STRAORDINARIO INTERVENTO DI P. VINCENT NAGLE SULLA SOFFERENZA DEL PICCOLO CHARLIE.
CHARLIE GARD, IL DOLORE NON È TUTTO
Mentre scrivo Charlie Gard è ancora vivo nel Great Ormond Street Hospital di Londra.
(...) Vorrei qui offrire un paio di osservazioni, prese dalla mia lunga
esperienza nell'accompagnare sia famiglie come quella di Charlie, sia
operatori sanitari come quelli dell'ospedale.
La prima osservazione è
che l'amore desidera dare vita. Chi ama desidera la vita per l'amato. E
vivere per noi umani è una questione di rapporti.
Riceviamo la vita
attraverso rapporti che portano significato alla nostra esistenza.
Perciò quando parlo con le famiglie che devono decidere la cura per il
loro amato, e cominciano a dire parole come "l'unica cosa importante è
che non soffra" e perciò chiedono dosi di antidolorifici che lo
renderebbero inconscio, io cerco di aiutarle a non cedere a questa
angoscia che le assale, ma di pensare a cure che forse possono
permettere contatto e comunicazione fra loro e il loro caro, anche se
questo potrebbe aumentare il rischio di provare maggiore sofferenza.
Molte occasioni mi hanno fatto vedere che contatto e comunicazione sono
capaci di rendere sia il paziente sia i suoi cari pieni di gratitudine
in quelle circostanze drammatiche. La sofferenza è da combattere, ma non
a qualunque costo. Come la vita per ognuno di noi: la prima cosa per
vivere è avere qualcosa per cui vale la pena vivere. Così, dentro
rapporti che ci danno la vita, si possono vivere anche queste
circostanze, pur dolorose.
Anche nel caso del piccolo Charlie, la
sofferenza non è l'unico criterio ragionevole per come procedere con le
cure. Favorire i rapporti che lo fanno vivere fa parte della cura della
persona, anche la persona malata e sofferente che non guarirà.
La
mia seconda osservazione ha a che fare con le persone che hanno
accettato la sfida di aiutare il malato dentro l'ambiente sanitario. I
molti anni trascorsi come cappellano ospedaliero e adesso come
cappellano di una fondazione di cura mi hanno aiutato a identificarmi
con le prove, le speranze e le difficoltà di chi si assume il compito
della cura. Ho vissuto pienamente e affrontato insieme a queste persone
casi molto dolorosi. Le ho viste soffrire quando era chiesto loro di
fare lo sforzo di tenere in vita attraverso misure invasive, in
apparenza violente, la persona il cui sistema biologico era compromesso
oltre ogni speranza. Invece di sentirsi orgogliose dell'impegno di
aiutare la vita di una persona, cominciavano a sentirsi complici in un
processo di tortura senza senso. Si sentivano in colpa e facilmente
nasceva un sentimento di rancore verso la famiglia o il medico che le
obbligava a continuare. In quei casi l'atmosfera del reparto diventava
davvero pesante e ne soffrivano di conseguenza anche le cure agli altri
malati.
Tuttavia, anche in questi casi estremi, quando ho visto
infermieri e medici piangere davanti al compito di infliggere certe
misure sul corpo del malato, e quando ho visto l'incapacità delle
persone al lavoro di incrociare gli sguardi dei familiari per mancanza
di simpatia, non ho mai sentito suggerire da nessuno che la decisione
finale fosse che il malato non dovesse restare con i suoi cari, per
quanto impreparati potevano essere o irragionevole potesse sembrare.
Non ho partecipato a nessuna riunione in cui il personale sanitario
voleva arrogarsi il ruolo di essere il responsabile ultimo del malato.
Questo rapporto così vitale non apparteneva a loro. Era sempre chiaro a
tutti che il punto era aiutare i familiari nel fare i passi dolorosi
necessari per capire che spettava loro accompagnare il loro caro
all'uscita da questo mondo, lasciarlo andare. Mantenere questo rapporto è
sempre stato palesemente nell'interesse del malato.
Perciò sono
stupito e non poco preoccupato dal vedere che questo ruolo è stato
usurpato dall'ospedale nel caso di Charlie Gard. Fra le tante notizie
non ci sono informazioni che fanno sospettare che i genitori di Charlie
siano incompetenti o disinteressati. Tutti possiamo sbagliare. Ma sento
brividi di orrore leggendo che in tribunale c'è stato chi ha sostenuto i
diritti di Charlie contro i suoi genitori. Il bene, come la vita, di
Charlie passa invece attraverso il rapporto unico che c'è fra figlio e
genitori. E non è vero che "l'unica cosa importante è che non soffra".
La cosa importante per l'esistenza di Charlie è che viva, e questo gli
viene attraverso il rischio d'un rapporto d'amore, come per tutti noi,
un rapporto che potrebbe farci soffrire, sbagliare, ma che ci fa anche
vivere. Consegnare la vita del piccolo bambino al rapporto eterno col
Padre Celeste passa attraverso questo rapporto coi genitori. Non vedo
come potrebbe essere nell'interesse del bambino rimpiazzare questo
rapporto.
Se i dottori hanno ragione, Charlie non vivrà a lungo,
macchine o no. Nel frattempo il suo rapporto vitale è quello con i suoi
genitori. Tocca a noi di accompagnarli in questo grande compito, sia che
siamo convinti che hanno ragione, sia che pensiamo che stiano
sbagliando, perché è lì — in quel rapporto vitale — che sta l'interesso
vero di Charlie.
Vincent Nagle
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