Cari Fratelli, dilette sorelle.
In questa solennità nella quale
la Chiesa universale celebra e glorifica la Santissima Trinità, mi soffermerò
su alcuni passi del nostro Simbolo di fede, il Credo, quello che
la Chiesa, per ovvie ragioni di carattere pedagogico-pastorale, ha posto
giustamente dopo l’omelia, affinché il Popolo di Dio, com’ebbe a dire il
Cardinale Tomas Spidlìk: «possa seguitare a credere malgrado ciò che spesso è
costretto a udire» dalle bocche di certi predicatori, ed in specie in festività
come quella di oggi, dalle quali si può percepire l’essere come
purtroppo il non essere; e dinanzi al non essere, si aprono solo
le porte del non divenire futuro.
Oggi la Chiesa celebra la festa
della Santissima Trinità, uno dei più grandi misteri della nostra fede. Eppure,
se prendiamo i Vangeli, in essi non troviamo questa parola. La Santissima
Trinità è velata nella letteratura dell’ Antico Testamento e nei Santi Vangeli
non mancano i riferimenti al Padre e allo Spirito Santo, si pensi che nel solo
Vangelo del Beato Apostolo Giovanni, la relazione tra Padre e Figlio, è
indicata per ben 26 volte, per esempio attraverso chiare espressioni del tipo: «Io e il Padre siamo una cosa sola» [cf.
Gv
10,30]. Solamente però molti anni
dopo, verso la fine del II secolo, si cominciò ad usare il termine Trinitas ed
a sviluppare quindi una teologia trinitaria.
La storia e la vicenda terrena
dell’Uomo Gesù sembrerebbe concludersi con la morte, come se sulla croce si
celebrasse un fallimento che pone la paro-la fine all’ esperienza gesuana. Ma
non è così, perché dopo tre giorni il Cristo risorge: et resurrexit tertia
die secundum scriptura. Questo e questo soltanto era ciò che gli apostoli
annunciavano durante i primi anni: Colui che è stato crocifisso, non è morto,
ma è vivo. Noi lo abbiamo veduto, incontrato; noi lo sentiamo ...
Col passare degli anni e poi
dei decenni la riflessione si approfondisce. Allora i primi cristiani
cominciano a domandarsi: "… che cosa vuol dire che Gesù è Figlio di
Dio?". E poi: "… in che modo, Gesù è il Figlio di Dio?". E
ancora: "E chi è, Dio?".
Per noi questa è una verità di
fede definita e consolidata nei secoli, ma forse spesso ignoriamo che
all’inizio non fu così e che certe definizioni di fede hanno richiesto non
anni, ma secoli di lavoro, perché quanto era accaduto tra la stalla di
Betlemme, la croce sul Golgota, il sepolcro vuoto di Cristo che appare agli
apostoli più volte prima di ascendere al cielo, erano tutti eventi e fatti
storici reali ― e ripeto reali, non simbolici ― che valicavano di
molto l’umana comprensione. Per questo i primi secoli furono tormentati dal
tentativo di capire anzitutto chi era Dio e chi era il Verbo di Dio fatto
uomo. D'altronde è sempre così: gli eventi straordinari prima si vivono, poi
si cerca di capire, successivamente, nel corso degli anni o dei secoli, che
cosa è veramente accaduto, cosa hanno vissuto i testimoni oculari, quindi cosa
siamo chiamati a vivere noi che siamo oggetti e soggetti dell’annuncio e del
mistero della redenzione.
Agli inizi, quando si cercava
di capire, c'era chi diceva: "Il Padre è divino, il Figlio [Gesù] viene
invece dopo". Per cui Gesù era presentato da taluni come un dio minore.
Altri
dicevano: "No, il Padre, il Figlio e lo Spirito sono tre modi in cui Dio
si è manifestato", per cui, ad esempio, sulla croce c'era il Padre.
Poi c’era chi sosteneva che la
Trinità era espressione dello stesso Dio che si manifesta in maniera diversa. E
via dicendo a seguire con altri che dicevano: "Gesù era” … un uomo come
tanti altri e quel giorno lui passò, “solo successivamente alla sua nascita
Dio si è incarnato in lui, facendolo suo Figlio". Per cui Gesù non era da
sempre Figlio di Dio, ma lo era divenuto in seguito.
… e dinanzi a questi vari
pensieri ereticali, spero sia inutile ricordarvi le parole della nostra Professione
di Fede, che non è una filastrocca mnemonica, ma appunto il cuore della
nostra Fede, nella quale tra poco reciteremo: «Dio da Dio, luce da luce, Dio
vero da Dio vero, generato non creato della stessa so-stanza del Padre». Posto
che generare non vuol dire creare, anche perché Cri-sto è da
sempre, con il Padre, prima ancora dell’inizio dei tempi. Per questo è usato
l’elemento della luce, perché all’epoca in cui queste parole venivano scritte,
si credeva che la luce era in sé e di per sé; perché in quei tempi, la
luce, non veniva generata artificialmente, come invece viene generata oggi sia
elettricamente sia in altro modo [Ndr. vedere lectio di A.S. Levi di
Gualdo su La luce nel Vangelo di Giovanni, QUI].
Fu così che nei primi secoli di
vita della Chiesa si assistette alla nascita delle prime grandi eresie, la più
celebre e pericolosa delle quali fu l’ Arianesimo, che prende nome dal vescovo
Ario, il quale sosteneva che la natura divina di Gesù fosse inizialmente
inferiore a quella di Dio e che il Verbo – sempre quello da noi proclamato
nella professione di fede come «generato non creato della stessa sostanza del
Padre» – fosse stato creato in seguito dal Padre.
Nell’anno 325 fu celebrato a Nicea
il primo grande concilio della Chiesa che definì dogmaticamente: "Il Padre
e il Figlio sono della stessa sostanza". E per racchiudere questa
definizione in un termine si usò la parola greca
ὁμοούσιος
[omousios] che vuol dire "della stessa essenza". Fu infatti
necessario attingere dal lessico filosofico greco perché sul vocabolario non
avevamo neppure delle parole per definire certe verità di fede, per questo si
rese necessario attingerle e modularle dalla sapienza dei grandi filosofi, in
particola-re da Platone e da Aristotele.
Nel 381, al Concilio di
Costantinopoli, si disse che anche lo Spirito è omousios, cioè della
stessa sostanza del Padre e del Figlio. Ecco perché la nostra Professione
di Fede si chiama Simbolo di fede Niceno-Costantinopolitano, perché
frutto dei due primi grandi concili della Chiesa.
In seguito, il Santo vescovo e
dottore della Chiesa Agostino d’Ippona, nella sua opera De Trinitate espresse
il mistero della Santissima Trinità con questa definizione: il Padre è l'Amore
[Amans], il Figlio è l'Amato [Amatus] e lo Spirito è l'Amore [Amor]
del Padre e del Figlio.
La festa della Santissima Trinità
ci rivela e, soprattutto, ci ricorda che: "In Dio ci sono tre persone:
Padre, Figlio e Spirito Santo" e tutte e tre sono Dio. Tipico di queste
tre persone non è la solitudine ― perché non sono tre dèi ― ma l'essere in relazione
con gli altri due, perché la relazione, come c’insegna il Santo
dottore della Chiesa Tommaso d’Aquino, è principio di sussistenza delle
Persone Divine [Summa Th. Pars I quaestio XXIX]
La prima grande verità della
festa di oggi è che tutto è in relazione. La Santissima Trinità ci
trasmette quindi un'altra grande verità: la relazione è il Tutto racchiuso in
Dio, il quale è relazione, rapporto, comunicazione.
La festa della Santissima
Trinità svela il segreto della realtà, di una realtà che è tutta quanta
trinitaria. Facciamo un esempio: che cosa conta tra due persone? Se prendiamo
ad esempio un uomo e una donna e li mettiamo in-sieme: sono forse una coppia?
No. Affinché ci sia una coppia serve un'altra realtà: vale a dire che ci sia un
legame forte, profondo e vero, tra di loro. Ed è il legame, l'amore, lo
spirito, che rende unita e forte una coppia di sposi, come degli
amici od una comunità di persone, sia essa una comunità di religiosi e
religiose sia essa una comunità di laici.
Una coppia non
"muore" se l'amore vive; non "muore" se la comunicazione
avviene; "non muore" se lo spirito rimane vivo; non "muore"
se la relazione è viva. Ecco allora che la festa della Santissima Trinità ci
trasmette anche un'altra cosa: è l'Amore che sostiene ogni cosa; e la
Santissima Trinità è amore e relazione, relazione e amore.
O come dice Dante Alighieri in rima poetica: l’amor che move il sole e
l’altre stelle [Paradiso, XXXIII, 145].
L'essenza della Trinità è
quindi l'Amore che si manifesta attraverso i doni di Dio Padre che rende l’uomo
oggetto e soggetto principe del mistero della creazione, che ci dona il Verbo
Incarnato, Cristo Dio; e che in divina unione d’amore, il Padre e il Figlio, ci
donano lo Spirito Santo, il quale, come recita la nostra professione di fede:
«Procede dal Padre e dal figlio, e con il Padre e il Figlio è adorato e
glorificato e ha parlato per mezzo dei Profeti».
Trinità è quindi un modo per
dire Amore [Amans, Amatus, Amor], per-ché l'amore è la realtà prima,
ultima e più profonda di ogni cosa; l’amore è l’essenza del mistero ineffabili
di Dio uno e trino, che attraverso la Trinità manifesta la arcana essenza del
suo amore.
A l'alta fantasia qui mancò
possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è
mossa,
l'amor che move il sole e
l'altre stelle.
[Paradiso,XXXIII, 141-145]
Solennità della Santissima Trinità
Ariel S. Levi di Gualdo
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