sabato 31 marzo 2012

via crucis

VIA CRUCIS

 Dentro le  tue piaghe nascondimi,
non permettere che io mi separi da te.

INTRODUZIONE

Semplici suggestioni spirituali per la Via Crucis che vanno ad aggiungersi, come piccola goccia, all'oceano di considerazioni e preghiere che ininterrottamente sono state ap­puntate, fin dal Medio Evo, quasi nuovo "Muro del Pianto", in margine alle tappe dolorose del Signore Gesù che cammina verso il Calvario.

Lo schema è quello classico con le quattordici Stazioni, le tre "Cadute", la "Veronica", l'Incontro con la Madre ed altri quadri che, benché privi di una fondazione evangelica, hanno ispirato e guidato la preghiera di generazioni e generazioni di credenti, e per que­sto appartengono, al pari di alcuni inni e sequenze, al patrimonio della fede.

Auguro a te, lettore, di trarre vantaggio spirituale da queste pagine per una più convinta e appassionata adesione a Colui dalle cui Piaghe siamo guariti. Nello scorrere delle Stazioni ci sei anche tu, la tua vita, le tue storie, le tue promesse, le tue cadute. Alla fine capiremo che "Tutto è grazia".
                                                                A.A.


Sulla Via della Croce generazioni e generazioni di credenti hanno camminato, pregato, contemplato, pianto. È la Via battuta in avanscoperta da Gesù nei giorni della Sua Passione e Morte su cui, di anno in anno, di secolo in secolo si sono aggiunte schiere di popoli, comunità di credenti, singoli cristiani a baciare le orme insanguinate del Redentore. Anche noi, umilmente, ci uniamo al fiume di popolo che scorre ininterrotto sulla via Dolorosa per ripercorrere le tappe della nostra salvezza, per imparare l'arte di amare, di soffrire, di morire per risorgere. "Se con lui moriremo, con lui anche regneremo"!

La Via della Croce è anche un canovaccio di storia in cui gli uomini si alternano nei sentimenti di compassione e di indifferenza, di misericordia e di condanna, di odio e di amore, di fede e di ateismo. L'uomo e l'abisso del suo cuore vengono qui descritti nella contraddittorietà dei sentimenti, nelle passioni che sconquassano il petto, ma anche nella dolcezza dei legami che rendono bella questa "valle di lacrime".

La Via della Croce è anche la Via della Salvezza. Il credente sa che il Suo Signore l'ha percorsa per lui e che non c'è altro vanto che nella Croce di Cristo. Chiediamo di riassumere con più impegno l'annuncio della Passione e Morte di Gesù come occasione per essere salvi, alziamo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto, perché dalle Sue piaghe noi siamo guariti.

Con umiltà e fede iniziamo questo pellegrinaggio nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.



I STAZIONE
Gesù è condannato a morte

"Pilato parlò di nuovo alla folla volendo rilasciare Gesù.
Ma essi urlavano: Crocifiggilo, crocifiggilo.'".

Non c'è più scampo per Te, Maestro, la folla è assetata di sangue e Pilato si nasconde dietro la "ragione di stato". Ti sei speso per la gente senza serbare nulla per Te, ma ora quegli stessi che hai beneficato hanno portato pietre per lapidarti. Se Tu guardassi verso la folla vociante riconosceresti i cinquemila affamati cui hai provveduto pani e pesci, scorgeresti i volti rinati dei dieci lebbrosi, gli storpi rimessi in piedi al suono della tua voce, i ciechi riconsegnati alla luce, gli indemoniati alla pace... Ma tu non alzi lo sguardo, hai il volto chino di chi si abbandona alla volontà del Padre, non protesti, non ti ribelli e, a guardarti più da vicino, ti si legge sul volto una infinita dolcezza avvolta in un velo di tristezza. Ora sei solo. Nessuno degli amici che ti hanno seguito dalla Galilea è riuscito a rimanerti accanto. La paura ha inghiottito i loro buoni propositi, le loro promesse di fedeltà, la dolce amicizia con cui li hai chiamati, fissati ed amati. Nei momenti più importanti della vita, nel nascere e nel morire, davanti ad una prova, quando il dolore bussa alla nostra porta siamo soli anche noi. Aiutaci allora ad andare incontro al nostro destino con la serenità di chi sa che anche il Maestro si è sentito solo ed invano ha cercato nell'Orto degli Ulivi il conforto di una parola amica. Ecco, è giunta l'ora. È giunta la tua Ora. Attesa e temuta da sempre ora ti viene incontro e Tu dici "Amen! Anche se non è quello che voglio, sia fatta la tua volontà, Padre! Sul rotolo del Libro è scritto di compiere il tuo volere. In Tua voluntade è nostra pace".

II STAZIONE
Gesù è caricato della Croce

Gesù diceva a tutti: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita la salverà. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso?"
Sulle spalle del Condannato viene posto il palo del supplizio perché egli possa avviarsi verso il Calvario. Gesù abbraccia il legno della Croce che da simbolo di morte sta per diventare segno di vita e ne segue con la mano i nodi, le scanalature quasi a risvegliarne la linfa che un tempo, quando era albero, lo attraversava e lo faceva gemmare puntuale ad ogni primavera. Ora no, è natura morta, ulivo sottratto ai nidi e alla dolcezza dell'olio per diventare strumento di supplizio e di condanna. Eppure la mano del Maestro che accarezza il palo promette una nuova, rigogliosa, eterna primavera alla Croce che sta per diventare l'albero più fruttuoso del mondo alimentato dalla linfa vitale del Suo Sangue.
Insegnami, Gesù, l'amore alla Croce, alla mia Croce, alle croci nascoste e infamanti che non voglio portare perché senza gloria, lesive dell'immagine che gli altri hanno di me. Ricordami che nel naufragio della vita mi salverò solo aggrappato alla mia croce, tavola di salvezza, tessera d'identità di ogni credente, trono da cui regnare, talamo in cui darti prova del mio piccolo amore che naufraga nel tuo grande amore per me. Nel venire dietro di Te che porti la tua Croce, anche la mia appare più dolce e sopportabile, più leggera, più bella. Aiutami a mettere amore nelle mie giornate, nelle mie pene, nelle mie prove perché è l'amore che rende facili le cose difficili, leggere le cose pesanti, dolci le cose amare. Ecco, ti vengo dietro portando la mia croce. Amen.

III STAZIONE
Gesù cade per la prima volta

È pesante la Croce. In essa si condensano e si danno la mano i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Dal peccato dell'origine all'ultimo peccato in fondo alla storia tutto vi è presente, tutto vi è pesante. Ed aggrava le spalle e il cuore del Condannato che percorre la via Dolorosa. Ad ogni angolo, ad ogni svolta, ad ogni ansimare si accodano altre storie, altri pesi, altri secoli con i loro cumuli di rifiuti tossici. La Croce trascinata disegna sul selciato la geografia del male, il mappamondo del peccato con i suoi intrighi, le sue guerre, le sue ingiustizie, i suoi tradimenti. Fiumi d'ira, montagne di superbia, oceani di violenze, fondali di invidie, grotte di avarizia, foreste di adulteri, ghiacciai di indifferenze... È qui che il male viene finalmente annullato ed è qui che esso si da convegno per essere portato e redento. A un certo punto, davanti all'ennesima strage, alle grida di bambini seviziati, il Maestro soccombe e cade sotto il peso della Croce.
Anch'io, Gesù, a volte cado sotto il peso dei notiziari ed esco nauseato dalla lettura dei giornali che sono bollettini di guerra, immondezzai in cui ogni bruttura è raccontata con dovizia di particolari col perfido richiamo dell'emulazione. " Basta!" - mi dico - col desiderio di preservare almeno l'ultimo angolo di verginità, ma da altre fonti inquinate, come liquame, mi investe il male con tutte le sue forme e le sue contorsioni. Aiutami, Maestro, a resistere come tu hai resistito mantenendo la speranza nell'uomo anche quando sembra caduta ogni invocazione di bene. Insegnami a rialzarmi anche quando sono scoraggiato e infangato e a rilanciare in alto il cuore... come un aquilone.



IV STAZIONE
Gesù incontra sua Madre

Le cattive notizie si fanno strada da sole e, con la velocità della luce, valicano monti, percorrono strade, si trasmettono di bocca in bocca e bussano alla porta di una donna sola che vive del ricordo di un figlio partito dietro il vento dello Spirito. Non servono parole. Basta uno sguardo, il salire frettoloso di una ragazza che viene dalla piazza ansimante senza la giara con cui era partita per attingere acqua. Basta il nome: "Gesù...". Ed ella sobbalza nel sapere ciò che aveva sempre saputo. Dall'infanzia del Figlio catturato emerge chiara la voce del vecchio Simeone come fosse oggi "Anche a te una spada trafiggerà l'anima!" È partita cosi come si trovava lasciando acceso il lume sulla madia perché un figlio sul limitare della morte torna bambino e dice: "Mamma!.."
"Madre, ora l'ora è giunta. Quell'ora che a Cana vietava il miracolo e che tu mi estorcesti per amore è qui, adesso. È questo il giorno nuziale dell'acqua e del sangue e le giare si arrosseranno perché vi si possa attingere vino da portare al maestro di mensa. Ma tu... perché sei venuta? Il saperti lontano, nella casa dei giochi, mi dava conforto perché non avresti visto come è ridotto quel figlio partito libero e puro a inseguire le fiabe del Regno. Ora qui tu vedi come sono io l'uomo esperto in soffrire che sillabando leggevo bambino sul rotolo del grande Isaia, col volto arrossato di sangue e piagato e con questa croce che non so se riuscirò a portare fin sul luogo del Cranio. Madre, il mio dolore specchiato nel dolce tuo volto aumenta il soffrire del Figlio che avrebbe voluto saperti al sicuro, lontano da lance e bastoni che battono me, ma in te hanno eco profonda. Madre, perché sei venuta?
"Figlio, perché ci hai fatto questo? Vedi come tuo padre ed io ti cercavamo!". Ricordi, eri appena ragazzo, quando ti ritrovammo nel tempio e tu ci rispondesti che dovevi occuparli delle cose del Padre. Anche quella parola ora diventa evidente ed io capisco che è il Padre che invoca il tuo sangue. Ma lascia che io, tua madre, ti sia vicina nel calice amaro e con te, dolorante, salga l'erto tuo colle fino alla fine. La tua morte sarà come a Betlemme la notte in cui rompesti le acque perché nascita e morte sono come sorelle abbracciate.

V STAZIONE
Simone di Cirene porta la Croce di Gesù

"E mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù"
Dopo una giornata di lavoro in campagna Simone è requisito e costretto a portare per un tratto la croce del condannato. I carnefici non vogliono che Gesù muoia per strada e per questo provvedono un aiuto, una protesi temporanea per non vanificare la crocifissione: la gente è accorsa per questo ed è bene che si goda lo spettacolo! Non dunque un atto di pietà, ma una soluzione di opportunismo per fare in modo che Gesù beva il suo calice fino in fondo, senza sconti, senza fughe premature nella morte.
Il Centurione ha guardato tra la folla uno che facesse al suo caso...: non poteva essere un cittadino romano, sarebbe stato troppo ignominioso. Non sceglie neppure un ebreo, uno dei tanti che hanno gridato il "Crucifige!", ma, ad una svolta della strada, si rivolge ad un uomo corpulento che stanco tornava dal lavoro campestre, un uomo dalla pelle scura, proveniente dalla Cirenaica, regione dell'impero a nord d'Africa. Un servo della gleba.
Il pensiero va a te, Simone, che senza entusiasmo hai soccorso un Dio che era stanco e, sia pure per un tratto di strada, hai avuto a portata di mano e di bacio la più preziosa reliquia della Passione: la Croce. A te, Santo dimenticato, alfiere di una grande schiera di poveri sulle cui spalle è stata gettata la croce di altri, compagni muti del dolore altrui, vicini di letto in una anonima corsia di ospedale che escono dal loro dolore per chinarsi al capezzale di un moribondo...
Il pensiero va a te, Chiesa giovane d'Africa di cui Simone di Cirene è il primo fortunato componente. A te, sulle cui spalle per secoli l'Occidente evoluto ha fatto cadere il peso oscuro della schiavitù e del razzismo, ed oggi, con guanti eleganti, senza armi e soggezioni nazionali, tiene sottoposta al potere economico di debiti insanabili in aumento in maniera esponenziale. Miserere!

VI STAZIONE
Una donna asciuga il volto di Gesù

Dalla folla si stacca una donna. Audace nel suo proposito: asciugare con un panno il volto del condannato e poi sparire prima che i soldati romani la vedano e possano fermarla. Veloce e leggera come una farfalla si ferma un attimo davanti al fiore più bello e stende il suo velo a raccogliere lacrime e sangue e a dare un attimo di dolce freschezza. Come una carezza. Quando la sera ripenserà a quel gesto si darà del "Pazza!" ed estraendo dal grembiule il fazzoletto di lino macchiato per fare il bucato, resterà muta a guardare l'autografo che il Condannato le ha lasciato come dote delle sue prossime nozze. Per tutta la notte piangerà guardando quel quadro di amore e dolore e nessuno le saprà dire che è la prima foto della storia. Prima e ultima. Unica foto del Cristo impressa in trasparenza sul tessuto vegetale del lino o sulla pergamenata carta del cuore sensibile.
La Veronica, Maestro, è maestra di gesti folli, quando l'amore rompe gli argini della ragione e ci induce a fare ciò che non serve alla soluzione del problema eppure lo sospende fosse anche per un attimo. È istruttrice di carezze date a moribondi, di gocce d'acqua che non estinguono la sete, ma detergono labbra bruciate di febbri, è capofila di quanti umilmente sanno di non poter fare molto, ma non trascurano quel poco che possono e sanno fare. La Veronica porta una rosa a un condannato, narcisi a chi muore di fame, suona Chopin ai malati di mente, regala cartoline illustrate ai non vedenti e semina fiori nella neve...
Insegnami, Maestro, la sapienza dei piccoli gesti che non risolvono il grave problema, ma aiutano ad andare avanti fino a sera: nel grande deserto della vita insegnami a piantare palme per creare una parentesi d'ombra. Oasi, solo oasi, ma oasi di pace. Amen.

VII STAZIONE
Gesù cade la seconda volta

Anche senza la Croce Gesù cade. Il Cireneo lo vede accasciarsi davanti a sé come un sacco vuoto e ne ha compassione finalmente, vincendo quel muto rancore che lo aveva preso verso il Condannato che non era in grado di portare il legno del suo supplizio. A volte si cade, si precipita dentro, quando il problema esterno sembra risolto almeno temporaneamente, ma è il cuore a cedere, a spaccarsi in due proprio quando il peso esterno sembra allentato. Capita anche a noi di far fronte ad una tragedia, ad una emergenza, con una forza che non sapevamo d'avere, si va avanti per giorni, a volte per mesi, con possenti risposte d'adrenalina. Poi quando il problema accenna a fermarsi o addirittura a risolversi, noi che avevamo sopportato quintali, sprofondiamo sotto il peso di qualche grammo soltanto, e cominciamo a piangere come bambini che si sono perduti nel baccano di una festa di paese.
Non è la Croce sulle spalle, ma la Croce sul Cuore che fa cadere Gesù. Ad un tratto il bacio di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l'abbandono degli altri discepoli, la solitudine dell'Orto, il silenzio del Padre alla sua preghiera che si passasse il calice senza amarezza, tutto gli torna in mente e gli turbina in cuore. La durezza di cuore dei dodici ("Non capite ancora?"), le false motivazioni di sequela delle folle che venivano solo perché avevano il pane assicurato, la irriconoscenza dei nove lebbrosi che, guariti, non erano tornati alla fonte, le spalle del giovane ricco che si allontanava preferendo i beni al Bene, perfino una ingiustizia subita nel gioco da bambino coi suoi coetanei nella piazzetta di Nazareth, gli era tornata alla mente e si assommava a tutti i mali, a tutto il male del mondo fino a provocare la perdita delle forze e la caduta apparentemente immotivata. Ecco ora e a terra e per poco il Cireneo non ha inciampato nel suo corpo cadendogli addosso col peso della Croce.
Maestro, aiutami a portare la Croce esterna, ma sorreggimi anche quando a precipitare è il cuore spossato dal male reiterato e crudele. Il vederti a terra mi consola nelle mie cadute di tono e rende divine anche le mie lacrime di bambino che deluso guarda sconsolato il palloncino che gli è sfuggito dalle mani e sale dritto tra i palazzi come fiore su uno stelo attratto da una inversa forza di gravità.

VIII STAZIONE
Gesù incontra le pie donne

"Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?"
C'è un modo superficiale, epidermico di seguire Gesù sulla via della Croce senza chiedersi il perché di tanto dolore e tanto amore. Un modo di stargli accanto limitandosi ad una emozione solo esterna, con lacrime di compassione che non sono ancora lacrime di pentimento. Questo pericolo il quadro dell’VlII Stazione vuole mettere in mostra. Le donne piangono e si lamentano in maniera rituale, ma senza capire che il Condannato porta e paga i loro peccati. Per questo Gesù le scuote con parole che sembrano dure, ma che debbono risvegliare la loro coscienza addormentata.
Anche la mia coscienza, Gesù-Maestro, è appisolata sotto un cumulo di peccati che le hanno tolto il senso del bene e il peso del male. Perdona lo stato anestetico in cui sono caduto aggiungendo peccato a peccati senza più sentire il rimorso, senza più nutrire voglia di cambiare, senza più desiderare la santità. Il peccato ripetuto lentamente addormenta la volontà e chiude l'orizzonte della grazia allontanando la luce e la percezione di Dio. Il tuo rimprovero mi ripone dinnanzi l'imperativo della conversione, il senso del peccato risvegliato dal costo alto che hai dovuto pagare per il mio riscatto. Insegnami a piangere sui miei peccati a partire dalle tue piaghe. Amen.

IX STAZIONE
Gesù cade la terza volta

Anche le imprese più grandi, anche i sacrifici più eroici hanno bisogno di una motivazione ideale per essere portati a termine. L'eroe affronta l'impossibile, anche il pericolo di morte, per il bene di un altro o per la salvezza di un gruppo. L'ideale lo chiama, lo reclama infondendogli un amore più grande della paura della morte.
Ma, a volte, l'orizzonte si oscura e la forza dell'ideale non è più fruibile. È allora che le forze vengono a mancare e si cade sulla strada di una grande causa prima liberamente scelta e su cui, sulle prime, si volava nonostante le difficoltà.
È ciò che accade a Gesù in questo momento. Ha iniziato il suo cammino verso la Passione e Morte con forza pensando all'umanità che ne avrebbe attinto salvezza, ma ora tutto gli appare inutile e folle. Tanti, nonostante il suo sacrificio, sceglieranno di rimanere avvinti nell'ombra di morte, renderanno vano, con libera scelta, il suo potenziale di grazia, benché naufraghi, non si aggrapperanno alla scialuppa della Croce e moriranno annegati nei loro peccati. È una tentazione che attraversa il cuore già indebolito di Cristo e lo prostra, una forte sensazione di inutilità lo avvolge facendogli percepire che tutto quello che ha fatto e ha detto è stato vano. Per questo si accascia. Precipita, non incespicando in un sasso della strada, ma in un baratro del cuore.
Maestro, che hai voluto farmi compagnia anche in questa stazione-tentazione, aiutami a rialzarmi e a riprendere il cammino anche con il cuore angosciato. È così facile demordere. È così difficile restare fedeli alla propria vocazione in certi giorni. Tu mi insegni ad andare avanti anche quando l'orizzonte si oscura e siamo costretti a navigare a vista. Tu sei compagno dei giorni difficili.

X STAZIONE
Gesù è spogliato delle sue vesti

Un condannato perde tutti i suoi diritti, anche quello del pudore. Gesù è stato già oggetto di scherno e di violenza gratuita nelle mani dei soldati la notte scorsa. Ed ora, giunto esanime in cima al Calvario, mani volgari lo spogliano per l'ultimo atto della esecuzione capitale. Il corpo di un condannato è cosa pubblica, appartiene a tutti tranne che a se stesso, può essere appeso a una croce o a una forca come un panno immondo messo ad asciugare al sole.
Ricordi, Maria, quando fasciavi e sfasciavi Gesù bambino con quanta grazia tu compivi il tuo gesto materno? Era per te come una liturgia al tempio. Solenne e velata di mille pudori come volute di incenso davanti all'Arca o avanti la tenda del Santo dei Santi. Le fascie erano bianche e profumate di bucato e lavanda e gli angeli venivano a frotte, come le rondini, nella tua povera casa, ma all'ultimo giro di fascia si coprivano il volto per non essere abbagliati dalla carne del Figlio diventato bambino. Ricordi, Maria, tu cantavi e gli angeli rispondevano al canto col battito d'ali! Ed ora quel corpo è piagato e profanato da mani sacrileghe come e più di quando i pagani entrarono rozzi nel tempio e varcarono con armi la soglia dell'invalicabile Tenda!
Cerco il tuo sguardo, Maestro, ora che ti hanno privato della tunica tessuta da tua Madre e del mantello che nella frangia guariva malati al solo toccarlo. Tu ti eri già spogliato della divinità all'atto di entrare nella storia, e ieri, nel Cenacolo, avevi deposto le vesti di maestro per lavare i piedi agli apostoli timorosi. Cerco il tuo sguardo, Maestro, e ti chiedo, con le parole del Salmo 50, "Crea in me un cuore puro!". Per me e per tutti chiedo la grazia di uno sguardo limpido e il senso di un ritrovato pudore. Amen.

XI STAZIONE
Gesù è inchiodato alla Croce

Battono i martelli. Si gonfiano i muscoli degli incaricati a fissare il Condannato al Patibolo. Fanno in fretta, come non si trattasse di un uomo, e pensano al riposo che li attende nel giorno di Sabato. Per Gesù non c'è riposo, ma un nuovo lancinante dolore lo sveglia dallo stato di semincoscienza e chiama tutto il corpo e la mente all'ultimo martirio che precede l'esecuzione capitale: nei quattro punti dove le carni sono lacerate dai chiodi. Nessuno grida "Basta!" e gli addetti continuano il loro lavoro come da copione. Costituiranno una voce nel bilancio della pubblica amministrazione nella nota-spese per le crocifissioni e Pilato nemmeno si fermerà, prima di firmare, su quanto è di spettanza per i "Battitori". Gesù ha voluto essere compagno anche per tutti i torturati della storia: uomini che hanno superato la soglia del dolore dopo essere andati oltre la barriera del suono con le loro grida strazianti. Escono a frotte, a gruppi, a migliaia dalle secrete dei castelli e dalle sale di tortura delle prigioni di massima sicurezza di ieri e di oggi e si avvicinano silenziosi all'Uomo dei dolori che ben conosce il patire. Hanno la carne a brandelli, piagati, bruciati, torturati da macchine infernali o da elettrodi collocati sul corpo... anche per essi nessuno ha gridato "Basta!" e sono andati così dentro il dolore da desiderare la morte.
Anche per te, Tommaso, apostolo dubbioso ed assente la sera di Pasqua nel Cenacolo, anche per te si sta compiendo questo straziante lavoro. Per te, che chiederai ai compagni che ti racconteranno la Pasqua, di porre il dito nel posto dei chiodi! Come gli altri anche tu sei scappato nell'Orto all'arrivo di Giuda con le guardie, ed hai corso a lungo, ansimante, con il cuore che ti batteva in gola, risalendo la valle del Cedron fino in città. Anche ora, benché siano passate dodici ore, da quell'incidente notturno, ti batte forte il sangue nelle tempie, ritmato e straziante. Non lo sai, non è il cuore, ma il martello a battere e il suono si amplifica e ti ricorda che mentre tu sei scappato, il Maestro è rimasto, ed ora si lascia inchiodare alla Croce per te. Per te e per me. Per tutti. I chiodi tracciano nuove strade, aprono squarci perché tutti gli uomini possano avere accesso al cuore del Salvatore.





Don Antonio Vivaldi, Credo RV 591, Crucifixus
XII STAZIONE
Gesù muore sulla Croce

Lentamente, dopo tanto strazio e immane crudeltà, la vita del Maestro viene meno. La febbre gli brucia le membra e le labbra e dice: "Ho sete" come alla Samaritana al pozzo di Sicar. Dio è nel bisogno, Mendicante d'amore alla porta di ogni cuore perché sia estinta la sua sete. Non bastano tutti i fiumi del mondo, non servono i laghi grandi quanto mari, invano scorrono sorgenti da ghiacciai perenni... L'unica acqua che disseta Dio e il "sì" dell'uomo che corrisponde al Suo amore.
Anche gli ultimi istanti il Maestro non li tiene per sé, ma li dispensa per perdonare i suoi persecutori che non sanno quello che fanno, e per consolare un compagno di sventura che gli chiede un posto nel Suo Regno: "Oggi sarai con me in Paradiso!". Il nostro tempo non è nostro, ma stanze per ospitare gli altri, per arricchire fratelli con la nostra povertà, per dispensare a piene mani ciò che non sarebbe bastante per noi. Grazie, Maestro, anche per quest'ultima preziosa lezione di vita sul limitare della morte. Fa che anche la nostra vita e la nostra morte siano un alto di amore. Siano amore.
La dodicesima Stazione della Via della Croce non è, come altre, un luogo di passaggio, una sosta nel cammino, ma un punto di arrivo. Qui ci fermiamo perché non vogliamo sapere altro che Gesù Cristo e questi Crocifisso. Il resto è pula che il vento disperde. Qui siamo al centro del mondo e al centro della storia. L'intero cosmo gira intorno all'asse della Croce e da essa prende senso e movimento.
Gesù, Maestro, alzo lo sguardo a Te che sei stato trafitto per me, e so che attendi il mio sguardo da sempre. Resto qui a lasciarmi inondare dal tuo sangue che mi lava, mi purifica, mi inebria. Qui sono salvato, qui nasce la Chiesa e i Sacramenti: "E subito dal costato squarciato uscì sangue ed acqua".
"Anima di Gesù, santificami!
Corpo di Gesù, salvami!
Sangue di Gesù, inebriami!
Acqua del costato di Gesù, lavami!"

XIII STAZIONE
Gesù è deposto dalla Croce

Ora che tutto è compiuto, ora che i curiosi e le guardie tornano a casa, ora che il Condannato è morto e non costituisce più un pericolo pubblico, può entrare in scena la compassione e, in essa, la Madre. Nel Calvario che si va spopolando, ci si può anche accostare alla Croce e calare il Corpo martoriato del Maestro. Ora che il Figlio torna sulle ginocchia della Madre (mancava da quand'era bambino!), lei può contare le sue piaghe e soffrire per ciascuna di esse. Nel cuore di Maria, con eco profonda, continua la Passione del Figlio come l'ultimo accordo di un concerto permane nell'aria anche quando l'orchestra ha deposto gli strumenti e il direttore è sceso dal podio.
"Donna, ecco tuo figlio!", ti ha detto pocanzi Gesù con l'ultimo filo di voce indicandoti Giovanni il discepolo. Ma ora, Madre, questo è tuo figlio, ridotto a una grande piaga dalla passione per l'umanità. Questo è il figlio che l'Angelo ti aveva annunciato, nato nel mistero, partorito a Betlemme, portato in Egitto per sfuggire alla furia di Erode, perduto e ritrovato a Gerusalemme nel tempio... Allora dodicenne lo riavesti, e ti seguì a Nazareth, nella casa dei cento natali..., ma ora lo hai perduto e stasera da sola farai ritorno nelle stanze che raccontano di lui bambino, adolescente, giovane, partito dietro un sogno e mai più ritornato... Donna, ecco tuo Figlio! Puoi ricoprirlo col tuo manto in un ritrovato calore. In un ritrovato pudore. No, Maria, siamo noi ora i tuoi figli! In Giovanni che ti è stato affidato noi tutti eravamo presenti e attendiamo che come sei stata Madre del Capo, così sarai madre del Corpo. Alza lo sguardo e guardaci, stasera, anche se ingrati e peccatori, noi ci aspettiamo una carezza da te, Addolorata!
"Figlio, ecco tua madre!". Gesù moribondo lo ha sussurrato a Giovanni e anche a noi. Noi ti custodiremo, Madre Chiesa, come si accudisce e si ama una madre anziana che ha speso i suoi giorni per noi. Noi ti difenderemo, Madre-Chiesa con tutte le nostre forze e da te ci attendiamo l'ultima carezza per entrare più fiduciosi nel sonno della morte. Come bambini.


XIV STAZIONE
Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro

Abbiamo sperimentato tutti lo strazio di una bara che scende in una fossa, di una lapide che si chiude, che viene murata. Finché abbiamo il cadavere di una persona da toccare, da baciare, da vegliare, la morte non è ancora morte. Ma quando viene l'ora dell'ultimo bacio, quando si chiude la bara il cuore sente che è veramente finita e rischia di schiantarsi la speranza. Il sepolcro di Giuseppe di Arimatea è in un giardino vicino al Calvario e, mentre in città si accendono le lampade del Sabato solenne, i pochi rimasti compiono il corteo del commiato. La grande pietra che è fatta rotolare all'ingresso del sepolcro pesa tutta sul petto della Madre e le spezza il respiro calamitando i suoi occhi e il suo cuore. Giovanni dovrà faticare non poco, con mille promesse, a far staccare Maria dalla pietra per farla rincasare. "E da quel giorno il discepolo la prese nella sua casa". Per noi sei santa, Pietra del sepolcro di Gesù! Per poche ore il corpo del Maestro hai potuto ospitare, ma il tuo spessore ci è più prezioso del più grande diamante del mondo. Il tuo peso ci porta in alto, come il vuoto del sepolcro ci riempie di gioia perché Dio-Amore che si è precipitato nella morte ha spezzato le catene degli inferi e ha aperto sentieri di luce laddove regnava nera la notte. Ancora stasera vediamo solo striature di luce come aurora boreale, ma dalla pietra del sepolcro vuoto ci viene la certezza di un giorno finalmente senza tramonto. Pasqua è una parola esplosiva. Sovversiva di ogni dinamica di morte. E noi stasera tentiamo nuovamente a sillabarla, come parola d'ordine di una santa insurrezione.
Grazie, Maestro, che mi affidi la certezza che il dolore, il limite, la morte sono armamentari di un mondo in declino di cui percepiamo oggi solo il colpo di coda. Aumenta la mia fede, rafforza la mia speranza, infiamma il mio cuore perché io possa essere testimone della tua Risurrezione. Attraverso le tue piaghe, ora feritoie di luce, già mi giungono i primi bagliori del mondo rinnovato. In esse mi nascondo attendendo l'alba di Pasqua. Poi sarà Alleluia.

O Dio, che con il dono del tuo amore ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove, per essere preparati alla Pasqua gloriosa del tuo regno. Per il nostro Signore.

Alla Santa Croce nella notte del mondo
Mentre le tenebre della notte già incombono, eloquente immagine del mistero che ricorda la nostra esistenza, noi gridiamo a te, Croce della nostra salvezza, la nostra fede! Signore, un fascio di luce si sprigiona dalla tua Croce. Nella tua morte è vinta la nostra morte e ci è offerta la speranza della risurrezione. Aggrappati alla tua Croce, noi restiamo in fiduciosa attesa del tuo ritorno, Signore Gesù, nostro Redentore!






venerdì 30 marzo 2012

Intervista a Luca Di Tolve

Per volere bene agli omosessuali

bisogna dire loro la verità






http://www.corrispondenzaromana.it/per-volere-bene-agli-omosessuali-bisogna-dire-loro-la-verita/

(di Benedetta Frigerio su Tempi del 29-03-2012)

Intervista a Dale O’Leary, esperta americana del gender mainstreaming, che per prima ha denunciato i piani delle lobby Lgtb e abortiste «per arrivare a conquistare posti di potere». «Non facciamo gli ipocriti. Si vada a scavare oltre l’apparenza gaia per vedere cosa vivono davvero queste persone»
«Non c’è dubbio. La burocrazia delle Nazioni Unite, come anche la maggioranza dello sue Ong, è devota alla causa dei “diritti sessuali”. Lo si vede dai princìpi stilati dagli promotori dei diritti Lgbt nel 2006 a Yogyakarta, in Indonesia, che stabiliscono che in natura non esiste alcun sesso, dando a ciascuno il diritto di definirsi uomo/donna/gay/transessuale eccetera». A spiegarlo è Dale O’Leary, medico americano che ha partecipato alle conferenze dell’Onu del Cairo e di Pechino sui princìpi del “gender mainstreaming” e che da trent’anni pubblica libri e studi e tiene conferenze sui cosiddetti “nuovi diritti”.
Da sempre in prima linea nelle battaglie per la difesa della famiglia naturale e della vita, O’Leary fu la prima a parlare di come le lobby Lgbt e quelle abortiste si muovevano all’interno delle Nazioni Unite. «I princìpi di Yogyakarta furono finalmente presentati al Consiglio Onu per i Diritti umani del 26 marzo 2007. Ora sono stati presi in considerazione anche dal Consiglio d’Europa nel documento Diritti umani e Identità di Genere, del luglio del 2009. È un fatto dalle conseguenze gravi, perché, tra l’altro, il diritto ad avere rapporti sessuali con chiunque, senza limitazioni, ne implica altri, come quello alla contraccezione e all’aborto su richiesta. Inoltre, se accettiamo il riconoscimento legale delle relazioni sulla base del solo affetto, dovremo accettare anche la poligamia: non a caso chi la pratica sta incominciando a usare gli stessi argomenti dei promotori dei diritti Lgbt per ottenere una legittimazione».

Come questo programma influenza le politiche degli Stati?
Le Nazioni Unite stanno cercando di imporre questi diritti all’America Latina, all’Africa e al mondo islamico. Poiché quest’ultimo non riceve aiuti dall’Onu, è stato in grado di reagire. Sfortunatamente, però, gli Stati del Sud America e quelli dell’Africa subsahariana, che invece ricevono aiuti dall’Onu, sono ricattati dai governi che li finanziano, soprattutto dall’amministrazione Obama. Ora anche i paesi membri dell’Unione Europea subiscono pressioni. Pressioni alle quali sono più suscettibili in un momento di crisi come questo.

Perché il governo degli Stati Uniti ha deciso di farsi promotore di questi diritti?
I promotori di questi nuovi diritti lavorano da anni per diffondere la loro mentalità all’interno delle istituzioni. Mi accorsi delle armi che usano per raggiungere i posti di potere nel 1994, alla conferenza Onu del Cairo, alla quale si recarono anche molti movimenti contrari all’ideologia gender, avvertiti del pericolo da Giovanni Paolo II.

Lì i governi furono invitati a «diffondere l’Agenda di Genere», in ogni programma politico. Da quel momento l’amministrazione Clinton, il governo canadese, l’Unione Europea e diverse agenzie Onu si sono impegnati a diffondere l’idea che l’identità sessuale «è stabilita dalla volontà della persona e non dalla sua natura». Mi tornò in mente una conferenza sulle donne e il potere in America: si spronarono le presenti a lavorare per occupare posti importanti, spiegando loro che il governo non aveva bisogno delle donne in generale, ma di quelle d’accordo con la visione libertina della sessualità e del genere. Si raccomandò di cercare di inserirsi in posizioni da cui poter assumere altre persone d’accordo con la propria idea. Il che significava l’assunzione di soli gay, lesbiche, femministe radicali e abortisti.

Dopo pochi anni ecco realizzato il progetto: l’amministrazione Obama ha fatto l’en plein di persone provenienti da questo mondo. Così, per esempio, è passata la legge che obbliga a includere la contraccezione e l’aborto nelle assicurazioni mediche pagate ai dipendenti dai datori di lavoro, anche quelli che fanno obiezione di coscienza, come le istituzioni religiose.

I promotori di questi diritti si dicono amici delle donne.
Io credo che ogni donna abbia il diritto di scegliere di fare la madre a tempo pieno come sua vocazione primaria. Oppure di lavorare part time per stare con la famiglia. Per le femministe radicali e per i promotori dell’ideologia gender, invece, le donne non devono avere questa libertà: devono poter fare come gli uomini. Quel che conta è perciò poter fare sesso senza conseguenze e quindi avere il diritto all’aborto e alla contraccezione, non certo ad essere madri.

Ma questa mentalità, inculcata anche dai media e dalle scuole, sta distruggendo le donne: si stanno diffondendo anche tra loro moltissime malattie sessualmente trasmissibili. Nel libro Unprotected, scritto da uno psichiatra di una delle università più importanti d’America, sono raccolti decine di esempi di ragazze che, per via di un orientamento sessuale deviato, tentano il suicidio, si drogano, diventano bulimiche o anoressiche.

La femminista americana Sylvia Ann Hewlett era convinta che le donne dovessero prima di tutto ottenere il diritto al lavoro, così ha deciso di intervistarne migliaia in carriera, ma, come ha riportato nei suoi libri, si è accorta che quasi tutte non avevano bambini. All’inizio pensava non ci fosse nulla di male: era una loro libera scelta. Ma proseguendo con le domande le intervistate incominciavano a parlare di drammi interiori nascosti. Piangendo, confessavano vite devastate. Avevano vissuto per il lavoro, molte avevano storie abortive alle spalle e ora erano sterili. Dall’altra parte ci sono gli studi e le interviste alle donne sposate con partner fissi: il grado di felicità e serenità di queste ultime è incomparabile.

Quali altre conseguenze ha l’educazione libertina?
Il Planned Parenthood, la più grande lobby abortista americana, ha un sito per teenager la cui homepage è intitolata così: «Sei pronta a fare sesso? Se vuoi, non c’è problema. Esistono i contraccettivi e l’aborto». Nessuno dice loro che si potranno ammalare e diventare sterili. Gli studi dimostrano che i teenager sessualmente attivi sono tre volte più esposti alla depressione e al suicidio (lo dimostrano i dati del National Longitudinal Surveys del dipartimento americano del Lavoro). Questi sono fatti. Non parliamo poi dell’educazione nelle scuole: bambini e ragazzi con lievi tendenze (che di solito si correggono con l’età) spinti verso l’omosessualità; studenti senza alcuna certezza riguardo a ciò che vedono, fragilissimi e insicuri perché le evidenze della realtà vengono messe in dubbio. Con tassi depressivi e di suicidi in continuo aumento, proprio là dove è impartita questa educazione.

Il libertinismo fa male anche agli omosessuali stessi?
Si dice che li si vuole aiutare, ma sono passati trent’anni da quando fu diagnosticato per la prima volta l’Aids a un omosessuale: da quel momento più di 300 mila gay sono stati uccisi dal virus. Quest’anno ne moriranno 6 mila. E in soli tre anni i malati sono cresciuti del 17 per cento.

Secondo le statistiche dei Cdc (Centers for Disease Control) in America un omosessuale praticante su cinque è affetto da Hiv. Questo accade anche perché agli attivisti gay interessa preservare la loro libertà sessuale, anche a costo della vita. Come documentato da più medici, sebbene l’omosessualità li renda spesso nevrotici, depressi, e l’Hiv li faccia stare male, tanti sono così dipendenti dal sesso che in certi casi non importa loro né di morire né di contagiare gli altri.

Molti sostengono che gli omosessuali sono felici e che bisogna lasciare che lo siano. Questa è falsa e ipocrita tolleranza. In realtà chi parla così non li sa aiutare. Vadano a scavare oltre l’apparenza gaia per vedere cosa vivono davvero queste persone: anche nei paesi in cui la tolleranza è massima il livello patologico non scende, come dimostrato, ad esempio, dalle statistiche della Nuova Zelanda e dei Paesi Bassi, dove la legge è la più permissiva possibile.

Spesso queste persone imputano il loro malessere all’oppressione sociale e all’omofobia, per questo lottano così violentemente per ottenere certi diritti. Numerose ricerche scientifiche dimostrano che chi pratica l’omosessualità è molto più soggetto a malattie psicologiche, istinti suicidi, abuso di sostanze. In particolare a disturbi depressivi. E molti psichiatri vedono guarire le nevrosi e le depressioni con la correzione di questo orientamento. In queste vite c’è sofferenza e le ama molto di più chi le guarda e cerca di prendersene cura, dicendo come stanno le cose, rispetto a chi sostiene di tollerarle con indifferenza.

Perché concedere agli omosessuali il diritto ad avere una famiglia minaccerebbe il matrimonio naturale e il bene comune?
Gli attivisti Lgbt sono liberi di vivere come credono, ma quello che vogliono è ben altro: zittire chi difende il matrimonio naturale tra uomo e donna. Proprio perché imputano, erroneamente, la loro inquietudine agli eterosessuali. Uno dei documenti più importanti di papa Benedetto XVI parla di mancanza di complementarità nelle coppie omosessuali. Ho scoperto studi psichiatrici che attestano come queste coppie cerchino di compensarla. Ad esempio, sacrificano la propria identità naturale ricreando rapporti simili a quello tra marito e moglie. Oppure sacrificano la maturazione, ricreando un rapporto simile a quello tra genitore e figlio.

In ognuno di questi casi si rinuncia a qualcosa per creare una complementarietà artificiale, che però non è in grado di compiere a pieno i loro bisogni. Non penso che non si ritrovino mai soddisfazioni in questi rapporti, ma occorre che queste persone capiscano che la loro mancanza non sarà mai colmata, né dalla totale accettazione da parte degli altri né dalla ridefinizione del matrimonio naturale. Anzi, una ridefinizione sarebbe pericolosa: creerebbe una mentalità relativista dagli effetti distruttivi che ho appena descritto, minacciando la crescita naturale delle persone e la necessità sociale dell’unione eterosessuale, l’unica luogo in grado di crescere persone solide e di compiere, attraverso una complementarità piena, i coniugi. La minaccia è sotto i nostri occhi: negli Stati Uniti è diventato così pericoloso difendere il matrimonio naturale che si è dovuta fondare l’“Alleanza contro la diffamazione dei sostenitori del matrimonio”.

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marcia per la vita

Tutti in marcia per difendere la vita



(di Francesco Agnoli su La Bussola del 07-03-2012)

A volte basta qualche gesto di coraggio e un po’ di buona volontà. Basta osare un po’, mettendoci fiducia e impegno. E progetti che sembravano irrealizzabili, prendono piano piano corpo, sino a stupire gli stessi organizzatori. Sto riferendomi alla II Marcia nazionale per la vita, che si svolgerà a Roma il 13 maggio, preceduta da un grande convegno, il giorno precedente, cui parteciperanno personalità come Carlo Bellieni, collaboratore dell’Osservatore Romano, membro della Pontificia Accademia per la vita e medico di fama internazionale, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e prestigioso collaboratore di svariati quotidiani e riviste, la scrittrice Costanza Miriano, rivelazione editoriale dell’anno, il dottor Pino Noia, cofondatore della “Quercia millenaria” e uomo simbolo del mondo pro life italiano, Padre Gonzalo Miranda, pioniere nel campo della biotica cattolica, Renzo Puccetti, voce di radio Maria, Olimpia Tarzia, presidente di WWALF, e tanti altri…

La marcia fa seguito a quella organizzata l’anno scorso a Desenzano, con insperato successo. Già in quell’occasione erano state veramente tante le adesioni e gli auguri di personalità della politica e della Chiesa Cattolica, nonostante si trattasse di una scommessa al buio. Gli organizzatori, infatti, avevano deciso di partire così, “alla garibaldina”, sostenendo che se la cosa fosse piaciuta, alla Provvidenza, ci avrebbe pensato lei… E forse così è andata e sta andando… Da Desenzano a Roma, dalla periferia al cuore della Cristianità e dell’Italia: un balzo notevole, che però, come dicevo, si è rivelato benedetto. Sempre più associazioni infatti stanno aderendo all’iniziativa, che sarà aperta a tutti, associazioni pro life di ogni genere, cattolici e non credenti, comunità evangeliche… Non c’è ambito più opportuno, infatti, per un sano ecumenismo, della difesa dei principi non negoziabili, condotta attraverso varie modalità scelte dagli organizzatori: la marcia, il convegno, ma anche la pubblicazione di un opuscolo sul post aborto nelle donne (Mamme che piangono, Fede & Cultura) e il sostegno al Caritas Baby Hospital di Betlemme, grandioso esempio di carità cristiana, nella terra di Cristo.

L’idea, il programma, deve essere piaciuto anche alle gerarchie cattoliche, che infatti non hanno fatto mancare il loro augurio e il loro sostegno. L’agenzia Agi, alcuni giorni fa, riportava infatti questa notizia: «Un gran numero di vescovi e cardinali hanno dato la loro adesione alla Marcia Nazionale per la Vita, che si terrà il 13 maggio a Roma: tra i diversi messaggi spiccano quelli dei cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, e Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova. Gli organizzatori segnalano anche l’adesione del presidente della Conferenza Episcopale Polacca, monsignor Jozef Michalik, arcivescovo di Przemysl dei Latini, perché dalla Polonia è stata annunciata una massiccia partecipazione all’evento. Hanno inviato messaggi anche i cardinali Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e Camillo Ruini, attualmente a capo del Progetto culturale della Cei».

A ciò si deve aggiungere certamente la lettera cordiale e appassionata del cardinal Carlo Caffarra, notissimo moralista, molto vicino sia a Giovanni Paolo II, che ne ha sempre tenuto in grande considerazione la competenza in campo bioetico, e a Benedetto XVI. Caffarra, da sempre attento osservatore del mondo pro vita italiano e mondiale, ha scritto a Luigi Coda Nunziante, presidente di Famiglia Domani, una delle associazioni organizzatrici: «Ben volentieri assicuro il mio sostegno nella preghiera alla Marcia per la Vita, organizzata da Famiglia Domani. Una forte testimonianza pubblica al bene della vita umana, dal concepimento alla sua fine naturale, è urgente nella società di oggi. E’ un richiamo perché esca da quella logica utilitaristica che la sta consumando. Il Signore vi sostenga e vi accompagni».

Mons. G. Sigismondi

S. Ecc.za Mons. Gualtiero Sigismondi, 

giovane Vescovo di Foligno chiede ai Benedettini di Norcia di celebrare nell'antico rito. E partecipa personalmente!


Il giovane Vescovo di Foligno, S. E. Mons. Gualtiero Sigismondi, ha chiesto ai monaci di Norcia (Pg) di celebrare una serie di SS. Messe solenni nella Forma Straordinaria del Rito Romano, nell’ambito della sua iniziativa volta ad esporre i fedeli della sua diocesi alla forma tradizionale.
Il Vescovo di solito assiste alla S. Messa sedendosi tra i membri del coro, dando così una testimonianza personale dell’importanza di questo “tesoro della Chiesa”, per dirla con le parole di Papa Benedetto.
La Messa viene celebrata una volta al mese nell’antica chiesa di Santa Maria infra portas alle 10.00.
La prossima S. Messa verrà celebrata il 14 Aprile 2012.

fonte: I monaci di S. Benedetto

giovedì 29 marzo 2012

crocifisso


 

L’ AMICO DI OGNI GIORNO

Avete voi il Crociflsso ? Procurate di tenerlo sempre con voi più che sia possibile : ponetelo sul vostro tavolo quando scrivete, sulle vostre ginocchia quando lavorate alfine di mirarlo a quando a quando ; e persino mentre dormite procurate stringerlo fra le mani. Al certo nulla è più santificante della frequente Comunione, dell' Adorazione del Santissimo Sacramento : ma non potrà aversi sempre presente sostanzialmente Gesù nel cuore , non si potrà stare di continuo ai suoi piedi, bensì potremo avere la sua immagine sopra di noi, e questa immagine ci dirà molte cose. Se la mattina levandoci baceremo il Crocifisso con amore e prometteremo a Gesù di portare la nostra Croce durante il giorno, se durante la meditazione fisseremo in lui i nostri sguardi, proponendo di immolarci sull' altare del suo sacrificio ; se per ridestare il nostro fervore lo stringeremo spesso al nostro cuore, e nei momenti di lotta, di tentazione, di angoscia, cercheremo in lui la forza e il conforto, sembra difficile che il nostro Crocifisso non divenga per noi un amico, un confidente. Gesù ci ammaestrerà, ci fortificherà mediante la sua immagine, ed in un commercio più intimo l' anima nostra unita al suo sposo sarà in lui trasformata, e potrà davvero ripetere le parole di S. Paolo : Vivere per me è Gesù Cristo, e la nostra vita, prendendo un novello carattere, scoprirà nuovo orizzonte nella scienza cristiana ; tutta la vita, tutta la felicità si compendieranno per noi nelle due parole: GESU’ CRISTO CROCIFISSO. Preghiamo Maria che voglia insegnarci come imprimere le labbra sulle piaghe del suo divin Figlio ed attingervi il coraggio e l' ardore che debbono distinguere i veri devoti del Cuor di Gesù.

peccatori

Davanti a Dio siamo tutti debitori in maniera più o meno grande; ma è l’amore che determina la misura del perdono.

pubblicata da Enzo Gallo il giorno giovedì 14 aprile 2011 alle ore 15.26 ·
 
 
La cena a casa di Simone il fariseo, Paul Rubens, San Pietroburgo Hermitage

la cena a casa di Simone il fariseo
Quando io rifletto sul pentimento di Maria Maddalena avverto maggiormente il desiderio di piangere piuttosto che di dire qual cosa. Infatti quale cuore, fosse anche di pietra, non si lascerebbe intenerire dall’esempio di penitenza che ci trasmettono le lacrime di questa peccatrice? Essa ha considerato ciò che aveva fatto e non ha voluto mettere limiti a ciò che stava per fare. Eccola che si introduce tra i convitati: arriva senza essere invitata, e in pieno festino non ha remore nel mostrare in pubblico le sue lacrime. Apprendete qui quale contrizione agita questa donna che non arrossisce nel piangere in pieno festino.

Quella che Luca chiama peccatrice e che Giovanni nomina Maria(Gv.11,2) noi crediamo sia quella Maria dalla quale il Signore ha scacciato sette demoni(Mc.16,19). E che cosa designano questi sette demoni se non tutti i vizi capitali. Poiché sette giorni bastano ad abbracciare l’insieme del tempo della creazione, il numero sette a ragione designa l’universalità. Maria ha dunque avuto in sé sette demoni perché era ripiena di tutti i vizi.

Ma ecco che avendo aperto gli occhi sulle colpe che la disonoravano essa corre a lavarsi alla fonte della misericordia, senza arrossire in presenza dei convitati. Così grande era la vergogna all’interno di sé che essa non vedeva nulla ad di fuori di cui avrebbe dovuto arrossire. Che cosa dobbiamo ammirare, o fratelli, la donna che viene o il Signore che la riceve? Dirò piuttosto: il Signore che la attira o che la riceve? Dirò meglio, che l’attira e la riceve insieme, essendo certamente Egli che la attira a sé interiormente colla sua misericordia e che l’accoglie esteriormente con la sua mansuetudine.

Giovedì di Passione
Lc. 7,36-50
S.GREGORIO MAGNO
Homilia 33 in Evangelia
Breviario romano, Letture dal Mattutino

Letture della Messa

Lezione( Dan. 3,25; 34-45) La preghiera di Azaria


La distruzione del Tempio a opera dei Babilonesi,
Francesco Hayez, Venezia, Galleria d'Arte Moderna

La preghiera che Azaria rivolge al Signore indica quale deve essere l’atteggiamento interiore di colui che vuol incontrare e ricevere la grazia. La caduta di Gerusalemme e l’esilio in Babilonia hanno preparato e disposto il popolo ebraico a ricevere il Messia molto più che non gli anni della potenza e dello splendore di Salomeone.
Nella storia di Israele c’è in radice la storia di ogni anima. E’ necessario accettare la spogliazione, l’umiliazione, la povertà. La passione di Gesù non può portare i suoi frutti se non è accolta e vissuta nella nostra vita di ogni giorno. Dalla terra di esilio in cui viviamo, come gli antichi Ebrei lungo i fiumi di Babilonia, il ricordo della Patria celeste possa strappare dai nostri cuori lacrime di pentimento e salutari sentimenti di nostalgia.

Vangelo (Lc. 7,36-50)
La peccatrice ai piedi di Gesù
Cristo siede a mensa nella casa del Fariseo e una donna peccatrice viene a rendere a Gesù quel servizio di ospitalità che Egli non aveva ricevuto dal padrone di casa.
Il medico viene a trovarsi tra due malati: ma uno, benché in preda alla febbre, ha esatta coscienza di sé; l’altro, invece, non si rende conto del suo stato. E, mentre la donna piange i suoi peccati, il Fariseo gonfio com’è della sua giustizia, non fa che accrescere il suo male. Anzi, cosa più grave, non sospetta nemmeno di essere malato (S.Gregorio Magno).
Gesù difende la donna esaltandone la generosità e l’amore di fronte all’avarizia e alla meschinità di animo del fariseo e dichiara di fronte a tutti che le sono perdonati i suoi peccati.
La parabola dei due debitori serve a chiarire meglio le posizioni e a mortificare la superbia del fariseo. Davanti a Dio siamo tutti debitori in maniera più o meno grande; ma è l’amore che determina la misura del perdono. Alla peccatrice sono perdonati molti peccati perché molto ha amato. Coloro, invece, che si credono giusti e pensano di non aver bisogno di perdono, anche se poco hanno da essere perdonati, rimangono nel loro peccato.
La donna peccatrice, pur non essendo di casa, dà ospitalità a Gesù, anzitutto nel suo cuore. Gesù ricambia tale devozione accogliendo nella braccia della sua misericordia. E’ sempre necessario che, quando vediamo dei peccatori, di fronte alla loro miseria piangiamo la nostra. Perché se non siamo caduti, possiamo ancora cadere nelle medesime mancanze. Chi non è riuscito a perseverare, ritorni; chi non si resse in piedi, si rialzi, almeno dopo la caduta (S. Gregorio Magno).

mercoledì 28 marzo 2012

via Crucis: VII stazione

VIA CRUCIS  2012
VII  STAZIONE





Gesù cade per la seconda volta

Scuola di compassione
e magistero di umiltà
è la vita


Eccellenza Reverendissima,
ho scritto tante volte questa lettera in mente mia che potrei recitarla a memoria come i bambini le poesie di Natale, l'ho scritta e l'ho riscritta infinite volte e poi accartocciata nel cestino. Mi dicevo: "Sarà un momento, anche questo passerà..., non è il caso importunare il Vescovo che ha già tante gatte da pelare!". Non so se non sono venuto a bussare alla Sua porta per amore filiale o per quel dannato orgoglio che ci impedisce di palesarci poveri dinnanzi a un altro, fosse anche il padre. Sa, Eccellenza, appartengo alla generazione nata nel dopoguerra, cresciuta a volte negli stenti, venuta su senza giocattoli con nella mente il valore del sacrificio e il culto del pane che bisogna meritare.

Non si agiti, lo so che non ama le lettere perché sanno di distacco e di ufficialità, ma Le assicuro che questo non è l'incipit di testi letti in passato in cui un Suo prete veniva a comunicare la volontà di lasciare l'esercizio del ministero perché in crisi ("Vengono quando hanno già deciso tutto!". Ho sentito che diceva amareggiato nel plenum dello scorso anno). No, Eccellenza, il prete che Le scrive è ancora fedele all'impegno di celibato che assunse tanti anni fa: mi creda non lo dico per vantarmi, sono abbastanza vecchio per ritenere la mia fedeltà (almeno fino a stasera) un dono, quasi un miracolo, non certo opera mia.

Ci sono crisi più profonde di quelle nate intorno al morso della solitudine o provocate da un gesto di ribellione per un trasferimento non accettato, ci sono giorni in cui tutto sembra andare bene poi a un tratto metti un piede in fallo e si apre una voragine dentro di te come un mobile che hai visto sempre solido e a un tratto ti si sgretola sotto lo sguardo perché lentamente i tarli lo hanno divorato e svuotato per anni. "Ma benedetto figlio - ora starà dicendo ad alta voce spazientito - quanti preamboli..., perché non viene al dunque".

E accaduto questa mattina, Eccellenza, ancora una volta, nel momento terribile che anche Lei conosce in cui la gente si siede dopo il Vangelo e aspetta che tu parli. Non so se lo aspetti o lo subisca, lo invochi o lo tema, è certo che quei secondi intercorsi tra l'ambone e la sede, tra il "Lode a te, o Cristo"e il "Cari fratelli... " mi sono sempre pesati sul cuore come un macigno. In modo tutto speciale, in maniera esponenziale, ciò accade nelle celebrazioni esequiali dove in quel momento si crea nella mia chiesa un silenzio irreale, pare che tutti siano statue, che nessuno respiri e tutti abbiano gli occhi fissi su di te come quel giorno nella sinagoga quando Gesù sedette dopo aver consegnato il rotolo del libro. Si crea una tensione terribile in cui esamini, in un attimo, mille modi diversi di cominciare il discorso, mille tracciati; a volte senti anche una sorta di sfida lanciata con gli sguardi e vorresti scappare, nasconderti, non essere diverso da quelli che hanno la libertà di piangere seduti al primo banco.

Quando mi sono girato per parlare e avevo già deciso l'incipit, la chiesa era vuota, non conoscevo più gli angeli di marmo coi quali ho amicizia decennale, non le colonne, l'abside... Ho sentito un'angoscia profonda, vuoto allo stomaco, nausea e vertigini, mi sono aggrappato all'asta del microfono ed ho cominciato a piangere, non a dirotto, ma sottovoce come facevamo da bambini per non incorrere in ulteriori pene.

"Benedetto figliolo, quante volte ti ho messo in guardia dall'eccessiva mole di lavoro..., basterà una vacanza!"starà dicendo sollevato mentre la suora suona per la cena. Vede, Eccellenza non è un caso isolato l'incidente di stamattina, altre volte mi accade per strada, al volante, nell'ombra del confessionale o in casa. È l'improvviso chiudersi dell'orizzonte e tu non sai chi sei e quanto valga continuare a vivere. Si chiama "depressione" e come un cancro corrode un organo, ti polverizza l'anima, ti fa sentire inutile, inetto, inane...

Lei, forse, Eccellenza non l'ha mai provato, ma le assicuro che ti senti il cielo addosso, le preghiere rimbalzano come monete false e non c'è Dio che sembra ascoltare i pianti, tutto sembra svuotato, nessun ricordo è dolce, e non c'è affetto che ti attenui il gelo. Forse, Eccellenza, anche Gesù è passato per questa valle oscura, nell'agonia dell'orto, la sera dell'addio, salendo il suo Calvario?


                                                                                            + A.A.

martedì 27 marzo 2012

velatura delle Immagini


Tempo di Passione: dalla velatura delle immagini alla svelata pasquale.

Teologia e tradizione di un rito antico

Ferrandina
Collegiata


Pubblichiamo un accurato studio sulle origini e sul significato teologico e spirituale di un rito antichissimo, che caratterizza le ultime due settimane di Quaresima, dette “Tempo di Passione”.
di Alessandro Scaccianoce

Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

In origine limitata alla sola Settimana Santa, che si apriva con la Domenica delle Palme, detta appunto “De Passione Domini”, nel tempo la contemplazione della Passione del Signore, culmine della Redenzione e fonte di vitalità spirituale, venne anticipata e celebrata anche nella settimana precedente.
Questo tempo speciale, che si inserisce nel già propizio tempo di Quaresima, viene sottolineato con alcune specifiche regole cultuali. Tra queste la più caratteristica è la “Velatio”, ovvero la velatura delle croci e delle immagini della chiesa esposte alla venerazione dei fedeli. A norma del Messale tridentino, nel sabato che precede la I domenica di Passione, (quindi il sabato della IV settimana di Quaresima), «finita la Messa e prima dei Vespri si coprono le croci e le immagini della chiesa con veli violacei; le croci restano coperte fino al termine dell’adorazione della croce da parte del celebrante il Venerdì Santo, le immagini fino all’intonazione del Gloria nella Messa della Vigilia Pasquale». In tale periodo solo le immagini della Via Crucis restano senza velo. Il giovedì santo la croce dell’altare maggiore, per il tempo della Messa, si copre con un velo bianco.


Si tratta di un rito molto antico risalente addirittura al sec. IX, forse un retaggio della separazione dei penitenti pubblici nella chiesa. I penitenti pubblici erano i fedeli che si erano resi colpevoli di gravi peccati dopo il Battesimo. Questi, dopo un periodo di penitenza, nel periodo precedente la Pasqua, venivano riammessi alla comunione la mattina del Giovedì Santo, con un apposito rito. Nel tempo, poi, tutti i cristiani furono assimilati ai penitenti pubblici, nella consapevolezza della necessità per tutti di un tempo di penitenza in preparazione alla Pasqua del Signore. Così cominciò a diffondersi l’abitudine di nascondere ai fedeli l’altare maggiore, per mostrare visivamente gli effetti del peccato, che rompe la comunione con il Signore e ne oscura la visione.


Da sempre, infatti, la liturgia si esprime in una ricchezza di segni che rendono manifesta la realtà dei Misteri celebrati sull’altare. Salvo qualche tentazione iconoclasta, che periodicamente riemerge nella storia della Chiesa.
Il Concilio di Trento, riferendosi in particolare alla S. Messa, motiva questa consuetudine ricordando che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti [...] per introdurre i fedeli con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo Sacrificio» (DS 1746).
E così, come per la liturgia è importante la presenza dell’immagine, altrettanto rilevante è la sua assenza. Il nascondimento dei Santi e di Cristo stesso aiuta ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui quei volti si offrono nuovamente al nostro sguardo.


Al di là della sua origine, il rito della “Velatio” conserva ancora oggi un profondo significato e una intensa capacità catechetica ed emotiva: nascondere alla vista le immagini dei Santi aiuta a concentrarsi su Colui che è l’origine di ogni santità. Egli è colui che rende accessibile il cielo agli uomini. Senza di lui la nostra vita non avrebbe più una dimensione trascendente, sarebbe un vagare nelle tenebre del peccato e “nell’ombra della morte”. La velatura delle croci sottolinea anche fisicamente la privazione di Cristo, il “venir meno dello sposo”: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi” dice il profeta Isaia (53,8).  

Quei veli che nascondono il Cristo alla nostra vista stanno a ricordare che quell’evento riaccade ancora oggi. Che anche noi siamo “tra gli uccisori di Cristo”, tra quelli che lo volevano gettare dal precipizio della città di Nazaret, o lapidarlo nel tempio di Gerusalemme. Si tratta, dunque, di un segno efficace che aiuta a meditare, riflettere e pregare sulla tragicità della condizione umana senza la presenza del Dio redentore.


Si capisce, allora, che nella I Domenica di Passione – secondo il calendario tridentino – venga proclamato il Vangelo di Giovanni che fa esplicito riferimento al nascondimento di Gesù di fronte ai suoi nemici: “Iesus autem abscondit se et exivit de templo” (Gesù si nascose e uscì dal tempio, Gv 8,59). Sembrerebbe che, in passato, la velatura del Crocifisso avvenisse proprio mentre il Diacono cantava questo versetto.
Nella sua ricchezza di significati il segno della “Velatio” rimanda anche alla velatura della Divinità di Nostro Signore, che possiamo illustrare con queste splendide parole di Sant’Agostino sulla passione del Signore: “Dio era nascosto; si vedeva la debolezza, la maestà era nascosta; si vedeva la carne, il Verbo era nascosto. Pativa la carne; dov’era il Verbo, quando la carne pativa? Eppure neanche il Verbo taceva, perché c’insegnava la pazienza”. La gloria di Cristo, dunque, è eclissata sotto le ignominie della Passione.


Lo scenario delle nostre chiese, con immagini, dipinti e simulacri velati, ci ripropone l’esperienza del “Deus absconditus” (Dio nascosto), su cui molta teologia ha scritto. In tale contesto, Dio va cercato nel proprio cuore, è lì che deve risorgere. Risulta particolarmente efficace al riguardo questa citazione di B. Pascal: “Gli uomini sono nelle tenebre e nella lontananza da Dio, che è nascosto alla loro coscienza. Egli non sarà colto che da quelli che lo cercano anzitutto nel cuore”. Questi sentimenti sono particolarmente accentuati alla sera del Giovedì Santo, in cui si fa memoria del “rapimento di Gesù” da parte delle guardie del tempio. Da quel momento egli è in balìa della loro ferocia. “E’ l’impero delle tenebre” (Lc 22,4), come afferma Gesù stesso.


Questa atmosfera in antico culminava nel caratteristico “Ufficio delle tenebre”, ovvero nella celebrazione del mattutino e delle lodi del Giovedì, del Venerdì e del Sabato Santo.
Ad ogni salmo veniva spento uno dei 15 ceri posti su un apposito candeliere (la “Saetta o Tenebrarium”) a forma di triangolo. Tutta la chiesa veniva così gradualmente immersa nel buio. Rimaneva accesa la candela più alta  (simbolo della fede di Maria, che è rimasta viva anche nel silenzio della morte di Cristo).
Dopo la riforma liturgica la pratica della “Velatio”, è stata pressoché universalmente abbandonata, sulla scorta di un malinteso “spirito conciliare”. In realtà, questo rito, di cui abbiamo cercato di spiegare la profondità e la ricchezza, conserva tutta la sua attualità. Si rese necessario, pertanto,  un intervento chiarificatore della Congregazione per il Culto Divino circa l’opportunità di conservare o recuperare questa usanza, come indicato nella lettera circolare Paschalis sollemnitatis del 16 gennaio
1988.

 

«L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere utilmente conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il Venerdì Santo; le immagini fino all’inizio della Veglia Pasquale» ( n. 26). La Conferenza Episcopale Italiana, dal canto suo, ha sempre fatto rinvio agli usi locali.
La stessa circolare specifica nel capitolo IV a proposito della Messa Vespertina del Giovedì Santo nella Cena del Signore: “Terminata la Messa [in Cena Domini] viene spogliato l’Altare della Celebrazione. E’ bene coprire le Croci della Chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della Domenica V di Quaresima. Non possono accendersi le luci davanti alle Immagini dei Santi”.
Nel rito ambrosiano tale pratica è estesa addirittura a tutta la Quaresima, in cui la forte meditazione sulla passione del Signore è sottolineata dai venerdì a-liturgici, in cui cioè non si celebra l’Eucaristia, e dall’uso del colore nero per tutte le ferie del tempo. A norma del Sinodo XLI n° 513 “nel pomeriggio del sabato precedente la prima Domenica di Quaresima nelle Chiese ed Oratori si devono coprire tutte le immagini sacre, siano dipinte o siano scolpite, che sono poste in venerazione, non quelle di ornamento”.
Significativa, poi, è la svelatura delle immagini, che - come abbiamo visto – avviene in due momenti diversi:  il Venerdì Santo viene scoperto il crocifisso, mentre tutte le altre immagini al gloria del Sabato Santo. Dopo il tempo in cui Cristo è stato sottratto ai nostri sguardi, ci viene restituito innanzitutto nell’immagine del “trafitto”. E’ questa la prima immagine che ci consegna la passione del Signore: un cuore aperto, donato fino all’ultima goccia di sangue e acqua. “Velum templi scissum est”, dicono i Vangeli. Quel velo che separava il Sancta Sanctorum (ovvero la parte più sacra del tempio di Gerusalemme) dal resto del Tempio, in cui  poteva accedere (una volta all’anno) il
 Sommo Sacerdote, viene lacerato alla morte di Cristo. In quel momento si “ri-vela” universalmente l’intima natura di Dio stesso nel cuore trafitto di Cristo. Il significato di questo velo è, come è stato ben scritto da autorevoli commentatori ed esegeti, che gli uomini sono separati da Dio a causa del peccato. La lacerazione del velo del Tempio, pertanto, sta a significare l’unione della terra con il cielo, rendendone l’accesso aperto ad ogni uomo. Ed ecco che la sapienza della Chiesa offre tutto questo alla nostra contemplazione attraverso il rito dell’adorazione della Croce che – secondo la forma più antica – viene svelata solennemente di fronte ai fedeli. In questo giorno si rendono evidenti le parole di Gesù: Questa generazione cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Lc 11,29).

A questa prima “ri-velazione” del Venerdì Santo, fa seguito, nella Veglia Pasquale, la definitiva liberazione delle immagini di tutti i Santi. Il Cristo risorto, infatti, associa alla sua gloria quanti lo hanno seguito da vicino, testimoni della Sua redenzione. Penso all’efficace iconografia bizantina che raffigura la risurrezione di Cristo nell’atto di trarre dagli inferi Adamo ed Eva. Si capisce, allora, che le immagini dei Santi vengano svelate dopo che è stato dato l’annuncio della risurrezione di Cristo, al canto del “Gloria in esxcelsis”: “In lui risorto, tutta la vita risorge”, canta il Prefazio di Pasqua.
In Sicilia, tale prassi è molto ben documentata. Alla velatura delle immagini, infatti, la I Domenica di Passione, corrisponde lo svelamento dell’altare maggiore che ha luogo alla vigilia di Pasqua. Al canto del gloria, mentre si sciolgono le campane, il lungo telone scuro (vi sono esemplari alti  anche più di dieci metri) che ha nascosto il presbiterio nelle due settimane precedenti, viene lasciato precipitare giù, restituendo ai fedeli l’altare maggiore con il simulacro del Cristo risorto in bella vista: “a calata ’a tila” (calata della tela).  Tale rito si è conservato anche quando il rito liturgico è stato spostato dal mezzogiorno alla notte del Sabato Santo. A questo momento, detto anche “a risuscita”, si legavano poi varie tradizioni popolari e contadine: come quella di trarre auspici dal numero di candele che rimanevano accese nonostante il forte spostamento d’aria generato dal repentino precipitare giù del telo. Questa tradizione si conserva tutt’oggi in molti centri della Sicilia (da Adrano e Belpasso a Nicolosi, da  San Giovanni la Punta a Catenanuova, da Comiso a  Petralia Sottana, fino alla chiesa di San Domenico a Palermo).


Anche a Biancavilla la “Velatio” è attestata, come dimostrano, se non altro, molti teli violacei conservati nei più remoti angoli delle sacrestie delle chiese più antiche. Nella Chiesa Madre, inoltre, vi era un grandissimo telone, di circa 10 metri di altezza per 6 metri di larghezza, riproducente la scena della deposizione del Signore dalla croce, che ricopriva tutta l’area presbiterale durante il tempo di Passsione. Questa “tela”, probabilmente settecentesca (come le tele superstiti di alcuni paesi vicini),  nel tempo andò deteriorandosi, fino ad essere ripartita intorno agli anni 60 in piccole parti e divisa tra alcuni fedeli che ne fecero gli usi più vari (qualcuno anche per raccogliere le olive!). Circa dieci anni fa, per iniziativa di alcuni giovani, tale usanza è stata ripristinata, con una nuova tela realizzata ex novo dal M° Giuseppe Santangelo, che ne ha fatto anche un bellissimo esemplare per la chiesa dell’Annunziata. Tuttavia, la tela non viene utilizzata tutti gli anni e l’incontro degli occhi con il Signore Risorto è affidato ad altre soluzioni.

Il telo che nella notte del Sabato Santo precipita rovinosamente ha un definitivo significato escatologico: esso sta ad indicare che al nostro orizzonte è restituita la visione dell’al di là. Possiamo guardare con fiducia oltre la morte, poiché il Vivente sta lì, “primogenito di molti fratelli”, ad assicurarci che il nostro destino è il cielo, ovvero la profondità delle cose. Con la sua risurrezione Cristo ha guarito la nostra “cataratta” spirituale. E il segno della tela lo esprime in modo eloquente.

Alla fine della Veglia Pasquale, quei teli raccattati alla svelta, accantonati in un angolo, ci ricordano la realtà “fisica” della risurrezione. Anche per noi si rende possibile l’esperienza dell’Apostolo Giovanni che “vide i teli per terra” ed entrato, ”vide e credette” (Gv 20,13).