sabato 22 novembre 2014

rimovere la figura paterna

L'eclisse del padre, male d'Occidente



I circa 120 anni della storia dell’Occidente che stanno alle nostre spalle sono caratterizzati da un ricorrente attacco frontale della figura paterna. Il 'nuovo corso' è stato aperto dalla psicoanalisi di Sigmund Freud, nel momento in cui – attraverso il cosiddetto 'complesso di Edipo' – ha interpretato prevalentemente in negativo la figura paterna, in quanto detentrice di un potere supposto assoluto e tale da dar luogo a una sorta di 'castrazione' a danno di tutti coloro che volessero in qualche modo emanciparsi da essa (di qui il 'complesso di Edipo', come mescolanza di amore e di odio verso questa figura, cui, significativamente, non è mai corrisposto un parallelo giudizio negativo nei confronti nella figura materna). Con varie modalità Freud e la sua scuola hanno ipotizzato anche un possibile rapporto non conflittuale tra padre e figlio ma, nel suo insieme, la teoria freudiana va appunto nella direzione della 'distruzione', o almeno della rimozione, della figura paterna. Nella stagione che ha seguito la prima fase della psicoanalisi, importanti correttivi – per opera dei freudiani 'non ortodossi' e di altre correnti della psicologia – sono intervenuti nel senso di rivedere questo aspetto della teoria, soprattutto mostrando la positività e dunque le potenzialità innovative del conflitto, segnale di una contrapposizione fra generazioni non necessariamente e sempre gestita in modo conflittuale e dunque aperta alla ricomposizione e alla conciliazione. È per altro intervenuta, a partire dagli anni 40 del Novecento, una ripresa della teoria, in particolare con la Scuola di Francoforte e poi con le teorizzazioni di Alexander Mitscherlich, autore di un libro che fu una sorta di livre de chevet dei 'barricadieri' sessantottini,  Verso una società senza padre  (1963).

L’idea o il sogno di una società liberata dalla pesante e opprimente figura paterna – la vaterlosen Gesellschaft,  appunto – e finalmente capace di reinventarsi di continuo, di proporre nuovi stili di vita, di fare piazza pulita del passato; una società in cui avrebbero potuto esplicarsi pienamente le potenzialità sino ad allora soffocate dal principio di autorità, simbolizzato dalla figura paterna. Mitscherlich, meno dogmatico dei supini seguaci della Scuola di Francoforte, rilevava non poche inquietudini per una società liberata dalla figura paterna, ma queste ombre non turbavano il quadro un poco idillico delle magnifiche sorti che, dopo l’eclisse del padre, si intendeva che attendessero l’Occidente (occorre pur chiarire che quanto veniva proposto come 'universale' a proposito della figura paterna altro non era che una sorta di auto-riflesso della società borghese dell’Occidente). Esauritasi questa seconda ondata, ne è sopraggiunta una terza, per certi aspetti più sinuosa e perfino più suadente: quella che porta, ancora una volta, alla fine della figura paterna per la morbida strada dell’eutanasia. È la complessa 'teoria del gender', che non rimuove formalmente la figura paterna, ma annulla le differenze: ogni uomo e ogni donna sono contemporaneamente «padre» e «madre». In apparenza si tratta di un 
allargamento della paternità, ma in realtà si è di fronte alla pura e semplice eclisse della paternità,  in una grigia notte in cui – per riprendere un antico aforisma – tutte le vacche sono nere.

Avere più padri (e più madri) equivale a negare o comunque a smarrire l’originalità tanto dell’una quanto dell’altra figura, rifiutando quell’antica dialettica fra il «maschile» e il «femminile» che sta alla base della civiltà. Se 'tutti' si è padri e madri, alla fine nessuno lo è. L’osservatore superficiale potrebbe ritenere che si sia di fronte a vaneggiamenti che nessun radicamento hanno nella natura profonda dell’uomo. La storia, tuttavia, insegna che a questi 'vaneggiamenti' a più riprese anche le civiltà più evolute sono state ricorrentemente assoggettate. Viene dunque da domandarsi a chi giovi la rimozione del padre: forse al futuro di quella «società liquida» descritta dalla sociologia nella quale gli individui sono «casuali», le relazioni fluttuanti, le identità deboli. Ma è proprio questa la via che l’Occidente intende percorrere?





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