A volte, quella che può sembrare un’irrilevante notizia di cronaca locale, riesce ad inquadrare una deriva culturale più di qualsiasi macchinosa riflessione sociologica. E’ il caso dell’episodio avvenuto la scorsa settimana nella chiesa di Santa Francesca Cabrini, a Roma.

I fatti. Nella parrocchia capitolina, quartiere Nomentano, mentre si stava svolgendo la celebrazione delle cresime, al momento della distribuzione Eucaristica, ad una ragazza cade l’ostia di mano. Incerta sul da farsi, la ragazza decide infine di raccoglierla ed infilarla nella sua borsetta. La scena, però, non sfugge all’occhio vigile di una fedele che si precipita al banco della ragazza e le intima di restituire la Particola. Ne nasce un diverbio, poi sfociato in lite, tra i familiari della ragazza e l’attenta parrocchiana. I parenti, seccati per quella che ritengono un’invasione di campo inopportuna e, molto probabilmente, impreparati di fronte alla sollecitudine della fedele rimproverante, non ci stanno ad incassare la correzione e trincerano la figlia dietro ad un non richiesto giustificazionismo. Poi, sentendosi accusati, si trasformano in accusatori lamentando la reazione esagerata della donna per quello che ritengono essere un futile motivo. Nel suo piccolo, questa vicenda racconta di come il virus relativista abbia contaminato la maggioranza della società italiana, negandogli la capacità di percepire l’esistenza di una distinzione tra bene e male.

Il trionfo del relativismo etico, costringendo l’individuo ad abdicare dalla propria coscienza morale, ha reso mutevole di persona in persona quella concezione di giusto e sbagliato che un tempo era oggettiva e, perciò, condivisa. “Io non prendo lezioni da nessuno” incarna a puntino il leitmotiv di quest’epoca postmoderna – perché estranea persino alle linee guida delle ultime decadi – mentre sono sempre di meno i petti percossi a suon di salutari mea culpa. Non a caso, quei pochi organi di informazione che hanno riportato l’episodio, non hanno mancato di utilizzare la prevedibile etichetta di “bigottona” per la parrocchiana. E invece, questa donna merita un plauso per la lezione che, con la sua tenace dimostrazione di fedeltà al dogma eucaristico, ha saputo rifilare a quei cristiani annacquati che hanno ridotto la fede ad un passatempo poco ingombrante e che, ignorando i moniti di un papa che fingono di apprezzare ma in realtà non ascoltano, si rifugiano nel nascondiglio dell’indifferenza pretendendo lo stesso dagli altri.

Da quest’episodio, inoltre, emerge ancora una volta quanto sia diffusa, persino fra i praticanti di un paese tradizionalmente cattolico come l’Italia, l’ignoranza religiosa: la situazione è talmente allarmante che, per avere un quadro generale più chiaro, anziché chiedersi quanti sono i cattolici che non credono nella presenza reale di Gesù, conviene accertarsi prima di quanti sono quelli che ancora vi credono. Anche perchè la questione eucaristica non può essere considerata un dettaglio teologico: la santa Eucaristia costituisce il cuore dell’esistenza di ogni battezzato ed il centro della missione della Chiesa. La piccola lite del Nomentano restituisce lo spaccato di un mondo dove, sempre più, all’ignoranza si reagisce con l’arroganza e dove non c’è spazio per l’umiltà e il pentimento. Un mondo alla rovescia dove, mentre si predica ininterrottamente il rispetto per tutti i tipi di credenze, una donna viene tacciata di bigottismo per aver impedito che il pane consacrato, cioè il Corpo di Cristo per i credenti, venisse trattato come fosse un chewingum da riporre momentaneamente nella borsetta e poi, magari, buttare una volta finita la cerimonia.

Questo, d’altronde, appare come il naturale sbocco di quella tendenza a marginalizzare la dimensione del sacro persino nelle cerimonie religiose, vissute ormai da buona parte delle famiglie come occasioni per far baldoria con amici e per autocelebrazioni esibizioniste anziché come opportunità per stabilire una connessione ancora più forte con Dio.