 2013

Papa Bergoglio e la Sacra Liturgia

Francesco e la liturgia: una "punizione" per i merlettari?

 

di Satiricus
Affranto e sconsolato, io come molti miei compagni di tradizionalismo, assisto al tramonto (o all’eclisse?) della riforma liturgica nella Catholica.
Sincopata dalle modifiche post-conciliari, la liturgia viva e imperitura della Chiesa semper reformanda (oggi invece – non so perché – si tende a ritenere che sia la liturgia a dover essere semper reformanda) ha tentato per qualche decennio la strada non proprio felice del miscuglio tra archeologia e innovazione, teologia e pastorale, ecumenismo e ragione. A miscuglio lievitato, ci è rimasta in mano una messa con più tribolazioni che turiboli.

Ad onor dei novatori va pur riconosciuto che dopo due Guerre Mondiali, una Guerra Fredda, rivoluzioni culturali e tecnologiche, attentati, scandali, inchieste e simili, non pochi hanno avvertito il desiderio di cambiare un po’ le cose: quelle che danno il pane. E all’utilità di pizzo e merletto per la Pace universale non hanno punto creduto. Per questo, quando i loro severi parroci hanno iniziato a far la concorrenza a Odette Bedogni e socie, i nostri spossati genitori se ne son preoccupati poco o niente.

Si è dovuto attendere un paio di scismi e quaranta anni buoni perché Benedetto XVI venisse a riordinare sistematicamente il rebelotto. Lo ha fatto ricordano cose importanti, ad esempio che la liturgia non è l’ultimo spazio del cristiano, che è essa è essenzialmente uno sguardo su Cristo prima che sui fratelli, che averla a cuore non significa fuggire il mondo e infine che il disprezzo attorno alle sagrestie è pur sempre segno di una qualche incoerenza negli ammodernati e secolarizzati predicatori di una carità quasi solo a sinistra.

Non male, per essere stato un perito conciliare. Sempre devoti a questo paladino che ha agito in caritate non ficta (2 Cor), ma anche con un coraggio e una lucidità non fictiMi inchino un po’ meno a quanti, sull’onda della riforma della riforma di Papa Benedetto XVI, ne hanno approfittato per riesumare dalle canoniche non solo vesti e pianete – precedentemente obliterate ad onta del diritto universale – ma anche almuzie, cappini, ferule, fibbie, flabelli, razionali, etc. Confermando così il pregiudizio – in un tempo già per sé inetto a giudicare serenamente su queste cose – dell’ispirazione museale di certi ambienti. E forse di certi Papi.

Per questo è arrivato Francesco. Sentenzio: il nuovo Papa Francesco è stato inflitto da Dio a castigo per tutti i peccati di quei tradizionalisti che hanno abusato delle intelligenti aperture del suo insigne predecessore. A beneficio di tante altre cose, ma a castigo di cotali. D’altronde io stesso, mentre gioisco per la prospettiva di una riforma della Chiesa – contro gli sfarzi, i sussieghi e le conventicole clericali variamente goderecce -, resto un po’ basito per le iniziali goffaggini liturgiche del Pontefice felicemente regnante.

Bene affermare il primato della carità. Ma per farlo è proprio necessario calpestare i riti, con quel loro deposito di valori anzitutto teologici e simbolici e solo indirettamente pratico-sociologici? Non c’è il rischio di tornare a una liturgia moralistica, fatta di azioni stilizzate con funzione parenetica (la quale giustifica ogni infrazione normativa, avendo come priorità la comunicazione all’uomo d’oggi, priorità evidentemente assente nel rubricale), oscurando la sua natura propria, che è appunto liturgica e religiosa?

Mi scuso per queste pubbliche condivisioni. E attendo gli sviluppi del caso. Certamente Francesco ha un progetto molto forte e presto ne scorgeremo i lineamenti. Altrettanto sicuramente la grassa parte della massa – laicale o clericale non fa differenza – va interpretando i suoi primi passi come autorizzazione alla trasgressione e alla manipolazione delle norme liturgiche. Ma in questo modo, non me ne abbia Sua Santità, la croce di ferro è cascata secca sul capo a noi che dalle basse file ci sforzavamo di bonificare le celebrazioni dallo sciattume imperante. Per qualche strana ragione poi, coloro che sono tanto presti nel cestinare i consigli cerimoniali di Benedetto XVI, non paiono altrettanto lesti nell’attuare i segni di povertà e rinuncia di Francesco. Che dire dunque? Servirebbe un confronto su sostanza e forma, nella convinzione che la seconda non è opzionale, ma resta pur sempre funzionale alla prima.

Ora, che la forma presa in se stessa rischi di irrigidire, è cosa che intuiamo tutti, per il semplice fatto che è uno dei dogmi della cultura europea in cui siamo cresciuti (si pensi all’esasperazione del “puro spirito”: da Lutero, a Hegel, ai suoi rovesci prima marxisti e oggi “femminicidisti”). Ironicamente, questo non basta a immunizzare i “nemici della forma” da esiti essi stessi grotteschi e formalisti. Così, per esempio, i progressisti che da due mesi inneggiano al ritorno delle scarpe nere del Papa, mostrano un feticismo “nero” non migliore di quello dei loro avversari “in rosso”. Il valore della forma si difende con argomento e contrario. La forma è così essenziale alla liturgia che chiunque la osteggi piomba per ciò stesso nei già noti paradossi degli scettici: e allora capita che, come in filosofia non posso cercare di liberarmi dalla verità se non tramite un argomento veritativo, così in liturgia non posso prescindere dalla forma se non facendone una questione di forma.

Ma che dire della sostanza (cui la forma sana anela)? La sostanza della liturgia – con buona pace dell’emozionismo schitarrante e della participatio collettivista – è rappacificare l’uomo col suo Creatore, spodestando il dominio secolare del demonio. In questo senso la liturgia ha un cuore esorcistico. Non si tratta di ricadere nell’amartiocentrismo, non si afferma che la realtà si comprende intrinsecamente a partire dal male; bensì si afferma il carattere strumentale della liturgia – ma strumentale, al modo in cui la retina è funzionale al vedere, uno strumento-non-facoltativo allo scopo – e se ne specifica il compito nella rimozione dello scandalo diabolico dal cuore del singolo uomo e dell’umanità. Il buon Francesco – che in quanto a feticismi non soddisfa nessuno, alternando l’oro e il metallo, il classico e il moderno – ha da subito stupito tutti per i suoi riferimenti al demonio, nonché per quel suo recente gesto di liberazione eseguito – da par suo – sotto gli obiettivi delle telecamere di mezzo mondo.

Nostalgico, ma non troppo, delle mozzette dei suoi predecessori, mi rincuoro nel vedere che Benedetto XVI non è stato davvero né l’ultimo esorcista, né l’ultimo liturgista. La lotta procede. E chissà che, imparata da Francesco la foga anti-satanica senza schermi, diverremo nuovamente capaci in futuro di viverla nelle forme cesellate della Tradizione cattolica di sempre.
 

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