sabato 3 settembre 2016

santa Teresa di Calcutta

Il sorriso della Santa



Mi è tornato in mente un articolo che avevo scritto per l’Eco dei Barnabiti nel 2003, in occasione della sua beatificazione. Riprendeva il titolo di un racconto di Giovanni Papini, che avevo letto quando frequentavo la scuola media. Era tratto da una raccolta curata dalla figlia dello scrittore, Viola Paszkowski Papini, Il muro dei gelsomini, SEI, Torino, 1957. Ritrovo ora in rete la copertina dell’edizione da me usata a scuola. Ho ritrovato pure “Il sorriso della Santa” — ripreso dall’opera Passato remoto (1948) — dove si narra l’incontro del giovane Papini con la giovane Teresa Martin, futura Teresa di Gesú Bambino. Riporto prima il racconto di Papini, perché possiate gustarlo anche voi, e subito dopo il mio articolo del 2003.


Uno dei ritrovi giornalieri di noi ragazzi fiorentini era il giardino D’Azeglio. Una mattina d’autunno andavo, secondo il solito, verso quel giardino, ma, giunto in via della Colonna, m’ero soffermato a una vetrina di cartolaio a ustolare [= guardare con bramosia] certi francobolli esotici che mancavano alla mia scarna collezione.

In quel mentre sentii dietro di me voci straniere. Mi voltai: un signore e una signora accompagnati da una giovinetta, tutti e tre dall’aspetto forestiero, stavano interrogando un passante che, a quanto mi parve, non sapeva insegnare ciò che gli veniva domandato. Mi avvicinai di un passo, con l’improntitudine propria dei ragazzi, e sentii che la giovinetta ripeteva, con accento tutt’altro che toscano, ma chiaro, un nome fiorentinissimo: Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Capii subito quel che cercavano, e siccome l’interpellato, un vecchio lindo con gli occhiali, non sapendo cosa rispondere, andava garbatamente scusandosi e stava per allontanarsi, mi feci innanzi e mi offrii per accompagnare quegli impacciati stranieri alla chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, che era lí vicina in Borgo Pinti. Non conoscevo quella chiesa per motivi di devozione, ma perché, a differenza di altre, aveva dinnanzi un bell’atrio arioso, mezzo chiostro e mezzo giardino, una specie di pronao fiorito, dove talvolta mi davano appuntamento certi compagni della scuola che era lí accanto.

I tre forestieri ebbero fiducia in me e mi vennero dietro. Erano vestiti di scuro, e mi parvero gente semplice, seria, molto diversa da quegli inglesi ricchi e sicuri che a Firenze si sentivano in casa propria. Io sbirciai la giovinetta, che pareva la piú impaziente di giungere alla chiesa. Poteva avere 14 o 15 anni; il volto era pienotto, tondeggiante, illuminato da occhi dolci, ardenti, profondi, che mi fecero tale impressione da fare abbassare i miei. Si giunse, in pochi passi, al portale esterno della chiesa, e io feci cenno con la mano che erano arrivati. Il padre e la madre, insieme, dissero piú volte: Merci, merci. La giovinetta non disse nulla, ma, quasi per ringraziamento, mi rivolse un cosí bel sorriso, che turbò stranamente il mio cuore di fanciullo timido. Poi i tre entrarono nell’atrio pieno di sole e di fiori, e io me ne andai verso il giardino D’Azeglio.

Molti e molti anni dopo, un amico prete mi dette da leggere una biografia di Santa Teresa di Lisieux, e appresi, con meraviglia, che proprio nell’autunno del 1888, quando le carmelitane rifiutarono di accoglierla novizia perché non aveva ancora l’età prescritta, essa aveva pregato i genitori di condurla in Italia, per chiedere a Leone XIII la grazia di una speciale dispensa. E lessi, con trepida meraviglia, che si era voluta fermare a Firenze, con l’unico scopo di recarsi a pregare sulla tomba di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, che si era trovata, a suo tempo, nel suo medesimo caso.

Ho pensato, qualche volta, di essere stato illuso da un inganno della memoria, ma sono ormai persuaso che la giovinetta che quella lontana mattina d’autunno mi aveva cosí soavemente sorriso era stata la futura Teresa del Bambin Gesú. I ritratti di lei fanciulla che erano in quel libro combaciavano con il mio ricordo, non affievoliti dagli anni. L’incontro con quei tre stranieri mi era rimasto lungamente impresso: la memoria, a quell’età, è tenacissima.

E spesso mi vien fatto di pensare, perdoni Dio questo pensiero, se è figlio di superbia, che il sorriso di Santa Teresa mi abbia accompagnato, senza che io lo sapessi, fino ai misteriosi giorni di una piú potente Grazia.

Fin qui Papini. Ecco ora invece il mio articolo scritto per la beatificazione di Madre Teresa.


Quando frequentavo la scuola media, al “Virgilio” di Roma (siamo negli anni Sessanta), non ricordo se in seconda o in terza, avevamo un libro di lettura di Giovanni Papini, dal titolo Il muro dei gelsomini. Uno dei racconti, per lo piú autobiografici, lí riportati era intitolato “Il sorriso della Santa”. Narrava dell’incontro di Papini ragazzo con Teresa Martin (la futura Teresa di Gesú Bambino) avvenuto a Firenze, dove la Santa di Lisieux si era recata con la sua famiglia a visitare la tomba di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, durante il suo viaggio in Italia del 1887. Il Papini, che non sapeva chi fosse quella ragazza (lo avrebbe scoperto solo molti anni piú tardi) rimase profondamente colpito dal sorriso che le fece Teresa, il sorriso di una santa. Io fui molto impressionato da quel racconto, tanto che all’esame di licenza media, quando la professoressa di italiano mi chiese di parlarle di un racconto de Il muro dei gelsomini, senza esitazione cominciai a riferire de “Il sorriso della Santa”.

Il Cielo ha voluto che io stesso, a distanza di anni, facessi un’esperienza simile a quella di Papini, con un’altra Teresa, Madre Teresa di Calcutta (che — giova ricordarlo — assunse questo nome proprio in onore della Carmelitana di Lisieux). Era il 1987 (cento anni dopo l’incontro di Papini con Teresa Martin!). In quel periodo mi trovavo a Bologna, “cappellano” (vale a dire vicario parrocchiale) di San Paolo Maggiore. Frequentavo l’Università per laurearmi in filosofia. In quegli anni ricorreva il nono centenario dell’Università di Bologna; il Rettore, il Prof. Fabio Roversi Monaco (massone dichiarato, ma illuminato) aveva deciso di conferire tutta una serie di lauree honoris causa per solennizzare l’evento: erano stati già laureati il Re di Spagna, il Principe Carlo d’Inghilterra, Raoul Gardini, eccetera. I Cattolici popolari, polemicamente, lanciarono la proposta: perché non viene conferita la laurea anche al Papa [Giovanni Paolo II] e a Madre Teresa di Calcutta? Il Rettore, intelligentemente, rispose: E perché no? Della laurea al Papa non se ne fece poi nulla: essa si trasformò in una indimenticabile visita all’Università, con la “promulgazione accademica” del nuovo Codice di diritto canonico. In settembre invece ci fu il conferimento della laurea a Madre Teresa. La sua visita a Bologna durò un paio di giorni. Io la seguii in tutti i suoi spostamenti. Arrivò la sera del 25 e ci fu subito l’incontro con i giovani in Piazza Santo Stefano. Ricordo ancora le sue parole, in un inglese per nulla difficile a intendersi: parole semplici, tratte dal vangelo, ma che si fissarono nella mente e nel cuore. All’indomani mattina la cerimonia della laureatio. Non era facile potervi partecipare, dal momento che si sarebbe svolta nell’antica sede dello Studio bolognese, l’Archiginnasio. Attraverso i miei amici “ciellini” riuscii ad avere un biglietto e potei cosí presenziare alla cerimonia, dove risaltava il contrasto fra i docenti in pompa magna, paludati con la loro toga, e l’umile suorina con il suo povero sari bianco-celeste; i discorsi ufficiali delle autorità accademiche e l’inconsueta lectio magistralis della neo-laureata, che non fece altro che ripetere i medesimi concetti della sera precedente nel suo inglese facile-facile. Al termine della cerimonia si formò il corteo delle autorità e dei docenti che accompagnavano Madre Teresa non so dove. Io mi appostai in un corridoio dove doveva passare il corteo: quando lo vidi arrivare rimasi impressionato dalla statura di Madre Teresa: l’avevo vista tante volte in televisione, ma non mi ero mai reso conto di quanto fosse minuscola. Quando finalmente arrivò in prossimità del luogo dove mi trovavo, mi avvicinai, mi piegai verso di lei, le afferrai l’esile mano e le dissi: «Pray for us!». Madre Teresa mi guardò e, senza nulla dire, mi fece un sorriso ampio (come solo lei era capace di fare), un sorriso che rimarrà scolpito nella mia mente e nel mio cuore per tutto il resto dei miei giorni. Da quel volto invecchiato e pieno di rughe, si sprigionò una luce e una bellezza, che non ho mai visto in altre occasioni nella mia vita: un sorriso proveniente dal cielo, il sorriso di una santa.

La sera di quello stesso giorno, poi, Madre Teresa fu invitata a uno spettacolo organizzato dalla diocesi di Bologna in occasione del Congresso eucaristico diocesano, uno spettacolo che fu trasmesso dalla televisione a livello nazionale (Don Vecchi, l’organizzatore, stava evidentemente “facendo le prove” per il congresso eucaristico di dieci anni dopo, che sarebbe stato un congresso nazionale, con tanto di concerto rock e di partecipazione papale). Anche nello spettacolo serale risaltava il contrasto fra gli attori, i cantanti e le ballerine scollacciate sul palco e l’umile suorina che, in platea, un po’ assente, continuava a sgranare la sua corona del rosario. Quando, al termine dello spettacolo, salí sul palco ci fu una standing ovation, a cui non ho mai assistito in altre occasioni: tutta la platea si levò in piedi e la applaudí per oltre cinque minuti di orologio: un applauso interminabile, giusto riconoscimento per quanto la minuscola religiosa albanese-indiana stava facendo per l’umanità.

Il 19 ottobre scorso [2003] l’umile suorina è stata elevata agli onori degli altari: una folla immensa (sicuramente piú di trecentomila persone) ha gremito Piazza San Pietro e le vie adiacenti per partecipare a un evento storico. Dopo che il Papa ha terminato con voce stanca la formula di beatificazione, mentre la Cappella Sistina insieme ai fedeli cantavano l’Amen di approvazione, è stato scoperto il drappo che pendeva dalla loggia centrale della basilica vaticana: è cosí riapparso il volto sorridente di Madre Teresa e gli occhi di tutti si sono bagnati di commozione di fronte a quel sorriso, il sorriso di una santa. p. Giovanni Scalese

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