lunedì 25 marzo 2013

vescovo di roma

Papa o Vescovo di Roma?



Lo stemma di Papa Francesco, come già lo stemma di Sua Santità Benedetto XVI, reca in capo non il Triregno ma la Mitra episcopale.
È stato anche notato che Papa Francesco preferisce parlare di sé come Vescovo di Roma, e di Sua Santità Benedetto XVI come Vescovo emerito di Roma, anziché come Romano Pontefice, e Pontefice emerito.
Durante la trasmissione radiofonica “Protestantesimo” del 17 marzo u.s.[1], un autorevole esponente della comunità evangelica italiana, ostentando grande soddisfazione, ha commentato tale atteggiamento come una rinuncia alla potestà universale (“Cattolica”), da parte della Chiesa di Roma, la quale si diminuirebbe alla mera potestà locale.
Anche un noto esponente del mondo culturale italiano, il professor Massimo Cacciari, in una intervista al vaticanista Paolo Rodari, collaboratore de “la Repubblica” e de “Il Foglio Quotidiano” di Giuliano Ferrara, afferma di essere rimasto colpito dal “fatto che continuamente dice di essere il ‘vescovo’ di Roma e mai il ‘Papa’, il ‘Pontefice’. È un cambio sostanziale. Significa che egli si concepisce ‘primus inter pares’, una visione di sé che può avere ripercussioni enormi su tutta la cristianità.[2]
Curiosamente sembra che si ignori il fatto che fin dai primi secoli i Vescovi di Roma, e perciò successori alla Cattedra di Pietro, ebbero il riconoscimento della loro autorità sulle altre Chiese locali proprio in quanto Vescovi di Roma.
Senza dover sfogliare i numerosi testi editi di tutte le antiche fonti che provano tale autorità, e qui si rimanda all’ampia bibliografia esistente sul Primato del Vescovo di Roma, basta limitarsi a quanto scrive Sant’Ignazio di Antiochia, morto martire durante il principato di Traiano (53 – 117).
Egli afferma che la Chiesa di Roma “Προκαθημένη τ˜ης ʹαγάπης”. [3]
Il santo vescovo di Antiochia usa il verbo “Προκαθημαι” che significa, come troviamo in Aristotele (384-322 a.C.) e Platone (427-347 a.C.) [4], “comandare, governare”. Correttamente il colto Gesuita editore di questa fonte, il padre Marie-Joseph Rouët de Journel S.J (1880-1974), traduce latinamente in nota la frase come “universo caritatis coetui praesidens[5]: ossia “che è a capo[6] dell’universa comunità dell’amore”, cioè la Chiesa Cattolica.
Costantemente i Papi si impegnarono a rivendicare “la prerogativa di successori del ‘principe degli apostoli’.”[7]
Il papa fondava i suoi diritti di capo supremo di tutte le chiese del mondo cristiano, il suo primato d’onore ed il suo primato di giurisdizione rispetto a tutti gli altri vescovi, sulla volontà stessa del Salvatore, espressa nelle parole del triplice messaggio da Lui rivolto al principe degli apostoli durante la predicazione ‘in partibus Cæsareæ Philippi’ (Matth., XVI, 18-19); a Gerusalemme nell’ultima cena (Luca, XXII, 31-32); nella terza comparsa dopo morte agli apostoli, sulle rive del lago di Tiberiade (Ioh., XXI, 15-17). Presso l’imperatore a Bisanzio il papa manteneva una rappresentanza permanente, religiosa  ed insieme diplomatica, costituita dai responsales o apocrisiarii apostolici, che avevano la loro residenza ufficiale nel palazzo di Placidia[8]
In effetti “in mancanza di strutture proprie della Chiesa atte ad assicurare lo svolgimento dei concilii ecumenici, l’Impero forniva le strutture organizzative necessarie. Senza il servizio postale imperiale, che dava modo ai vescovi di riunirsi, senza i cancellieri, gli scribi, gli stenografi dell’amministrazione imperiale, che registravano i dibattiti e curavano la redazione degli atti, i concilii ecumenici sarebbero stati impossibili.
Ma la Chiesa romana non tardò a munirsi di scrinia, ‘uffici’ propri, che le consentissero di fare fronte autonomamente ai compiti derivanti dal principatus che vantava sulle altre chiese. Il modello per la creazione dei nuovi scrinia papali fu costituito dagli esistenti scrinia imperiali.” [9]
L’importanza data all’essere Vescovo di Roma e Successore di Pietro fece sì che fino al Pontefice Innocenzo III[10] si usasse come titolo pontificale quello di Vicario di Pietro, piuttosto che di Vicario di Cristo: “L’espressione ‘vicarius Christi’, che già appare nella terminologia ecclesiastica sin dal secolo III, non si afferma nell’età patristica come un titolo caratteristico ed esclusivo di una persona o di un ufficio. Le applicazioni, derivate dal significato originario del termine, sono varie, e tutte mantenute in una forma generica: i sacerdoti in genere ed i vescovi in particolare sono chiamati i vicarii di Cristo perché il loro ministero è quello di essere i visibili rappresentanti del Signore presso i fedeli; d’altra parte, lo stesso titolo è attribuito all’imperatore, in quanto designa il compito provvidenziale e la maestà del governo umano del mondo. Anche il papa veniva chiamato vicario di Cristo (come testimonia il Sinodo romano del 495), senza pertanto che se ne facesse un titolo del Primato, come invece avvenne per l’altra espressione ‘vicarius Petri’. (…) Non mancano testimonianze che danno il titolo di ‘vicarius Christi’ al romano pontefice, si deve però riconoscere che appaiono isolate, e sono piuttosto da considerarsi applicazioni particolari al papa di un titolo comune anche ai vescovi. Come titolo papale, domina invece ‘vicarius Petri’, ereditato dall’età patristica, che acquista un’importanza assai notevole per la dottrina del Primato.[11]
Se il titolo di successore di Pietro fondava il Primato della Chiesa di Roma su tutte le altre chiese, veniva però a comportare un onere particolare del Vescovo di Roma verso il suo popolo, che poi vedremo estendersi all’Italia peninsulare ed alle isole: “Dio aveva voluto che S. Pietro, per fondare la sua Chiesa, fra tutte scegliesse la Città eterna. Di S. Pietro si era dunque valso il Signore, per mostrare che Egli, fra tutti, prediligeva il popolo di Roma, come si era valso di Mosé per annunciare la sua predilezione, fra tutti, al popolo d’Israele. Dio stesso aveva perciò affidato a S. Pietro ed alla Chiesa il popolo romano come suo ‘peculiaris’, in quanto composto dalle pecorelle del ‘dominicus grex’, perché fosse particolare oggetto della preminente missione apostolica, di cui il principe degli Apostoli era stato investito per bocca dello stesso Figlio di Dio. Cristo, nella sua vita mortale, era stato il ‘vere pastor’, non ‘mercennarius’, il ‘pastor bonus’, delle pecorelle, che prima avevano riconosciuto nella sua la voce del proprio Signore, e fidenti si erano raccolte nel suo ovile. Allo stesso modo S. Pietro, in virtù dell’investitura ricevuta da Cristo, era stato nella sua vita mortale il ‘vere pastor’, non ‘mercennarius’, il ‘pastor bonus’, in primo luogo del popolo romano, e questo era diventato il ‘populus peculiaris’ suo e della sua Chiesa, e Roma era stata il suo ‘proprium ovile’.
Il martirio di S. Pietro aveva consacrato la posizione privilegiata di Roma, in quanto la Città Eterna era rimasta custode dei suoi resti corporei, venerati dai fedeli nella tomba, sulla quale un imperatore, Costantino Magno, aveva eretto la basilica intitolata al suo nome. Per volere di Dio, le attribuzioni affidate da Cristo a S: Pietro erano di volta in volta ed integralmente passate a ciascuno dei papi, che si erano susseguiti sulla cattedra episcopale di Roma, in quanto successori e vicari del principe degli Apostoli.
I papi avevano dunque il divino mandato di continuarne l’opera, nell’assolvimento della preminente missione pastorale, conservando pura ed ardente nei secoli la fiamma, che dalla tomba di S. Pietro dava fulgore di verità e di vita spirituale all’universo mondo cristiano, ed in vigilando in primo luogo sulle sorti di Roma e del suo ‘populus peculiaris’. Alle sorti della Città Eterna e del popolo romano erano infatti strettamente legati il fulgore ed il calore di quella fiamma.[12]
Per capire quale fosse l’estensione del gregge peculiare di Pietro secondo i varï pontefici che si succedettero nell’implorare Carlo Martello ed i suoi discendenti un aiuto contro l’aggressione dei Longobardi contro il “populus peculiaris beati Petri[13], si veda la lettera con cui Carlo Magno rinnova a papa Adriano I(†795) le promesse fatte da suo padre a papa Stefano II (†757) sulla restituzione delle “civitates et territoria beato Petro[14], terre e città che andavano dalla Corsica alla pianura padana alle Venezie, scendendo fino a Benevento.[15] Inoltre “a sua volta Ludovico il Pio, confermando le promesse dell’avo e del padre, assegnò al Papa Pasquale I – se non è interpolato in questo punto il suo ‘Pactum confermationis’ dell’817 – anche la Sicilia, la Sardegna e le altre isole adiacenti.[16]
È interessante notare un’analogia fra l’epoca attuale e quella in cui si strutturò il Patrimonium Petri, ciò che sarebbe diventato lo Stato della Chiesa: e cioè il disintegrarsi dello Stato moderno oggi, pressato dall’attacco del Libero Mercato (cfr. LepantoFocus n. 13 e n. 8), e dell’Impero Romano d’Oriente ieri, indebolito da lotte interne, da guerre esterne ed infine dall’ondata islamica.
La sovranità temporale del Vescovo di Roma nasce non dal desiderio di conquista ma dal desiderio di servire i bisognosi, sostituendosi gradualmente a quella sorta di Welfare State prima garantito dall’Impero:
Le fonti relative al Papato a partire dal V secolo sono ricche di riferimenti agli interessi dei Papi per la manutenzione di strade e ponti, il restauro di edifici pubblici o la riparazione di acquedotti, attività che in precedenza erano state finanziate dalla tesoreria pubblica di Roma (…)
Le erogazioni a favore degli indigenti avevano costituito una delle principali voci di spesa della Roma imperiale; col tempo, tuttavia,la Chiesa aveva cominciato a svolgere un’importante funzione integrativa nell’assistenza ai bisognosi. L’approvvigionamento alimentare e la carità costituiscono due esempi illuminanti di come il governo papale si inserisse in ambiti precedentemente di competenza dello Stato romano (…)
Vale la pena di notare che, nel momento in cui aumentarono il numero degli indigenti e le loro sofferenze, quando l’approvvigionamento alimentare fu messo in forse e le relazioni con Bisanzio si fecero tese, il governo papale diede vita ad una nuova istituzione – la diaconia – per fronteggiare questi problemi (…) Le diaconie romane non avevano nulla a che vedere con i diaconi distrettuali della città o con i distretti nei quali i diaconi officiavano. Erano nate come enti caritatevoli nei monasteri egiziani del IV secolo e il loro nome deriva dal greco diakonein, ovvero ‘servire’ (…) le prime diaconiæ romane fecero la loro comparsa nel 684-85 e già allora il termine (…) indicava uno specifico tipo di ente caritatevole (…) all’epoca di Adriano I, i poveri di un quartiere si riunivano il venerdì presso una diaconia da dove, al canto dei salmi, venivano condotti in processione fino alle terme più vicine. Dopo le abluzioni veniva loro distribuito il cibo (…)
All’inizio del IX secolo sembra che esse perdessero la loro particolarità di centri di distribuzione di derrate alimentari ‘per il sostentamento dei poveri’, per estendere il proprio servizio a tutta la popolazione di Roma.[17]
In questo tempo di grave crisi mondiale riconosciamo nel Vescovo di Roma Francesco il Pastore della Chiesa Universale ed insieme l’amoroso Buon Pastore del suo gregge particolare di Roma e d’Italia.
Claudio Bernabei
Centro Culturale Lepanto
lepanto@lepanto.org


[1] Spazio concesso da RAI-Radio Uno alla comunità protestante italiana dalle ore 07,35 alle ore 07,55 ca. della domenica.
[2] Paolo Rodari, È un pontefice pronto a stupire ma nel campo dei temi etici non farà strappi alla dottrina, in “la Repubblica”, 20 marzo 2013 .
[3] Sant’Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, in Marie-Josef Rouët de Journel S.J., Enchiridion Patristicum, Friburgo, Herder, 1922, p.18, 52.
[4]Προκαθημένον της πόλεως” “Chi è a capo dello Stato”, Platone, Leggi, 758 d.
[5] Marie-Josef Rouët de Journel S.J., cit., ibidem.
[6] “Praesidens”: presidente, governatore, capo, in Ferruccio Calonghi, Dizionario Latino-Italiano, Torino, Rosenberg & Sellier, 1967, alla voce.
[7] Girolamo Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino, UTET, 1987, p.7.
[8] Ottorino Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna, L. Cappelli Ed., 1941, pp. 14-15.
[9] G. Arnaldi, cit., pp. 7-8.
[10] Nato come Lotario dei Conti di Segni nel 1161, morto il 16 luglio 1216. 176° Pontefice, incoronato il giorno del 37* compleanno, l’8 gennaio 1198.
[11] Michele Maccarrone, Il Papa “Vicarius Christi” (dal XII al XIV secolo), in AAVV, Miscellanea Pio Paschini, Roma, Lateranense, 1958, vol. I, pp. 427-428.
[12] Ottorino Bertolini, Il concetto di “restitutio” nelle prime cessioni territoriali (756-757) alla Chiesa di Roma, in Miscellanea Pio Paschini, cit., pp. 116-117.
[13] O. Bertolini, Restitutio …, cit., p.109.
[14] Antonino Trombetta, La sovranità pontificia sull’Italia meridionale e sulla Sicilia, Casamari, Tipografia dell’Abbazia, 1981, p. 10.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Thomas F.X. Noble, La Repubblica di San Pietro, Genova, ECIG, 1998, pp. 217-219.
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