sabato 28 gennaio 2012

28 Gennaio
San Tommaso d' Acquino



Dagli «Opuscoli teologici» di s. Tommaso d'Aquino, sacerdote e dottore della Chiesa.
(«Sui due precetti della carità e i dieci comandamenti della legge»,
in Opuscola theologica, IT, nn. 1137-1154, 4, Ed. Leonina).

La legge della divina carità.

E' evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano conoscere e dalla cui osservanza nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l'Apostolo con quelle parole: «Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve» (Rm 9,28). Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa l'azione dell'uomo, quando essa è conforme alla regola della divina carità. Quando invece è in contrasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta. Questa legge dell'amore divino produce nell'uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E' noto infatti che per sua natura l'amato è nell'amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: «Chi sta nell'amore sta in Dio e Dio sta in lui» (1 Gv 4,16). Inoltre è legge dell'amore, che l'amante venga trasformato nell'amato. Se amiamo il Signore, diventiamo anche noi divini: «Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui» (1 Cor 6,17). A detta di sant'Agostino, «come l'anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell'anima». L'anima perciò agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo della carità, mediante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l'anima non agisce: «Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14). Se perciò qualcuno possedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d'oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita. Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: «L'amore di Dio non è mai ozioso - dice san Gregorio Magno - quando c'è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore». Vediamo infatti che l'amante intraprende cose grandi e difficili per l'amato: «Se uno mi ama osserva la mia parola» (Gv 14,25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell'amore divino, adempie tutta la legge. Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: «Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama. Il quarto effetto della carità e di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ottenga in noi questo quadruplice risultato. Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l'amicizia con Dio.

RESPONSORIO
La fonte della sapienza riversò in Tommaso le sue acque, come limpido fiume di scienza, e Tommaso riversò la sua pienezza, * fecondò tutta la Chiesa.
Stile conciso, esposizione piacevole, pensiero chiaro, sublime, sicuro:
fecondò tutta la Chiesa. 

Dagli «Opuscoli teologici» di s. Tommaso d'Aquino, sacerdote e dottore della Chiesa.
(«De rationibus fidei», in Opera omnia, i. XL, Roma 1969, pp. 56 ss., ed. Leonina).
Ciò che è stolto dinanzi a Dio, è più sapiente che gli uomini (cfr. 1 Cor 2,15).

Cristo scelse per sé genitori poveri e tuttavia perfetti nella virtù, affinchè nessuno si glori della sola nobiltà del sangue e delle ricchezze dei genitori. Condusse vita povera per insegnare a disprezzare le ricchezze. Visse in semplicità, senza ostentazione, allo scopo di tenere lontani gli uomini dalla disordinata brama degli onori. Sostenne la fatica, la fame, la sete e le afflizioni del corpo affinchè gli uomini proclivi alle voluttà e delicatezze, e motivo delle asprezze di questa vita, non si sottraessero all'esercizio della virtù. Infine sostenne la morte per impedire che il timore di essa facesse abbandonare a qualcuno la verità. E perché nessuno avesse paura di incorrere una morte spregevole a causa della verità, scelse il più orribile genere di morte, cioè la morte in croce. Così dunque fu conveniente che il Figlio di Dio fatto uomo patisse la morte, per indurre col suo esempio gli uomini alla pratica della virtù, di modo che risulti vero ciò che Pietro dice: «Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme» (1 Pt 2,21). Se infatti fosse vissuto ricco nel mondo e rivestito di potere e di qualche grande dignità, si sarebbe potuto credere che la sua dottrina e i suoi miracoli fossero accolti in forza del favore degli uomini e della potenza umana. Perciò, affinché fosse manifesta l'opera della divina potenza, scelse tutto ciò che nel mondo è vile e debole: una madre povera, una vita indigente, discepoli e messaggeri incolti, il disprezzo e la condanna a morte da parte dei magnati della terra, onde apparisse chiaramente che l’ accettazione dei suoi miracoli e della sua dottrina non erano opera di potenza umana ma divina. Di conseguenza in quello che operò e patì si unirono assieme la debolezza umana e il potere divino: alla nascita infatti è adagiato in una mangiatoia, avvolto in fasce, ma è servito dagli angeli; vive povero e mendico, ma risuscita i morti, rende la vista ai ciechi; muore appeso a un patibolo, è annoverato fra i malfattori; ma alla sua morte, il sole si oscura, la terra trema, le pietre si spezzano, le tombe si aprono e i corpi dei morti risuscitano. Se qualcuno dunque consideri quale grande frutto è scaturito da tali esordi, la conversione cioè di quasi tutto il mondo a Cristo, e ulteriormente cerchi ancora altri segni per credere, si può dire che è più duro di una pietra, dal momento che alla sua morte anche le pietre si spezzarono. Questa è la ragione per cui l'Apostolo dice ai Corinzi che «il linguaggio della croce è follia per quelli che si perdono, ma per noi che siamo salvi è potenza di Dio» (1 Cor 1,18). A proposito di tutto questo c'è ancora un'altra cosa da tenere presente. Secondo lo stesso piano provvidenziale per il quale il Figlio di Dio fatto uomo volle prendere su se stesso le debolezze umane, stabilì che anche i suoi discepoli - da lui costituiti ministri dell'umana salvezza — fossero essi pure disprezzati nel mondo. Perciò non li scelse dotti e nobili, ma senza cultura e di bassa condizione sociale, ossia poveri pescatori. E mandandoli a lavorare per l'umana salvezza, comandò loro di praticare la povertà, di accettare persecuzioni e ingiurie, e di subire anche la morte per la verità, cosicché la loro predicazione non apparisse esercitata per vantaggi terreni, e la salvezza del mondo non venisse attribuita alla sapienza e alla potenza dell'uomo, bensì soltanto a quella di Dio: per cui in essi — che secondo il giudizio del mondo sembravano spregevoli — non venne meno la potenza divina che opera cose mirabili. Questo era necessario per l'umana salvezza, affinchè gli uomini imparassero a non confidare orgogliosamente nelle proprie forze, ma solo in Dio. Infatti per la perfezione della santità umana è richiesto che l'uomo si sottometta in tutte le cose a Dio, da lui speri di poter conseguire il possesso di ogni bene e riconosca di averlo da lui ricevuto.


ORAZIONE O Dio, che nella tua provvidenza hai dato alla Chiesa san Tommaso d'Aquino maestro di sapienza e modello di santità; per sua intercessione fa' che ti cerchiamo con sincerità e ti amiamo con tutte le nostre forze. Per il nostro Signore.

oppure: O Dio, che in san Tommaso d'Aquino hai dato alla tua Chiesa un modello sublime di santità e di dottrina; donaci la luce per comprendere i suoi insegnamenti e la forza per imitare i suoi esempi. Per il nostro Signore.

Oratio Deus, qui beátum Thomam sanctitátis zelo ac sacræ doctrínæ stúdio conspícuum effecísti, da nobis, quæsumus, et quæ dócuit intelléctu conspícere, et quæ gessit imitatióne complére. Per Dóminum.

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