sabato 30 aprile 2011

ASIANEWS 12 Ottobre 2006
LAOS


Verso gli altari
p. Mario Borzaga
ed il catechista Thoj Xyooj Paolo  



Aperto a Trento il processo di canonizzazione per padre Mario Borzaga e Thoj Xyooj Paolo.


Trento (AsiaNews) - Erano partiti, a piedi, per un giro missionario di un paio di settimane, nel nord del Laos, sulle piste montagnose della foresta tropicale, per rispondere ad una chiamata degli Hmong del villaggio di Pria Xoua, quasi ai confini con la Cina.

Padre Mario aveva 27 anni ed era un missionario OMI, Thoj Xyooj Paolo era un catechista, molto valido, malgrado i suoi 19 anni: intercettati dai guerriglieri comunisti del Pathet Lao sono stati uccisi.

I loro corpi, probabilmente gettati in una fossa comune, nella zona di Muong Met, sulla pista verso Muong Kassy, non sono mai stati ritrovati. Era l'aprile del 1960. Da questa causa, spiega il postulante della causa, padre Angelo Pelis O.M.I., compagno di studi teologici di padre Borzaga e missionario nel Laos fino all'espulsione del 1975, dal quale vengono molti "messaggi". "Uno in particolare - aggiunge - mi piace sottolineare: per farsi santo non c'è limite di età; per farsi santo non occorre fare cose straordinarie, anche se il 'martirio' è una grazia tutta particolare. Padre Mario non sarà 'santo' solo perché martire, ma ha meritato la corona del martirio per aver corrisposto, alla sua vocazione alla santità. Ci incoraggia ad imitarlo. Lo ha scritto lui stesso: “I santi non basta ammirarli, bisogna imitarli".

Padre Borzaga era nato a Trento il 27 agosto 1932. A 11 anni, entra nel Seminario minore, prima a Orena, a causa della guerra e due anni dopo a Trento, dove prosegue gli studi fino alla prima teologia. A 20 anni entra nella Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Il 24 febbraio 1957 è ordinato sacerdote. Riceve I' Obbedienza per il Laos il 2 luglio 1957 e il 31 ottobre salpa da Napoli con il primo gruppo di Missionari Oblati italiani. Padre Mario, con i suoi 25 anni, è il più giovane della spedizione. Dopo un mese di viaggio arrivano nel Laos. A Paksane, piccola città in riva al fiume Mekong, non lontana dalla capitale Vientiane, il Servo di Dio trascorre il primo anno dedicandosi allo studio del laotiano, per entrare il più presto possibile in contatto con la gente cui poter annunciare la Buona Notizia. Verso la fine del '58 raggiunge la comunità cristiana del piccolo villaggio Hmong di Kiucatiàm.

Egli si adopera per formare i catechisti, visita le famiglie, accoglie e cura gli ammalati, che si affollano quotidianamente alla sua porta. Domenica 24 aprile 1960, dopo la Messa, alcuni Hmong gli si fanno incontro rinnovandogli la richiesta di recarsi al loro villaggio di Pha Xoua, che è a tre giorni di marcia. Il giorno dopo, lunedì, padre Mario s'incammina accompagnato dal catechista Thoj Xyooj Paolo. Da quel viaggio non faranno più ritorno. Le ricerche intraprese in seguito alla scomparsa non daranno alcuna risposta. Le testimonianze raccolte fin dall'inizio, con quelle pervenute soprattutto in questi ultimi mesi, confermano l'uccisione dei due per mano del Pathet Lao. Era laotiano il catechista Thoj Xyooj Paolo, nato a Kiukatiàm, nel Nord, nel 1941. Era stato battezzato dal padre Yves Bertrais OMI. Nel 1955, a 14 anni, entra al seminario di Paksane, dove riceve il nome laotiano di Khamsé. Lascia il seminario anche per motivi di salute. Tornato a Kiukatiàm, nel 1958 va a Na Vam (Nord Laos, ai confini con la Cina) con il padre Luigi Sion OMI. Le testimonianze lo descrivono come catechista zelante e disponibile. Insegna bene e grazie a lui, si ottengono molte conversioni. Lascia Na Vam per la Scuola dei catechisti di Louang Prabang, dove resta poco tempo e rientra al villaggio. Lo troviamo negli ultimi tre mesi accanto a padre Mario, che di lui parla spesso nel suo "Diario".

Lo intitolò, racconta padre Pelis, "Diario di un uomo felice". Con le numerose lettere, una mole considerevole di scritti e le testimonianze di centinaia di persone, con conoscenza diretta o indiretta, ci permette di riassumere questi tratti essenziali dell'esemplarità di Mario Borzaga. Mario è innanzitutto un credente, che vive la profonda emozione di avere scoperto il più grande "sì" della storia: il "sì" di Maria al progetto di Dio! È un poeta, è giovane, ma è soprattutto, quello che vuole essere: "un uomo felice, sacerdote, apostolo, missionario... e martire". Anima aperta alla Luce di Cristo, innamorato del suo sacerdozio, della Madonna Immacolata e Addolorata e della missione. Nel Diario troviamo tre parole chiave: santo, martire, sangue. Cita 75 volte 'santo', 43 volte 'sangue' e 20 'martire' ".
"Padre Mario Borzaga - ha sottolineato mons. Bressan - è andato missionario nel Laos, come “Oblato”, cioè come uno che affidandosi alla chiamata del Signore si è offerto pienamente. E, in un ambiente che sapeva pieno di difficoltà, si è donato totalmente al servizio dei fratelli. In questa missione, rischiosa per la sua stessa vita, era felice in mezzo al sacrificio. La sua generosità incoraggia tutti noi a seguire questo cammino di vera donazione e generosità. Con la testimonianza di padre Mario Borzaga e del laico catechista Thoj Xyooj Paolo la comunità cristiana si arricchisce sempre di più. Per questo siamo grati a questi martiri, perché hanno saputo testimoniare con la loro vita e con il loro eroismo la fede in Cristo". "Col passare degli anni - ha rilevato dal canto suo il Provinciale d'Italia OMI, padre Marcello Sgarbossa - attorno a queste due figure è andato crescendo l'interesse, l'ammirazione, l'edificazione.

I vescovi della Chiesa del Laos, impediti di fare qualcosa a causa della situazione nella quale vivono, chiedevano con insistenza, alla Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, che questi loro 'testimoni della fede' fossero conosciuti e riconosciuti". "Sono certo - ha concluso - che al di là del giudizio della Chiesa, la conoscenza di questi 'testimoni' andrà a gloria di Dio, sarà utile al popolo cristiano, specialmente quello che vive nel Laos. Specialmente ci auguriamo, e per questo preghiamo, che l'ammirazione per questi giovani missionari si trasformi in coraggio nei giovani di oggi per imitarne l'esempio e occupare il loro posto nell'annuncio del Vangelo".

Il racconto della breve vita di padre Mario e il ricordo che di lui è hanno permesso di cogliere come davvero qualcosa di grande si sia compiuto nella sua persona, accostata all'immagine evangelica del chicco di grano che solo se muore porta molto frutto. Già durante il viaggio verso il Laos, dove la Chiesa muoveva i primi passi - ricordava mons. Staccioli - padre Mario accennava a questa logica che esige la disponibilità a rinnegare il proprio egoismo, il proprio bisogno di autoaffermazione e di potere, fino al sacrificio della stessa vita, e che chiede invece di trovare il punto di forza dell'agire in Gesù Cristo. Annuncio significa essere pronti a soffrire e a patire.

Molti, tra i presenti, conobbero direttamente padre Mario: i parrocchiani, allora amici di giochi o compagni di studi, poi i confratelli del Seminario e i padri Oblati, che più tardi avrebbero condiviso con lui l'esperienza della missione; idealmente era presente la Chiesa intera, che in tutti questi anni ne ha visto crescere la fama di santità. Tanti ne hanno invece avvicinato la persona attraverso quella foto che lo ritrae sorridente, esposta sull'altare assieme a quella del catechista Paolo - davvero l'immagine di un "uomo felice", ma soprattutto attraverso il suo diario. È una figura che affascina, la sua, che suscita da subito un moto di simpatia e di vicinanza, che ci accosta quale compagno di viaggio, amico e fratello maggiore.

Se conosciamo padre Mario dai diari, dalle lettere o da alcune poesie, meno familiare è invece la figura del suo catechista Paolo: grazie al suo zelo, ebbe a dire di lui padre Mario, si ottengono molte conversioni. Solo se pensiamo alla logica del dono, alla scelta del giovanissimo Paolo di fare della propria vita un dono al Signore, può non sorprendere la sua decisione di non voler abbandonare padre Mario nel momento della prova, di seguirlo e accompagnarlo anche là dove la pista che insieme stavano percorrendo sarebbe stata "senza ritorno".

Paolo e Mario: due giovani, "fratelli nel sangue", il cui volto racconta la bellezza di chi ha accolto con gioia la chiamata al servizio, all'offerta di sé al Signore, e la ricerca di trovare in questo - nella disponibilità a rischiare la stessa vita - la propria felicità. Come non essere colti da un sentimento di stupore, ma al tempo stesso di profonda gratitudine per quanto, con il loro esempio e la loro testimonianza, ci hanno lasciato? Forse, anche grazie a loro, vorremmo essere pure noi un po' più missionari nel quotidiano, vorremmo rispondere, come fece Mario un giorno, unendo con sconcertante semplicità il dire al fare: "Ora ci vado, ci vado e basta".

Michele Niccolini

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