giovedì 23 giugno 2011

23 GIUGNO
SAN GIUSEPPE CAFASSO
Sacerdote


s. Giuseppe Cafasso

San Giuseppe Cafasso
S. Giuseppe Cafasso “vera luce sacerdotale nella storia della Chiesa”. Così lo definì Benedetto XVI al termine dell’Anno sacerdotale: nella interminabile schiera dei “santi sociali”, che hanno operato in terra subalpina, non ha fondato istituti, né costruito strutture, ma ha allevato fondatori e costruttori. E proprio nel 150º dell’unità d’Italia cadono il 150º della morte (23 giugno 1860) e il bicentenario della nascita (15 gennaio 1811).
Fanno da guida alla riscoperta di quello che fu definito “perla del clero italiano” e “il prete della forca” la catechesi che Benedetto XVI propose il 30 giugno 2010 all’udienza generale e gli insegnamenti dei Pontefici. Afferma il Card. Ratzinger: “Non fu parroco come il curato d’Ars, ma fu soprattutto formatore di parroci e preti diocesani, anzi di preti santi. Non fondò istituti religiosi perché la sua fondazione fu la scuola di vita e di santità sacerdotale che realizzò, con l’esempio e l’insegnamento, nel Convitto ecclesiastico di san Francesco d’Assisi”.

Zio del Beato Giuseppe Allamano
Nasce a Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco), terzo di quattro figli. La sorella Marianna è la mamma del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Ha 16 anni quando incontra per la prima volta il dodicenne Giovanni Bosco. Il 21 settembre 1833, a 22 anni, è ordinato sacerdote nella chiesa dell’arcivescovado di Torino. Quattro mesi più tardi entra nel Convitto ecclesiastico: è allievo, ripetitore e docente di morale, direttore spirituale e rettore. In 24 anni di insegnamento, forma generazioni di sacerdoti e si dedica a un’intensa pastorale verso i bisognosi, i carcerati e i condannati a morte.
Papa Benedetto XVI spiega: “Tre erano le sue virtù principali: calma, accortezza e prudenza. Al ministero della confessione dedicava molte ore della giornata. Di molti santi e fondatori di istituti religiosi egli fu sapiente consigliere spirituale. Il suo insegnamento nasceva dall’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano: la sua fu una vera scuola di vita sacerdotale”.

Il suo segreto: essere uomo di Dio
Il suo segreto è semplice: “Essere un uomo di Dio; fare nelle azioni quotidiane tutto a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Amava il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti”. L’altro elemento che ne caratterizza il ministero “è l’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati.
In questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole. Accompagnò al patibolo 57 condannati a morte”.
Papa Pio XI il 1º novembre 1924 approva la beatificazione del Cafasso. Pio XII il 22 giugno 1947 lo proclama santo e il 9 aprile 1948 patrono delle carceri. Giovanni XXIII nella lettera al cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino, nel primo centenario della morte, scrive: “Chi ha l’animo traboccante di amore, ha sempre di che donare agli altri. Fu egregio formatore di anime sacerdotali, ne illuminò le intelligenze con sana dottrina e con rinnovata perfezione.
Fu ricercato consolatore tanto più soave e vigilante quanto più tormentosa era la miseria, soprattutto per i carcerati e i condannati a morte”. Giovanni Paolo II nella prima visita a Torino, domenica 13 aprile 1980, ricorda che “con zelo indefesso, fu dedito a Dio, alle anime e alla formazione dei sacerdoti”.

Pier Giuseppe Accornero
redazione.rivista@ausiliatrice.net

SECONDA LETTURA
Dagli «Esercizi spirituali al clero» di san Giuseppe Cafasso
(Istruzione XIV; Alba 1955. pp. 561-569. passim)
Il ministero della misericordia
Il campo più esteso, lo spazio pressoché immenso in cui ha da spiccare e risplendere eminentemente un confessore è la carità. Questa virtù è talmente propria del confessore che l'ufficio di lui si chiama propriamente ufficio di carità. Tale ufficio fu sempre raffigurato dai Padri a quel pietoso aiuto che prestò il buon Samaritano al viandante di Gerico assalito dai ladroni, spogliato, ferito e lasciato mezzo morto lungo la strada, figura appunto del povero peccatore. Se il penitente ha bisogno di molti requisiti nel confessore, più di tutto ha bisogno di carità; ed è tanto vero, che i medesimi penitenti hanno per abitudine, allorché si presentano, di dire prima d'ogni altra cosa: «Padre, mi faccia la carità di sentirmi, di aiutarmi!». E non la sbagliano, poiché, se troveranno carità, troveranno tutto quello di cui possono aver bisogno; a quel modo che il povero ferito nella via di Gerico ebbe nella carità del Samaritano tutto quello che gli bisognava. Ebbe vino, fasce, olio, cavalcatura, albergo; ebbe, in una parola, tutta intiera la cura. [...] Anzitutto la carità terrà il confessore sempre disposto ad accogliere i penitenti, sempre pronto ad accorrere quando è richiesto, quasi servo premuroso e sollecito a portarsi là dove lo chiama la voce del suo Signore; nessun tempo, nessun luogo eccettuato, né di giorno, né di notte. Egli è pronto in chiesa, in camera, dovunque: è sempre ai cenni di chi lo domanda.
Il confessore nella sua carità può trovar maniere d'appagare, di contentare tutti, perciò egli parla o tace, dissimula o risponde, è pronto o tardo, pieghevole o fermo, secondo le circostanze, le disposizioni e i caratteri: ma a tutto questo non arriva, se non ha un buon fondo di carità. Perfino alle ingiurie in confessionale non si deve opporre altra difesa che la pazienza, la dolcezza, la carità. Ma che dire e fare quando abbiamo ai piedi certa sorta di gente che non vuol saperne in alcun modo, e resiste dura e ostinata ai tratti più fini di carità, al punto da dirci che sono rassegnati di andare all'inferno piuttosto che lasciare il peccato, pur di godere quello che vogliono? Eh! pare che la causa di costoro sarebbe da tenersi come disperata, se non vi fosse sempre a sperare in quella grande Misericordia che vuole tutti salvi e che appunto pazienta e aspetta tanto, perché non vuol punire. Il sacerdote che è posto a far le veci, le parti in terra di questa misericordia sì grande, faccia un ultimo sforzo e cerchi nella sua carità un pensiero da dare loro come un ultimo filo di speranza in questa fatale partenza: «Figlio, come m'accorgo, noi non ci vedremo più in questo mondo però ci rivedremo un dì nell'altro; se sei contento, o vivo o morto, pregherò sempre per te. Figlio, tu sei infelice perché sei capitato male in questa mattina: se avessi trovato un confessore migliore di me, tu a quest'ora saresti pentito, perdonato, saresti salvo; invece sei sull'orlo dell'inferno, e chi sa domani cosa sarà di te; prega Iddio che mi perdoni e che presto io non abbia a rendere conto di te. Figlio, io morrò presto, prega che mi salvi perché, giunto in Paradiso, voglio fare tanto per te, che un giorno abbia a vedere anche te ad arrivarvi». Alle volte un sentimento di questo genere bastò senz'ahro a fermare un penitente, a far cedere una rocca che pareva incrollabile.
Ma supponiamo il peggio: che parta e che ci lasci senza speranza di sorta; noi non sappiamo quello che sarà per operare il Signore con uno di questi pensieri; e chi sa che non voglia coronare uno sfogo così pietoso del suo ministro e fare che si salvi un'anima per cui si è lavorato tanto! Se non altro, sarà sempre una prova di più per giustificare quell'infinita misericordia assieme al suo ministro che lo volevano salvare e, se è perduto, egli solo ne è la causa, da se medesimo ha fatto la sua rovina.

RESPONSORIO 1 Cor 4, 1-2; Pro 20. 6
Ognuno ci consideri come servi di Cristo, responsabili dei misteri di Dio.
* A chi amministra, si chiede di essere fedele.
Molti si proclamano gente per bene, ma una persona fidata chi la trova?
A chi amministra, si chiede di essere fedele.

oppure:
Dagli « Esercizi spirituali al clero » di san Giuseppe Cafasso
(Meditazione XVI; Alba 1955)
Il sacerdote e l'amore
Siamo nati per amare, viviamo per amare, morremo per amare ancora più. Tal è, o fratelli, il nostro fine quaggiù; tale sarà, come speriamo, la nostra destinazione futura ed eterna. «Beato colui - dice sant’ Agostino - che avrà imparato questa scienza di amare». «Voi fortunato - diceva quel buon laico al gran dottore san Bonaventura - voi ben felice, che sapete e avete imparato tante cose!». «Ah! figliuolo mio - rispondeva il santo - non avere invidia della mia scienza; la vecchierella che sa amar Dio, ne sa tanto come frate Bonaventura...». Questa risposta, che cagionò stupore e ammirazione in quell'anima semplice, può dare a noi materia di riflessione e di confusione.
A noi forse potrà parere di saper qualche cosa a questo mondo; e, dopo tanti anni di studio, ci sembra quasi un avvilirci l'adattarci a trattare con certe persone rozze e grossolane, tanto ci fa compassione la loro ignoranza; eppure, se esse amano Dio, ne sanno tanto come noi e anche di più di noi. Vi sono alle volte tra questa gente dei cuori tutto zelo, tutto amore, mentre i nostri, con tante cognizioni, saranno freddi e gelati. E che vale tutta la nostra scienza, se ci manca la prima e la principale, che è quella di saper amare Iddio?
Che gran tesoro non è mai per una famiglia e per un paese un sacerdote che ami, che viva, che arda di carità! Quanto bene si potrà aspettare dall'esercizio del suo ministero! «Oh! quanto è mai dolce - diceva S. Agostino - parlare di amore! ma quanto più dolce sarà il praticarlo!». Ah! volesse pure Iddio che, infiammati oggi di questo fuoco celeste, cominciassimo qui in terra, in questa valle di lacrime, quella vita d'amore che spero sarà un dì la mia e la vostra per sempre in cielo!

RESPONSORIO Fil 2, 2-4; 1 Ts 5, 14-15
Abbiate in voi la carità di Cristo, con umiltà considerate gli altri superiori a voi stessi,
* non cercate il vostro interesse, ma quello dei fratelli.
Sostenete i deboli, siate pazienti con tutti, cercate sempre il bene tra voi e con gli altri;
non cercate il vostro interesse, ma quello dei fratelli.

ORAZIONE Tu hai dato, Signore, doni straordinari di carità e di sapienza a san Giuseppe Cafasso, tuo sacerdote, per formare alla scuola del Vangelo i ministri della parola e del perdono: concedi anche a noi di diventare strumenti della tua pace. Per il nostro ….


Atto di accettazione della morte
composto e recitato da san Giuseppe Cafasso

Grande Iddio, io accetto e adoro la sentenza di morte pronunziata sopra di me, e portandomi col pensiero sul mio letto di morte, voglio fare adesso per allora una ultima e solenne protesta di quei sentimenti ed affetti con cui intendo terminare la mia mortale carriera. Siccome questo miserabile corpo fu la cagione per cui offesi tanto il caro mio Dio, così per sua punizione e castigo ne fo ben di cuore un totale sacrificio all'offeso mio Signore. Per quello che riguarda il tempo o le circostanze tutte della mia morte, io mi rassegno pienamente, ad esempio del mio Divin Redentore, a tutto ciò che il Padre Celeste avrà disposto di me. Accetto quella morte qualunque che Iddio nei suoi decreti crederà migliore per me. Per compiere la volontà sua, intendo accettare da Lui o per Lui tutti quegli spasimi e dolori, che sarà in voler suo che io soffra in quel punto. Questa è la mia ferma e precisa volontà, con cui intendo vivere e morire in qualunque momento Iddio voglia disporre di me. Io mi metto tra le mani della mia cara madre Maria, del mio buon Angelo Custode, di san Giuseppe, dei Santi miei protettori, quali tutti attendo sul punto di mia morte e pel viaggio alla mia eternità. Amen.

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